Noi milanesi amiamo dividerci. Milan e Inter, destra e sinistra, ciclabili o monopattini. Su ogni questione ci si pone da una parte o dall’altra, Milano è l’arena di un derby quotidiano. Ma il derby a Milano è meno sanguigno di quello di altre città come Roma o Genova, più che uno scontro tra nemici da combattere è una sfida da cortile tra cugini che sotto sotto si stimano, si piacciono, possono litigare ferocemente ma subito dopo vanno a prendere un aperitivo assieme. La divisione di Milano è un gioco delle parti, anche perché quando le cose si fanno importanti i milanesi tornano uniti e si mostrano per quello che forse manca al resto d’Italia: una comunità. Questo lo si è capito con Expo. Il giorno dopo l’inaugurazione.
Già, perché il derby di Expo è durato anni ed è arrivato all’apice proprio il giorno dell’inaugurazione: il primo maggio del 2015. Questo il giorno in cui si apre la grande esposizione internazionale sul sito ai confini di Milano, il giorno in cui la frattura tra fans e nemici della manifestazione prende le sembianze di una guerra civile. Il primo maggio 2015 è come se a Milano fosse esplosa una bomba atomica. Ma prima di rivivere quel giorno, facciamo qualche passo indietro.
Il derby di Expo è durato anni, fin dalla sua assegnazione. Appena stabilito che sarebbe stata Milano a ospitare la grande manifestazione internazionale, i milanesi hanno fatto quello che fanno sempre: si sono divisi. Tra chi ha accolto la manifestazione in modo entusiastico e chi, invece, si è posto contro, a muso duro. Così Milano è diventata il teatro del derby tra pro Expo, o Expottimisti, e No Expo.
Perché no Expo? Per i possibili sprechi, per la cementificazione, per gli intrallazzi, per il piacere di essere contro, perché i milanesi sono così, amano i derby. Per anni la sfida è rimasta a livello di bar, di giornali, debordando solo nelle scritte sui muri o in isolati episodi vandalici. Ma tutto è rimasto comunque nella consuetudine di un derby, con discussioni, litigate che si concludono con un brindisi fuori da un locale. Così è andato avanti nei mesi, per anni, fino al primo maggio del 2015. Perché quel giorno si è passato il limite dei derby milanesi.
Una bomba atomica. Questa volta non c’entrano i russi e gli americani, sono stati i milanesi a fare tutto da soli. O quasi. Quasi perché non erano solo loro.
Il primo maggio 2015 è il giorno dell’inaugurazione di Expo. L’èlite, la classe dirigente, quella che viene definita “la Milano della prima della Scala” inaugura ai confini di Milano la grande esposizione, in modo un po’ ipocrita e bauscia, con la fanfare, facendo finta che tutto vada bene, coprendo con installazioni mimetiche i numerosi padiglioni ancora da completare e, soprattutto, fingendo di non vedere quello che sta succedendo in città. A guardarla dall’inaugurazione di Rho sembra che Milano sia compatta e felice per la grande esposizione. Ma non è così. Il primo maggio è il giorno in cui il derby da sottotraccia è entrato sul campo. Il campo non è San Siro, ma il centro di Milano. E invece che con un pallone si gioca con il fuoco.
Il fischio d’inizio è alla Darsena. In contemporanea con l’inaugurazione dell’esposizione scende in campo l’altra squadra di Milano: i no Expo. Non solo milanesi, molti giocatori arrivano da fuori, molti sono stranieri come si usa anche nel calcio. Pochi metri percorsi e si capisce subito che questa non sarà un derby come un altro. Basta vedere chi partecipa, una squadra in divisa nera con i volti coperti e tra le mani qualcosa che mette i brividi. Pietre, bastoni, bottigliette con liquido incendiario.
Pochi minuti e si scatena una violenza senza precedenti. Nella squadra in campo i fuoriclasse non sono Icardi o Ibra, sono i black block, i guerriglieri anarchici che in quegli anni mettono a fuoco ogni città in cui sia di scena un evento di taglio politico. La loro lotta è contro multinazionali, globalisti, sistema e chi più ne ha più ne metta. Pochi minuti e Milano diventa palcoscenico dello stesso teatro di Genova 2001, quello del G7, degli assalti delle zone rosse, del ragazzo rimasto ucciso negli scontri con la polizia.
I guerriglieri percorrono via De Amicis, poi via Carducci, strade segnate dagli scontri degli anni di piombo, e distruggono tutto quello che incontrano e che simboleggiano ciò che sta dietro Expo: banche, negozi di multinazionali, imbrattano i muri e le vetrine, fanno esplodere bombe carta, qualche molotov, rovesciano le auto che vengono incendiate. Sembra l’apocalisse, lontani anni luce dalla fanfare del sito Expo.
La situazione degenera in via Vincenzo Monti dove i guerriglieri formano delle barricate per separarsi dalle forze di polizie con cui inizia un conflitto che dura ore. I milanesi seguono con il cuore in gola. Dalle finestre ma soprattutto da internet dove possono vivere in streaming quello scempio, con immagini che sembrano da fine del mondo. O, almeno, di una città.
Ma i guerriglieri non sanno che i derby di Milano devono rispettare alcune regole inderogabili: devono avere stile, devono essere sobri, misurati, se oltrepassano il limite il gioco finisce e i milanesi si ricompattano. Così è accaduto il giorno dopo l’inaugurazione di Expo. Mesi, anni di divisione vengono seppelliti sotto le rovine dei disordini del giorno prima.
I milanesi che percorrono le strade del centro non credono ai loro occhi. Vedere la città sfigurata è troppo forte per qualunque divisione.
E’ in quel momento che milanisti e interisti, destra e sinistra, Sì Expo e No Expo si svestono dei loro colori per indossare tutti assieme la maglia di Milano.
Fin dalle prime ore della mattina successiva da Piazza Cadorna si aggrega una marea umana, tutta Milano accorre in modo spontaneo. Ma la caratteristica del milanese non è solo di arrivare per dare il suo sostegno, per fischiare o battere le mani. Il milanese se c’è da fare, si rimbocca le maniche, si arma di secchio e pennello e si mette all’opera per ridare alla sua città la bellezza tradita.
The day after Expo a Milano è questa immagine: milanesi di ogni età che davanti a ogni muro, a ogni parete, in ogni angolo di marciapiede si danno da fare per cancellare le scritte, riparare i vetri rotti, ripulire le strade. Decine di migliaia di persone che, senza aspettare direttive superiori, cercano di dare una mano dimostrando a chi non lo sa che ogni derby ha un fischio di inizio ma anche un fischio finale. E che dopo la partita ci si ritrova tutti insieme a bere un aperitivo o a ripulire una strada devastata da chi non ha capito che i milanesi possono dividersi su tutto ma su Milano non si sgarra: la amiamo tutti e non permettiamo a nessuno di rovinarla.
#milanograffiti
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ANDREA ZOPPOLATO
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