Intervista a Gothy Lopez, artista salvadodoreña di fama internazionale. Espone i suoi lavori in America Latina ed in Europa, ma per vivere ha scelto Milano.
In occasione di Open House, a cui partecipa già da tre anni, mostra al pubblico della chiesa di Santo Stefano la sua pala d’altare, “Il Fuoco della Carità” (2016), dedicata a Santa Maddalena di Canossa.
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E davanti al suo meraviglioso dipinto, abbiamo colto l’occasione per farle qualche domanda.
Perché trasferirsi in Italia e perché proprio a Milano?
Mi sono trasferita in Italia nel 2004 perché è la culla dell’arte, che è la mia passione e il mio mestiere. A Milano perché ci abitano i miei fratelli.
Cosa si aspettava di trovare qui a Milano e che cosa ha trovato?
Mi aspettavo di trovare l’arte, ma ho trovato molto di più. Ho scoperto tutto ciò che Milano ha da offrire e ne sono rimasta entusiasta. Cibo, moda, storia e cultura, ma soprattutto la multiculturalità che nel mio paese è difficile da trovare.
Quali sono le differenze con il suo stato e la sua città?
Io provengo da un paese molto piccolo. Tutto è ridotto rispetto all’Italia che ha città, come Milano, molto più grandi, cosmopolite e soprattutto con un’altra storia. Culturalmente sono molto ricche e la conservazione dei beni culturali, nonostante tutte le problematiche che ci sono, è considerata importante. Nel mio paese manca questa attenzione all’arte: pur avendo un patrimonio artistico molto ricco del periodo preispanico, non ci sono le risorse, e nemmeno l’interesse, per scoprirlo e valorizzarlo.
Ha incontrato problemi linguistici?
All’inizio ovviamente si. Sono venuta senza sapere una parola d’italiano e ci sono voluti sei mesi per impararlo abbastanza bene per comunicare. Ancora oggi rimane qualche problema di comprensione in alcune frasi, ma tutti noi, che parliamo lo spagnolo come lingua madre, siamo avvantaggiati.
Ha avuto problemi con la burocrazia?
Tantissimo. Ho scoperto che l’Italia è un paese estremamente burocratico, tutto è macchinoso e non si capisce cosa devi fare e da chi devi andare. Sicuramente ci sono tante cose in più che in altri paesi non ci sono, è una società molto organizzata e come tale richiede un’organizzazione particolare da parte di chi la vive. Nei Caraibi fai tutto liberamente e velocemente, ma non sei tutelato come qua.
Cosa le piace dell’Italia e di Milano?
Dell’Italia mi piace tantissimo l’arte, il patrimonio culturale artistico. Il cibo e la cucina sono fantastici. L’Italia ha tantissime cose che mi piacciono. Di Milano mi piace il fatto che, a differenza delle altre città italiane, è più viva e internazionale. Qui c’è coabitazione di persone di diverse parti del mondo a differenza di Firenze, per esempio, dove si va solo come turisti. Questa è una grandissima ricchezza per Milano e deve essere ben interpretata per diventare un valore aggiunto per la cittadinanza.
Cosa le piace degli italiani e dei Milanesi?
Beh i Milanesi si sono quasi estinti… (ride). In realtà lavorando anche nell’ambito educativo ho potuto conoscere anche qualche milanese. Sono persone di grande cultura, con tanto da raccontare, da dire e che all’improvviso si trovano in una realtà che cambia più velocemente di quanto immaginino e alcune volte fanno fatica a capire cosa sta succedendo. Però sono persone molto positive da questo punto di vista.
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Gli italiani in generale sono stati molto accoglienti. Io non ho mai avuto nessun problema. Non so se il motivo sia la mia professione, per cui l’artista viene visto con occhi diversi perché ha già un livello intellettuale e culturale diverso. Però a me è sembrato che comunque gli italiani abbiano molta apertura da questo punto di vista.
Ha intenzione di fermarsi a Milano ?
Per adesso sì. Anche perché qui mi sono sposata e ho un figlio piccolo, quindi bene o male ho tracciato qui il mio destino senza accorgermene. Nei prossimi anni penso proprio di rimanerci, ma tutto può accadere. Comunque si ha sempre nostalgia di tornare nel proprio paese, non sai come e quando, ma si ha questa idea, speranza , quasi come un sogno, difficile da spiegare.
Quali iniziative dovrebbe intraprendere il comune per la sua comunità? Vi sentite rappresentati dalle istituzioni?
La nostra comunità salvadoreña è molto piccola rispetto ad altre, ma perché già in partenza siamo un campioncino nel mondo, solo 5/6 milioni. Nonostante ciò abbiamo una forte idea di comunità e in questi ultimi anni soprattutto si sta facendo lo sforzo di avere una rappresentanza in Lombardia. Sarebbe la prima associazione legalmente riconosciuta. Già stiamo portando avanti contatti con il Comune di Milano nella richiesta di spazi in cui fare corsi di lingua, ecc.. Io penso che un bisogno molto grande sia uno spazio fisso e stabile in cui avere un centro culturale per insegnare, per esempio, anche lo spagnolo agli italiani. Sarebbe davvero un bello scambio di sapere e cultura. Abbiamo tanto da dire del nostro paese a livello linguistico, artigianale, gastronomico, …
Quali rapporti ha la vostra comunità con il consolato e l’ambasciata di riferimento?
Con il consolato abbiamo più rapporti burocratici. Ogni tanto si tenta di superare questa fase più formale, organizzando attività di coinvolgimento, ma manca il budget economico. Sarebbe bellissimo, per esempio, organizzare una mostra a Palazzo Reale sull’arte salvadoreña. Le idee ci sono, ma i fondi no. Per questo ci si limita a fare l’ordinario, purtroppo.
Cosa manca a Milano?
Milano ha tutto. Penso sia una delle città che ha più offerta in tanti ambiti a differenza di tanti altri posti d’Italia. Se proprio devo trovare qualcosa, penso manchino centri di aggregazione veri e propri, insomma qualcosa che valorizzi la realtà multiculturale per farla diventare un punto di forza.
Quali sono i posti di Milano preferiti da lei e i suoi concittadini?
Di solito ci riuniamo intorno a chiese e oratori. Il nostro è un paese molto religioso e con molte radici cristiane. Penso che questo sia un punto di aggancio con l’Italia: uno sfondo religioso in comune. Per esempio questa chiesa di Santo Stefano è uno dei miei posti preferiti.
La sua comunità ha rapporti con le altre comunità o ne sente l’esigenza?
Sicuramente abbiamo rapporti con le altre comunità che parlano la lingua spagnola. Ma non solo. Grazie ad alcuni centri di aggregazione, come la chiesa di Santo Stefano, entriamo in contatto con la comunità filippina e quella dello Sri Lanka. È molto importante che tra comunità straniere ci sia comunicazione.
Vi sentite milanesi?
Si tantissimo. È evidente soprattutto quando si torna nel paese di origine e ci si rende conto che i ritmi sono diversi. Il senso è di spaesamento. Ormai è dal 2004 che sono qui. Dopo un periodo così lungo è inevitabile diventare milanesi, si imparano e si assorbono tante cose, buone e cattive. In generale siamo diventati milanesi più di quanto ci sentiamo.
Pensa che un’iniziativa come Milano Città Stato sia presente anche nel suo paese?
No. Ma a differenza di Milano i nostri paesi sono molto meno interculturali e quindi è diverso il contesto in cui iniziative come queste potrebbero nascere.
Un piatto che la lega a Milano?
Senza dubbio il risotto alla Milanese.
LETIZIA DEHÒ
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