2500: il numero di artigiani milanesi che nel 2021 si è visto costretto ad abbassare per sempre le saracinesche. Se già la pandemia aveva messo in ginocchio il settore dell’artigianato, ora, con il rincaro delle bollette peggiorato dal conflitto in Ucraina, molti artigiani si vedono costretti ad alzare bandiera bianca. Un settore destinato a scomparire?
ALLARME ARTIGIANI a MILANO: in 2500 hanno chiuso nel 2021
# Futuro incerto per un mestiere che sta invecchiando
Pandemia e bollette sono la spada di Damocle per un settore che sta invecchiando e già fortemente in crisi. L’Italia è sempre stato un Paese in cui si è dato grande valore all’artigianato e al lavoro manuale in generale e, nonostante l’artigianato pesi per il 9,5% sul Pil e rappresenti il 21,2% delle imprese, il futuro del mestiere rischia di essere messo a dura prova. L’artigianato sta invecchiando: in dieci anni si sono perse 28mila imprese di under 30, diminuite del 41,9% rispetto al 2011.
Un mestiere poco attrattivo per i giovani che rende il cambio generazionale sempre più difficile, ma complice della crisi è stata anche l’emergenza Covid. Solo a Milano sono oltre duemila le attività, fra piccole imprese e botteghe di vicinato, che nel Milanese hanno abbassato per sempre la saracinesca a causa della pandemia. E tra marzo 2021 e marzo 2011 il settore ha già subito un calo complessivo di 170 mila unità (-11,7%), portando a 1,3 milioni il totale dell’imprese artigiane.
Oggi, come se non bastasse, ad aggravare una situazione già drammatica, è subentrato il conflitto tra Ucraina e Russia e il conseguente rincaro delle bollette, che costringe i pochi superstiti a “un’economia da guerra”, con le luci delle vetrine spente per risparmiare.
# Situazione critica, a Milano si lancia l’allarme
Una crisi che non risparmia nessuna categoria, infatti, dopo un decennio di crescita ininterrotta, perfino gli imprenditori immigrati sono in ritirata. È Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani di Milano e membro di giunta della Camera di Commercio Milano-Monza-Brianza-Lodi, a mettere in guardia e lanciare l’allarme: «Un altro 9, 10% di artigiani prevede di chiudere e nei quartieri si vedrà, sempre di più, una progressiva carenza di servizi, perché ogni chiusura è un servizio in meno e un presidio in meno sul territorio».
A Milano la situazione è grave: per il centro studi dell’Unione Artigiani, tra Milano e hinterland, hanno cessato di esistere 2.482 insegne, nel 2021 erano 88.549 contro le 91.031 aperte del 2020. Sicuramente i prezzi degli affitti non aiutano queste piccole imprese, infatti, la grande fuga si registra soprattutto nel centro storico dove gli affitti sono alle stelle: 1.668 vetrine all’appello nel 2021 contro le 1.704 del 2020. Al momento, i settori che sembrano reggere maggiormente sono l’edilizia (6.537 imprese) e la cura della persona (2.706).
# Un’economia di guerra, il caro-bollette non risparmia nessuno
Addio ai calzolai, all’elettricista per i piccoli acquisti, alla sarta o al riparatore di bici. Addio a tutte quelle piccole realtà sulle quali si ha sempre fatto affidamento. «La pandemia, oltre a mettere in ginocchio le piccole imprese, ha disincentivato nuove aperture, per esempio anche da parte degli immigrati», ammette Accornero. «È mancato il turnover fisiologico, anche perché i giovani non sono attratti dall’artigianato e così vanno a morire alcuni mestieri, che invece potrebbero garantire un futuro alle nuove generazioni». Le botteghe milanesi «resistono nelle vie periferiche, oppure nei mercati coperti dove si supportano a vicenda e migliorano la qualità della vita degli abitanti del quartiere, soprattutto degli anziani».
A mettere in ginocchio gli artigiani ora ci pensa il caro-bollette e il caro-materie prime. Una bastonata che in molti pensano di non poter reggere: «Stanno prendendo provvedimenti da economia da guerra: chi può rinuncia al riscaldamento e lavora imbacuccato, oppure spegne di notte l’insegna o razionalizza l’uso degli impianti», conclude Accornero.
Una situazione preoccupante e di certo da non sottovalutare per la salvaguardia di un settore che è da sempre uno dei tratti distintivi della cultura e dell’economia italiana.
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SARA FERRI
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