I collegamenti ferroviari tra gli stati europei stanno prendendo sempre più piede e anche l’alta velocità poco alla volta sta trovando il suo spazio, dalla Milano-Parigi in attesa del ripristino, alle future Milano-Berlino e Parigi-Berlino. Ecco il prossimo collegamento in arrivo: durata del viaggio, fermate e prezzi dei biglietti.
Queste due capitali europee saranno collegate con l’alta velocità
# Il nuovo collegamento veloce tra Amsterdam e Bruxelles
b-europe.com – Mappa Eurocity
Sempre più alta velocità anche tra gli stati europei. Nell’attesa che venga ripristinata la connessione Milano-Parigi, di quelle future tra Milano con Monaco e Berlino, e Parigi sempre con Berlino, l’entrata in vigore del nuovo orario ferroviario il 15 dicembre 2024 segna un momento importante per la mobilità ferroviaria europea. Da quella data parte infatti il servizio con due diversi collegamenti tra i Paesi Bassi e il Belgio, compreso l’Eurocity Direct, con 16 treni veloci al giorno tra Amsterdam Sud e Bruxelles Sud Midi. Il primo Eurocity Direct della giornata parte dalla capitale dei Paesi Bassi intorno alle 06.00 del mattino, dopodiché ogni ora parte un treno per quella belga.
# Risparmiati 45 minuti di tempo, la durata del viaggio scende a sole 2 ore
Amsterdam @pixabay
Rispetto a prima il tempo di viaggio si riduce di 45 minuti, arrivando a sole 2 ore. Le fermate servite oltre ai capolinea, confrontando con il servizio Eurocity standard, sono solo tre (Schiphol, Rotterdam e Anversa) consentendo velocità maggiore e meno soste lungo il percorso.
# Prezzi a partire da 25 euro
b-europe.com – Eurocity Direct
I prezzi dei biglietti, già in vendita, per la seconda classe vanno da 25 euro a 64,10 euro, in base al momento della prenotazione e della flessibilità desiderata. Una fascia di prezzo che consente agli utenti di viaggiare a buon mercato se prenotano in tempo o di ottenere maggiore flessibilità a un prezzo più alto.
A due ore e mezza da Milano, e a soli 8 euro di ingresso, si trova il Parco delle Cascate di Molina: una meta ideale per chi desidera fuggire dal caos cittadino e immergersi in paesaggi mozzafiato.
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Il Parco delle Cascate: l’oasi dei corsi d’acqua a 2 ore da Milano
# Esplorare il parco: tre percorsi tra natura e avventura
A due ore e mezza di macchina da Milano, si trova un luogo magico dove natura e storia si incontrano: il Parco delle Cascate di Molina. Situato nella splendida cornice della Lessinia, in provincia di Verona.
Con le sue cascate spettacolari, la ricca biodiversità e un borgo medievale che ha mantenuto intatto il suo fascino antico, il Parco delle Cascate è una destinazione che offre un’esperienza unica all’insegna della natura, della storia e del relax.
Il Parco offre tre percorsi ad anello, a senso obbligato, che consentono di esplorare il territorio in sicurezza e secondo il livello di difficoltà preferito. Ogni itinerario è caratterizzato da differenti lunghezze, dislivelli e difficoltà, offrendo molteplici opportunità di scoperta e avventura:
Percorso Verde: Il più semplice, lungo 1,2 km con un dislivello di 50 metri, percorribile in circa 30 minuti. È ideale per famiglie, bambini o per chi cerca una passeggiata rilassante, permettendo di ammirare le cascate più accessibili e godersi il paesaggio senza sforzi eccessivi.
Percorso Rosso: Più impegnativo del precedente, con una lunghezza di 2,3 km e un dislivello di 100 metri, richiede circa un’ora di cammino. Questo itinerario porta i visitatori alla scoperta di cascate più nascoste, con scenari selvaggi e incantevoli che si aprono tra le gole rocciose.
Percorso Nero: Il più lungo e impegnativo, estendendosi per 3,6 km con un dislivello di 250 metri. Si percorre in circa due ore ed è consigliato agli escursionisti più esperti, che desiderano avventurarsi tra sentieri più scoscesi, cascate nascoste e punti panoramici mozzafiato.
Lungo i vari sentieri, i visitatori possono incontrare attrazioni naturali di grande fascino come il “Pozzo dell’Orso“, la “Cascata del Tombolo” e il suggestivo “Doppio Covolo“, un doppio arco naturale scavato dall’erosione dell’acqua. Per chi ama le sfide, ci sono anche attrazioni più impegnative, come un’altalena panoramica che passa attraverso una cascata e una teleferica che consente di sorvolare il torrente sottostante, regalando emozioni forti e una prospettiva unica sul parco.
# Un territorio modellato dall’acqua e dal tempo
Il parco si estende su una superficie di circa 80.000 m² nella parte alta della Valle di Fumane, includendo le suggestive valli laterali del Vajo delle Scalucce e della Val Cesara. Le rocce della zona, risalenti all’era cenozoica (25-30 milioni di anni fa), sono state modellate da milioni di anni di erosione da parte degli agenti atmosferici e dall’incessante azione dell’acqua, creando un paesaggio unico fatto di gole rocciose, cascate e laghetti smeraldini. Le formazioni rocciose e i sentieri che si snodano tra i boschi rappresentano un invito a esplorare un territorio che, grazie all’acqua, ha assunto forme affascinanti e ricche di storia.
Il nome “Molina” richiama la lunga tradizione dei mulini, sfruttati per secoli per le attività molitorie grazie all’abbondanza di acqua della zona. Fin dal Medioevo, l’area è stata un importante centro per la lavorazione dei cereali, come testimoniano i mulini restaurati e le antiche case in pietra ancora visibili nel borgo, che raccontano la storia di una comunità che ha saputo vivere in armonia con la natura.
Per rendere la visita ancora più coinvolgente, il parco offre un’attività speciale chiamata “Aperitrek“, un’escursione guidata che unisce l’esplorazione della natura alla degustazione di prodotti tipici locali. Durante il trekking, le guide ambientali illustrano le caratteristiche naturali del parco, raccontandone la storia e le curiosità legate alla flora e alla fauna del territorio. Al termine del percorso, i partecipanti possono gustare un aperitivo a base di specialità della Lessinia, come salumi, formaggi e vini locali, serviti sulla terrazza del bar che offre una vista panoramica sulle cascate e sul paesaggio circostante.
Il Parco delle Cascate di Molina è aperto tutti i giorni da aprile a settembre e durante i giorni festivi da ottobre a marzo. È possibile accedere solo a piedi e i sentieri non sono adatti a passeggini o carrozzine, per cui è consigliato indossare scarpe comode e controllare le previsioni meteo, poiché in caso di maltempo l’accesso al parco può essere limitato o sospeso.
# La natura protetta e la ricca biodiversità della Lessinia
Inserito all’interno della rete Natura 2000, il Parco delle Cascate è riconosciuto come Sito di Importanza Comunitaria per la tutela della biodiversità. Qui si trovano ambienti naturali unici, con boschi termo-mesofili che offrono rifugio a molte specie di fauna selvatica, e pareti rocciose dove crescono specie rare di piante. Tra gli animali che popolano il parco, il gufo reale e il falco pellegrino sono tra le specie più emblematiche e facilmente osservabili. Tra le specie vegetali rare presenti, spiccano il raponzolo di roccia e la moehringia bavarese, fiori endemici che trovano il loro habitat ideale sulle pareti calcaree della Lessinia.
La conservazione dell’ambiente è al centro delle attività del parco, che ha avviato progetti di protezione per alcune specie in via di estinzione, come il gambero di fiume. Sono stati inoltre adottati interventi per garantire la preservazione della flora autoctona, fondamentale per mantenere l’equilibrio ecologico del territorio.
# Il fascino senza tempo del borgo di Molina
Oltre alla bellezza naturale del parco, il borgo di Molina offre un’atmosfera medievale autentica e affascinante. Le strette vie del paese, le antiche case in pietra e i mulini restaurati regalano scorci pittoreschi che riportano indietro nel tempo. Le costruzioni tradizionali realizzate in conci e lastre di Scaglia Rossa donano un carattere unico al borgo, che si presenta come un vero e proprio gioiello architettonico. La visita al borgo è un’occasione per scoprire una comunità che ha mantenuto vivi i suoi legami con la tradizione, pur adattandosi ai cambiamenti del tempo.
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Nel cuore dei milanesi non ci sono solo via Brera, via della Spiga o via Meravigli. Scopriamo 7 tra le strade più amate oltre zona centro. Ph. @places_moments_hunter IG
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7 strade fuori dal centro che sono amate dai milanesi (Mappa)
#1 Via Conte rosso, il cuore storico di Lambrate
Via Conte Rosso, per la posizione e per il fatto di aver mantenuto le sue caratteristiche di riconoscibilità e omogeneità, si può definire il “cuore” di Lambrate. Realizzata tra inizio Ottocento e seconda metà del secolo scorso si trova lungo la “strada della Cappelletta” che collegava i due nuclei storici di Lambrate Inferiore e Lambrate Superiore. L’altare della piccola Cappelletta ancora oggi sorge al termine della via. Non ci sono più le vecchie osterie ma Conte Rosso è rinomata soprattutto per i suoi locali. Storico il ristorante “il conte rosso”, diventato anche guida in competizione alla Michelin.
Soprannominato il quartiere Arcobaleno di Milano, in Via Lincoln c’è un villaggio operaio risalente al ‘800 che conserva intatte le caratteristiche della città di un tempo passato. Si tratta di un’insieme di villette colorate con affaccio su corti private che danno l’idea di essere in luogo fiabesco.
#3 Via Segantini, l’oasi verde nel sud della città
Credits: wadago – Boschetto di Bambu Parco Segantini
In via Segantini c’è una vera oasi verde, il Parco Segantini: 90.000 mq, tra cui un boschetto di bambù, 1000 mq di orti misti e la roggia Boniforti che scorre sul lato opposto alla via. Si trova nella zona sud di Milano tra il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese, dove un tempo c’era l’Istituto Sieroterapico.
#4 Via Cesariano, la “via” che sembra una piazza ai confini con Chinatown
Via Cesariano, più che di una “via”, si tratta di una piazzetta scavata, gremita di panchine per prendere una pausa nel verde cittadino. Compresa nell’isolato tra Moscova e Chinatown, rappresenta il ritrovo pomeridiano di tante famiglie che raggiungono i giochi pubblici per far divertire i più piccoli.
#5 Via Orti, il fascino delle viuzze del centro storico
Via Orti Milano
Fino all’800 in Via Orti i contadini vi coltivavano frutti e ortaggi, negli anni ‘70 era nota per essere una strada defilata e poco sicura, nel nuovo millennio, con i suoi locali e le sue case in stile vecchia Milano, è diventata una delle vie più caratteristiche della città. La strada di congiunzione tra corso di Porta Romana e viale Caldara conserva ancora il fascino delle piccole viuzze che si possono vedere solo nel centro storico.
#6 Via Marghera, la via dello shopping dal sapore antico
Via Marghera è una via lunga circa 400 metri, denominata via Malghera fino agli anni ’30 e il cui nome prendeva origine da una cascina collocata nella zona detta la Maddalena. Si estende da piazza Wagner a piazza de Angeli intersecando Corso Vercelli. Conserva un sapore antico, con vecchie case che riportano ad un’epoca quasi paesana, anche se oggi è conosciuta come via dello shopping e dei locali: famosa la “Gelateria Marghera”tra le più buone di Milano.
#7 Via Ortica, il “museo a cielo aperto” di Milano
Murales al quartiere Ortica
Originariamente non era un quartiere milanese, ma faceva parte dell’antico comune di Lambrate, ma la sua anima continua a restare quella di un paesino staccato dalla metropoli. Enzo Jannacci è uno dei personaggi più celebri che hanno gravitato attorno all’Ortica. Oggi è famosa per la sua “Balera” e per essere un museo a cielo aperto grazie al progetto Or.Me – Ortica Memoria- che ha colorato i palazzi del quartiere di magnifici murales.
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Negli ultimi sei anni in Giappone nessun’altra azienda ha saputo fare di meglio. Se anche ATM percorresse questa strada come potrebbe migliorare il trasporto pubblico di Milano?
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Tokyo Metro si quota in borsa: raccolta una cifra record. Se lo facesse anche ATM? I 5 investimenti che servono alla rete di Milano
# La più grande offerta pubblica del Giappone degli ultimi sei anni
Credits: gyrastyle.com – Metro Tokyo
Una raccolta di capitale da record, negli ultimi sei anni in Giappone nessun’altra azienda ha saputo fare di meglio. Una notizia ancora più rilevante se si tiene conto che a farlo è stata un’azienda di trasporto pubblico. Dopo aver fissato il prezzo della sua IPO al massimo del suo intervallo, 1.200 yen l’una, Tokyo Metro ha raccolto 348,6 miliardi di yen pari 2,3 miliardi di dollari. Il governo centrale e quello di Tokyo, che possiedono rispettivamente il 53,4% e il 46,6%, hanno venduto la metà delle loro azioni nell’IPO. La quotazione in borsa è fissata per il 23 ottobre di quest’anno.
Un’iniezione di risorse utili per migliorare il servizio di trasporto, e se lo facesse anche ATM?
# Cosa potrebbe fare ATM quotandosi in borsa?
Ingresso a San Cristoforo
La rete metropolitana milanese si è ampliata: il 12 ottobre ha inaugurato il tratto mancante della linea M4, portando la sua estensione a 111,8 km e 134 stazioni. Il servizio potrebbe però essere migliorato ulteriormente e ci sarebbe bisogno di altre linee metropolitane da realizzare nel minor tempo possibile. La quotazione in borsa potrebbe essere una soluzione utile a incamerare il capitale per investire in modo ancora più impattante sulla città e l’hinterland. Ecco cosa si potrebbe fare.
#1 Ripristinare il regolare servizio di superficie scongiurando la fuga degli autisti
Tabelloni orari mezzi di superficie
Ripristinare il regolare servizio del trasporto pubblico di superficie. Nell’ultimo anno si sono registrati continui tagli alle corse, con attese fino a 40 minuti. Sono due i problemi principali: servono circa 300 milioni di euro, richiesti senza successo dal Comune di Milano al governo in più di un’occasione, e più autisti, ne mancano almeno 300. Tra chi se ne va e chi non vuole lavorare nel trasporto pubblico milanese è difficile arrivare all’obiettivo. Bisogna prevedere stipendi oltre la media nazionale per bilanciare l’alto costo della vita, maggiori tutele e ulteriori incentivi agli affitti e al pagamento delle patenti di categoria in aggiunta a quelli già proposti da ATM.
#2 Coprire gli extra costi di tutte le estensioni della metro già programmate
ar-architettiroma.it – Estensioni metro a Milano
Sono 4 i prolungamenti di linee metropolitane approvati e in teoria finanziati, prima della necessità di nuove risorse per coprire gli extra costi:
M1 fino a Sesto Restellone, 1,9 km di tracciato per 2 fermate, in costruzione da oltre 12 anni ma in attesa di una nuova azienda per la prosecuzione dei cantieri. Extra costi in teoria coperti, ma bisogna capire con il nuovo bando aumenteranno ulteriormente;
M1 fino a Quartiere Olmi, 3,3 km per 3 fermate, con un primo bando flop perchè la base d’offerta ritenuta troppo bassa. Servono circa altri 60 milioni di euro.
M4 fino a Segrate, 3,1 km e 2 fermate. Lo studio di fattibilità è in fase di realizzazione, ma mancano 44 milioni di euro per la copertura integrale del finanziamento dell’opera.
Ci sono poi tutti i prolungamenti allo studio ma che ancora non sono diventati progetti definitivi. Eccoli nel dettaglio:
M2 come metrotranvia veloce fino a Vimercate, di cui è in partenza un primo studio di fattibilità, di circa 12 km;
M3 fino a Paullo, il cui costo attuale per una soluzione mista con 2 fermate di metropolitana e 8 di metrotranvia ammonterebbe a 850 milioni di euro;
M4 fino a Buccinasco, con l’ipotesi più papabile di una sola fermata dopo l’attuale capolinea di San Cristoforo FS;
M5 fino a Settimo Milanese, oppure un percorso più breve di 2,5 km e due fermate ad ovest (Quarto Cagnino e Quinto Romano) e un investimento di 350 milioni di euro.
#4 Il libro dei sogni sulle metropolitane: le nuove linee
cristian1989 skyscrapercity – Mappa Metro futura con linea circolare
Visto che sognare non costa nulla, ma una quotazione in borsa potrebbe fare diventare qualche sogno realtà, ecco cosa potrebbe realizzare ATM con molte più risorse a disposizione:
estendere la M1 fino al Comune di Abbiategrasso come ipotizzato anni fa da Beppe Sala, e a nord fino ad Arese o addirittura a Legnago;
realizzare i prolungamenti di M2 e M3, rispettivamente a Vimercate e Paullo, come metropolitana;
allungare la M2 anche a sud a Rozzano e Binasco;
portare M4 fino a Trezzano sul Naviglio, il tracciato più lungo tra le sei ipotesi considerate nelle analisi costi/benefici;
una vera circle line, più esterna della semi-circle line in fase di realizzazione, con un percorso Lotto – Susa – Lotto e interscambi su tutte le linee;
completare la semi-circle line interna realizzando il lato ovest;
costruire metro tangenziali a nord, sud, ovest ed est con percorsi ai limiti dei confini della Città Metropolitana, interscambiando i prolungamenti di tutte le linee e la circle line esterna o in alternativa una super metro circolare “Gran Milan Express” per richiamare il progetto in costruzione a Parigi.
#5 Migliorare il trasporto pubblico sotterraneo e in superficie: metro 24h, stazioni più belle, integrazione del passante
Ideogram AI – Metro del futuro
Detto delle estensioni e di nuove linee, ci sono altri aspetti che si possono migliorare nel trasporto milanese. Vediamone alcune:
far funzionare le metropolitane H24, almeno nei weekend dato che la notte è riservata alla manutenzione, partendo dalla due linee automatiche M4 e M5. A Copenaghen, dove la rete è stata pensata per essere sempre operativa, i treni circolano tutti i giorni a tutte le ore, ci sono solo linee driverless, e la gestione è affidata ad ATM;
asservimento semaforico su tutte le linee tranviarie e metrotranvie in costruzione;
integrare alla perfezione il passante con la rete metropolitana, magari a seguito di fusione tra le relative società di trasporto, uniformando tornelli, accessi e identità visiva.
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Quando si viaggia in aereo la sicurezza è ormai a livelli altissimi, eppure gli incidenti aerei continuano a suscitare timori nell’immaginario collettivo. Si potrà arrivare a rischio zero? Forse sì.
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Arriva la tecnologia che ci potrebbe salvare da un disastro aereo?
# La capsula di di salvataggio con paracadute
I dati sono confortanti: statisticamente, volare è più sicuro che viaggiare in automobile, con un tasso di incidenti significativamente inferiore. Tuttavia, quando si verifica un incidente, le possibilità di sopravvivere sono drammaticamente basse. Soprattutto in caso di aereo che si sfracelli al suolo.
L’ingegnere Ucraino Vladimir Tatarenko ha brevettato un sistema che prevede una fusoliera staccabile, capace di separarsi dal resto dell’aeromobile in caso di emergenza. La capsula, che conterrebbe passeggeri e membri dell’equipaggio, sarebbe dotata di paracaduti per garantire un atterraggio morbido. Questa soluzione, sebbene non del tutto nuova — già utilizzata in alcuni piccoli aerei — potrebbe essere applicata anche ai velivoli di linea, rivoluzionando il modo in cui affrontiamo il rischio di disastri aerei.
# Critiche e preoccupazioni
Nonostante le potenzialità di questo sistema, ci sono critiche e dubbi riguardo alla sua applicabilità. Gli scettici sollevano preoccupazioni legate alla struttura stessa dell’aeromobile. Staccare l’intera cabina potrebbe indebolire la struttura complessiva dell’aereo, rendendolo più vulnerabile a guasti e incidenti. Inoltre, c’è il rischio che una fusoliera staccata possa cadere su aree popolate, creando ulteriori problemi e potenziali vittime a terra.
Un altro punto di discussione riguarda l’efficacia del sistema durante diverse fasi di volo. Se l’aver progettato la capsula per essere operativa durante il decollo e l’atterraggio è un vantaggio, resta da chiarire come il sistema risponderebbe in situazioni di emergenza più complesse, come un’avaria in volo. La gestione della capsula in tali condizioni rappresenterebbe una sfida significativa.
# Gli argomenti di Tatarenko
Tuttavia, Tatarenko e i sostenitori della sua tecnologia sostengono che i vantaggi superano i rischi. Con un attento design ingegneristico, si potrebbero utilizzare materiali leggeri ma resistenti per la costruzione dell’aereo, mantenendo la robustezza necessaria senza compromettere la sicurezza. In caso di stacco, i paracaduti potrebbero attivarsi automaticamente e, in aggiunta, un sistema di airbag potrebbe ridurre ulteriormente l’impatto durante l’atterraggio.
Inoltre, i miglioramenti nelle tecnologie di controllo e monitoraggio potrebbero contribuire a rendere più sicura la separazione della capsula. Con il giusto addestramento dell’equipaggio e una pianificazione dettagliata, sarebbe possibile gestire le emergenze in modo efficace e ridurre al minimo i rischi per i passeggeri e il personale di volo.
# Quando sarà implementato?
Una delle domande più importanti che rimangono aperte riguarda la tempistica per l’implementazione di questa tecnologia. Sebbene il progetto di Tatarenko abbia attirato l’attenzione e mostrato potenzialità significative, il passaggio da un’idea innovativa a una realtà operativa richiede tempo, ricerca e investimenti.
Le compagnie aeree e i produttori di aeromobili devono valutare attentamente i costi e i benefici di un sistema così radicale. Inoltre, è necessario condurre test rigorosi e ottenere le approvazioni necessarie da enti di regolamentazione dell’aviazione.
La strada verso l’adozione di questa tecnologia non è semplice, ma la possibilità di salvare vite umane in situazioni di emergenza giustificherebbe gli sforzi. La crescente preoccupazione per la sicurezza aerea potrebbe spingere le aziende a esplorare attivamente questa opzione.
La proposta di una capsula di salvataggio staccabile rappresenta una possibilità affascinante, ma ci porta a riflettere su questioni più ampie. Sarà sufficiente un’innovazione tecnologica per mettere fine ai timori legati al volo, o ci vorrà un cambiamento culturale? Le persone si fideranno davvero fidarci di un sistema che richiede una integrazione perfetta tra ingegneria e gestione delle emergenze?
# L’altra novità degli aerei del futuro: niente pilota
Oltre alla capsula di salvataggio, il futuro dell’aviazione potrebbe vedere l’introduzione di tecnologie in grado di far volare gli aerei in modo autonomo o da remoto. L’idea di una cabina di pilotaggio vuota potrebbe diventare una realtà, contribuendo a migliorare la sicurezza e a ridurre i costi operativi.
Attualmente, si sta lavorando su progetti che mirano a trasformare l’industria aerea attraverso aerei senza pilota. Un esempio emblematico è il consorzio britannico Astraea, che ha già realizzato esperimenti per un aereo commerciale pilotato a distanza. Con la crescente automazione e l’uso di sistemi avanzati di sensori e comunicazione, è possibile immaginare aerei che, come i droni, possono operare con un livello di autonomia sempre maggiore.
Eliminare la figura del pilota, si dice, non solo potrebbe migliorare la sicurezza — dato che il fattore umano è ritenuto responsabile di oltre la metà degli incidenti aerei — ma anche ridurre significativamente i costi per le compagnie aeree. Queste potrebbero destinare risorse risparmiate a miglioramenti infrastrutturali o a servizi per i passeggeri. Inoltre, la cabina di pilotaggio inutilizzata potrebbe essere trasformata in una lussuosa area riservata per i passeggeri, aumentando così l’attrattiva dei voli commerciali.
Sebbene ci siano molte sfide da affrontare, tra cui la gestione delle emergenze e la necessità di approvazioni normative, il potenziale per un futuro con aerei autonomi è innegabile. Queste innovazioni potrebbero non solo cambiare il modo in cui voliamo, ma anche la nostra percezione della sicurezza aerea, rendendo i voli più accessibili e, soprattutto, più sicuri per tutti.
Con l’idea di aerei senza pilota che si affaccia all’orizzonte, stiamo per entrare in una nuova era per l’aviazione, un era dove il fattore umano verrà quasi completamente eliminato? Ma non ci sentiremo più sicuri sapendo che ci sono uomini e donne al comando, pronti a prendere decisioni importanti in situazioni critiche? Nonostante tutto, il potenziale di salvare vite e migliorare l’esperienza di volo è troppo grande per essere ignorato. Siamo pronti a mettere in discussione le nostre certezze e ad accogliere il cambiamento?
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Un business milionario che sta prendendo sempre più piede anche a Milano quello delle cliniche delle longevità e dei locali dove all’healty food come complemento di uno stile di vita sano.
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Milano è una città per vecchi: la longevità è un business
# Il business della longevità
alba1970-pixabay – Corsa
Fioriscono infatti le cliniche della longevità. Un business milionario che a Milano sta prendendo sempre più piede, al punto che lo scorso marzo si è tenuto un summit dedicato al tema della longevità, del benessere e del vivere bene e meglio, oltre che più a lungo. Da qui una serie di cliniche tutte dedicate al vivere sano, alla educazione al benessere psicofisico e alla consapevolezza di sé. Grazie ad avanzati dispositivi tecnologici, a strumenti di avanguardia ed ai progressi tecnico scientifici del settore, queste cliniche sono in grado di garantire un percorso di vita più duraturo e migliore che accompagna l’individuo verso la terza e la quarta età.
Come assicurarsi dunque una vita migliore e più longeva? Basta andare in una clinica della longevità dove, anche grazie al supporto di equipe mediche specializzate, si affianca alla socialità alla vita attiva e al mangiare sano, anche un percorso medico studiato ad hoc.
# Le cliniche
# The longevity suite, la plurisede della longevità
laorsenigo IG – The Longevity Suite
Tra le tante, The longevity suite é quella che vanta più sedi a Milano. Una distribuzione capillare del benessere come la city clinic vicino piazza Gae Aulenti o la sontuosa spa in via S. Andrea. Tutte accompagnano il cliente attraverso un percorso che lo trasformi nella migliore versione di sé stesso. Ricerca scientifica, supporto medico e benessere psicofisico sono i punti di forza.
# La spa della longevità in un hotel di lusso
thelongevitysuite IG – Longevity suite
Ancora presso l’Hotel Portrait esiste una longevity suite all’avanguardia, una vera e propria oasi di benessere incastonata in un luxury hotel, con tanto di piscina sauna, bagno turco e tutto quanto serva a ottenere benessere.
# So longevity clinic, la medicina della longevità
Solongevity clinic
In via Petrella, una clinica dotata di una sofisticata diagnostica e interventi terapeutici mirati, che garantiscono un miglioramento per tutti e per tutte le età. Strumenti di avanguardia e approfonditi percorsi terapeutici, permettono poi di individuare le priorità su cui intervenire.
# Longevity kitchen, la longevità a tavola
thelongevitykitchen IG
In via Melzi d’Eril un ristorante che propone un menù gourmet ispirato alle blue zones. Un luogo dedicato all’healty food come complemento di uno stile di vita sano così che cibo e salute vadano di pari passo. Quindi insalate, quinoa, yogurt e pesce, sono solo alcune delle molteplici pietanze proposte in questo luogo. Per chi lo desidera, c’è anche la possibilità di ricevere a casa una box contenente piatti già pronti, cucinati in base alle esigenze personali, studiate ad hoc da un apposito team medico.
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Tutta l’Italia è colma di piccoli misteri, leggende metropolitane e aneddoti legati ad alcuni monumenti o decorazioni cittadine. Questo è risaputo soprattutto per paeselli di provincia e luoghi non esattamente popolati, certo, ma è pur vero che anche in grandi città come Napoli, Roma o Torino vi sono delle credenze che alcune zone si portano dietro, alimentate negli anni come un lento fuoco per cui il passaparola non può che accrescerne la fama. Neanche a dirlo, Milano non è da meno. Vediamo dunque quali sono quelle più cariche di mistero e curiosità leggendarie.
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Le 7 leggende metropolitane più popolari a Milano
# I tre giri sul toro “portafortuna”
Credits: @laura.nascimbene toro galleria
La Galleria Vittorio Emanuele II, il passaggio pedonale che collega piazza Duomo con piazza Scala, è caratterizzato da uno sfarzo di elementi, colori e richiami ad altre culture o città italiane. Tra queste si ricorda anche Torino, città sabauda prima capitale d’Italia, grazie al toro rappresentato in un bellissimo mosaico. Da anni l’animale richiama milanesi e turisti da ogni dove per compiere il rito scaramantico: tre giri sugli attributi del toro col tallone del piede destro. Le dicerie nel corso degli anni sono state diverse in merito a questo rito, dalla fertilità per le donne, al garantirsi una seconda visita a Milano fino al buon auspicio per il nuovo anno. Qualunque sia il motivo del rito quello che è certo è che l’attrazione attira un altissimo numero di persone disposte a mettersi in coda per compierlo.
# Il sederino d’oro delle sirene
Credits: @ireromaniells Ponte delle Sirene
Realizzato su progetto dell’architetto Francesco Tettamanzi e inaugurato nel 1842, quando a Milano comandavano ancora gli Asburgo, il Ponte delle Sirenette (primo ponte in ferro mai realizzato in Italia) si trovava originariamente sul naviglio che scorreva in contrada San Damiano, nel punto che oggi collega via Borgogna e via Pietro Mascagni attraversando via Uberto Visconti di Modrone. E lì ci è rimasto per ben ottantotto anni, fino al 1930, quando l’interramento della Cerchia dei Navigli ha costretto il ponte a trasferirsi nell’attuale location di Parco Sempione.
Le storie e le leggende che circondano il Ponte delle Sirenette si riferiscono soprattutto al primo periodo. Quasi subito, infatti, le sirene di ghisa che adornavano e adornano tutt’ora i quattro angoli del ponte diventarono molto popolari tra i giovanotti milanesi, date le loro curve particolarmente generose. Si narra, infatti, che tra i maschietti del tempo ci fosse l’usanza di toccarne i seni o il sedere come rito propiziatorio in vista di un appuntamento galante. Le chiamavano le “sorelle Ghisini“, perché fatte di ghisa, o ancor più scherzosamente “i sorei del pont di ciapp” (sorelle del ponte delle chiappe), in onore del didietro non meno prosperoso del davanti.
Un’altra leggenda legata a questo punto è che chi si bacia qui non verrà mai tradito. Sarà vera?
# Le streghe di Piazza Vetra
Tra le più antiche testimonianze di streghe a Milano appaiono gli atti del processo a Sibilla Zannie Pierina Bugatis, condannate alla pena capitale nel 1390 e arse in piazza Sant’Eustorgio perché accusate d’aver partecipato a dei “sabba”, messe nere nella zona dell’attuale Porta Romana, ove un tempo c’era una foresta, e precisamente in via Laghetto 2, dove la leggenda posiziona la residenza di una fattucchiera che comandava altre streghe del Verziere. L’esecuzione più famosa che la storia ricorda fu quella di Caterina dei Medici, e questo era il luogo dove veniva condotto chi veniva accusato di stregoneria e torturato perché confessasse i suoi malefici. Una volta estorta la confessione la malcapitata veniva bruciata viva davanti alla folla che acclamava giustizia e scalpitava per vedere una strega arsa viva sul patibolo. Il patibolo si trova dove ora c’è la statua di San Lazzaro Martire, e non lontano da lì il contrappasso ci regala un’altra perla di storia medioevale. Pietro da Verona, ovvero il frate boia delle suddette streghe, nella statua viene raffigurato proprio con una bella spada conficcata nel suo cranio, secondo quella che sarebbe stata la sua fine.
# I resti dei Re Magi
Credits: @alessia_dimo_ Basilica Sant’Eustorgio
Sempre nella Basilica di Sant’Eustorgio sono custodite alcune reliquie dei Magi, o meglio, il pesante sarcofago che le trasportò fino a lì. Pare che il carro su cui viaggiavano le reliquie fosse troppo pesante, tanto che i buoi si fermarono in Porta Ticinese, non riuscendo ad arrivare a destinazione. Eustorgio, che allora era il vescovo di Milano decise che non era un problema: se le reliquie non fossero andate alla Basilica sarebbe stata la Basilica ad andare alle reliquie, e nel punto in cui i buoi si erano piantati fece costruire quella che oggi conosciamo come la chiesa che porta il suo nome. Le reliquie furono poi trafugate per ordine di Federico Barbarossa, che se le fece portare a Colonia. Nel 1906 il Cardinal Ferrari riuscì a farsene restituire una piccola parte, che adesso è conservata in un’urna. La presenza dei Magi, o di quel che ne rimane, si può notare anche dal fatto che sulla punta del campanile di Sant’Eustorgio, al posto della croce, c’è una stella a otto punte, simbolo della cometa che guidò i Magi a Betlemme.
# Le ossa di San Bernardino
Chiesa di San Bernardino alle Ossa. Credits: @lavy.92 IG
Nel centro storico della città, all’ombra della parrocchiale di Santo Stefano, vi è un luogo dai tratti macabri e misteriosi. È la piccola chiesa di San Bernardino alle ossa, un antico ossario costruito nel 1268 dalla Confraternita dei disciplini e oggi importante luogo di culto per i vecchi milanesi. Migliaia di teschi, tibie e altri resti umani a decorare le pareti con fare artistico in composizioni di croci trattenute da sottili reticelle. E, in alto, i crani che osservano in silenzio i fedeli e i turisti. Tutto questo accade a Milano, da molti, moltissimi anni. Nonostante la sua lunga storia secolare fatta da vicissitudini di morte, distruzione e ricostruzioni, San Bernardino alle ossa resiste tuttora nel tempo insieme alle sue spoglie mortali, le quali adornano per intero le superfici verticali interne alla cappella. Ma da dove vengono tutte quelle ossa? C’è chi dice che siano i resti provenienti dai cristiani uccisi dagli eretici prima del Mille, forse santi o martiri, magari gli appestati manzoniani del 1630, o forse solo le ossa esumate dal vecchio ospedale della zona, soppresso nel 1652.
# La colonna del Diavolo
Credits: @duomo.viaggi colonna del diavolo
Oltre al Duomo, la seconda chiesa più conosciuta di Milano è la Basilica di Sant’Ambrogio, dedicata proprio al santo patrono della città di Milano. Proprio a sinistra della Basilica c’è la Colonna del Diavolo, una colonna di epoca romana con due grossi fori ad altezza d’uomo. La leggenda della colonna del diavolo narra che una mattina Sant’Ambrogio incontrò Satana, il quale tentò di convincerlo a rinunciare al suo compito di vescovo. Sant’Ambrogio lo colpì con un calcio, facendolo sbattere con le corna contro la colonna. Il diavolo rimase incastrato nella colonna fino al giorno dopo, quando scomparve proprio all’interno di uno dei due fori.
# Il fantasma del Duomo
All’interno del Duomo sembra si nasconda un fantasma di una giovane donna scomparsa improvvisamente tra le guglie dell’edificio. Secondo una vecchia leggenda, questa dama misteriosa è il fantasma di Carlina, vissuta vicino a Como, a Schignano, dove si usava far vestire le spose a lutto, per ingannare gli uomini del feudatario del luogo, il quale aveva il diritto di consumare la prima notte di nozze con le giovani appena sposate (il famigerato ius primae noctis). Fu così che un giorno, una nebbiosa e fredda giornata di Ottobre, Carlina si sposò con Renzino avvolta nel suo abito nero e partirono verso Milano per il viaggio di nozze. Decisero prima di salire sul Duomo immerso nelle nebbia, tra le statue e le guglie che fecero aumentare l’ansia di Carlina che si era concessa ad un giovane straniero prima delle nozze, rimanendo incinta. La giovane decise però di non dire nulla al futuro sposo Renzino facendogli credere che quel figlio fosse suo, ma in quel momento, avvolta dalle nebbie con quelle figure sinistre, lasciò la mano dello sposo e cominciò a correre in preda ad un attacco di panico dovuto al peso che portava nel cuore, cadendo nel vuoto inghiottita dalle guglie del Duomo.
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Unico, imitato, ma mai dimenticato. Questo è il Drive In, il programma per antonomasia degli anni Ottanta che lo scorso anno ha compiuto quarant’anni.
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Quando la domenica italiana era del Drive In, il manifesto della comicità milanese
# L’idea nasce da un ligure
guardalatv IG – Antonio Ricci
Sembra passato un secolo, eppure poco più di quarant’anni fa un uomo nato ad Albenga in Liguria, dopo essersi laureato in lettere, capisce che la sua strada è la televisione. Le sue idee sono innovative e ben presto la Rai lo mette sotto contratto e non ancora trentenne diventa uno degli autori del varietà di punta Fantastico. In seguito, diventa uno dei collaboratori più stretti degli spettacoli del non pentastellato Beppe Grillo, ma la svolta della sua vita è quando varca la soglia di Silvio Berlusconi ad Arcore. I due parlano, discutono e alla fine esce l’idea del decennio. Nasce il Drive In che andrà in onda sul neoacquisto televisivo Italia 1. Quell’uomo risponde al nome di Antonio Ricci e ha cambiato la storia della televisione italiana.
# Comici e ballerini in un Drive In all’americana
Wikipedia – Gianfranco D’Angelo ed Ezio Greggio
L’idea è geniale: ambientare lo spettacolo in un fantomatico drive in di chiara ispirazione americana. Il ruolo del proprietario è affidato a Gianfranco D’Angelo che insieme al suo aiutante Ezio Greggio cercano di approfittare dell’ingenuo cliente Enrico Beruschi che, per evadere dall’opprimente moglie, si reca al Drive In per corteggiare la cassiera Carmen Russo, poi sostituita da Lory Del Santo.
A differenza di quello che fino ad ora era stato visto e usato in tv nei diversi varietà, il programma prevedeva l’utilizzo di numerosi comici che mischiandosi con gli intermezzi delle ballerine (le ragazze fast food), la messa in onda degli sketch britannici di Benny Hill, faceva del programma una sorta di “macedonia di generi” (parole di Antonio Ricci nda). Infine, tra sit com, effetti speciali, satira politica, parodie, gag, barzellette, tormentoni, un montaggio incalzante, il programma diventa un vero e proprio punto di rottura della televisione. Sancisce la nascita ufficiale della tv commerciale e il successo è immediato. Dopo la prima edizione del 1983 girata negli studi di Roma e andata in onda il martedì, dalla seconda, tutto lo staff viene spostato nei più spaziosi set di Milano e lì rimarrà fino al 1988. La trasmissione passa di domenica dove resterà fino alla sua chiusura.
Il pubblico si affeziona e l’audience aumenta giorno dopo giorno. Come non ricordare quando il 31 dicembre dell’83, l’allora Fininvest decise di trasmettere a reti unificate (Canale 5 e Italia 1) la puntata speciale per la fine dell’anno, fu la coronazione del successo del Drive In.
Il programma andò in onda per sei anni consecutivi, senza mai andare incontro ad un insuccesso o ad un calo di spettatori. Negli anni successivi, il programma viene riproposto su Italia 1 con un montaggio diverso e durata più breve e nel 2003, per il ventennale, Canale 5 mandò in onda una serie di quattro puntate chiamate Drive In Story. Quasi a voler dire che il programma non è mai stato dimenticato.
# La risposta milanese alla comicità romana della Rai
Enzo Braschi nella parodia del paninaro
Così come il Derby, che fu il principale locale notturno dove i comici e cabarettisti milanesi e non cominciavano ad affacciarsi nel mondo dello spettacolo, anche il Drive In fu una importante vetrina per la nuova comicità italiana, targata anni Ottanta. La presenza di alcuni artisti in particolare fu oggetti di analisi sul piano “geografico”. La scenografia e la composizione degli artisti (per maggioranza milanesi o comunque settentrionali) venne visto come una risposta meneghina alla comicità romana e meridionale da anni imperava nel mondo dello spettacolo. Beniamino Placido, in un’intervista dell’epoca, sostenne che in Italia si stavano formando due fazioni televisive: i nordisti che guardano Drive In e i sudisti che guardano Quelli della notte. Anche lo scrittore Mario Soldati paragonò il programma come una ventata di aria fresca di comici pronti a spazzare il romanesco.
Senza contare il fatto che Drive In fu visto come un’analisi negativa e profonda del tessuto sociale del tempo. Fu definito come il simbolo della americanizzazione dell’Italia, dell’edonismo, del reaganismo, del craxismo, ma soprattutto della Milano da bere.
Del programma non si possono dimenticare personaggi che, purtroppo, oggi non ci sono più, ma che hanno lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo dei telespettatori.
Penso a Giorgio Faletti (porco il mondo che c’ho sotto i piedi), il commissario Zuzzurro (ce l’ho qui la brioche), Gianfranco D’angelo (pippo pippo pippo), ma come ho detto precedentemente, il Drive In fu una vetrina importantissima per i comici milanesi o di origine milanese o comunque, che hanno legato il proprio nome alla città.
Ezio Greggio che, pur essendo di origini piemontesi, ha incarnato la milanesità meglio di tanti altri. Interpretò il banditore dell’Asta Tosta (“oggetti tosti per tutti i gosti”) che alla fine dell’asta proponeva sempre un’opera di un certo Teomondo Scrofalo, introdotto con la frase «è lui o non è lui? Cerrrto, che è lui!». Il Criticatutto (bada ben bada ben…»). L’esperto di Spetteguless, riproposto a Striscia la Notizia, che fece epoca col suo slogan (chi ha cuccato la Cuccarini?). Il dottor Vermilione parodia del celebre psicanalista Armando Verdiglione.
Massimo Boldi, anche lui di origini varesotte, è considerato da tutti come il milanese doc per eccellenza, caratteristica che ha interpretato più volte al cinema. Il programma fu, per lui, la rampa di lancio per alcuni personaggi (Cipollino e Bold Trek) che poi ripropose in altre trasmissioni riscuotendo il medesimo successo, questo prima di diventare una delle star di cinepanettoni.
Andrea Brambilla in arte il commissario Zuzzurro. Fece coppia fissa con Nino Formicola (milanese doc) con il quale interpretava il duo Zuzzurro e Gaspare. Memorabile fu il tormentone (ce l’ho qui la brioche), ma anche quando ai due si aggiunse Isaia, una sorta di sosia di Marty Feldman di Frankenstein Junior, il commissario era solito chiamarlo “Faccia da strudel…” Purtroppo ci ha lasciato dieci anni fa esatti.
Enzo Braschi è ricordato e lo sarà per sempre per la sua interpretazione del paninaro, fissato con le sfittinzie, i panozzi, il gargarozzo e i Duran Duran, in particolar modo la canzone Wild Boys con la quale terminava il suo sketch. Seppur di origini genovesi, il paninaro fu un successo talmente altro che portò l’attore ad interpretarlo anche in film come Italian Fast Food, Animali metropolitani e Ragazzi della notte.
Sergio Vastano, seppur romano doc, interpretò con una certa convinzione uno studente calabrese fuori sede che vive e si atteggia da top manager bocconiano impersonificando il tipico yuppy.
Piersilvio Berlusconi, sì avete letto bene, il figlio del Cavaliere all’epoca aveva diciassette anni e ogni tanto compariva nello show nei panni di sé stesso che cercava di far firmare alle ragazze dei finti autografi. Successivamente chiamava il padre per dirgli che aveva raccolto un sacco di firme per abbassare gli stipendi. Di certo non era un comico, ma era esilarante.
Qualcuno di voi li ricorda? Chi era il vostro personaggio preferito?
Dopo la “fetta di torta” a nord ovest della città, un altro palazzo dalla forma alquanto insolita. Scovato dal blog Urbanfile che ci svela come è fatto e perché è fatto così.
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Il “Triangolo” di Milano: il curioso palazzo stretto di Monforte
Dopo la “fetta di torta“ a ovest della Bovisa, ecco un altro edificio dalla forma simile e alquanto insolita. Siamo nel Municipio 4, in zona Porta Monforte, in Via Macedonio Melloni 1 angolo Viale Premuda. Particolarmente stretto sul lato del viale e apparentemente normale sull’altro lato dove c’è un muro cieco di confine.
Bisogna andare indietro di un secolo per capirne il motivo. Fino al 1919-12 Viale Premuda, che allora si chiamava Bastioni di Porta Vittoria, non era intersecata in quel punto da vie ma vi era una cortina di edifici dell’800. L’edificio fu quindi costruito in seguito all’apertura di Via Melloni, verso la fine degli ’20 del ‘900 sulle macerie delle case demolite.
Maps – Palazzo stretto
Dato lo spazio troppo esiguo del lotto, chiuso dal palazzo di viale Premuda 42 e dal piccolo edificio-magazzino al civico 3 di via Melloni, l’architetto incaricato fu obbligato a costruirlo con una forma triangolare molto stretta su Viale Premuda. Proprio su questo lato fece costruire un bovindo, dall’inglese bow window, una finestratura ad arco che fuoriesce dal muro per costruire una stanza abbastanza ampia.
# Realizzato in uno stile tra l’art dèco e il razionalismo
Lo stile è un mix tra l’art dèco e il razionalismo, con una facciata su tra livelli distinti che sono separati da due fasce marcapiano a rilievo. Il piano strada è in cemento grigio a imitazione della pietra, il primo e il secondo intonacati in azzurro e il terzo piano con le finestre intervallate da cornici a rilievo.
Credits Urbanfile– Vista altro lato palazzo stretto
Al centro della facciata un’alta finestra dotata di un’intelaiatura geometrica, incastonata con vetri smerigliati di diverse tonalità d’azzurro, che copre tutto il corpo scale.
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Milano è la città dei palazzi immensamente belli che si osservano passando lungo i grandi viali trafficati. Ma quali sono i più belli della città? Andiamo a scoprire la top 10 fatta da latuaitalia.
Questi sono i 10 palazzi più belli di Milano (immagini)
# Palazzo dei Giureconsulti
@stevedrummer94
Costruito tra il 1562 e il 1654 ha una storia molto particolare. La facciata presenta un porticato ritmato da archi sostenuti da doppia colonna e rilievi dei busti degli imperatori, troviamo poi una statua di Sant’Ambrogio e un altorilievo di Orfeo che suona la cetra.
Il palazzo si affaccia su Piazza Mercanti, che anticamente era il centro politico e amministrativo della città. Era destinato dal principio a essere un luogo importante la città: dal 1808 al 1901 ospita la prima Borsa Valori di Milano e successivamente dal 1911 diventa la sede della Camera di Commercio.
Oggi il palazzo è un centro polifunzionale che ospita convegni ed eventi legati soprattutto alla moda e al design.
# Palazzo Marino
@wikipedia
Palazzo Marino è uno dei più famosi di Milano ma siete sicuri di conoscerlo davvero?
È stato commissionato dal conte Tommaso Marino, banchiere e mercante genovese, all’architetto Galeazzo Alessi che ne guidò la realizzazione tra il 1557 e il 1563. Alla morte del conte però, la famiglia Marino subì una profonda crisi economica che portò al pignoramento del palazzo da parte dell’amministrazione pubblica. La struttura venne poi venduta in condizioni di degrado alla famiglia Omodei, che riuscì a fare solo un piccolo restauro e senza mai usarla come abitazione. Riacquistato dallo Stato nel 1781, Palazzo Marino subisce una serie di ristrutturazioni durante la storia fino all’ultima nel secondo dopo guerra a causa dei bombardamenti.
Dopo l’unità d’Italia il palazzo diventa la sede del comune di Milano ma non solo, Palazzo Marino è visitabile, come una sorta di museo che racchiude e spiega la storia milanese attraverso i suoi interni. Le sale visitabili sono: il Cortile d’Onore, Sala Alessi, Sala Marra, Sala del Consiglio Comunale, Sala dell’Orologio e Sala Giunta. È prevista l’apertura di quattro nuove sale: delle Tempere, degli Arazzi, Trinità e Risurrezione.
Deve il suo nome alla famiglia che lo ha acquistato e abitato dalla meta del ‘600 alla fine del ‘700. A quell’epoca era uno dei palazzi più lussuosi della città. L’esterno del palazzo si presenta piuttosto sobrio e non lascia trasparire la bellezza e la ricchezza che si nasconde dentro. Lo scalone d’onore è unico nel suo genere, nessun palazzo milanese presenta infatti statue femminili all’orientale lungo il corrimano.
La particolarità più bella, però, è sicuramente la volta della galleria di rappresentanza affrescata da Giambattista Tiepolo, in cui è rappresentata “La corsa del carro del Sole”, una scena mitologica in cui compaiono divinità greche e personaggi terresti che rappresentano i continenti. Le decorazioni in legno che tappezzano le pareti della sala testimoniano l’eleganza e lo sfarzo della famiglia Clerici e della classe agiata milanese di quel secolo.
Dietro Piazza San Fedele troviamo la Casa degli Omenoni, il cui nome deriva dagli 8 omenoni (grandi uomini) scolpiti sulla facciata dell’edificio da Antonio Abondio. Fu Leone Leoni nel 1565 a ordinare la costruzione di questo palazzo che diventò poi la sua dimora. Le grandi statue simboleggiano dei barbari sconfitti dalla forza di Roma.
Oltre alle grandi statue con i nomi delle loro stirpi indicate sopra il capo, in facciata troviamo anche nicchie, finestre e i balconcini che sono stati aggiunti nell’800. All’interno del palazzo, invece, troviamo un cortile a pianta rettangolare.
Casa degli Omenoni è ancora sede del “clubino”, un esclusivo Circolo per soli uomini aperto nel 1901, che era ritrovo per la borghesia e aristocrazia illuminata di Milano.
# Palazzo Belgioioso
@davesf91
Fu costruito nel 1787 da Giuseppe Piermarini per il principe Alberico XII di Belgioioso d’Este ed è un edificio in stile neoclassico ispirato alla Reggia di Caserta. Sulla facciata presenta il caratteristico bugnato rinascimentale e due ordini superiori con 4 colonne in ordine gigante e bassorilievi che fanno da marcapiano. L’interno è riccamente decorato in stile neoclassico, anche lo scalone che presenta i classici vasi a calice.
Il palazzo era un luogo frequentato da molti intellettuali (Parini e Foscolo sono stati ospiti diverse volte qui) poiché Alberico XII di Belgioioso d’Este era un uomo che apprezzava arte e letteratura e aveva creato a Palazzo Belgioioso un vero e proprio salotto culturale.
Oggi la villa appartiene ad un privato e purtroppo non è visitabile.
# Palazzo Museo Bagatti Valsecchi
@museobagattivalsecchi
Questo palazzo nacque dall’idea di Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi che decisero di ristrutturare la dimora di famiglia arredandola nello stile lombardo del ‘500 con oggetti antichi per vivere appieno in quello stile.
La casa rimase ai discendenti fino al 1974 quando uno dei figli di Giuseppe decise di creare la Fondazione Bagatti Valsecchi, alla quale donò le opere d’arte dei suoi antenati. Nel 1994 la dimora diventò il Museo Bagatti Valsecchi.
L’edificio è oggi una delle case museo meglio conservate d’Europa, con pezzi d’arredo del ‘400 e ‘500 sia originali sia d’imitazione.
# Palazzo del Senato
@demerzel75
Il Palazzo del Senato è un edificio del 1608 in stile barocco, voluto dal Cardinale Federico Borromeo come nuova sede del collegio elvetico, uno dei principali lasciti della dominazione spagnola. La facciata è decorata con finestre sormontate da timpani sia triangolari sia curvi, al primo e al secondo piano. All’interno dell’edificio troviamo due grandi cortili, composti da un doppio ordine di logge.
Questo palazzo ha avuto una storia ricchissima: da collegio è passato a sede del governo austriaco, poi sede della Camera Bassa della repubblica Cisalpina e nel 1861 finalmente sede del Senato. Ma non finisce qui: Luigi Osio, direttore generale degli archivi di Lombardia, vide in questo edificio il luogo adatto a custodire i documenti sparsi nei vari edifici milanesi e metterli a disposizione della ricerca. Così nasce l’attuale Archivio di Stato di Milano.
# Palazzo Serbelloni
@wikipedia
Nel 1774 il duca Gabrio Serbelloni affida i lavori della sua nuova dimora a Simone Cantoni. Il Palazzo Serbelloni è un edificio dalla facciata neoclassica, il cui elemento di spicco è il loggiato decorato con bassorilievi in stucco e sormontato dal grande timpano che rende l’edificio una vera perla di Milano.
Dall’esterno è visibile l’atrio del palazzo, affrescato a trompe-l’oeil. Purtroppo i bombardamenti hanno distrutto lo scalone monumentale e il salone da ballo. Il palazzo attualmente ospita convegni e altre manifestazioni nella sala detta “napoleonica”, adeguatamente ristrutturata dopo il 1943. Palazzo Serbelloni appartiene ad una Fondazione che ne permette la visita su prenotazione e lo rende disponibile per eventi culturali e di moda.
# Palazzo Castiglioni
@gloriadellapatrona
Palazzo Castiglioni è stato commissionato nel 1900 dall’ingegnere Ermenegildo Castiglioni all’architetto Giuseppe Sommaruga, in pieno stile liberty. Nella facciata su corso Venezia è ben evidente lo stile dell’epoca: troviamo un netto contrasto fra i muri lisci e la pietra scolpita e le decorazioni vivaci.
All’interno troviamo le opere in ferro di Alessandro Mazzucotelli: la “lampada delle libellule” che si trova nell’atrio e la balaustra dello scalone a due rampe, che sono sopravvissute nel tempo.
# Palazzo Isimbardi
@toskagiuls
Palazzo Isimbardi subisce molti interventi da metà ‘700 in poi finchè nel 1935 viene acquistato dalla Provincia di Milano che decide, insieme all’architetto Ferdinando Reggiori, di recuperare il cortile cinquecentesco originario e il sottoportico. Giovanni Muzio poi aggiunge un nuovo edificio con la torre, i portali colonnati e i pannelli scultorei realizzati da Ivo Soli. Inutili tutti i lavori per portare al massimo la bellezza di tale edificio poichè fu rovinato dai bombardamenti del ’42 e del ’43 che resero necessari altri interventi che finiranno solo nel 1953.
Oggi il palazzo è sede della città metropolitana di Milano. E’ visitabile e al suo interno ospita una mostra di opere ottocentesche e la “Sala della Giunta” dove è presente un affresco del Tiepolo.
Milano avrebbe potuto avere un grande viale nel suo centro, sul modello delle grandi città francesi. Un corso monumentale avrebbe potuto attraversare il centro storico della città ma i lavori si bloccarono a metà strada. Ecco come si sarebbe trasformato il volto di Milano e qual era il successivo progetto: interrare il viale in un tunnel da Missori a Vincenzo Monti.
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La “Racchetta”, il viale monumentale che doveva attraversare il centro di Milano
# Il Piano Albertini del 1934 per rivoluzionare la viabilità del centro città
credits: unitremilano – Piazza San Babila
Chissà come sarebbe la Milano di oggi con un grande viale che passa in pieno centro. Nel Piano Albertini del 1934, che raccoglieva e sviluppava in un disegno le opere già previste nel Piano del 1912, furono introdotte alcune rivisitazioni di idee scaturite dal Concorso di idee per il Piano del 1926-27 tra le quali appunto “la Racchetta”.
Questa arteria studiata dagli uffici comunali diretti dall’ingegnere Cesare Albertini prevedeva una ristrutturazione viaria della zona fra corso Vittorio Emanuele, piazza S.Babila, i quartieri del Verziere e del Bottonuto, per proseguire verso piazza Missori, la zona delle 5 vie, via Vincenzo Monti, per concludersi a piazzale Cadorna.
Credits pinomauli-skyscrapercity – Piazza Diaz anni 30-50
Negli anni Trenta prese avvio un ampio programma di sventramenti della zona interna basato sulla demolizione estesa di interi tessuti, oltre ai luoghi della Racchetta come l’antico Bottonuto anche alcune parti complementari come l’apertura di piazza Diaz, la creazione di piazza degli Affari, la riorganizzazione della zona del nuovo Tribunale.
# L’inizio dei lavori della nuova arteria stradale negli anni ’30 con la distruzione del Bottonuto
Credits: manoxmano – Foto demolizione Bottonuto
Negli anni anni Trenta furono avviati i lavori perla costruzione della nuova arteria stradale della “racchetta”, nel tratto compreso tra piazza San Babila e piazza Missori, con l’abbattimento di edifici esistenti parzialmente coinvolti dai bombardamenti, l’ampliamento di via Larga, l’attraversamento del Bottonuto e la realizzazione di via Albricci.
Credits: @milanocityitalia IG
Questa porzione di tracciato fu conclusa nel secondo dopoguerra assieme alla costruzioni di edifici del moderno milanese, quali quelli di Caccia Dominioni, di Magistretti, di Asnago e Vender e la Torre Velasca dei BBPR, sull’area prima occupata dal quartiere dall’urbanistica di epoca romana Bottonuto.
La sua continuazione attraverso gli isolati di Sant’Alessandro, attraverso la zona archeologica attorno a via Cappuccio fino a congiungersi con via Carducci non fu mai avviata e il secondo tratto della “racchetta” rimarrà incompiuta proprio per effetto dell’inestricabile composizione degli interessi privati coinvolti nell’operazione.
La realizzazione della strada si arrestò in piazza Missori, con la quasi totale distruzione della chiesa di San Giovanni in Conca, di cui rimane oggi solo parte dell’abside all’interno di un’aiuola spartitraffico, colpita dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Credits francinazeta IG – Chiesa di San Giovanni in Conca
# L’idea di proseguire la Racchetta con una strada sotterranea da Missori a Vincenzo Monti
Una Commissione di studio istituita nel 1956 dall’Amministrazione comunale per la revisione del PRG, che ne arrestò l’attuazione, ipotizzò inizialmente una continuazione in tunnel sotterraneoda piazza Missori a via Vincenzo Monti. Anche questa proposta fu accantonata, come la prosecuzione dei lavori di demolizione, con il definitivo abbandono del progetto nel 1958.
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Alla domanda: che cosa sai di Busto Arsizio, il 99% dei milanesi non sa cosa rispondere. La prima ragione per scendere alla fermata sbagliata del Malpensa Express è scoprire perchè nessuno a Milano sa nulla di Busto Arsizio.
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Busto Arsizio, l’incognita lombarda: 10 buone ragioni per scendere alla fermata sbagliata del Malpensa Express
Credits goro_hashi IG – Malpensa Express in partenza dalla Stazione Centrale
#1 Per conversare in dialetto bustocco, uno dei più curiosi d’Italia
Il dialetto bustocco (nome nativo büstocu) si differenzia notevolmente sia dal milanese, sia dai dialetti della provincia di Varese così come da tutti gli altri dialetti lombardi. È parlato da circa il 30% della popolazione.
Le principali differenze rispetto al milanese e ai dialetti vicini sono:
– semplificazione di tutte le consonanti doppie (es. balón)
– riduzione del suono /r/ fino alla sua quasi completa scomparsa (es. lauà invece di lavorare, paòla invece di parola)
– riduzione sostanziale delle sillabe finali
– riduzione in diversi casi di una parola lunga ad un semplice vocalizzo (es. sguá invece di volare).
Nel bustocco si ha la conservazione della vocale atona u e i nel finale delle parole, caratteristica unica di tale dialetto: le forme tècc (tetto) e trèdes (tredici) del lombardo occidentale a Busto Arsizio sono téciu e trèdasi.
Al plurale, quasi sempre, si ha la stessa uscita per il maschile e per il femminile.
A metà ottocento Luigi Ferrario scriveva: «Il dialetto di Busto ha un impronta particolare, che caratterizza, per così dire, l’indole degli abitanti i quali nella pronunzia tendono ad allungare in fine quasi tutte le parole» Un celebre scioglilingua in bustocco recita: “dü öi indüìi in d’u áqua d’Uóna“, che significa: “due uova indurite (sode) nell’acqua dell’Olona”. Non è stupendo?
Secondo teorie e studi accreditati, il dialetto bustocco è così diverso dagli altri dialetti lombardi perché in realtà si collega al dialetto ligure. Tracce di questa impronta restano, secondo molti, anche in alcuni aspetti della mentalità dei suoi abitanti.
#3 Per andare a caccia di pelli
Nel Cinquecento Busto Arsizio uno dei centri principali d’Europa nella concia delle pelli. Le origini di quello che fu un centro tessile di primaria importanza sono da ricercarsi nel Medioevo: nel 1375 “quasi in ogni casa batte un telaio”, scrive lo storico Pietro Antonio Crespi Castoldi nella sua storia di Busto Arsizio (De Oppido Busti Relationes). In epoca medievale era conosciuta anche per lavorazione dei fustagni, mentre nell’Ottocento si aggiunsero le tessiture di cotone.
#4 Per capire perché uno dei comuni più popolati della Lombardia non fa provincia
E per capire perché è in provincia di un comune più piccolo: Busto Arsizio ha 83mila abitanti ed è in provincia di Varese che ha quasi 4mila abitanti di meno. Tra le città non capoluogo di provincia è la sesta d’Italia per popolazione.
#5 Per ammirare le ville nel particolare stile “Liberty bustocco”
Molti imprenditori della zona nel primo novecento costruirono le proprie ville nello stile liberty e art Decò che qui ha preso una sua forma distintiva.
Villa Ottolini Tosi
#6 Per visitare le sue Chiese
Tra cui il Santuario di Santa Maria di Piazza.
Santuario di Santa Maria di Piazza
#7 Per fare un tour delle cascine
Busto Arsizio è la città delle cascine: ce ne sono 80, in gran parte risalenti al sette-ottocento. Tra le cascine più interessanti ci sono: Cascina Bernasconi (a forma di L), Cascina Brughetto, Cascina Burattana, Cascina dei Poveri.
#8 Per andare a tifare le ragazze della pallavolo
A Busto Arsizio gioca una delle squadre di pallavolo femminile più forti d’Italia: la UYBA Volley Busto Arsizio, vincitrice di uno scudetto, tre coppe europee, una coppa Italia. La squadra gioca nel PalaPiantanida, impianto da 5.000 persone.
#9 Per riscoprire la Manchester United del varesotto
L’importante testimonianza del Liberty bustocco ricorda gli antichi sfoggi di una grande potenza industriale che fu chiamata la “Manchester d’Italia“. Come la città inglese un tempo Busto Arsizio era rinomata in ambito calcistico: la Pro Patria era uno squadra di livello nazionale che negli anni trenta e quaranta giocava stabilmente in serie A (in totale 14 partecipazioni). Nella Pro Patria ha giocato anche Peppino Meazza, uno dei più grandi calciatori italiani di tutti i tempi. Nel 2000 la Pro Patria è arrivata seconda nel prestigioso concorso del “Guerin Sportivo”, sulle maglie più belle delle squadre d’Europa.
#10 Per fare un falò
Busto è la città del fuoco: Arsizio viene da ardere e sembra che la città sia stata distrutta più volte dagli incendi. Addirittura il primo incendio che l’ha rasa al suolo risalirebbe al re celtico Belloveso, fondatore di Milano. Lo stesso gonfalone della città ha due B maiuscole: la prima sta per Busto, la seconda per Bruciata e sta al di sopra di una fiamma. L’ultimo giovedì di gennaio la Giöbia, un fantoccio di paglia vestito di stracci, viene bruciata per esorcizzare l’inverno.
Secondo Rough Guides e World of Statisticsquesta la classifica dei paesi più belli del mondo. Spoiler: siamo al secondo posto. La vincitrice è una sorpresa.
Qual è il paese più bello del mondo? L’Italia è seconda. Ecco chi ci batte
Questi i 10 più bei paesi del mondo secondo Rough Guides e World of Statistics, ordinati dalla decima alla prima posizione.
#10 Sud Africa
Cost to cost. Credits: enchantmenttours.com
Unico Paese africano nella top 10. Tra i suoi motivi di merito ci sono che si affaccia su due oceani, Atlantico e Indiano, il mix di culture europee e africane, la bellezza delle coste, Città del Capo, gli altopiani, la spettacolare fauna.
#9 Grecia
credit: reframed.it
Non poteva mancare in classifica la culla della civiltà occidentale con l’Acropoli e i resti della sua età d’oro, con le sue 6.000 isole e i suoi tre mari: Ionio, Egeo e mar di Creta.
#8 Australia
Credits WikiImages-pixabay – Australia
Il Paese grande come un continente intero rappresenta una delle mete più ambite per chi vuole rifarsi una vita. L’Australia è definita da alcuni studiosi “continente fossile”: la maggior parte delle sue rocce si sono formate nel Precambriano. Unica per i suoi spazi immensi, è abitata da appena 25 milioni di persone, le sue spiagge pazzesche, la barriera corallina, i suoi animali endemici, dai canguri al koala. L’Australia è anche il paese dei serpenti più velenosi al mondo.
#7 Norvegia
Credits: @hattvikalodge IG
Paese ricchissimo di materie prime, in particolare petrolio e gas naturale, che contribuiscono a renderlo uno dei paesi più ricchi del mondo, al top negli indici di vita, classificandosi prima per indice di sviluppo umano e per indice di progresso sociale. E’ celebre nel mondo per i fiordi, i vichinghi e il salmone.
#6 Gran Bretagna
Credits londraitalia – Freedom Day
L’isola più grande d’Europa è tra i primi paesi al mondo per ingressi turistici, in particolare richiamati dalla lingua. E’ composta da quattro nazioni unite nello stesso stato: Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord. E’ la nazione che ha dato origine a diversi sport, come calcio, cricket, rugby o il tennis.
#5 Francia
Credits: d.ou.u IG
Forse la sorpresa (negativa) più grande della classifica. Ci aspettavamo un testa a testa tra noi e loro, invece eccola appena in quinta posizione. Si vantano di avere tutto: Alpi, dicono che il Monte Bianco è tutto loro, mare, oceano, città d’arte con la regina Parigi. Eppure sembra non bastare. Addirittura si posiziona dietro… la Svizzera!
#4 Svizzera
Credits: lavoronelmondo.com trasferirsi in svizzera
Più celebre per i vantaggi fiscali per i super ricchi che per le sue bellezze, Orson Wells per questa classifica si starà rivoltando nella tomba: sosteneva infatti che l’unica cosa pregevole fatta dagli svizzera nella storia fossero gli orologi a cucù. Forse non merita questa posizione, però è uno stato piccolo ma ricco di meraviglie, in particolare montagne e laghi, molto valorizzati da un sistema di trasporti unico al mondo.
#3 Canada
Credits: eta-canada.it
Al terzo posto l’unico rappresentante del continente americano. Non sono gli Stati Uniti né il Brasile. Ma il Canada, o Canadà per dirlo alla francese. E’ il secondo Paese più grande del mondo, dopo la Russia, e possiede più laghi e acque interne di qualsiasi altro paese al mondo.
#2 Italia
Credits: tesoriditaliamagazine.it
Eccoci qui. Molti storceranno il naso per questo secondo posto. Il bicchiere mezzo pieno però è che siamo tre posti più avanti dei cugini francesi. Certo è una sorpresa essere dietro a una nazione sconosciuta ai più che sta dall’altra parte del mondo, dove molti di noi pensano che sia solo abitata da pecore, rugbisti e velisti.
#1 Nuova Zelanda
Credits: lonelyplanetitalia.it/
Chi l’avrebbe mai detto? Ai confini del mondo ma prima in classifica. Grande quasi come l’Italia ma abitata più da pecore che da esseri umani (appena 5 milioni). Forse è questa la principale ragione.
La rete della metropolitana copre in maniera abbastanza capillare il territorio del Comune di Milano. Ma se vogliono confrontare le diverse zone di Milano, quali sono quelle meglio e quelle peggio servite dai mezzi dopo che ha inaugurato anche l’ultima tratta della linea M4?
Le zone di Milano più servite dai mezzi pubblici: cosa cambia con l’apertura della M4?
#1 Il centro storico rafforza il suo primato: ora è servito da 25 fermate
Maps – Trasporto Pubblico Municipio 1
Per determinare le zone più servite dai mezzi pubblici, in particolare dalla metropolitana, abbiamo considerato tutte le fermate fisicamente all’interno di un Municipio o che hanno gli accessi nei pressi dei confini dello stesso. La zona meglio servita in assoluto risulta essere il centro storico che viene ricompreso all’interno del Municipio 1. Le fermate sono diventate 25e 4 linee con il completamento della linea M4, rafforzando ancor di più il suo primato per numero di stazioni dentro i suoi confini. Sono così suddivise:
Porta Venezia, Palestro, San Babila, Duomo, Cordusio, Cairoli e Cadorna sulla M1
Moscova, Lanza, Cadorna, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino sulla M2
Porta Romana, Crocetta, Missori, Duomo, Montenapoleone e Turati sulla M3
Tricolore, San Babila, Sforza-Policlinico, De Amicis, Santa Sofia, Vetra e Sant’Ambrogio per la linea M4
#2 Il Municipio 9 (Isola-Bovisa – Bicocca) può contare su 3 linee e 17 stazioni
Maps – Linee metro Municipio 9
Il secondo Municipio più servito è il numero 9, Isola – Bovisa- Bicocca, a Nord di Milano: conta 3 linee e 17 stazioni così suddivise:
Gioia e Garibaldi FS sulla M2
Comasina, Affori FN, Affori Centro, Dergano, Maciachini e Zara sulla M3
Bignami, Ponale, Bicocca, Ca’ Granda, Istria, Marche, Zara, Isola e Garibaldi FS sulla M5
#3 Nel Municipio 8 (da Quarto Oggiaro a Sarpi) passano 2 linee e ci sono 17 stazioni
Maps – Linee Municipio 8
Molto servito anche il Municipio 8, a Nord Ovest, da Quarto Oggiaro a Sarpi, che può contare su 2 linee, che si incrociano a Lotto, e 17 stazioni,
Molino Dorino, San Leonardo, Bonola,, Uruguay, Lampugnano, QT8, Lotto, Amendola, Buonarroti e Pagano sulla M1
Monumentale, Cenisio, Gerusalemme, Domodossola FN, Tre Torri, Portello e Lotto sulla M5
# Il Municipio 6 raggiunge al quinto posto il Municipio 3, grazie al completamento della M4
Mappa Comune di Milano
Sopra le 10 stazioni troviamo anche:
#4 il Municipio 3, da Porta Venezia a Città Studi e Lambrate, con 15 fermate e 3 linee: la M1 da Lima a Porta Venezia, la M2 da Caiazzo a Udine la M4 da Argonne a Tricolore
#5 il Municipio 6 che fa un balzo dalla penultima posizione, dopo l’inaugurazione integrale della linea M4, con 15 fermate distribuite tra la linea rossa da Bisceglie a Bande Nere, la verde da Famagosta a Romolo e la linea blu da Parco Solari a San Cristoforo FS.
#6 il Municipio 7, a Ovest, da San Siro a Pagano, con 13 fermate e 2 linee: la M1 da Wagner a Bisceglie e la M5 da Segesta a San Siro Stadio
#7 il Municipio 2, a Nord-Est, dalla Centrale a NoLo, con 12 fermate e 3 linee: la M1 da Gorla a Villa San Giovanni, la M2 con le fermate di Stazione Centrale e Crescenzago e la M3 da Centrale a Sondrio
#8 All’ottavo posto c’è il Municipio 4, a Est, da XXII marzo a Forlanini e Porta Romana, con 12 fermate e 2 linee: la M3 da Brenta a San Donato e la M4 dalla stazione Forlanini a Tricolore.
# Fanalino di coda: il Municipio 5 (quello più a Sud), l’unico sotto le 10 stazioni sul territorio
Maps – Fermate che servono il Municipio 5Dal 12 ottobre 2024, data di apertura della M4, rimane solo un Municipio con meno di 10 stazioni: il numero 5. Il fanalino di coda di questa classifica si trova nel “profondo” Sud per via delle sole 3 stazioni su due linee: piazza Abbiategrasso sulla M2 e Lodi T.I.B.B. e Porta Romana sulla M3. In attesa della possibile realizzazione della M6 la situazione rimarrà tale ancora per molti anni.
Il monopattino multi-persona di OMI (Of My Imagination), denominato “Hop“, rappresenta un’innovativa proposta nel panorama del trasporto urbano. Questo veicolo, simile a un mini bus, è progettato per cambiare radicalmente la mobilità nelle metropoli. Ma come evolveranno gli altri mezzi leggeri tradizionali?
Arriva il monopattino «mini bus»: i 4 mezzi di trasporto del futuro che potrebbero rivoluzionare la mobilità urbana
# Monopattini- minibus automatici: una nuova era per il trasporto urbano
Of My Immagination
Il trasporto urbano è in continua evoluzione, cercando di affrontare congestione e inquinamento. “Hop” si propone come una risposta a queste sfide, un monopattino multi-persona autonomo per ottimizzare gli spostamenti. Può trasportare più persone sulle piste ciclabili, combinando le caratteristiche di un monopattino elettrico con quelle di un mini bus, occupando lo stesso spazio di una bicicletta. L’idea alla base di “Hop” è ridurre l’affollamento dei mezzi pubblici e il traffico cittadino.
Il veicolo segue percorsi prestabiliti sulle piste ciclabili, coprendo le distanze tra le fermate del trasporto pubblico e le destinazioni finali. Grazie alla guida autonoma e alla struttura modulare, “Hop” non necessita di un conducente e sfrutta lo spazio in modo più efficiente. Gli utenti possono salire e scendere presso fermate dedicate, mentre un’app permette di prenotare il viaggio, visualizzare i percorsi e ricevere informazioni in tempo reale.
Il design di “Hop” è ispirato alle biciclette, con una struttura tubolare che offre vari punti di appoggio e include cestini per il trasporto di bagagli. L’assenza di sedili tradizionali permette di raddoppiare il numero di passeggeri rispetto ai mezzi convenzionali, proponendo un nuovo approccio alla micromobilità collettiva.
Altri 4 possibili mezzi di trasporto del futuro
La trasformazione di monopattini e biciclette in veicoli collettivi dimostra come la mobilità urbana stia evolvendo verso una maggiore condivisione e integrazione. In un futuro non troppo lontano, potremmo assistere a città in cui i veicoli leggeri e autonomi non solo coesistono con i mezzi pubblici tradizionali, ma li completano, offrendo opzioni di trasporto flessibili e personalizzabili. Ecco tre idee innovative.
#1 La nuova generazione di biciclette: il Bike-Bus
Ideogram.AI
La bicicletta del futuro sarà il “Bike Bus“, una soluzione futuristica capace di ospitare fino a otto persone in due file parallele. Il suo design compatto e maneggevole la rende ideale per muoversi agilmente, mantenendo dimensioni ridotte ma offrendo spazio sufficiente per piccoli gruppi. Ogni passeggero dispone di pedali collegati a un sistema sincronizzato, mentre l’assistenza elettrica garantisce una velocità costante.
A differenza di monopattini e biciclette tradizionali, la Bike Bus offrirebbe un comfort superiore grazie a sedili ergonomici con schienali regolabili. Le coperture modulari proteggono dai maltempi, mentre i vani per i bagagli si trovano sotto i sedili. Un sistema di guida assistita assicura la sicurezza, adattando automaticamente la frenata alle condizioni del traffico.
La tecnologia integrata consente di scegliere percorsi turistici o itinerari personalizzati tramite un pannello touch screen centrale. La Bike Bus non è solo un mezzo di trasporto, ma un’esperienza di mobilità condivisa, perfetta per famiglie, turisti e gruppi di amici.
#2 Skateboard a flusso continuo
Il futuro dello skateboard urbano potrebbe diventare un sistema di trasporto collettivo. Immaginiamo skateboard autonomi che, grazie a intelligenza artificiale e sensori avanzati, possono interagire tra loro per formare un “convoglio” mobile. Questi skateboard si muoverebbero in gruppo, mantenendo distanze sicure e velocità sincronizzate.
Ogni tavola sarebbe progettata con stabilizzatori intelligenti e un sistema di controllo dinamico per garantire l’equilibrio. Questa rete interconnessa potrebbe sfruttare percorsi urbani adattabili, creando un’esperienza di movimento “a flusso continuo“. L’integrazione con l’infrastruttura urbana andrebbe oltre la mobilità: piattaforme mobili potrebbero adattarsi per ottimizzare il flusso degli skateboard.
#3 Cargo elettrici per pendolari: la nuova generazione di scooter
Ideogram.AI
Scooter elettrici trasformati in veicoli autonomi pensati esclusivamente per il trasporto passeggeri. Questi scooter intelligenti, dotati di un sistema di guida autonoma, permetterebbero ai viaggiatori di godersi il tragitto senza stress. Grazie a un design ergonomico e all’assenza di comandi complessi, ogni viaggio diventerebbe un momento di relax.
A bordo, i passeggeri avrebbero un ambiente interattivo. Ogni scooter sarebbe equipaggiato con sistemi di intrattenimento, accesso a piattaforme di streaming e connessione Wi-Fi. Inoltre, un assistente virtuale potrebbe suggerire percorsi panoramici e attrazioni locali, rendendo ogni spostamento un’opportunità per scoprire la città.
Grazie a un design futuristico, gli scooter avrebbero spazi dedicati al relax, creando un’atmosfera confortevole. La possibilità di interagire con altri passeggeri aggiungerebbe un elemento di socializzazione, trasformando il viaggio in un’esperienza collettiva.
#4 Car-sharing sui tetti: le auto leggere volanti
alef model a
Due progetti promettenti stanno emergendo nel panorama delle auto ultraleggere che potrebbero sollevarsi dal suolo, rappresentando un passo significativo verso la mobilità del futuro. L’Alef Model A di Alef Aeronautics, una startup partecipata da SpaceX di Elon Musk, ha mostrato le sue potenzialità al Mobile World Congress 2024 di Barcellona, attirando l’attenzione per il design innovativo e le funzionalità di volo.
Allo stesso modo, l’Hexa di Lift Aircraft ha presentato il suo prototipo al SusHi Tech 2024 di Tokyo, dimostrando come la tecnologia stia evolvendo per affrontare le sfide della congestione urbana. Tuttavia, il trend attuale sembra dirigersi verso soluzioni più piccole e agili, come scooter elettrici e biciclette condivise, che già migliorano l’accessibilità e la flessibilità nel trasporto quotidiano.
Mentre progetti come l’Alef Model A e l’Hexa spingono i confini della tecnologia verso il volo urbano, è importante continuare a investire in soluzioni di mobilità pratiche e immediatamente integrabili nella vita quotidiana. La vera innovazione nel trasporto urbano potrebbe derivare dall’integrazione di diverse modalità, creando un sistema di mobilità più fluido e sostenibile per tutti. Per ulteriori approfondimenti sui veicoli futuristici e i loro sviluppi.
Nuova vita per Bonola: l’ex tintoria Sifta si trasforma in 500 nuove abitazioni
# Una riqualificazione orientata alla comunità e al verde
La rigenerazione urbana e la riqualificazione di spazi industriali dismessi potrebbero essere la strategia chiave per affrontare la crisi abitativa nelle grandi città. Milano sembra aver abbracciato questa strada, con diversi progetti di riconversione che puntano a trasformare vecchie aree industriali in complessi residenziali moderni e accessibili. L’ultimo esempio è la trasformazione dell’ex tintoria Sifta, nel quartiere di Bonola, dove un progetto ambizioso prevede la costruzione di 500 nuovi appartamenti, combinando edilizia residenziale libera e convenzionata con ampie aree verdi.
Il progetto, sviluppato dal Consorzio Cooperative Lavoratori (CCL), dalla Libera Unione Mutualistica (LUM) e dalla società Borio Mangiarotti, mira a riqualificare un’area di circa 35.000 metri quadrati, situata tra le vie Cefalù e Vergiate, nelle immediate vicinanze della fermata della metropolitana Bonola. La presenza della linea M1 rende questa nuova area residenziale particolarmente attraente dal punto di vista della mobilità, favorendo l’accesso ai servizi pubblici e facilitando gli spostamenti verso il centro città.
Oltre agli aspetti abitativi, il progetto include la creazione di 15.000 metri quadrati di spazi verdi, trasformando una zona industriale degradata in un polmone verde. Questa nuova area contribuirà a migliorare la qualità della vita dei residenti e a riconnettere spazi boschivi precedentemente inaccessibili con il tessuto urbano circostante.
# Edilizia sociale e convenzionata: una risposta al caro-affitti?
Uno degli aspetti più rilevanti del progetto è l’attenzione all’housing sociale e convenzionato. Delle 500 unità abitativa previste, il 50% sarà destinato a edilizia residenziale sociale e convenzionata, con una quota del 10% superiore rispetto al minimo richiesto dal piano di governo del territorio di Milano. Questa scelta va incontro alle esigenze di molte famiglie che faticano a trovare case a prezzi accessibili, soprattutto in una città come Milano, dove il caro-affitti è una problematica crescente.
Resta da chiarire, tuttavia, se i prezzi saranno significativamente calmierati rispetto al mercato libero. Anche se il progetto promette di aumentare l’offerta di abitazioni a prezzi inferiori, bisognerà verificare se la disponibilità di questi alloggi sarà sufficiente a ridurre la pressione sui costi abitativi. La scelta di destinare metà degli appartamenti alla vendita libera potrebbe ridurre l’impatto sociale dell’intervento, se i prezzi delle case convenzionate non saranno adeguatamente inferiori a quelli di mercato.
La trasformazione dell’ex area industriale avrà un impatto significativo sul quartiere Bonola, già caratterizzato da un mix di edilizia popolare e spazi commerciali, con una buona accessibilità ai servizi grazie al centro commerciale omonimo e alla metropolitana. L’introduzione di 500 nuovi appartamenti, insieme all’ampliamento delle aree verdi, potrebbe portare a una rivalutazione dell’intero quartiere, attraendo nuovi residenti e favorendo lo sviluppo di attività commerciali e di servizi.
L’intervento di rigenerazione urbana non si limita alla costruzione di nuove case, ma mira a creare un ambiente che favorisca la socialità e l’inclusione. I nuovi spazi verdi e la mixité abitativa possono contribuire a migliorare la percezione di Bonola, rendendolo più attrattivo per famiglie e giovani professionisti. Tuttavia, questa evoluzione potrebbe anche portare a un incremento dei costi immobiliari, con il rischio di una futura gentrificazione e l’espulsione dei residenti storici a causa dei prezzi crescenti.
In definitiva, la trasformazione dell’ex Sifta rappresenta un’opportunità per dare nuova vita a Bonola, aumentare la disponibilità di alloggi a prezzi contenuti e migliorare la qualità della vita grazie ai nuovi spazi verdi. Tuttavia, sarà essenziale che l’edilizia convenzionata mantenga il suo impegno verso l’accessibilità, assicurando che le case siano effettivamente alla portata di chi ne ha bisogno.
Se realizzata con attenzione, la riqualificazione di Bonola potrebbe diventare un modello di successo replicabile in altre aree della città, garantendo un equilibrio tra sviluppo immobiliare e inclusione sociale.
Se la metro in miniatura di Londranon è abbastanza, c’è un’altra curiosa esperienza da provare nelle viscere delle città: la metro cabriolet di Berlino. Scopriamo come funziona, cosa si vede e il percorso effettuato.
A Berlino si può viaggiare con la metro cabriolet: un’idea per Milano?
# A 35 km/h alla scoperta della Berlino sotterranea
yvonnedeandres IG – U-Bahn Cabrio
Per chi vuole scoprire Berlino da un altro punto vista può farlo a bordo della “U-Bahn-Cabrio”, una metropolitana cabriolet, Un’idea nata per caso nel 1995, quando dei giornalisti visitarono una galleria con un treno da cantiere, e che la principale azienda di trasporto della capitale tedesca, la BVG, ha deciso di trasformare in un tour sotterraneo.
Ubahn-Cabrio
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rahimealgan IG - Ubahn-Cabrio
liebernichtjetzt IG . Bahn Tunnel
Si viaggia a 35 km/h nei tunnel del metropolitana di Berlino sui sedili di metallo di un treno elettrico da cantiere convertito, composto da quattro carrozze e un tempo adibito al trasporto di materiale da costruzione, trainato da una locomotiva di manovra.
# Cosa si vede durante l’esperienza
moshapla IG – Ubahn Cabrio
Durante l’esperienzasi possono scoprire alcuni luoghi davvero particolari presenti nelle viscere della città. Tra questi una stazione della metropolitana utilizzata come una cantina per le patate e una come bunker nucleare che poteva ospitare un massimo di 3.300 persone. Nel tour la guida illustra anche i fatti più interessanti e curiosi sulle caratteristiche strutturali e sui 112 di storia della metropolitana di Berlino.
# Un percorso di due ore con partenza dalla stazione di Deutsche Oper
Percorso metro Cabriolet
Il trenino parte dalla stazione della metropolitana Deutsche Oper e attraversa Berliner Straße, Kurfürstendamm, Osloer Straße, Gesundbrunnen, Alexanderplatz, fino a Hermannplatz, per poi concludersi dopo due ore nella stazione di partenza. Durante il viaggio è obbligatorio indossare il casco protettivo. L’esperienza è disponibile solo il venerdì, da aprile ad ottobre, in due fasce orarie: alle 7 alle 10.30 di sera. I posti disponibili sono 200 a viaggio e il prezzo intero è di 58 euro a persona.