Inaugura all’osservatorio Prada “Surrogati. Un amore ideale”. Ecco cosa l’1% della popolazione vuole che pensiamo

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Surrogati
Fonte: jamiegdiamond.com

Fin dal 19 dicembre 1947, data in cui il National Security Council del Presidente americano Truman emanò la direttiva NSC-4, implementata poi l’anno seguente dalla direttiva NSC-10/2, non solo è lecito supporre che ci siano state delle ingerenze politiche ed economiche nel mondo dell’arte, è proprio provato!

Con la direttiva NSC-10/2 venne istituzionalizzata la possibilità che la CIA potesse attuare una pletora di azioni “coperte” che prevedessero propaganda, guerra economica, azioni dirette preventive incluso il sabotaggio, l’antisabotaggio, le distruzioni e i piani di evacuazione, la sovversione contro Stati ostili con assistenza a movimenti clandestini di resistenza, guerriglia e liberazione. Azioni queste, pianificate e condotte in modo tale che la responsabilità del governo americano non risulti evidente alle persone non autorizzate e che, se scoperte, il governo degli Stati Uniti possa respingere in modo convincente qualsiasi implicazione.
Uno degli aspetti importanti della guerra fredda fu quello culturale: gli oggetti culturali erano cioè intesi come strumento per

“guadagnare alla causa americana le classi colte e istruite che, alla lunga, diventano la leadership politica e morale della comunità”.

E se non ci credete questa non è la mia opinione, la frase appena riportata è stata rinvenuta in un documento ufficiale del governo Americano rimasto Top Secret per anni.
Un tale utilizzo pragmatico della cultura è da dare ormai per assodato e non deve perciò più sconvolgere. Per esempio:

“Noi gli Stati Uniti, siamo un crogiolo, e con questo abbiamo dimostrato che le persone possono convivere indipendentemente dalla loro razza, dal colore della loro pelle o dal credo. Prendendo come tema il termine “crogiolo di culture” (melting pot) o qualche altra espressione analoga potremo usare il Metropolitan come esempio del fatto che, negli Stati Uniti, gli europei riescano a convivere insieme, e che dunque una qualche forma federalismo europea è praticabile”.

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Frase pronunciata nel 1954 da Charles Douglas Jackson.

Il capitale della visibilità: in mostra a Milano

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Courtesy Fondazione Prada

Da allora il mondo culturale si è rivoluzionato e il modo d’agire della CIA è diventato la consuetudine. Intendo dire che il mondo cultuale è diventato un’Industria Culturale così come intesa dai filosofi Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, ovvero l’utilizzo acritico della cultura al fine di costruire consenso. Le mostre oggi non sono più da intendere come momenti di acculturazione personale, di ermeneusi o di incentivo allo sviluppo di un libero pensiero personale. Oggi le mostre sono momenti in cui puntare i riflettori mediatici su un determinato tema o artista al fine di creare capitale di visibilità. Cos’è il capitale di visibilità? Secondo la sociologa Nathalie Heinich, il capitale di visibilità è quella visibilità, quella reputazione che è in grado di trasformarsi in capitale.

In quest’ottica la mostra d’esordio della sede milanese di Fondazione Prada diviene un’elogio ed una legittimazione storica del design, e per estensione della moda.

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La mostra “Serial Classic”, co-curata da Salvatore Settis e Anna Anguissola, è dedicata alla scultura classica ed esplora il rapporto ambivalente tra originalità e imitazione nella cultura romana e il suo insistere sulla diffusione di multipli come omaggi all’arte greca.
All’idea di classico tendiamo ad associare quella di unicità, ma in nessun periodo dell’arte occidentale la creazione di copie da grandi capolavori del passato è stata importante quanto nella Roma della tarda Repubblica e dell’Impero.

L’Amore è un sentimento piccolo-borghese

Ed appunto, anche la mostra “Surrogati. Un amore ideale” diventa un’occasione per capire in che direzione la classe borghese apolide di super-ricchi che presiede l’industria culturale vuole indirizzare il discorso culturale, o meglio, alla luce di quanto detto, indirizzare l’abitudine delle masse a certi argomenti.

Surrogati. Un amore ideale | Fondazione Prada (21 febbraio-22 luglio)

Incominciamo col dire che già solo il titolo della mostra gioca sull’ambiguità della parola ideale. Essa può essere intesa sia come “che appartiene o è proprio dell’idea, intesa come entità essenzialmente mentale e spirituale contrapposta alla realtà esterna; quindi, in genere, che non ha esistenza se non nella mente, irreale, astratto“, sia come “che appartiene all’idea, come perfetto modello verso cui si tende nell’azione o nella conoscenza: i supremi valori i.; essere spinto da motivi i.; quindi, più genericam., che risponde all’idea che noi ci formiamo del perfetto: sognare la pace i., la donna ideale“.

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Pertanto si capisce che è in ballo lo stereotipo sessuale dei prossimi anni. Cybernetica e intelligenza artificiale stanno facendo passi avanti da giganti e già si sente parlare di bambole sessuali robotiche e super realistiche, le Realdoll, e di bordelli di bambole, il primo italiano a Torino. Quale sarà la prossima perversione, il prossimo feticismo? Uno scheletro robotico con dei circuiti, una scheda madre e tutto ricoperto da caldo silicone che si muove e obbedisce a ogni nostro ordine potrà esserlo?
La risposta implicita della mostra sembra essere affermativa, anzi, ci mette di fronte alla realtà che su oggetti simili persone come noi, come me e come te, hanno riversato emozioni che non si limitano all’eccitazione. A legarli ci sono dei veri e propri sentimenti! C’è l’amore!

I numeri dell’industria del porno, sia in termini di accessi su internet, sia di fatturato, sono enormi ed in costante crescita. C’è addirittura chi, come Paul B. Preciado, ritiene che il porno sia fra le componenti produttive che hanno sostituito il ruolo dominante della fabbrica nell’era post-industriale che viviamo. Se ciò fosse vero va da sé che definire i paradigmi sessuali della popolazione comporti un evidente ricaduta in termini economici. Eccoci tornati al punto iniziale, l’industria culturale come creatore di capitale di visibilità per fini economici.

La sottile linea rossa tra carne e silicone

Qui di seguito un breve estratto della descrizione della mostra, che trovate sul sito di Fondazione Prada.

Attraverso una selezione di 42 opere fotografiche di Jamie Diamond (Brooklyn, USA, 1983) ed Elena Dorfman (Boston, USA, 1965), il progetto esplora i concetti di amore familiare, romantico ed erotico. Entrambe le artiste scelgono un aspetto specifico e insolito di questo tema universale: il legame emozionale tra un uomo o una donna e una rappresentazione artificiale dell’essere umano. Come spiega Melissa Harris, “i lavori di Diamond e Dorfman documentano in modo vivido e senza pregiudizi le interazioni tra gli uomini e i loro compagni inanimati ma realistici”.
“Still Lovers” (2001-04) la serie di fotografie che ha dato visibilità internazionale a Elena Dorfman, è incentrata sulle persone che condividono la propria quotidianità domestica con realistiche bambole erotiche a grandezza naturale. Le sue fotografie si addentrano nei legami che si instaurano tra umani e donne sintetiche perfettamente riprodotte e obbligano l’osservatore a riconsiderare la propria visione di amore e riflettere sul valore di un oggetto in grado di sostituire un essere umano. L’intento dell’artista non è quello di enfatizzare la devianza rappresentata da questi surrogati sessuali, ma di svelarne il lato nascosto ritraendo l’intimità tra carne e silicone.
Diamond e Dorfman hanno ritratto i surrogati come creature desiderate e idealizzate, oggetti-feticcio dotati di una “vita propria” condivisa con madri o partner in carne e ossa, e a volte con i loro parenti più stretti. Come spiega Melissa Harris, “rappresentando scene convenzionali di vita domestica, amore e/o erotismo, le fotografie di Dorfman e Diamond trasmettono un pathos inatteso”.

In attesa di sapere cosa ne sarà della nostra specie su questo pianeta, cominciamo prendere in considerazione l’idea di dover copulare con un robot… e che (necessariamente) ci piacerà. Perché ce l’hanno detto loro.

 

FEDERICO POZZOLI

 

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