17 febbraio 1992. Un evento apparentemente insignificante ha dato origine a una rivoluzione senza precedenti in Italia dal Dopoguerra in poi.
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17 febbraio 1992. Viene arrestato Mario Chiesa: Milano diventa «Tangentopoli»
# 17 febbraio: la tangente nel «cesso»
La politica italiana era come cristallizzata da mezzo secolo. Lo stesso partito sempre al governo, l’unica certezza che c’era in Italia era che saremmo morti tutti democristiani. Sopra tutto regnava un sistema di malaffare che sembrava l’essenza stessa della politica italiana. Qualcosa che si accettava con una scrollata di spalle, sembrava incrollabile come il muro di Berlino.
Invece il muro è crollato. E a Milano un politico di secondo piano è stato beccato che cercava di buttare nel cesso (letteralmente) dei soldi intascati in una tangente. Era il 17 febbraio 1992.
E’ stato come se avesse buttato nel cesso insieme ai soldi anche partiti, politici, imprenditori di primo piano dell’Italia di allora.
Si trattava di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, membro di del PSI milanese. «E’ solo un mariuolo isolato», un compagno che sbaglia, fu la dichiarazione sprezzante del suo boss, Bettino Craxi, che ancora non poteva immaginare che quel caso isolato sarebbe stato per lui la falce della morte.
# Il mariuolo vuota il sacco: i giudici diventano delle rockstar
Già, forse perché risentito o perché ormai si era arrivati al capolinea di un sistema insostenibile, una volta finito in gattabuia il mariuolo disse ai giudici che altro che isolato!, aveva tutto un mondo intorno che viveva di tangenti. Le rivelazioni di Chiesa scatenarono un effetto domino che travolse tutti i principali protagonisti della politica e dell’imprenditoria di quegli anni. Ogni mattina si attendeva dai giornali o dalla tv la superstar del giorno raggiunta dall’avviso di garanzia.
Il nome in codice dell’inchiesta era “Mani Pulite” e il pool di giudici capitanati da Di Pietro divennero delle vere e proprie rockstar, sembravano un gruppo di cavalieri senza macchia che provavano a riportare pulizia in un mondo, quello della politica, ridotto a sterco per il livello di corruzione dilagante.
Personaggi che facevano paura si trasformarono in pulcini, ritratti perfino in manette con i rivoli di saliva che strisciavano dalla bocca.
Milano è stata la grande protagonista di quella stagione: Milano era Tangentopoli, certo, dove si era concentrato il malaffare, ma era anche il pool di giudici supportati quei mesi dalla comunità dei cittadini. Ci si sentiva tutti parte di una rivoluzione del bene contro il male e quando il Parlamento provò a mettere il bavaglio all’azione dei giudici con un colpo di spugna, tutta Milano guidò la resistenza della nazione, accerchiando il tribunale a difesa dei giudici e delle inchieste.
Come spesso accade alle rivoluzioni, ci furono anche delle degenerazioni. Ci furono dei suicidi in carcere o prima di essere arrestati, come Raul Gardini, altri videro incenerita la loro carriera. Dalle fiaccolate ordinate di Milano si passò a scene più sguaiate, come l’assalto all’hotel Raphael di Roma con il lancio delle monetine contro Craxi, “prendi anche queste, Bettino, prendi anche queste”. Il leader socialista diventò la vittima sacrificale e dovette andare a morire in Marocco per sottrarsi alla galera.
# Che cosa resterà di Mani Pulite?
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Tangentopoli
Quali furono le conseguenze politiche della rivoluzione dei giudici?
Venne modificato il sistema elettorale, passando dal proporzionale all’uninominale secco che sembrava più trasparente nel garantire la separazione tra chi governa e chi sta all’opposizione. Una nuova forza, creata da Silvio Berlusconi, entrò di slancio sulla scena conquistando il governo della nazione, malgrado lui fosse stato grande amico nonché il braccio imprenditoriale proprio di Bettino Craxi.
A distanza di oltre trent’anni si può dire che il muro di Berlino è crollato, ma quello della partitocrazia italiana si è ricompattato. Sulla sua superficie invece dei murales rievocativi di quegli anni è rimasta una cicatrice e una scritta: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
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ANDREA ZOPPOLATO
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