Fino al millesettecento inoltrato a Milano non esistevano le vie, almeno non come le intendiamo noi. Se qualcuno vi avesse chiesto una destinazione voi gli avreste risposto qualcosa tipo “la prima strada a dritta, dopo la chiesa X o la croce Y o la porta Z, l’ultima casa grande a sinistra” (cit. I Promessi Sposi). Milano era un po’ come la Tokyo di oggi, insomma. Invece di strade con il nome, c’erano punti di riferimento con cui orientarsi.
Via CUSANI, la prima via di Milano
# Il giudice delle strade battezza le vie di Milano
Facile immaginare che una situazione così approssimativa non doveva andare a genio agli austriaci che decisero di mettere ordine a questa confusione.
Nel 1786 il conte Wilzeck, ministro imperiale del governo della Lombardia, ordinò a un marchese milanese, che aveva la carica di “giudice delle strade”, di battezzarle ufficialmente.
# Il primo nome? Il suo
Il marchese iniziò la sua opera dalla Contrada dei Baggi che si snodava nei dintorni del Castello. Come primo nome da dare a una via scelse il suo: Ferdinando Cusani.
Procedette quindi battezzando tutte le contrade di Milano affiggendo sulle cantonate delle cartelle su cui fece dipingere in nero il loro nome. Cartelle che furono poi sostituite da targhe in marmo.
# Assegnò anche i primi numeri
Sempre Cusani attribuì anche i numeri civici alle case, ma utilizzò il sistema asburgico, che è ancora in vigore a Venezia. Partendo dal centro ordinò con numeri crescenti tutte le case procedendo in senso circolare antiorario. Il numero “uno” toccò al Palazzo Arciducale, il “due” all’Arcivescovado, il “tredici” al Palazzo di Giustizia e così via. L’ultima casa raggiunta con questa numerazione ebbe il 5314.
Solo con l’unità d’Italia si passò alla numerazione per vie e venne adottato il sistema di numerare con i dispari le case a sinistra e con i pari quelle di destra.
# La contrada di Milano
A Milano esiste ancora una cartella viaria dei tempi di Maria Teresa d’Austria: si trova in via san Maurilio al numero 18 e reca la scritta “CONTRADA DI SANT’AMBROGIO ALLA BALLA”. Le balle erano gli involucri caricati sulle spalle dai facchini che in questa zona si radunavano.
Fonte: A Milano c’è di Bruno Pellegrino – De Ferrari Editore
Continua la lettura con: Luogo nascosto di Milano #94 – Il LAZZARETTO DI MILANO: dai due Lazzaro alle patatine San Carlo
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