Intervista a Yessica Avelar, educatrice salvadoreña in Italia da 20 anni e profondamente segnata dalla città di Milano.
Nel lavoro che ha portato avanti negli ultimi anni è stata riconosciuta come Ambasciatrice dei Diritti Umani da parte di Associazione per i Diritti Umani e la Tolleranza ONLUS, venendo premiata al Pirellone dove tra gli altri ha incontrato la sua amica Gothy Lopez.
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Attiva da anni nella vita della comunità di El Salvador a Milano, Yessica non poteva proprio mancare nel novero delle Interviste Mondiali di Milano Città Stato.
First Things First, nome ed età?
Sono Yessica Zuleima Avelar Aviles e ho 31 anni. Porto due nomi e due cognomi com’è tipico di El Salvador, dove le persone mantengono il cognome materno e quello paterno. In realtà il rispettare questa tradizione oggi è considerato opzionale: prima quasi tutte le famiglie la seguivano, ora la scelta è libera.
Qual è la tua città natale?
Sono nata a San Marcos, un sobborgo della capitale San Salvador.
Il tuo lavoro?
Ora sono operatrice sindacale per il SICET, mi occupo di tutelare l’edilizia pubblica e privata occupandosi di emergenze abitative, cercando di tutelare gli inquilini prima di tutto. Io nasco come educatrice, avendo studiato Scienze dell’Educazione alla Cattolica. Il mio lavoro mi porta a interagire con gente di varie culture, soprattutto arabi e singalesi, e riesco a fare tesoro della mia istruzione. Dietro le richieste di case popolari c’è sempre una forte problematica sociale, chi è operatore deve saper tutelare e trattare l’aspetto umano.
Inoltre, collaboro con associazioni attive nella formazione e ho da poco partecipato a un progetto portando nelle scuole medie e superiori la tematica dell’immigrazione, dopo un’esperienza nelle comunità religiose latinoamericane, concentrandomi molto su quella salvadoreña.
Come mai hai scelto l’Italia e in particolar modo Milano?
Sono in Italia perché avevo già qui nonna e zia – l’immigrazione salvadoreña è tipicamente femminile. Immigrare negli Stati Uniti era praticamente impossibile, mentre per l’Europa c’erano vie legali, anche grazie alla rete familiare. Sono arrivata qui nell’agosto del 1999, con mamma e papà, e abbiamo scelto Milano perché era, e credo sia ancora, la città che accoglieva meglio e che dava più opportunità, sia in generale sia nel particolare del tipo di lavoro che scelgono le famiglie salvadoreñe.
Quali sono le differenze con El Salvador, e tra Milano e San Salvador?
La mia famiglia è emigrata giusto in tempo, ormai El Salvador è in una forte crisi economica e sociale: ce ne siamo andati prima del tracollo. Sono tornata lì due volte, a 14 anni e l’anno scorso. Percepivo già un distacco la prima volta tra me e i miei coetanei rimasti in El Salvador, mi mancava Milano che ormai era parte di me. L’ultima volta lì non potevo neanche andare in giro da sola, ed era scioccante.
Hai avuto problemi linguistici?
Mi piace dire di parlare itagnolo. Non è così semplice in realtà per uno spagnolo imparare l’italiano, ed è davvero difficile disimparare la grammatica spagnola. Io stessa penso ancora in spagnolo pur sapendo più vocaboli in italiano, la struttura grammaticale che ho in testa è quella spagnola. E i falsi amici me li trascino ancora dietro. Facevo parte della prima generazione di bambini immigrati, le scuole quindi non erano pronte, a differenza di oggi. La mia preparazione grammaticale non è stata ottima, me la sono dovuta cavare da sola, pur andando al classico. È stata una scelta rischiosa: proprio come piace a me.
Hai avuto problemi con la burocrazia?
Mio padre è arrivato col visto lavorativo, inoltre quando siamo giunti in Italia avevamo già una casa e i nostri documenti sono stati regolarizzati nel giro di un anno, i tempi tecnici. Quindi direi di no.
Cosa ti piace di Milano e dell’Italia? Cosa non ti piace? Cosa pensi dei milanesi e degli italiani?
Difficile dirlo, i miei primi 10 anni qui in Italia li ho vissuti solo a Milano. Non mi piace la Milano turistica, è una città che ho esplorato a fondo e adoro le vie più tipiche, le particolarità e le differenze che ancora si vedono tra quartiere a quartiere. Mi piace, alla sera dopo il cinema, immergermi nella Milano notturna e silenziosa, che mi dà uno sguardo più completo e tranquillo su tutto quanto. Oggi Milano rischia di perdere questa sua anima, inoltre non mi piace questo andazzo che mi pare stia ghettizzando certi quartieri a vantaggio di altri. Milano è bella tanto in centro quanto in via Padova, al Gallaretese o a Quarto Oggiaro, e i problemi vanno affrontati senza voltarsi dall’altra parte. Oggi la globalizzazione ci sta portando ad annullare le particolarità, mantenerle sarà una grande sfida. Lo stato del dialetto milanese è un buon termometro per valutare a che punto siamo. Devo dire che ora che vivo a Caronno Pertusella (in provincia di Varese, ndr), guardando Milano da fuori mi rendo conto ancora meglio di questi processi. Anche se poi sono qui per lavoro tutti i giorni.
Hai intenzione di fermarti a Milano?
Non so se ho intenzione di fermarmi, essendo già stata migrante sarei pronta ad adattarmi ad altri contesti culturali. Mi sento una cittadina del mondo e non mi spaventa pensare di andarmene da qui o addirittura di tornare in El Salvador, se mi facesse sentire più tutelata.
Quali iniziative dovrebbe intraprendere il Comune per la tua comunità? Vi sentite rappresentati?
Il Comune ha tantissimi progetti per le comunità in generale, non si può dire che non sia attento a queste dinamiche e che chiuda le porte: è che molte iniziative non vengono concretizzate. Noi salvadoreñi non siamo rappresentati politicamente né a Milano né tantomeno in Italia. Milano dovrebbe dialogare molto di più con le seconde generazioni, i bambini si sentono pienamente italiani, ma hanno una ricchezza in più derivata dal loro essere in dialogo con un’altra cultura. Io stessa infatti mi sento sia salvadoreña sia italiana.
Cosa manca a Milano?
Appunto il salto quantico del coinvolgere le seconde generazioni. Capendo che ognuna di loro ha una sua particolarità, persino quelle che vengono definite culture latinoamericane hanno sì un terreno comune, ma sono in fondo mondi opposti, diversissimi tra loro. Posso fare un esempio: i pochi imprenditori latinoamericani attivi a Milano tendenzialmente sono peruviani, un atteggiamento derivato dalla loro cultura, i salvadoreñi sono molto più timorosi. Questa cosa in noi permane, ci manca il coraggio imprenditoriale, e i pochi tentativi che ci sono stati in tal senso sono andati male. I peruviani hanno aperto molti ristoranti dedicati alla loro cucina, un ottimo magnete per aprire le porte a tutti i milanesi, un qualcosa che dovremmo fare anche noi. In più, le varie comunità tendono ad avere rapporti solo al loro interno, servirebbero progetti aggregativi. I ragazzi che hanno studiato qui sognano il loro futuro in Italia. Milano ha bisogno di crescere nel suo rapportarsi, non più in maniera assistenziale, ma coinvolgendoli attivamente: chi è qui da 20 o 30 anni ha ovviamente una consapevolezza diversa rispetto a chi è appena arrivato.
Quali sono i tuoi luoghi preferiti e quelli dei tuoi concittadini? Ne avete di caratteristici della vostra cultura? Ne vorreste altri?
La comunità salvadoreña è a maggioranza cattolica, quindi i luoghi di incontro e di aggregazione sono le chiese, o il Parco Lambro e il Forlanini che dopo la messa sono diventati il luogo di ritrovo, per mangiare insieme e apprezzare lo stare all’aperto, cosa alla quale noi sudamericani siamo molto legati. Per chi non è religioso i gruppi di aggregazione sono quelli che si occupano di danza o di sport, soprattutto calcio, occasioni di riscatto nonché di fuga dal mondo delle gang. Il nostro Consolato purtroppo non è un punto di incontro, a differenza, per esempio, di quello dell’Ecuador per gli ecuadoriani, che ha un sacco di progetti. La comunità salvadoreña fuori Milano, invece, a Como o a Varese per esempio, sono più piccole e interagiscono di più con la cittadinanza, partecipando anche alle feste di paese. Un piccolo aneddoto a conclusione: una volta un’anziana signora che conobbi a Linate mi disse “se non ci vediamo, ci vediamo a Palestro”, che in effetti in passato era per noi un punto di riferimento.
Conosci l’iniziativa di Milano Città Stato? Pensi possa migliorare la vita della tua comunità?
Conoscevo l’iniziativa di Milano Città Stato, mi ha incuriosito e ogni tanto leggo qualche articolo, perché non si parla solo di politica ma un po’ di tutto e in maniera completa. Penso possa essere un bene se Milano gestisse in autonomia le sue risorse, ma molto dipende dal tipo di libertà a cui ambisce e da chi governerà la città perché a quel punto poteri e responsabilità diventeranno maggiori. Pensando alla mia comunità, mi vengono in mente le Città Santuario negli Stati Uniti, che hanno poteri diversi rispetto allo Stato, è un aspetto interessante il capire come e quando le città si differenziano. In una Milano autonoma, un migrante potrebbe lavorare meglio e avere più risorse, dato che già ora i servizi per gli immigrati si trovano tendenzialmente in città. Questo Milano già lo fa, fuori città è tutto diverso e cambia l’atteggiamento col migrante.
Esiste o conosci o vorresti un’iniziativa del genere in El Salvador?
Nell’ultimo periodo sto avendo un graduale ritorno alle radici, mi sto per la prima volta interessando alla politica salvadoreña e ho letto di proposte di autonomia per la capitale San Salvador. In alcune città ci sono progetti sanitari ed educativi ad hoc. Da noi però implementare qualcosa del genere sarebbe pericoloso, rischierebbe di creare città di Serie A e di Serie B, e in El Salvador i tempi non sono maturi. Per altri Paesi sarebbe certamente una cosa positiva.
Un’opera che legheresti a Milano?
Il Quarto Stato. Sono rimasta colpita la prima volta che l’ho visto, l’ho trovato imponente e a mio parere rappresenta le lotte personali che Milano porta avanti rispetto all’Italia: una città non immune da razzismo, ma piena di visionari.
HARI DE MIRANDA
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