Wicky PRIYAN: “A Milano dico: è tempo di fare, ma c’è bisogno di più persone con grande cuore”

L’intervista del mese agli chef che hanno scelto Milano

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Wicky Priyan

Il cibo, un fattore che caratterizza al contempo la storia e la tradizione d’Italia, così come ogni città internazionale che si rispetti. Abbiamo deciso di pubblicare una serie di interviste a grandi chef che hanno scelto Milano e che ogni giorno contribuiscono a renderla grande.

WICKY PRIYAN, Sri Lanka

Ristorante: Wicky’s Wicuisine

Wicky PriyanQuando a tarda sera ha finito di servire i suoi clienti con “rispetto, disciplina e responsabilità” (concetti cardine, questi, che riprenderemo più avanti), una delle cose più belle per lo chef Wicky Priyan è quella di camminare per il centro di Milano, degustando un buon sigaro e osservando i tanti scorci silenziosi ma così straordinariamente espressivi di questa città. In piazza Duomo regna la pace, niente file né sotto la Madonnina né per Palazzo Reale: non ci sono più persino i piccioni. In Galleria anche il toro riposa finalmente dopo una giornata di gioie doloranti. La Scala ha chiuso i suoi portoni e se si è fortunati, chiudendo gli occhi, si riescono a percepire le vibrazioni di immortali melodie.

“Sono passati 12 anni da quando sono arrivato a Milano – sottolinea lo chef e titolare dell’omonimo ristorante di corso Italia, un vero tempio della cucina tradizionale giapponese che, con l’aggiunta di contaminazioni mediterranee e proprie novità, il suo fondatore definisce semplicemente ‘Wicuisine’ – al termine di un viaggio di 8 mesi in Italia. Mi sono innamorato sia della Sicilia che di Milano dove infine ho scelto di vivere. Per 5 anni ho lavorato come chef, poi ho voluto rischiare e ho aperto una mia attività, quando ancora non si parlava di Expo, prima vicino corso Genova e dal 2015 vicino al Duomo. Questa città per il momento ha saputo farmi rinunciare a grandi opportunità, da Tokyo a Londra fino a New York dove mi vorrebbero in tanti”.

 

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Burocrazia, aria inquinata, traffico e via dicendo: ma chi glielo fa fare di restare a Milano?

“Veramente scriva pure che in Italia e a Milano avete anche una mentalità e un cuore chiusi”.

 

Scritto. E…?

“Devo purtroppo dire che la cucina asiatica da voi non è considerata alla pari delle altre cucine. E io e tanti come me per quanto possano essere ottimi chef e bravi lavoratori in generale, sono considerati sempre prima di tutto stranieri. Ricordo anni fa quando andai a chiedere di entrare nella cucina di un locale milanese. Il proprietario mi disse che il mio lavoro al massimo era pulire per terra. Prima di andarmene, gli risposi che un giorno avrei fatto un ristorante di successo. Lui nel frattempo ha chiuso ed io sto continuando la mia strada”.

 

Wicky Priyan
Andrea Berton, Hiroshi Sakurai, Beppe Sala, Andrea Aprea e Wicky Priyan, all’evento sul sake Dassai

 

Qual è la sua strada?

“Il mio obiettivo è quello di creare una grande cucina internazionale, non solo la migliore di Milano o d’Europa: la ‘Wicuisine’. Sono nato nello Sri Lanka, la mia famiglia viveva in un villaggio ayurveda, sono cresciuto tra gli odori e i sapori di mia madre che cucinava per tutta la famiglia, ho studiato il giapponese, criminologia, le arti marziali e ho avuto la fortuna di imparare l’antica cucina giapponese – prima di tutte quella kyotese – da maestri di eccellenza”.

 

Wicky Priyan

Nella foto: il Sushi Kan, 8 pezzi di aburi nighiri. 1) Tonno con salsa speciale 2) Angus con lamelle di tartufo 3) Salmone, zenzero e menta 4) Gambero Siciliano e salsa di pomodoro 5) Cappesante, sale e yuzu 6) Ricciola 7) Baccalà pomodoro e bottarga 8) Mazzancolla pesto e capperi.

 

E se a questi ingredienti aggiungiamo un po’ di Italia…

“Se il mio cervello oggi ‘ragiona’ ancora per il 90% in giapponese e il 10% milanese, per le materie prime siamo al 90% di Italia e 10% di Giappone. Il pesce arriva rigorosamente fresco tutti i giorni e il menù è fatto in base solo al pescato quotidiano: siamo in contatto con vari pescherecci di Liguria, Sicilia e Sardegna. Il massimo della qualità prima di tutto. Il resto spetta a me: mio padre diceva che ‘Il cuoco è come un musicista: sono il talento e la sensibilità che hanno le nostre dita a fare la differenza’”.

 

Wicky Priyan

 

Dietro al bancone di Wicky’s ci sono due ideogrammi, quale significato hanno?

“Quello di cui parlavamo prima: uno è il rispetto, l’altro la disciplina. Che generano poi la responsabilità: verso se stessi, verso gli altri, verso la società. Questi tre elementi insieme formano quello che io definisco ‘cuore’”.

 

Quello che appunto non hanno i milanesi?

“Diciamo che quasi tutti i milanesi e gli italiani in generale dovrebbero andare almeno una volta in Giappone e approfondire – appunto – rispetto, disciplina, responsabilità. Con questo non che tutti i giapponesi siano perfetti: l’80% è abbastanza razzista, chiuso, ma l’altro 20% ha un cuore immenso e manda avanti quell’intero straordinario Paese”.

 

Ma allora se lei ha vissuto 30 anni in Giappone e da 12 è a Milano, un po’ di cuore c’è anche qui…

“Sì, devo dire che oltre a essere una città dove è possibile fare vero business, qui ho trovato tante persone che hanno creduto in me, hanno parlato bene di me, da clienti a fornitori a gente incontrata semplicemente per strada, in Galleria: a tutti loro sono molto riconoscente. Ma sono tutti donne e uomini che viaggiano, si mettono in discussione, si muovono. Sono loro stessi la dimostrazione che tutto è possibile, che questo mondo può essere cambiato, in meglio.

Io ho voluto creare Wicky’s per Milano. Ho ascoltato la mano, il cervello e il cuore… Mia mamma quando ero piccolo mi diceva di toccare la pentola perché il pasto veniva più buono: ci sono cose che non si possono spiegare, che sembrano irrazionali…

A Milano dico: è tempo di fare, ma c’è bisogno di più persone di grande cuore. Se osservate bene il lottatore di sumo che ha lottato e vinto la sua gara, prima di ricevere il tradizionale dono, muove velocemente la mano: in quel momento segna l’aria con il simbolo del cuore… Non solo parole, dunque, ma fatti a funzione dell’essere umano”.

 

IL PIATTO MILANESE: Maki òs büüs

Wicky Priyan

Nella foto: il Maki òs büüs, realizzato con una base di riso giallo allo zafferano. All’interno, polpa di granchio, tempura di verdure, olio di scampi fatto dallo chef. Sopra, ossobuco alla milanese, chips di Parmigiano Reggiano e patata viola.

E tra i fatti di Wicky Priyan c’è anche la rielaborazione di questo grande classico della tradizione milanese, ideato per il rispetto verso la città.

FLAVO INCARBONE

 

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Flavio Incarbone
Giornalisti si nasce o si diventa? Scrivo professionalmente da oltre 20 anni e la risposta mi interessa relativamente: l'importante è cercare di essere da stimolo in progress. Amo anche la psicologia, in particolare quella che è rimasta per millenni sotto le ali della grande filosofia, quella dell'inconscio freudiano e non ultimo del filone umanistico-esistenziale. Sono preoccupato da un'umanità che sembra essere al capolinea (e con essa la natura), ma sono felice perché i tempi sono obbligatoriamente maturi per riscoprirci davvero.