Perché c’è lo stato?
Gli stati si sono originati da possedimenti terrieri e la ragione principale che ha portato alla formazione di grandi stati unitari è stata la sicurezza: lo stato garantiva la difesa dai nemici esterni che mettevano a rischio i beni e la vita delle persone che abitavano un territorio.
Questa la ragion d’essere che ancor oggi spinge le persone a dare fiducia a uno stato. Eppure se si dà un’occhiata alla storia, è difficile affermare che l’attività prevalente degli stati sia stata quella di assicurare la sicurezza per i loro cittadini. Anzi. La storia degli stati è costellata da aggressioni per conquistare nuove terre o per estendere il proprio potere.
I governanti hanno sempre detto ai loro cittadini di volerli difendere, anche quando muovevano guerra a qualcuno, ma la ricerca di sicurezza non è sufficiente a spiegare cosa gli stati hanno fatto nel corso della loro storia e soprattutto come si sono organizzati al loro interno.
Se si considerano questi aspetti c’è un altro elemento che sembra assai più importante della sicurezza per giustificare la nascita e l’esistenza degli stati:il potere.
Lo stato è uno straordinario strumento di potere perché consente di concentrare in poche mani il potere che deriva da persone e beni presenti su un territorio.
Dal punto di vista filosofico lo stato moderno nasce come ente di cui il cittadino è strumento, non il contrario. Riprendendo la visione hegeliana, il singolo è strumento del popolo (Volk) e la forma spiritualmente più evoluta di popolo è lo stato. Il cittadino conta perché è parte di uno stato e in nome dello stato si può arrivare a sacrificare il singolo.
Questa visione è alla base di tutti i grandi stati nazionali contemporanei, specie di quelli europei. Ogni cittadino riduce la sua ricchezza, la sua libertà e i suoi poteri, in nome di un ente superiore: la patria, lo stato.
Questo primato dello stato sul cittadino ha giustificato la creazione di sistemi in cui il beneficiario dello stato non è il cittadino, né il popolo, ma chi riceve risorse e potere tolti ai cittadini. Questa impostazione ha generato degli stati in cui l’amministrazione è funzione di se stessa.
Per trovare dimostrazione di quanto detto, basta prendere il bilancio dello stato e osservare la composizione della spesa pubblica che mostra dove vanno a finire le risorse dei contribuenti. Quanto dello stato viene usato per investimenti in infrastrutture o per servizi ai cittadini e quanto invece viene impiegato per salari e stipendi?
Prendendo i dati della ragioneria di stato risulta che la spesa pubblica italiana assorbe più della metà della ricchezza prodotta nel paese ogni anno e le uscite correnti formano l’83% di tutto quello che viene speso dalla pubblica amministrazione.
Le spese correnti sono costituite sostanzialmente da stipendi, pensioni e interessi sul debito pubblico. A quanto invece ammontano gli investimenti pubblici? Sono meno del 3% della spesa pubblica complessiva: su 100 euro spese dallo stato meno di 3 vengono spesi per investimenti, ad esempio per infrastrutture, per stimolare l’economia o per alimentare il patrimonio pubblico.
Prendiamo uno dei settori in cui lo stato dovrebbe svolgere una funzione fondamentale: l’istruzione. I dati del Ministero dell’Istruzione mostrano la destinazione della spesa pubblica nella scuola: il 99,7% è destinato alle spese correnti, di cui circa il 91% è costituito da redditi da lavoro [1].
Il bilancio pubblico mostra che la priorità dello stato è pagare pensioni e stipendi ai funzionari pubblici.
Stipendi che, tra l’altro, sono accompagnati da una serie di garanzie supplementari rispetto a chi lavora nel settore privato.
Se si considerano poteri, responsabilità e risorse gestite, ogni sistema statale è costruito in funzione dell’amministratore, invece che del destinatario dei servizi.
È qualcosa che esiste da secoli e che se si guarda l’incremento nella spesa dei bilanci pubblici pare una tendenza inarrestabile. Forse è il momento di chiederci se la struttura degli stati nazionali sia la forma ottimale per il bene dei cittadini.
Forse ciò che va messa in discussione è proprio la ragione d’essere degli stati. Forse non è più la sicurezza la priorità che ricercano i cittadini, anche perché come si è visto nella storia, gli stati spesso non sono riusciti a salvaguardarla.
Invece della sicurezza ci deve essere altro su cui fondare l’amministrazione della cosa pubblica.
È da mettere al centro il cittadino, che non può più essere inteso come strumento di una burocrazia ma l’opposto: tutto lo stato dovrebbe essere riorientato sul cittadino, per lasciargli il massimo potere, la massima libertà e le massime risorse, nel rispetto delle esigenze del resto della comunità.
Occorre immaginare una nuova idea di stato che sostituisca l’amministrazione con il cittadino, come centro principale di interesse e di potere.
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[1] Dati tratti da: www.scenarieconomici.it