Luci spente a Milano. Il sindaco proclama una progressiva riduzione nell’impiego delle fonti di energia in città. Un processo che già sta avvenendo. Le insegne dei negozi danno sempre meno luce a una città che sembra spegnersi lentamente. Si tratta solo di un letargo o di un processo irreversibile?
Tornerà la LUCE a MILANO?
Non si riesce a supportare la crescita con le attuali fonti e non si può compensarla con altre fonti
Il problema più grosso che riguarda l’energia e, in generale, tutte le materie prime è che il mondo sta trovando sempre più difficoltà a produrre materie prime a basso costo che è stata la condizione strutturale per la crescita economica mondiale negli ultimi 70 anni, dal dopoguerra in poi.
Il punto è: che quantità di sviluppo è possibile su un pianeta finito? Abbiamo utilizzato a un ritmo impressionante materie prime che non sono rinnovabili. E questo non riguarda solo l’energia. Riguarda il ferro, il nichel, il cobalto. E riguarda soprattutto l’impossibilità di arrivare alla cosiddetta transizione green, perché in quel caso si propone un sostituto a bassissima intensità energetica che non sarà in grado di sostituire i combustibili fossili o, comunque, non sarà in grado di mantenere lo stesso sistema, la stessa crescita, lo stesso benessere economico che abbiamo vissuto negli ultimi 50/60 anni.
Il patto con il diavolo
Lo sviluppo che ha caratterizzato il nostro mondo dal Settecento si è basato sui combustibili fossili.
Abbiamo usato delle fonti di energia non rinnovabili che ci hanno portato a un picco dello sviluppo ma che ora stanno portando al collasso del sistema che hanno creato. È come un patto con il diavolo: utilizzi una fonte di energia che già sai che a un certo punto ti lascerà a piedi. Perché ti costerà sempre di più estrarla e quindi avrai sempre meno energia netta a parità di costo. Prima bastava una picconata per avere petrolio, ora bisogna trovarlo a profondità sempre maggiori. Significa sempre più costi per avere la stessa quantità di energia. Il contrario del principio delle economie di scala che è alla base dell’attuale modello di sviluppo economico della globalizzazione.
La politica propone come soluzione il passaggio alle fonti rinnovabili. Ma queste non hanno la densità energetica per sostituire i combustibili fossili. Se non sono state mai implementate è perché non riescono ad assolvere le funzioni per cui sarebbero necessarie.
Le più colpite saranno le grandi città
La globalizzazione si regge su fonti di energia a basso costo. Aumentando il loro prezzo, diventa sempre meno conveniente spostare le merci a livello globale. La progressiva carenza di risorse energetiche a basso prezzo può pertanto aprire a un processo di deglobalizzazione. Un processo che rischia di trasformare radicalmente soprattutto le grandi città.
Questo perché le grandi città, durante i periodi di sviluppo, forniscono le competenze e le classi dirigenti della globalizzazione. Le città non producono niente quindi, finché sono inserite in un contesto di crescita, sono gli snodi di una grande struttura che definiamo globalizzazione: in cambio della fornitura di management della globalizzazione, professioni, università, grandi aziende, in cambio di ciò che forniscono si prendono una parte della produzione energetica, di cibo, infrastrutture e così via.
Ma con la deglobalizzazione può capitare a Milano, come nelle altre grandi città contemporanee, quello che è accaduto in diversi contesti storici che hanno analogie con il momento che stiamo vivendo: da luoghi privilegiati rischiano di trasformarsi in luoghi che sono più in difficoltà rispetto, ad esempio, alle campagne che hanno una capacità di autonomia che una città di milioni di abitanti non ha, perché ha la necessità di essere rifornita di tutto. Nel momento in cui questa funzione viene messa in discussione gli abitanti delle città, come in tempo di guerra, si trovano molto più in difficoltà rispetto a chi vive in campagna.
# Come riaccendere la luce a Milano
In una situazione di luci spente, di carenza di materie prime a basso prezzo, di deglobalizzazione che colpirà soprattutto le grandi città, come si può affrontare questo periodo? Bisogna innanzitutto farci un quadro più chiaro possibile della situazione. Non è facile, perché l’informazione tende a rappresentare sempre un futuro più o meno roseo o, eventualmente a dare la colpa, come nel caso della guerra, a fattori contingenti invece che lasciare intravedere un fine civiltà. Quindi serve prendere coscienza della situazione in cui realmente ci si trova e quel punto la scelta è individuale.
In senso metaforico, ognuno deve cercare di fare luce, che significa stabilire nuove relazioni basate su criteri diversi da quelli che hanno caratterizzato un mondo che non tornerà più.
Quello che potrebbe essere al capolinea è un mondo di dipendenza. Da fonti esterne, dagli altri, dal sistema. Anche perché presto rischiamo di avere una crisi dei debiti sovrani, con l’impossibilità degli Stati di finanziare se stessi e chi vive di dipendenza dallo Stato. Come sta già succedendo, gli Stati stanno elargendo un’infinità di sussidi per compensare effetti che in realtà non sono compensabili. L’unica risposta efficace è di reagire a livello individuale, puntare al massimo sull’autonomia individuale, fisica e psicologica. Due cose che quasi sempre vanno assieme.
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LA FENICE
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