Anche se da molti viene considerata una città stato, è difficile considerarla tale.
Questo soprattutto perché nel Regno Unito permane un grande controllo dell’amministrazione centrale sugli enti pubblici, specie in termini di finanze e di poteri legislativi. In più la storia di Londra è sui generis ed è difficile accostarla a un modello generale.
Più forte della dialettica tra stato centrale e comunità locale, è stata quella tra accentramento o coordinamento tra i diversi distretti dell’area cittadina. Questa dialettica ha portato per lungo tempo ad avere un sistema di governo a due livelli. Al primo c’era il governo dei distretti e della city (il centro), al secondo il London County Council che presiedeva il resto dell’area metropolitana.
Negli anni ottanta del secolo scorso il governo britannico ha ridimensionato l’autonomia della regione londinese, assumendo di fatto il controllo sulla città. Questa impostazione centralista è risultata sconfitta da un referendum del 1998, in cui oltre il 70% dei londinesi si è espresso a favore di una maggiore autonomia della città.
Al referendum è seguito il Greater London Authority Act che nel 1999 ha istituito la Greater London Authority (GLA) con competenze autonome rispetto al governo nazionale.
Il GLA è un’autorità simile a quelle attive nelle 8 regioni del paese che hanno un ordinamento specifico. Inoltre sono stati assegnati poteri al sindaco (Mayor) per essere di impulso alla città, individuando quattro aree prioritarie nella sua azione: trasporti, pianificazione del territorio, ambiente-qualità dell’aria e sviluppo economico.
Alle singole municipalità (Boroughs) è stata lasciata un’autonomia decisionale nell’edilizia.
Le aree assegnate al GLA riguardano essenzialmente i trasporti, lo sviluppo economico e l’ordine pubblico. Come competenze distintive il GLA ha la possibilità di scegliere se adottare o no alcuni tipi di leggi (le cosiddette Byelaws) e di presentare proposte di legge per la tutela degli interessi della comunità (Local e private bills).
Per quanto riguarda lo sviluppo economico in realtà appare poco più che un’attività di indirizzo visto che i fondi arrivano con trasferimenti statali.
Come nel caso di Parigi è difficile considerare Londra una città stato nel senso letterale del termine, ma è da sottolineare anche in questo caso la tendenze dei governanti a concedere forme di autonomia crescente a una loro città di punta, anche sulla scia della volontà espressa dai cittadini.
È forse proprio questa, la mobilitazione del popolo londinese, il migliore stimolo per l’azione di Milano: non si può sempre attendere che la soluzione arrivi dai politici, esistono dei momenti in cui sono i cittadini che devono prendere in mano il destino della loro comunità.
Se si può individuare, poi, un altro elemento interessante di Londra per la riforma da attuare a Milano, c’è anche l’indicazione esplicita sui fini e le direttrici di azione che deve seguire il sindaco, che è strumento del bene collettivo e non, come da noi, primo cittadino dell’amministrazione comunale, libero di perseguire qualunque interesse.
Intendere l’amministratore cittadino come civil servant di cui viene definito a priori ruolo e priorità è dunque un fattore da considerare nel futuro assetto di Milano.
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