L’architettura milanese contemporanea è proiettata nel “futuro”, alle volte a discapito del patrimonio storico. L’ultimo caso eclatante è quello di via De Amicis 31: la pagina @Rivolta_architettonica, sezione italiana del movimento internazionale Architectural Uprising, ha denunciato l’accaduto. Scopriamo che cosa è successo.
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Il palazzo ottocentesco trasformato in uno «scatolame edilizio»: esplode la rivolta in via De Amicis
# Quello “scatolame” brutto di Via de Amicis 31: «un altro pezzo di Milano è morto»
La sezione italiana del movimento Architectural Uprising, che si batte da anni contro la continua deturpazione delle città, denuncia in modo chiaro e diretto quello che è avvenuto al civico 31 di Via de Amicis:
il vecchio palazzo ottocentesco è stato cancellato «a colpi di ruspa» per far posto a «un blocco senz’anima, un pezzo di ‘scatolame’ edilizio che non ha nulla da dire se non il suo squallido e anonimo servilismo alle logiche del profitto». Secondo Rivolta Architettonica, il nuovo edificio rappresenta una «grottesca operazione di maquillage speculativo», un tentativo maldestro di imitare il passato con una «patina di finta modernità».
La pagina denuncia, inoltre, il progressivo abbandono della tutela del patrimonio storico da parte delle istituzioni, affermando che «un altro pezzo di Milano è morto, sacrificato sull’altare dell’ignoranza e dell’arroganza di chi non sa riconoscere il valore della propria storia».
# Il dibattito sui social: indignazione e rassegnazione
La denuncia ha scatenato un acceso dibattito sui social, dove diversi utenti hanno espresso il loro sdegno per l’ennesima demolizione di un edificio storico.
Tra i commenti più apprezzati, c’è chi si dimostra perplesso: «che strano che non sia stata salvata la facciata storica. Di solito si mantiene la facciata e si costruisce nuovo dietro. Il nuovo edificio è uno scempio. Non c’entra nulla».
Un altro milanese, invece, evidenzia la perdita di elementi caratteristici: «Senza i balconi… un vero passo indietro.», concludendo con una considerazione legittima, ma, forse, poco condivisibile: «Si stava meglio quando si stava peggio». D’altronde uno dei grandi problemi di operazioni come quelle di Via di Amicis rischia proprio di essere il generare una insofferenza generale nei confronti del nuovo, quando si tratterebbe semplicemente di farlo bene.
Alcuni utenti dei social hanno sottolineano come questa tendenza non sia esclusiva di Milano: «purtroppo anche a Vienna vige quest’orrida regola. Ho letto report su palazzi ottocenteschi i quali, se dichiarati deteriorati, vengono spianati senza troppi riguardi per far posto a moderne colate di cemento».
Qualcuno si lancia anche in una breve analisi tecnica: «perché snaturare la continuità architettonica nel nome dell’innovazione?», argomenta infatti il commentatore, «attualmente basta un banale rilievo 3D per acquisirlo… Rifare da zero il palazzo in categoria di massima efficienza e riprodurre la facciata storica sarebbe stata la scelta migliore».
Non mancano, infine, voci fuori dal coro, che forse possiamo liquidare come i classici bastian contrari, che commentano semplicemente: «meglio adesso».
# Il futuro architettonico di Milano dovrà vedere più protagonisti i cittadini
L’abbattimento del palazzo di via De Amicis è solo l’ennesimo caso di una città che, negli ultimi anni, che cerca in tutti i modi di ridefinire la propria immagine, proiettandosi nel futuro. Il problema principale non è necessariamente la costruzione di edifici moderni, City Life è l’esempio concreto di come ciò si possa fare in maniera eccellente, ma il modo in cui vengono progettati e, soprattutto, inseriti nel contesto urbano.
Il nuovo palazzo, sottolineano bene da Rivolta Architettonica non ha alcuna connessione con la storia della via e appare come una costruzione anonima, priva di qualsiasi elemento di pregio. Il rischio, denunciato dai commentatori, è che Milano perda la propria identità storica, senza acquisirne una futuristica. Manca una visione a lungo termine, soprattutto da parte di chi dovrebbe sorvegliare sul decoro urbano.
Ma, forse, esiste un’alternativa. Architectural Uprising è un movimento intelligente, che nasce dalla sorveglianza attenta di cittadini e professionisti. Se una simile iniziativa si sviluppasse direttamente a Milano, probabilmente esperienze come questa non accadrebbero più. Il problema, infatti, non è solo di chi costruisce, ma anche di chi permette che tutto questo accada.
Se noi milanesi ci voltiamo dall’altra parte, se ci limitiamo a lamentarci sui social senza agire, non rischiamo di divenire complici di questo degrado?
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MATTEO RESPINTI
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