L’arresto dei rapper Babygang e Simba la Rue indica un salto di qualità nelle cronache riguardanti il disagio giovanile e la piccola criminalità a Milano. Stanno sensibilmente aumentando le denunce per aggressioni, furti e atti vandalici attuati da giovani e giovanissimi soprattutto nelle zone in cui si concentra la movida. Da dove nasce questo fenomeno e che caratteristiche tipiche sta mostrando a Milano?
I MARANZA alla conquista di MILANO
Nato ai margini si sta affermando come protagonista sulla scena milanese. E’ il “maranza”, diventato anche un meme sui social (soprattutto Instagram e TikTok). Su internet se ne parla in modo scherzoso ma i sempre più frequenti fatti di cronaca sollevano preoccupazione e inducono a cercare di capire chi siano questi ragazzi e sul perché attuino questo tipo di comportamenti di carattere antisociale.
Cos’è quindi esattamente un “maranza”?
# Le origini del termine: “l’è un Zanza”
Il termine maranza ritrova la sua radice nella parola “zanza”, traducibile in imbroglione, truffatore, furfante. Arriva dal gergale milanese o “del parlar furbesco” della Milano di Scerbanenco. “Attento che l’è un Zanza” significava di prestare attenzione a quel tipo in quanto truffatore.
Possiamo dunque scomporre il termine in mar-anza. La prima parte sta ad indicare la loro presunta etnia: secondo lo stereotipo degli anni Ottanta e Novanta le persone maghrebine erano considerate di origine marocchina. La seconda invece si riferisce all’atteggiamento tipico dello zanza.
La parola maranza è nata recentemente per definire le babygang di origine nord africana che si ritovano soprattutto nelle zone della movida milanese per compiere atti violenti, molesti o vandalici. La denominazione di “baby gang” sta ad indicare alcune forme di devianza minorile di tipo associativo che si caratterizzano per l’estrema violenza con cui i giovani realizzano le varie condotte illecite.
Seppur fenomeno variegato si può individuare un primo identikit del “maranza” tipo.
# Identikit del maranza
Sono gli stessi ragazzi di Milano che così rispondono alla domanda sui tratti distintivi in base ai quali si può riconoscere un maranza. La maggior parte delle persone li definisce come gruppi di giovani (spesso minorenni) di sesso maschile e di origine nord africana, che hanno atteggiamenti molesti e violenti nei confronti degli altri ragazzi.
Il classico maranza a livello estetico si presenta come un “ tamarro”. Quindi in tuta, aceta o tech, o con le divise sportive delle squadre di calcio (ad esempio Real Madrid o Paris Saint Germain), borsello di marca (spesso contraffatto) e non di rado utilizzano passamontagna o altro per coprirsi il volto prima di compiere violenze o atti vandalici.
Il maranza non è solo un look ma anche una modalità di agire. Vediamo in cosa consiste.
# I maranza in azione
Le modalità di approccio ed esecuzione sono quelle tipiche delle baby gang. Innanzitutto si instaura un contatto con la vittima dalla quale, quasi sempre per futili motivi, ne scaturisce una lite. Dalla violenza verbale si passa velocemente a quella fisica, «il tutto con un ritmo estremamente rapido che crea una situazione di terrore e panico per la vittima» che, spiazzata, si ritrova ad essere derubato o aggredito dal gruppo.
Mentre è facile riconoscerlo, meno note sono le origini del fenomeno. Da dove nasce il maranza?
# Dove nasce il maranza
Tradizionalmente il maranza è considerato la manifestazione di una forma di emarginazione sociale. L’atteggiamento, in particolare, viene visto come l’espressione di una rabbia sociale: il carattere “antisistema” dei loro atteggiamenti, basati sulla forza del branco, piccoli furti, rapine, risse e altre forme di vandalismo o violenza, spesso fine a se stessi, unita alla provenienza da contesti periferici porta la letteratura sociale a formulare questo tipo di ipotesi.
Un documento del Ministero degli Interni descrive il fenomeno come “criminalità epidemica, i cui tratti distintivi sono costituiti dall’operare in gruppo degli autori dei reati, anche se al di fuori dei contesti di criminalità organizzata, e dal tasso di violenza utilizzato nei confronti delle vittime, generalmente elevato (…) e, comunque, del tutto sproporzionato rispetto al movente, futile (…) e persino degradante a mero pretesto”.
Il fenomeno viene quindi pensato come una forma di ribellione giovanile a un ambiente sociale privo di stimoli e di prospettive sul futuro. Questo tipo di gruppo diventa un modo per affermare se stessi in una società in cui questi ragazzi si sentono ignorati ed emarginati.
Nelle baby gang i membri, frequentemente, “attribuiscono al gruppo anche un nome al fine di darsi una connotazione identitaria; tra i componenti esiste un marcato senso di unione ed una forte coesione interna in quanto il gruppo rappresenta un punto di riferimento per l’adolescente che ivi vi condivide esperienze, valori, linguaggio, comuni sentimenti di disagio, trovando, altresì, nella gang, lo stimolo all’aggressività come metodo di sfogo e compensazione.”
Lo scopo principale della condotta delittuosa appare essere, infatti, lo sfogo della violenza che non è quindi il mezzo per perpetrare il delitto ma costituisce lo scopo stesso dell’aggressione. Oltreché ad azioni violente nei confronti delle persone si assiste anche ad episodi di bullismo metropolitano e ad atti vandalici consumati in pregiudizio di istituti scolastici, edifici e mezzi pubblici.
# Il report: boom di reati nell’ultimo anno. 1 su 2 di origine straniera. Tre ragazzi su 10 hanno partecipato a delle risse
Lo segnala l’ultimo report del Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale sui minori nel periodo della pandemia. Aumenta del 10% in un anno la quantità di minori denunciati o arrestati (sono stati circa 25 mila nel 2021), così come sale del 20% il numero di reati. Si impenna anche il traffico di stupefacenti e cresce, dal 44 al 46%, la percentuale di stranieri – o di italiani di seconda generazione – che fanno parte delle baby gang. Tra gli immigrati le prime due etnie a cui sono attribuite più denunce sono proprio di origine marocchina e tunisina.
L’allarme è che sembra sia un fenomeno molto diffuso, anche oltre le sacche di reale disagio. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza su un campione di 7.000 adolescenti sul territorio nazionale, il 6,5 per cento degli adolescenti fa parte di una gang, che intenzionalmente sferra attacchi nei confronti dei loro coetanei o danneggiano strutture pubbliche o private, come la scuola, compiendo furti o veri e propri atti di vandalismo. Il 16 per cento ha commesso atti vandalici e 3 ragazzi su 10 hanno partecipato a risse.
# L’età e l’origine suonano l’allarme
Questo fenomeno acquisisce una rilevanza particolare per due ragioni: a) stiamo parlando di ragazzi spesso giovanissimi, b) una quota rilevante di questi ragazzi è di origine straniera.
Il primo punto deve far riflettere sulla carenza di modelli di vita e di opportunità che la nostra società offre ai giovani. Se è vero che più di 6 ragazzi su 100 fanno parte di una gang significa che le nostre istituzioni e la società civile italiana non sono state in grado di offrire loro dei contesti in cui sviluppare una prospettiva sul proprio futuro, di immaginare dei progetti, sviluppare delle idee e delle passioni su cui investire per avere un ruolo positivo per se stessi, per la propria famiglia e per la collettività.
Il secondo punto invece rilancia la questione della mancata integrazione di una quota rilevante di alcuni immigrati di seconda generazione. Evidentemente per alcuni di questi ragazzi l’unica forma di riscatto sociale visibile è nella violenza e nella sopraffazione del prossimo. Tutto ciò però non deve ridursi a un circolo vizioso che oscilla tra la segregazione e la violenza, non è accettabile che questi ragazzini vengano già definiti come irrecuperabili.
# Invincibili, senza sogni
La gravità della situazione viene rappresentata dall’avvocato Valentina Calzavara pronunciate: “Quelli delle baby-gang quasi sempre sono ragazzi che non studiano e non lavorano, col benestare dei genitori. Parlo con loro e mi sorprendo a scoprire la totale assenza di progetti per il futuro: sono adolescenti che hanno smesso di sognare, o forse non l’hanno mai fatto”.
Giovani senza ambizioni, se non quella di proiettare sugli altri un’immagine di invincibilità. “Ricordo un cliente di 17 anni, che faceva parte di un gruppo accusato di spaccio di droga, rapine, rissa e lesioni. Alla fine dell’udienza gli dissi che la sua posizione processuale era critica, probabilmente peggiore di quella di tutti i suoi amici. Non disse nulla ma sorrise con uno sguardo gonfio di orgoglio…”.
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JACOPO CESARETTI
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