Luigi Borré. Presidente del CdA di EuroMilano dal luglio 2014, professore di economia aziendale presso l’Università Bocconi e l’Università del Piemonte orientale. Ora impegnato nella realizzazione del progetto dello smart district UpTown all’interno del nuovo quartiere Cascina Merlata.
Luigi BORRÉ: “la mia Milano sarà totalmente vivibile a PIEDI”
La cosa che ami di più di Milano?
La sensazione di vivere nella città più dinamica d’Italia, in cui è possibile cogliere tutte le opportunità della contemporaneità. Al tempo stesso, la sensazione di respirare l’aria della storia italiana.
Quella che invece ti piace di meno?
Gli atteggiamenti snob e quelli da “milanese imbruttito” che non sono solo nelle parodie di Germano Lanzoni.
Il tuo locale preferito?
La pasticceria Marchesi, che per me è sinonimo di panettone: nel periodo natalizio è un’attrazione irresistibile. Ma anche durante l’anno la sua atmosfera ottocentesca, raffinata e immutabile, conferisce un gusto del tutto particolare al caffè con brioche al banco.
Il tuo passatempo preferito a Milano?
Più d’uno…Ne cito tre:
1. Assistere dal vivo a uno dei tanti eventi e spettacoli che sono garanzia di unicità assoluta: da un concerto sinfonico alla Scala di Milano a una partita serale a San Siro, alle tante mostre e manifestazioni.
2. Osservare i giardini nascosti, che nessuno si immagina, posti in cima ai terrazzi o all’interno di cortili di palazzi storici. A dispetto delle polemiche sorte all’epoca dell’ultima risistemazione di piazza del Duomo, amo le palme e i banani che punteggiano i tetti di Milano.
3. Partire dalla Darsena e percorrere con la bici da corsa la pista lungo il Naviglio Grande. Meglio se fatto all’alba o al tramonto in una giornata di tarda primavera o di inizio autunno.
La canzone su Milano a cui sei più legato/a?
Più che a una canzone sono legato alle sonorità delle canzoni di Jannacci e di Cochi e Renato.
Il luogo dei dintorni di Milano che ami di più?
Un’escursione sul lago d’Orta o sulla sponda piemontese del lago Maggiore sono per me un ristoro dell’anima. E poi non posso dimenticare Novara, la mia città, con la sua Cupola: avvistarla da lontano per me vuol dire, ogni volta, ritornare un po’ ragazzo!
La cosa più bella che ti è capitata a Milano?
Aspettare sotto il portico della Scala una ragazza che tardava ad arrivare, diviso tra l’impulso di entrare (perché il prologo de “La Forza del Destino” di Verdi stava ormai iniziando) e l’impegno ad attendere. Per la verità, allora ero piuttosto arrabbiato… Oggi però quella ragazza è diventata mia moglie.
La fermata della metro a cui sei più affezionato (e perché)?
La prossima che verrà aperta, perché penso che la città debba fare ogni sforzo per ampliare la propria rete metropolitana, così che questa consenta di raggiungere ogni punto della città.
La cosa più curiosa che hai visto a Milano?
I tetti di Milano alla mezzanotte di capodanno: pensavo che un simile spettacolo pirotecnico non fosse possibile in una città per il resto così “sobria”.
Il quartiere che ami di più?
Sono anzitutto legato a una via di Milano, molto speciale, che è Foro Buonaparte. Qui, nel 1988, la città mi ha accolto per la mia prima esperienza lavorativa. Ricordo il mio disorientamento a causa della particolare disposizione dei numeri pari e dei numeri dispari! Ho rischiato di arrivare in ritardo al primo appuntamento di lavoro… Per una serie di casi della vita, sono rimasto in Foro Buonaparte sino a oggi, sia pure nell’evoluzione e nel succedersi delle esperienze professionali.
Il quartiere che amo maggiormente è però Cascina Merlata-UpTown, perché è quello alla cui progettazione e realizzazione ho attivamente partecipato. Disegnare e realizzare brani di città è un’enorme responsabilità, che produce effetti su molte generazioni future. Al tempo stesso è un’esperienza entusiasmante. Vedo crescere di giorno in giorno il quartiere – il primo smart district italiano – e mi sembra sempre più bello e innovativo. Quando anche l’attigua area MIND sarà a regime, con l’Università Statale, lo Human Technopole, l’Ospedale Galeazzi e le multinazionali e le startup della ricerca e dell’innovazione, sarà uno dei luoghi più interessanti e stimolanti in cui vivere, non solo in una prospettiva milanese o nazionale. Credo al punto in questo quartiere che mi ci sono trasferito con la mia famiglia.
Caro Sala ti scrivo… (cosa chiederesti al sindaco per rendere Milano ancora migliore)?
Gli chiederei di eliminare dal suo vocabolario il sostantivo periferia, considerando tutto il territorio sotto la propria amministrazione come il grande centro dell’area che, semplificando, viene generalmente individuata con il termine “Grande Milano”. Credo che una simile visione porti a guardare anche ad alcuni luoghi del disagio e del degrado non tanto come a territori da presidiare – mantenendoli comunque quasi segregati – ma come aree da riconquistare alla città. Per fare questo, penso che si debba distribuire e disseminare nella città iniziative e luoghi che sappiano attrarre tutta la cittadinanza. Questo stimola l’integrazione e il senso di appartenenza di chi abita le diverse aree cittadine e che, in alcuni casi, si è sentito ai margini di Milano.
Ci sono già esempi positivi in questo senso: penso al ruolo svolto da Fondazione Prada, nel quartiere Ripamonti e, su scala più ampia, a MIND per il quartiere Gallaratese o, in prospettiva, al recupero del Vecchio Macello. A parte i grandi progetti, senz’altro fondamentali, ma di maggiore complessità, credo che ci si debba impegnare in modo più sistematico su progetti in scala minore, ma in grado favorire processi di rigenerazione sociale e urbana.
Milano città stato: sei a favore oppure no che Milano abbia un’autonomia simile a una regione o a una provincia autonoma, come l’hanno le principali città d’Europa?
Sono favorevole, in quanto credo che l’autonomia libererebbe la città da un insieme di vincoli che oggi frenano il potenziale della sua corsa. Al tempo stesso però una simile prerogativa dovrebbe essere esercitata dalla città con meccanismi che garantiscano la trasmissione del suo dinamismo ai territori limitrofi e all’intero Paese. Il rischio che va scongiurato è che, all’opposto, l’autonomia sia intesa come opportunità di segregazione autarchica, per godere di condizioni di privilegio.
Se dovessi lasciare Milano in quale città ti piacerebbe vivere?
Una città che mi ha sempre affascinato è Parigi, ma sono anche molto attratto da Monaco di Baviera e Berlino. Fino alla Brexit, avrei incluso Londra nelle mie opzioni, ma la scelta separatista esprime una visione opposta a ciò in cui credo. In una fase più avanzata della mia vita non escludo però di poter desiderare qualcosa di meno urbano…
Se avessi due miliardi di euro per Milano che cosa faresti?
Il mio sogno è di trasformare Milano in una città totalmente vivibile a piedi, con mezzi pubblici e viabilità lenta. Impiegherei i due miliardi per creare aree perimetrali di stazionamento dei mezzi privati e per potenziare i mezzi di trasporto pubblico (biciclette, monopattini, autobus, tram, metropolitana, passante ferroviario, taxi, car sharing, ecc.) e per sostenere una campagna di comunicazione e incentivazione al loro uso.
A quel punto ridurrei progressivamente l’accesso dei mezzi privati entro la cerchia esterna della circonvallazione, fino ad azzerarlo. Vorrei così fare di Milano una città vivibile e godibile senza uso di mezzi privati. Sono convinto che tutti scopriremmo splendide prospettive della nostra città, oggi rese invisibili dalla frenesia e dal caos nel quale siamo immersi.
La conformazione della città, relativamente piccola e pianeggiante (quindi agevolmente percorribile in bicicletta o a piedi), si presta moltissimo alla messa in opera di un simile progetto che farebbe di Milano un avamposto green a livello mondiale.
Un sogno per Milano: qual è il tuo più grande auspicio per il futuro di Milano?
Vorrei che Milano trovasse le energie culturali ed economiche e la determinazione politica per risolvere il problema endemico dell’inquinamento dell’aria. Per quanto questo sia anche il prodotto del posizionamento geografico della città nel catino della Pianura Padana, molto si può e si deve fare. Parte della soluzione credo possa stare nel “progetto dei due miliardi” di cui ho parlato. Un secondo, enorme, capitolo è quello dell’efficientamento degli edifici, soprattutto di quelli risalenti a prima dell’inizio di questo secolo. Sono convinto che Milano e i milanesi (di nascita o di adozione) abbiano il potenziale per cimentarsi con successo anche in questa sfida.
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