«Milano da quel giorno rimarrà una città senza porto». Ma qual è la storia del porto di Milano?
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31 marzo 1979. In Darsena arriva l’ultimo barcone con il suo carico di sabbia
31 marzo 1979. In Darsena al Ticinese arriva l’ultimo barcone con il suo carico di sabbia. «Milano da quel giorno rimarrà una città senza porto». Ma qual è stata storia del “porto di Milano”?
# Il “porto fluviale romano di Milano”
Tra via del Bottonuto e via San Clemente davanti alla mura romane si estendeva una banchina portuale affacciata ad un laghetto: consentiva l’attracco di piccole imbarcazioni in corrispondenza dell’attuale via Larga, lungo la quale scorreva il Seveso. Il laghetto era conosciuto come “porto fluviale romano di Milano”. Venne in seguito prosciugato: al suo posto fu realizzata una fossa di scolo delle acque di scarico e dei rifiuti, chiamata butinucum, che diede poi il nome al quartiere Bottonuto.
La Darsena nasce nella zona dove prima esisteva il laghetto di Sant’Eustorgio, bacino artificiale realizzato nel Medio Evo: la Darsena venne realizzata come ampliamento del laghetto. Come la Darsena, il laghetto di Sant’Eustorgio riceveva le acque del Naviglio Grande e come emissario aveva il Cavo Ticinello, che ancora oggi è lo scolmatore della Darsena.
Nel corso dei lavori di riqualificazione della Darsena, eseguiti per Expo, sono venuti alla luce i resti del ponte medievale in corrispondenza del quale il Cavo Ticinello usciva dal laghetto di Sant’Eustorgio: i resti del ponte sono al livello del piano stradale e sono visibili da piazza XXIV Maggio.
Una curiosità? Un tempo Milano aveva altre due “darsene”: il laghetto di San Marco e il laghetto di Santo Stefano.
# La costruzione della Darsena
La Darsena fu realizzata nel 1603 dagli spagnoli che governavano Milano, per trasformare il laghetto di Sant’Eustorgio in un vero e proprio porto. La Darsena oltre a ricevere le acque del Naviglio Grande, riceveva anche quelle dell’Olona: l’Olona si immetteva nella Darsena con l’obiettivo di mantenere costante il livello dell’acqua. Prima di sfociare in Darsena l’Olona scaricava le sue acque nel fossato delle mura medievali con lo scopo di rifornirlo d’acqua
L’Olona fu deviato dagli antichi Romani verso Milano anche per un altro motivo: avere un corso d’acqua che costeggiasse interamente l’antica strada romana che congiungeva Mediolanum con il Lago Maggiore per apportare un incremento ai commerci lungo questa strada sui barconi fluviali.
La Darsena diventò fin dalla sua costruzione uno dei punti di riferimento dei milanesi: attorno ad essa si svilupparono diverse attività commerciali ed era anche un bacino per la pesca grazie al costante apporto di pesci provenienti dai Navigli milanesi. In questo contesto si insediò nella futura piazza XXIV Maggio, uno dei mercati più importanti di Milano, tant’è che quest’ultima, un tempo, si chiamava “piazza del Mercato”.
# L’ultimo barcone della Darsena
Il successo della Darsena crebbe nel corso dei secoli fino al declino arrivato con la diffusione del trasporto su strada nella seconda metà del Novecento. L’ultimo barcone che trasportava 120 tonnellate di sabbia entrò in Darsena sabato 31 marzo 1979 alle ore 14: era lungo 38 metri ed era partito alle 6 del mattino da Castelletto di Cuggiono ed era approdato in Darsena dopo aver percorso il Naviglio Grande. Con la fine del traffico fluviale scomparve anche l’ambiente portuale che caratterizzò per secoli questa zona di Milano.
La Darsena misura, da un’estremità all’altra, dopo le modifiche apportate nei secoli, 750 metri di lunghezza e 25 metri di larghezza. Ha una profondità di un metro e mezzo.
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Negli ultimi anni, Milano sembra aver perso un po’ del suo smalto. Avrebbe bisogno di una scossa per ritrovare energia e attrattività. Ecco alcune proposte che potrebbero riportare il sorriso in città.
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Milano depressa? Ci vorrebbero queste 7 cose per riportare il sorriso
#1 Una politica nuova
Consiglio Comunale
Probabilmente la cosa più importante. Milano ha bisogno di una visione chiara e coraggiosa. La città è una locomotiva economica, ma spesso le decisioni amministrative sembrano frenare il suo slancio, più orientate a porre limiti e divieti che a dare slancio ai cittadini. Servirebbe una politica capace di pensare in grande, con meno burocrazia e più coraggio nell’attuare politiche che rendano la città più vivibile, libera e attrattiva. Più ascolto ai cittadini, meno vincoli inutili e un piano di rilancio vero, che non sia solo un elenco di buone intenzioni. Le decine di inchieste piombate sul settore delle costruzioni, che hanno coinvolto il settore dell’urbanistica di Palazzo Marino, sono l’ultimo segnale per indicare che serve un radicale cambio di rotta.
Piazza Duomo, i Navigli, le zone centrali e periferiche: in troppi punti della città regna il degrado. Marciapiedi sporchi, cestini pieni, graffiti ovunque. Servirebbe un piano serio per la pulizia della città, con più operatori in strada, sanzioni per chi sporca e un’educazione civica che parta dalle scuole. Milano non può permettersi di sembrare trascurata. Anche perché come si fa a sentirsi felici quando ovunque si guardi si vede il degrado?
Roberto Luigi Binaghi IG – Darsena imbrattata
Il decoro urbano è il primo biglietto da visita e la Darsena è l’esempio più lampante: i primi lavori di ripulitura della mura partiti solo partiti solo qualche settimana ma senza controlli rischiano di rivelarsi inutili. Nell’immagine in alto l’imbrattamento avvenuto in questi giorni dopo la notizia dell’istituzione di nuove zone rosse in città.
Sempre più cittadini denunciano episodi di microcriminalità, furti, aggressioni e situazioni di degrado nelle zone più frequentate. Per far sentire milanesi e turisti al sicuro sono state istituite delle zone rosse, prorogate fino a settembre e salite da cinque a otto, dove le persone ritenute pericolosedevono tenersi alla larga. Il problema andrebbe però affrontato alla radice, cercando di regolare l’immigrazione, migliorare le condizioni di vita delle persone in difficoltà economica, spesso dedita ad attività illegali, e rafforzare in generale le misure di prevenzione. Si deve insomma evitare di ghettizzare dei quartieri a scapito di altri, per poi non dovere finire a limitare le libertà di tutti i cittadini.
#4 Togliere restrizioni e vincoli che deprimono la libertà dei cittadini
Pagina FB – No ZTL – Milano Libera
Negli ultimi anni, Milano si è riempita di divieti e restrizioni che hanno limitato la libertà di movimento e di iniziativa. Dalla mobilità con l’inasprimento delle regole di Area C e Area B alle licenze sospese per i locali che somministrano un drink o un gelato dopo le 22, tutto sembra più complicato e burocratizzato. Una città viva ha bisogno di regole chiare, ma anche di flessibilità e incentivi per chi vuole investire, creare, portare innovazione, o semplicemente avere diritto di circolare liberamente.
#5 Cultura: più eventi e iniziative di livello mondiale
C’era un tempo in cui Milano era sinonimo nel mondo di creatività, mostre imperdibili, festival innovativi, come l’Elita Design Week Festival, un festival parallelo al Salone del Mobile che univa musica elettronica, arte e cultura underground con DJ e artisti di fama mondiale nei luoghi più insoliti della città. Oggi l’offerta culturale sembra essersi appiattita, senza quella spinta creativa che la rendeva unica. Servirebbe una programmazione più ambiziosa, eventi internazionali di richiamo e una gestione più dinamica degli spazi cittadini per trasformarli in veri hub culturali.
#6 Ridare luce alla città di notte: il festival delle luci con animazioni notturne dal centro alla periferia
LED Milano 2009
Tra i festival che non ci sono più si può ricordare il Light Exhibition Design. Durante le festività natalizie del 2009 e del 2010 trasformava la città in un vero e proprio museo a cielo aperto con installazioni luminose, giochi di luce e spettacoli visivi in punti strategici come Piazza Duomo, il Castello Sforzesco e i Navigli. Ripristinare un evento simile, sulla scia di quello che accade a Lione con la “Fête des Lumières”, potrebbe dare alla città una nuova dimensione estetica e turistica, rendendola ancora più affascinante e attrattiva. Milano di notte potrebbe essere uno spettacolo di luci, colori e atmosfere uniche, animazioni notturne luminose dal centro alla periferia. Invece, l’illuminazione pubblica è spesso triste e il panorama notturno non è all’altezza delle grandi metropoli internazionali.
#7 Un parco divertimenti allo Scalo Farini come il prater di Vienna
Credits: Urbanfile – Masterplan OMA Scalo Farini
Un tempo c’erano luoghi dove potersi sentire più spensierati. Uno su tutti: il luna park alle Varesine. Oggi ci sono solo iniziative temporanee. Serve anche in questo caso più coraggio e visione. Il progetto ufficiale per lo Scalo Farini prevede un grande parco lineare con un bosco in grado di raffreddare i venti caldi e depurare l’aria, oltre a una nuova griglia urbana con spazi pubblici strategici, uffici e case a basso costo. Una visione sostenibile e moderna, ma perché non pensare anche a un’area dedicata all’intrattenimento, assente a Milano? Uno spazio enorme, in una posizione strategica, che potrebbe diventare un polo di svago per tutte le età.
Ideogram AI – Parco divertimenti
Immaginiamo un parco divertimenti ispirato al Prater di Vienna o ai Giardini di Tivoli a Copenaghen, con attrazioni per grandi e piccoli: una grande ruota panoramica che offra una vista mozzafiato sulla città, montagne russe avveniristiche, un’area con giostre storiche e un’ampia sezione dedicata alla realtà virtuale. Non mancherebbero spettacoli tematici, un teatro all’aperto per concerti ed eventi, oltre a ristoranti e spazi immersivi dedicati alla cultura e al design, in perfetto stile milanese. Un’idea che potrebbe trasformare lo Scalo Farini in un luogo iconico, capace di attrarre turisti, generare posti di lavoro e dare a Milano quella ventata di freschezza che da troppo tempo le manca.
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Secondo la tradizione, fu la guarigione di Charles D’Ambrose – governatore francese di Milano – a dare avvio alla costruzione del santuario. Le prime pietre sono state posate il 29 settembre 1507, proprio alla presenza del governatore francese. In poco tempo, la sorgente è diventata un importante luogo di assistenza e cura, simile alla Ca’ Granda. Fu proprio così che questo luogo divenne una delle principali strutture sanitarie del tempo. Ma molto interessante è la storia che riguardò proprio Charles D’Ambrose. Il duca soffriva di un male cronico che non riusciva a curare in nessun modo. Dopo essere venuto a conoscenza della presenza di una sorgente da cui usciva un’acqua miracolosa, il governatore decise di mascherarsi da mendicante intrufolandosi in mezzo a molti pellegrini che riempivano le brocche da questa sorgente. Il duca bevve l’acqua, e in pochi giorni il suo male sparì.
È la più piccola chiesa di Milano e sorge nello spartitraffico della via Lorenteggio. Le sue dimensioni sono infatti modestissime: la chiesa è larga 5 metri, lunga 8 e alta 4. E proprio la sua collocazione nello spartitraffico la rende quasi del tutto inosservata. Fu costruita intorno al 1000 come cappella della vicina cascina/monastero dai monaci Benedettini, cui subentrarono poi gli Olivetani.
La costruzione di quest’Oratorio risale, più o meno, allo stesso periodo in cui venne eretta a Milano la chiesa del Santo Sepolcro. Oltre ad essere un luogo di culto per i Monaci Benedettini, veniva usato anche dai contadini del luogo.
Questa chiesa venne progettata a fine Quattrocento per ospitare un’icona miracolosa della Madonna. Il santuario è situato in corso Italia, al fianco dell’antica chiesa di San Celso. Secondo la tradizione, le giovani spose, dopo essersi sposate, portano un mazzo di fiori e lo posano davanti all’icona della Madonna. Si parla però anche di un miracolo avvenuto il 30 dicembre 1485: di fronte a trecento persone, mentre il presbitero Pietro Porro celebrava la messa, da un immagine della Madonna col Bambino coperta da una grata e da un velo, si vide la Vergine scostare con la mano sinistra il velo e mostrarsi viva e splendente ai presenti, “aprendo le braccia e giungendo più volte le mani“. Successivamente, e con estrema rapidità, la peste, che torturava Milano da ormai quattro anni, sparì.
I fatti miracolosi vennero sottoposti a regolare processo canonico presso la Curia, che il 1º aprile 1486 approvò la loro autenticità dopo aver ascoltato numerosi testimoni.
La Cappelletta sorse come un luogo di culto romano rappresentato da un’ara sacrificale pagana. Si trasformò poi in un altare cristiano a seguito dell’editto dell’imperatore romano Costantino. La Cappelletta è stato anche un luogo di culto anche per i milanesi cacciati dall’Imperatore Barbarossa e rifugiatisi a Lambrate dopo la distruzione della città da parte delle truppe imperiali.
Qui, un tempo, sorgeva l’antica porta Vercellina, all’interno delle mura fatte erigere dall’imperatore Ottaviano Augusto. Ci troviamo infatti in via Brisa, dove sono presenti alcuni resti del Palazzo Imperiale di Massimiano. Anche qui è presente una leggenda. Si narra infatti che un operaio impegnato nella ricostruzione della chiesa, scrostando un vecchio muro scoprì il volto di una Madonna del 400, probabilmente addirittura della scuola degli Zavattari. Il luogo diventò dunque sacro per i milanesi e nel 700 fecero costruire la cappella dedicata alla Beata Vergine dei Miracoli, soprannominata la Madonna del grembiule.
Milano. 25 marzo 1242, nell’attuale Porta Romana. Al centro della rappresentazione c’è la Madonna con in braccio il bambino collocati sotto quelli che sembrerebbero i resti di un’architettura, forse un arco. Nel 1242, questa rappresentazione era collocata all’esterno del sacello di San Satiro, verso la contrada del Falcone. Proprio in quest’anno risale l’avvenimento miracoloso, che vide l’immagine della Vergine con il Bambino sanguinare a seguito di una coltellata infertale da un giovane squilibrato, tale Massazio da Vigolzone che, adirato a causa della perdita di denaro al gioco, scagliò il proprio coltello contro la gola del bambino. Sarà proprio la volontà di proteggere tale immagine miracolosa a portare alla costruzione della nuova chiesa dedicata a Santa Maria accanto all’antico sacello di San Satiro.
#7 La Madonna di Corbetta
credits Santuario di Corbetta
È un dipinto di Gregorio Zavattari, datato 1475. Venne realizzato sulla facciata dell’antica chiesa extramurana di San Nicolao a Corbetta, su approvazione dell’allora prevosto della pieve, Pietro Casola. Nel 1555 il dipinto divenne protagonista di un miracolo, e nel giro di poco tempo si rese necessario costruire un Santuario capace di accogliere i sempre più numerosi fedeli. Si narra che tre bambini, Cesare dello Stampino, Antonio della Torre e Giovanni Angelo, sordomuto dalla nascita, stavano giocando a bocce sotto il ritratto della Madonna con il Bambino, quando all’improvviso, il Bambino Gesù scese dal dipinto e si mise a giocare con i tre coetanei. Immediatamente Giovanni, che fu il primo ad accorgersi dell’avvenimento eccezionale, riacquistò l’udito e la parola, mentre la Madonna si manifestò in piazza e recuperò il suo Bambino.
#8 La Madonna dei Tencitt
credits Dietro la Notizia
Un affresco che è una vera e propria istituzione per i milanesi. Anche qui è doveroso raccontare un aneddoto. Nel 1630, infatti, quando scoppiò la peggiore epidemia di peste, si diffuse la voce che i carbonai fossero gli unici ad essere immuni dal contagio. Ma come potevano gli uomini del carbone essere tali fortunati? Leggende e racconti cominciarono a circolare, fino a quando Bernardo Catoni, carbonaio milanese sopravvissuto alla peste, decise di ringraziare la Madonna per il suo miracoloso aiuto. Come? Mandando a dipingere un magnifico affresco sulla parete esterna di uno degli edifici che si affacciano su Via Laghetto.
L’affresco raffigurava la Madonna che proteggeva San Sebastiano, San Carlo Borromeo e San Rocco. A sinistra dei santi compariva lo stesso Bernardo Catoni mentre, più in basso, una panoramica del temuto lazzaretto con un carico di salme destinate alla sepoltura. Da allora, la Madonna dei Tencitt ha continuato a proteggere la città di Milano, diventando un simbolo di speranza e umanità in un momento così tragico
Nell’ambulacro del Duomo, all’angolo di destra tra il transetto e l’abside, possiamo ammirare un affresco molto rovinato che ritrae un Madonna che allatta. L’affresco è meglio conosciuto come “Madonna dei sciori” – cioè Madonna dei Ricchi – in contrapposizione ad un altro quadro posto sull’altro angolo dell’abside, quello di sinistra. Dal lato opposto abbiamo infatti la Madonna dei Poveritt, cioè dei poveri. Si racconta che, nel 1409, durante l’assedio dei ghibellini a Milano, una donna chiese alla Madonna di risparmiare il figlio che era in fin di vita a causa della guerra. Il miracolo avvenne. Mentre pregava, infatti, le rose appassite ritornarono fresche. Il secondo miracolo si manifestò quando la donna tornò a casa e scoprì che il figlio era guarito.
Questo è uno dei simboli storici di Milano, amato sia dai cittadini che dai turisti. È custodito nella Galleria Vittorio Emanuele, e tradizione vuole che il rito scaramantico si compia facendo tre giri sulle palle del toro con il tallone del piede destro. I benefici sarebbero una maggiore fertilità alle donne e fortuna per il futuro. Ciò che è certo è che questa attrazione attira ogni giorno centinaia di persone.
Oca.milano - Abbordabilità acquisto casa di 50 mq nella regione urbana di Milano
Anche allargando l’orizzonte alla regione urbana acquistare o affittare un’abitazione di 50 mq sta diventando un’utopia per chi ha un reddito medio. Vediamo i risultati di questo studio.
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Un reddito medio non basta per una casa neppure nei dintorni di Milano: lo studio
# Uno stipendio da 1.500 euro lordi al mese non basta per un piccolo bilocale nemmeno lontano dalla città
Oca.milano – Regione urbana di Milano
Non basta più spostarsi fuori città per trovare una casa accessibile. Non solo l’hinterland milanese, dove il costo della vita continua a crescere, ma anche allargando l’orizzonte alla regione urbana acquistare o affittare un’abitazione di 50 mq sta diventando proibitivo per chi ha un reddito medio, pari circa 1.500 euro lordi al mese.
Oca.milano – Abbordabilità interna dei comuni per acquisto casa nella regione urbana di Milano
È quanto emerge dal secondo rapporto dell’Osservatorio Casa Abbordabile (OCA), promosso dal Politecnico di Milano e dal Consorzio Cooperative Lavoratori, che analizza l’evoluzione dei prezzi delle case e la loro accessibilità economica. La situazione è il risultato di anni di squilibrio tra salari e prezzi immobiliari, con i primi cresciuti di appena il 10% dal 2015 e i secondi schizzati in alto del 58%.
# Milano e la sua regione urbana: dove si può ancora comprare casa?
Oca.milano – Abbordabilità acquisto casa di 50 mq nella regione urbana di Milano
Lo studio OCA identifica una regione urbana estesa circa 60 km intorno a Milano, che comprende circa 300 comuni distribuiti su 7 province lombarde. Questo territorio rappresenta la principale alternativa residenziale per chi è stato escluso dal capoluogo.
Ma anche qui la situazione non è semplice pe chi decide di comprare casa. In molte zone della cintura milanese, un reddito medio non basta per acquistare 50 mq, specialmente nei poli urbani come Pavia, Lodi, Abbiategrasso, Magenta, Treviglio e in tutta la Brianza lungo le principali direttrici infrastrutturali.
I comuni con i prezzi più abbordabili si trovano spesso in aree mal collegate a Milano, dove il trasporto pubblico è scarso e i tempi di pendolarismo diventano proibitivi, e dove comunque l’incidenza del costo della casa sulla retribuzione, sommato a quello per gli spostamenti, è superiore al 40%, contro una forbice compresa tra il 70% e il 95% dei comuni più vicini a Milano.
# Migliora di poco se si sceglie di vivere in affitto
Oca.milano – Abbordabilità affitto casa di 50 mq nella regione urbana di Milano
La situazione migliora, ma rimane critica, se si opta per andare a vivere in affitto. In questo caso chi vive nei comuni peggio collegati con il trasporto pubblico vede pesare sulla retribuzione mensile il 30% dei costi per l’abitazione e dei mezzi per muoversi da e verso Milano. Le persone che vivono nei territori più accessibili, quindi meglio connessi alla città, arrivano a spendere fino al 66% dello stipendio netto.
# Un problema che richiede soluzioni strutturali sul piano dei trasporti e dell’abitare
Oca.milano – Pendolarismo lavorativo
Ogni giorno 650mila persone entrano in città per lavorare o studiare, ma una volta fuori dai confini di Milano il trasporto pubblico diventa più scarso e inefficiente. La geografia dell’hinterland è ancora troppo legata al capoluogo: chi vuole essere vicino al lavoro deve pagare di più, chi vuole risparmiare deve mettere in conto ore di viaggio. Il rischio, avvertono i ricercatori, è che il semplice spostamento delle abitazioni fuori Milano accentui le disuguaglianze invece di risolverle.
Il rapporto OCA pone una questione centrale: Milano non può esistere senza la sua area metropolitana, ma senza interventi mirati sul fronte abitativo e dei trasporti, il rischio è quello di un’esclusione sempre più marcata delle fasce di reddito medio-basse. Per affrontare il problema, servirebbe una strategia che combini politiche abitative più inclusive e un miglioramento del trasporto pubblico, per rendere sostenibili le scelte residenziali al di fuori del comune di Milano. Senza un cambiamento strutturale, il divario tra costi e salari continuerà a crescere, rendendo sempre più difficile vivere e lavorare nell’area milanese.
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Per vivere una notte diversa dal solito, questi sono 7 posti unici dove poter passare una nottata. Poco lontani da Milano.
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Una notte diversa dal solito: i 7 hotel più particolari vicino a Milano
#1 Dormire in una casa sull’albero: Agriturismo Tenuta Il Cigno a Villanterio (PV)
credits Tenuta il Cigno
Il sogno d’infanzia di ogni bambino è sicuramente dormire in una casa sull’albero. Ma alla Tenuta il Cigno questo sogno può diventare realtà. Questo agriturismo si trova a Villanterio (25 km a sud di Milano) ed è immerso nel verde, circondato da paddock e campi, lungo il corso del fiume e in un contesto di assoluta tranquillità. Gli ospiti possono soggiornare nell’ex Villa Padronale, ristrutturata e dotata di ogni confort. L’agriturismo è dotato anche della piscina, di una spa, e del parcheggio privato gratuito in loco.
#2 Dormire immersi in 4000 ettari di bosco: Il Roccolino di Valsecca (BG)
credits booking
A 28 km da Accademia Carrara, il Roccolino prevede un alloggio a Valsecca provvisto di giardino, terrazza e servizio in camera. Il centro di Valsecca dista 1 km da questo lodge, e il Castello dell’Innominato è situato a 15 minuti in auto. Le attrazioni culturali nelle vicinanze includono il Civico Museo della Seta Abegg, che si trova a 15 minuti in macchina. Il Roccolino offre poi una splendida camera da letto con vista sul giardino e il parcheggio gratuito.
#3 Glamping in Lombardia: Campeggio della Colombaia a Padenghe sul Garda (BS)
credits booking
Questo campeggio è situato direttamente sulla riva occidentale del Lago di Garda nella suggestiva Valtenesi, e offre moderne sistemazioni in posizione panoramica grazie al terreno terrazzato. In cima alla collina, la torre della Colombaia racconta storie di un tempo in cui le colombe viaggiatrici erano utilizzate come mezzo di comunicazione. Oggi, il campeggio offre una vacanza con tutti i comfort in alloggi unici, con vista mozzafiato sul lago e giardini, piscina e ristorante.
#4 Dormire sotto le stelle con Exphera a Palazzago (BG)
credits Exphera
Una favolosa guest house in via Belvedere a Palazzago, in provincia di Bergamo. La struttura ricorda una tenda, ma in realtà è molto di più. Infatti, il suo fascino moderno la rende un rifugio intimo perfetto per godersi il panorama, magari con una cena a lume di candela. Exphera include anche un fantastico centro benessere.
#5 Casa, ma anche Museo: Palazzo Valenti Gonzaga a Mantova
credits valentigonzaga
Abitato sin dal XVI secolo dalla famiglia dei Marchesi Valenti Gonzaga, fu ristrutturato in stile barocco nel 1670 dall’architetto pittore fiammingo Frans Geffels. La facciata fu portata a termine nel 1652. Nel palazzo vissero molti personaggi della nobile famiglia, speso al servizio dei Gonzaga. Vi risiedette anche Silvio Valenti Gonzaga, futuro Cardinale che trasferitosi a Roma nel 1738, diventerà famoso per la sua preziosa collezione d’arte in Villa Borghese.
L’esperienza è sicuramente fuori dal comune, se si pensa poi che l’accesso al museo sarà completamente gratuito. Infatti, riservando l’abitazione sarà possibile visitare gratuitamente anche il Museo Valenti Gonzaga, dove sono esposte mostre d’arte permanenti e temporanee, per esempio dello scultore italiano Giovan Battista Barberini.
#6 Diventare dei reali per una notte al Castello di Cernusco Lombardone (LC)
credits booking
Al Castello di Cernusco Lombardone potete organizzare un ricevimento impeccabile. Infatti, la varietà dei suoi spazi permetterà di scandire i vari momenti della giornata, con ambientazioni sempre differenti e atmosfere suggestive. Il Castello può accogliere fino a 150 ospiti facendovi vivere una giornata indimenticabile. La sua storia affonda le radici sino ai tempi dell’Impero Romano. Nasce infatti come “Castellum” avamposto di controllo del territorio, passando poi ai Longobardi, ai Catalani e ai milanesi Visconti usciti vincitori dalla guerra coi Torrini a cui si era alleata Cernusco. Tra gli anni 1994/1995 viene completamente ristrutturato
#7 Tuffarsi in una botte di vino al Silter di Capriate San Gervasio (BG)
credits booking
Si tratta di una antica cantina tipica bergamasca del 1700 situata a Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo. Al suo interno potrete brindare a lume di candela circondati da bottiglie d’annata e concedervi un lungo e rilassante bagno nella vasca. Il punto forte, però, è che potrete dormire…in una botte di vino! La struttura è realizzata in mattoni pieni con tipica costruzione a volte, ed è stata sapientemente restaurata con materiali di recupero, riciclati e riutilizzati.
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Le prime versioni presentavano un design anteriore radicalmente diverso. Ma cosa ha spinto i progettisti a cambiarlo? Scopriamo le ragioni dietro questa evoluzione e le possibili fonti di ispirazione che hanno dato forma al modello attuale.
Perché i treni giapponesi hanno il «naso lungo»? Tutto nasce da un uccello
# L’origine del soprannome di «bullett train»
shortycolossus-pixabay – Shinkansen
Partiamo dal soprannome dei treni ad alta velocità giapponesi: gli Shinkansen, che nel corso dei decenni hanno subito un’evoluzione stilistica significativa. Il termine Bullet Train, ovvero ‘treno proiettile’, non si riferisce – come si potrebbe pensare – alle prestazioni sui binari, ma alla forma del muso delle prime versioni. In origine, il design anteriore era ispirato agli aerei di linea, con una silhouette arrotondata che ricordava la punta di un proiettile.
# Il cambio del «muso» a causa del boom sonico
Ph. @aryaji.obaja IG
La forma del treno non creava problemi aerodinamici all’aperto, permettendo ai convogli di viaggiare senza difficoltà oltre i 200 km/h. Tuttavia, un aspetto cruciale era stato sottovalutato in fase di progettazione: la presenza dei numerosi tunnel lungo le linee ferroviarie e le conseguenze del passaggio dei treni al loro ingresso e uscita.
Il muso arrotondato, pur efficiente all’aria aperta, si rivelò un limite: non riusciva a spingere rapidamente l’aria fuori dai tunnel, generando un forte scuotimento e un’onda d’urto simile a un piccolo boom sonico. Il rumore era così intenso da propagarsi per chilometri.
La prima soluzione adottata fu quella di ridurre la velocità a 90 km/h prima di entrare in galleria, ma questa scelta allungava eccessivamente i tempi di percorrenza. Fu così che si decise di riprogettare la parte anteriore del treno
# Come il becco del Martin Pescatore
LubosHouska-pixabay – Martin Pescatore
La soluzione definitiva fu rimodellare la punta del treno, allungandola per permettere all’aria di fluire attorno al convoglio senza generare quei fragorosi botti, anche a velocità superiori ai 300 km/h.
L’intuizione arrivò dall’ingegnere e birdwatcher Eiji Nakatsu, che trovò ispirazione nella natura, in particolare nel Martin Pescatore. Questo uccello, grazie al suo becco stretto e allungato, si tuffa nell’acqua per catturare le prede senza creare turbolenze. Fu proprio questa caratteristica a suggerire la forma iconica dei moderni Shinkansen, rendendoli più silenziosi ed efficienti.
Milano non delude nemmeno in gastronomia. Oltre alla celebre cucina salata, la città offre dolci irresistibili che conquistano anche i palati più esigenti. In questo articolo, esploriamo i dessert più iconici che arricchiscono l’esperienza culinaria della città, un viaggio goloso tra sapori e creatività.
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Dove si gustano i 7 dessert più scenografici di Milano
#1 Gloria Osteria
tildediscovery IG – Gloria Osteria
L’ultima sfida del gruppo francese con 24 locali in cinque paesi. Si tratta di un’osteria chic famosa per lo stile eclettico e per una proposta di piatti italiani tradizionali. I dolci sono davvero scenografici. Super consigliata la tarte tatin al limone XXL, ma anche il sorbetto di fragole e l’insalata di fragole rivisitata con crema chantilly vegan alla vaniglia, fragole e lamponi freschi, jus di fragole e anice stellato, zest di lime e dragoncello fresco. Gli imperdibili sono il mini babà a rum Flor de Cana 12 anni al profumo di miele e noci, il soufflé al cioccolato fatto al momento per il quale vale la pena aspettare i 15 minuti d’attesa e il gelato che ti catapulta direttamente in Sicilia con una varietà di granelle e cremini al pistacchio. Varrebbe la pena andare solo per loro, ma se non fosse abbastanza c’è anche il loro iconico e spettacolare dolce chiamato il “Tigramisù”, la loro versione rivisitata del tiramisù con un tocco di marsala.
Indirizzo: Via Tivoli 3. Media recensioni Google: 4.8/5
#2 Veramente Ristorante
tildediscovery IG – Veramente Veramente
L’essenza della vera cucina italiana: la cucina regionale. Aperto da pochi mesi da un gruppo di giovani imprenditori, il progetto del ristorante Veramente si riassume in tre parole: convivialità, tradizione e semplicità. Il locale si propone come un luogo dove stare bene a tavola e riscoprire i sapori di casa, riunendo in un unico menù alcune delle ricette che hanno fatto la storia della nostra cucina regionale italiana. I dolci più iconici sono la sbriciola e crema al Marsala, la loro versione di pane e salame, il tiramisù mantecato e servito con granella di biscotto al cioccolato e il gelato al fiordilatte. Tutti questi dolci vengono serviti direttamente al tavolo, ma, per vivere un’esperienza che ti coccolerà, non puoi non ordinare il loro iconico gelato al fiordilatte: ti mettono lì un trespolo, arrivano i camerieri con un vassoio con sopra una scodellona strabordante di gelato al fiordilatte. Accanto, da scegliere come topping, ci sono salsa di fragola, vaniglia e crumble al cioccolato.
Indirizzo: Via Palermo 11. Media recensioni Google: 4.7/5
#3 Locanda Sempione
tildediscovery IG – Locanda Sempione
Il locale milanese dello chef Tommaso Mandorino propone un’ottima cucina italiana con materie prime di qualità in un ambiente elegante e familiare. Spazioso e senza eccessi, il locale è un bistrot di alto bordo che supera i confini regionali, offrendo piatti tipici della Lombardia accanto a prelibatezze provenienti da altre regioni. Il menù spazia dal risotto alla milanese alla cotoletta, ma include anche piatti audaci e creativi. I dolci, come il bignè con crosta dorata e l’interno soffice, e la crema pasticciera personalizzabile con cioccolato, ciliegie, meringhe o smarties, completano un’esperienza deliziosa. Servito con Picolit “Vino Dolce della Casa” Astucciato Jermann, il vino arricchisce l’esperienza gastronomica con sentori di mele, miele e frutta candita.
Indirizzo: Corso Sempione 38. Media recensioni Google: 4.8/5
#4 El Porteño
tildediscovery IG – Dulce de leche El Porteno
Tutto all’interno di questo ristorante è costruito intorno a Buenos Aires e il nome stesso del locale fa riferimento agli abitanti della capitale argentina. I porteños sono infatti gli abitanti di Buenos Aires da diverse generazioni e questo posticino gli fa davvero onore, partendo dagli arredi retrò fino ad arrivare al menù argentino doc. Grazie alla qualità delle materie prime utilizzate e dalla maestria dei suoi cuochi argentini fino al midollo, tutto da El Porteño è altamente consigliato. Però, una menzione d’onore va ai dolci della casa, dove protagonista assoluto è il “dulce de leche”, una golosissima crema di latte che fa da sfondo a gelati fatti in casa, soffici crepes o caldi soufflé.
Indirizzo: Viale Elvezia 4. Media recensioni Google: 4.5/5
Osteria che si ispira a quella sgangherata del film “Io Tigri, tu tigri, egli tigra” ed è la nuova meta dei milanesi, e non solo, perché si mangia bene, si spende il giusto e sono tutti simpatici. L’insegna dell’Osteria La Semivuota crea sconcerto, se a incontrarla per caso è un nostalgico del cinema italiano più surreale degli anni 70. Gli arredi rispettano l’atmosfera del film, con muri di mattoni, tavoli, sedie, banconi e un frigorifero vintage recuperato nei mercatini. Alle pareti c’è la celebre stampa del duplicatore automatico, il dettaglio più fotografato dai clienti, e posate vintage incorniciate dalla madre del titolare. Si dichiarano milanesi integralisti: non hanno pasta fresca in carta, solo gnocchi, e cucinano la cotoletta esclusivamente con osso, alta e rosa all’interno perché cotta a bassa temperatura. Il capitolo dessert è affidato alla pastry chef Chiara Colzani, autrice di una panna cotta che da sola merita la sosta, senza colla di pesce né gelatina, realizzata solo con panna fresca cotta al forno, dopo l’infusione a freddo di limone e caffè.
Indirizzo: Via Emilio Cornalia 4. Media recensioni Google: 4.5/5
#6 El Carnicero Milano
tildediscovery IG – El Carnicero
Il paradiso per gli amanti della carne. La ricerca continua, la qualità e l’esperienza al servizio degli ospiti, fanno sì che riescano ad offrire i migliori tagli e le qualità di carne più pregiate ed esclusive. L’obbiettivo dei proprietari è far viaggiare i loro ospiti in Argentina ma a modo loro, senza aereo e senza bagaglio solo con il palato. Ciò che più lascia a bocca aperta sono 3 dei loro dolci: il “Panqueque Dulce de Leche”, una crêpe ripiena di dolce di latte, il “Panqueque Manzana”, ossia una crêpe di mela flambata al rum e un “Don Pedro”, un gelato di crema, whisky e noce tritata.
Indirizzo: Corso Garibaldi 108. Media recensioni Google: 4.4/5
#7 Tagiura
tildediscovery IG – Tagiura
Ristorante con cinque sale una diversa dall’altra e una più bella dell’altra: tra affreschi, vecchi registratori di cassa, camini, antiche credenze e divani. Si tratta di un bar trattoria che da cinquant’anni dispensa piatti sani, economici, abbondanti e veloci della migliore cucina tradizionale. A cominciare dai primi di pasta fresca fatta in casa, da quella ripiena ai tagliolini, stracci e orecchione con la ricotta di latte crudo del Caseificio Carena del lodigiano (da lacrime!). In menù troverete anche buone minestre, salumi emiliani, carni e fantastici dolci. Passateci anche a colazione o merenda perché il loro carrello dei dolci è uno dei migliori in città: paste frolle con la marmellata, ovviamente fatta in casa, crostate, plumcake, cornetti con la sfoglia, frittelle di mele, castagnaccio, torta di zucca e tiramisù anche agli amaretti.
Indirizzo: Via Tagiura 5. Media recensioni Google: 4.2/5
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Anche a Milano c’è un quartiere ebraico. Anche se, in realtà, le attrazioni e riferimenti culturali di questa cultura sono sparsi in tante zone della città.
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L’atipico quartiere ebraico di Milano: tutto ha avuto inizio con Napoleone
# Nella Milano degli Sforza e dei Visconti semaforo rosso per gli ebrei
credits Italpress
Nella Milano degli Sforza e dei Viscontiper gli ebrei era vietato risiedere, se non temporaneamente per questioni d’affari. I primi insediamenti della comunità ebraica a Milano risalgono all‘Ottocento, durante il periodo napoleonico. La comunità ebraica contava nel 1820 appena una trentina di persone ma rapidamente si ingrandì soprattutto per l’arrivo di ebrei provenienti da Mantova e altri centri minori. Nel 1849 la popolazione ebraica aveva raggiunto le 200 unità. Ma dove si ritrovarono inizialmente?
credits Vistanet
I primi ebrei di Milano si raccolsero attorno ad un piccolo oratorio in via Stampa 4, vicino all’appartamento del rabbino Prospero Moisè Ariani.
Nel 1890, la comunità contava circa 2.000 persone, un numero destinato a crescere con l’arrivo di profughi ebrei dall’Europa durante il primo Novecento. Anche se poi, durante il periodo fascista, molti ebrei milanesi furono deportati nei campi di concentramento nazisti.
Ma dove si trova il quartiere ebraico di Milano?
# Il quartiere ebraico a Milano
Il Quartiere ebraico si trova all’altezza di Bande Nere, a sud-ovest della città. Qui ci sono sinagoghe, ristoranti e alimentari con solo prodotti kosher, un centro comunitario e una scuola ebraica. Non c’è però alcun tratto distintivo, proprio perchè a Milano non si è mai formato un ghetto.
La tensione nel quartiere si è però intensificata dopo l’attacco di Hamas ai danni di Israele del 7 ottobre. Come spiega a Il Giorno David Hadjibay, un ragazzo con la kippah che gestisce un alimentari kosher, “le scritte antisemite si sono intensificate dopo gli eventi del 7 ottobre. Da allora stiamo più attenti, teniamo la porta chiusa e non facciamo entrare tutti.”
Ma i luoghi di riferimento della comunità sono disseminati anche in altre zone. Vediamone alcuni.
# Il Memoriale dello shoah, il Giardino dei Giusti dal Monte Stella, la Sinagoga Centrale in Guastalla
Credits: memoranea.it – Memoriale Shoah
Sono diversi i luoghi cardini della religione ebraica a Milano. Presso il binario 21 della Stazione Centrale c’è il Memoriale della Shoah, che ripercorre la tragedia dell’Olocausto. Ultimo nato in ordine di tempo è il Giardino dei Giusti, situato a ovest della città, presso il monte Stella, che commemora tutte le persone che si sono opposte ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. Completa il trittico la Sinagoga Centrale, situata in zona Guastalla a pochi passi dall’omonimo giardino.
# Altre sinagoghe in città
Credit: bethshlomo.it – Interno Sinagoga
Si possono poi trovare altre sinagoghe: in Porta Romana c’è quella di Beth Shlomo con una storia particolare e che è anche un centro studi, altre sono al Giambellino, in zona Castello Sforzesco e in Porta Venezia.
# La Casa 770, uno dei 16 cloni sparsi nel mondo
credits Unconventional Tour
Menzione a parte merita la casa 770, situata in via Carlo Poerio. L’edificio è una replica esatta della sede centrale del movimento Chabad-Lubavitch a Brooklyn, New York. Questo edificio è l’unico in Europa ed è un importante punto di riferimento per la comunità ebraica ortodossa. Per la città è un punto di aggregazione, un riferimento culturale, dove si organizzano eventi che spaziano dalle esposizioni artistiche agli assaggi della tipica cucina ebraica.
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A Milano il risotto alla milanese non è solo un piatto, ma un’istituzione. Alcuni ristoranti lo preparano seguendo la tradizione, altri aggiungono un tocco personale che lo rendono unico. Ecco cinque indirizzi dove gustare una delle migliori versioni della città.
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I 5 ristoranti milanesi dove si mangia il miglior risotto giallo
# Bice, nel cuore del Quadrilatero della Moda
bicemilano IG
Fondato nel 1926 da Beatrice “Bice” Mungai, il ristorante Bice è situato nel cuore del Quadrilatero della Moda. L’ambiente raffinato è caratterizzato da un pavimento in tartan scozzese rosso e da arredi eleganti che creano un’atmosfera accogliente e sofisticata. La cucina propone piatti di forte tradizione toscana, con paste rigorosamente fatte in casa, tra cui la famosa Pappardella al telefono.
simonabelloni IG – Ristto Bice
Non mancano i piatti della tradizione milanese, come il risotto giallo preparato seguendo la ricetta classica, anche nella versione con l’ossobuco. Media recensioni Google: 4.4/5
Indirizzo: Via Borgospesso, 12
# Trattoria da Abele Temperanza, il miglior risotto giallo secondo scattidigusto
Ph. io_sono_eb IG
Una piccola strada dal nome insolito: via Temperanza. Tra Via Padova e il Parco Trotter. Nelle tre sale della trattoria, aperta nel 1979, l’atmosfera è raffinata e popolare allo stesso tempo. Secondo scattidigusto.it si mangia il migliore “risotto giallo”, preparato al momento come si conviene: rigorosamente “all’onda”. Media recensioni Google: 4.4/5
Indirizzo: Via Temperanza, 5
# Don Carlos, all’interno del Grand Hotel et de Milan
ristorante.doncarlos IG
Quasi dirimpettaio troviamo il Don Carlos, all’interno del Grand Hotel et de Milan, inaugurato nel 1993 in omaggio al celebre compositore Giuseppe Verdi, che soggiornò a lungo nell’hotel. Le pareti del ristorante sono adornate con ritratti e cimeli verdiani, creando un ambiente elegante e culturale. La cucina propone piatti della tradizione italiana rivisitati in chiave moderna, utilizzando ingredienti di alta qualità.
reginamariniello IG – Risotto Don Carlos
Il loro risotto alla milanese segue la ricetta tradizionale che prevede l’uso di riso Carnaroli, zafferano e una mantecatura con burro e Grana Padano, per un’esperienza gastronomica di livello superiore per veri intenditori. Media recensioni Google: 4.4/5
Indirizzo: Via Alessandro Manzoni, 29
# Nuova Arena, a pochi passi dall’Arena Civica Gianni Brera
vital_mile IG – Nuova Arena
La Nuova Arena è un locale inossidabile, dal successo continuo sin da quando ha aperto, nel 1982. Merito del patron, Giovanni Mele, sardo, che si era fatto le ossa in alcuni dei ristoranti toscani al top attivi allora in città. Il ristorante è caratterizzato da tavoli fitti e travi a vista, creando un’atmosfera conviviale e informale. La gestione familiare e l’attenzione alla qualità degli ingredienti hanno reso Nuova Arena una meta apprezzata da chi cerca la cucina tradizionale italiana in un ambiente accogliente.
chiaram_tacco12cm IG – Risotto Nuova Arena
Frequentato da milanesi che apprezzano la cucina genuina, Nuova Arena è un luogo storico dove il risotto è servito con un’abbondante spolverata di formaggio grattugiato. Media recensioni Google: 4.5/5
Indirizzo: Via Pietro Moscati, 11
# Il Baretto, in una delle vie più esclusive di Milano
revolution_archstudio IG – Il Baretto
Fondato negli anni ’60, il Baretto è situato in via della Spiga, una delle vie più esclusive di Milano. Il ristorante presenta un ambiente caldo e raccolto, con arredi in legno scuro e un’atmosfera che richiama i club inglesi, offrendo un’esperienza culinaria intima e raffinata. Il Financial Times lo ha inserito nell’elenco di quelli più frequentati da imprenditori, politici e vip. Media recensioni Google: 4.7/5
svetlana_abdulova IG
La cucina propone piatti della tradizione milanese e italiana, con un’attenzione particolare alla selezione degli ingredienti e alla presentazione dei piatti. Il locale è il posto ideale per gustare il risotto allo zafferano, un’icona della cucina milanese, in un contesto rilassato e accogliente.
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L’ultimo rapporto “Main Streets Across the World” di Cushman & Wakefield: l’arteria commerciale più cara al mondo è Via Montenapoleone, che scalza la Fifth Avenue di New York. Ma in che senso è la più cara?
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Via Montenapoleone è diventata la strada più cara del mondo
Main Streets Across the World fornisce approfondimenti sui prezzi degli affitti principali in 138 città. L’ultimo rapporto (il 34esimo) segnala un cambio al vertice.
# Tutto dipende dagli affitti: via Montenapoleone l’unica al mondo sopra i 20.000 euro al metro quadrato
credits cherrifa.naffeti ig
Gli affitti dei negozi di via Montenapoleone raggiungono in media 20mila euro annuali al metro quadrato (+11% su base annua). Superano così i 19.537 euro mq/anno della Fifth Avenue a New York, che è invece stabile da due anni. Al terzo posto c’è New Bond Street a Londra (17.210 euro mq l’anno) che sorpassa Tsim Sha Tsui (15.697 euro mq l’anno), la principale via dello shopping di Hong Kong. Con una crescita annuale del 10%, invece, l’Avenue des Champs Élysées di Parigi si mantiene al quinto posto.
# La top 10 delle strade del lusso
credits cherrifa.naffeti ig
1. Via Montenapoleone, Milano
2. Fifth Avenue, New York
3. New Bond Street, Londra
4. Tsim Sha Tsui, Hong Kong
5. Avenue des Champs-Élysées, Parigi
6. Ginza, Tokyo, Japan
7. Pitt Street Mall, Sydney
8. Myeongdong, Seoul, South Korea
9. Bahnhofstrasse, Zurigo
10. Kohlmarkt, Vienna
# Cinque curiosità su Montenapoleone
credits filippogiordanoreal ig
Via Montenapoleone ha una storia che risale ai tempi antichi. Fino al XVIII secolo era nota come Contrada di Sant’Andrea ed ospitava numerosi conventi. Con l’arrivo degli austriaci, Maria Teresa d’Austria fece costruire un banco dei pegni: la via prese il nome di Via Monte Santa Teresa.
Il banco dei pegni rimase chiuso per diversi anni: la sua riapertura la si deve a Napoleone, a cui il banco prese il nome, motivo per cui la strada venne denominata Via del Monte Napoleone. Con l’unità d’Italia e con l’intento di cancellare ogni traccia del vecchio governo austriaco, la via venne poi definitivamente ribattezzata con il nome di via Montenapoleone.
La strada giocò un ruolo importante durante le Cinque Giornate di Milano, quando ci fu l’insurrezione dei patrioti contro gli austriaci. In questa storica via aveva sede il coordinamento delle forze cittadine e da qui partivano gli ordini verso tutta la città. Verso la fine dell’Ottocento molte famiglie facoltose vi si trasferiscono e, al contempo, molti antiquari e famosi gioiellieri avviano le loro attività, dando inizio alla storia di una via che sarebbe diventata tra le strade più commerciali conosciute al mondo.
Via Montenapoleone è l’unica via di tutta Milano a poter essere percorsa in auto esclusivamente a partire dal centro della strada in direzione dei limiti esterni: dalla parte centrale della via partono due sensi unici in direzioni opposte.
Non solo moda: in questa strada si trova il curioso Museo del Rasoio, probabilmente una delle più ricche esposizioni legate al mondo della rasatura, grazie agli importanti e antichi reperti e alla presenza di oggetti personali di figure storiche come Gabriele d’Annunzio.
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30 marzo 1876. Ha inizio il primo trasporto pubblico in Italia. Ma non siamo a Milano.
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30 marzo 1876. Nasce il primo trasporto pubblico d’Italia. Ma non a Milano
# La borghesia triestina vuole darsi una mossa
Credits: @mondotram
Siamo in piena epoca asburgica. A Trieste la borghesia imprenditoriale avanza richieste sempre più pressanti: serve un collegamento rapido tra il capolinea della ferrovia Trieste-Vienna e le fabbriche del Borgo Teresiano. La città ha bisogno di velocità: persone e merci devono muoversi con efficienza.
Da questa necessità nasce un’innovazione destinata a segnare la storia della mobilità italiana. Il 30 marzo 1876 prende vita il primo servizio di trasporto pubblico in Italia, un’infrastruttura pionieristica che anticipa il futuro della viabilità urbana.
# Borgo Teresiano
Credits: @palazzoteresiano.com – Borgo Teresiano, il Canal Grande
Il Borgo Teresiano è uno dei quartieri più antichi e simbolici di Trieste, un crocevia di storia e commercio. Voluto da Maria Teresa d’Austria nella seconda metà del Settecento, nasce dall’ambizioso interramento delle saline per trasformarsi in un elegante quartiere signorile. Il suo epicentro è il Canal Grande, un canale navigabile che taglia perpendicolarmente il lungomare, progettato per portare le merci direttamente nel cuore urbano.
Nel 1719, Carlo VI decretò Trieste porto franco, spalancando le porte a un’epoca di straordinario splendore. La città divenne il cuore pulsante del commercio dell’Impero Asburgico, un crocevia di traffici e culture. L’afflusso di mercanti da ogni angolo d’Europa, in particolare dai Balcani, rese inevitabile l’espansione oltre le antiche mura medievali. Ma non bastava crescere: bisognava muoversi più velocemente.
# Tram e cavalli al servizio della città: nessuna fermata stabilita
Credits: @mondotram.it
Il primo tentativo di trasporto pubblico a Trieste prese forma con una linea di carrozze trainate da cavalli. Tuttavia, il servizio si rivelò presto inadeguato: inefficiente, costoso e poco accessibile alla maggior parte della popolazione.
La svolta arrivò con l’incarico affidato alla Società Triestina Tramway, un consorzio nato dalla collaborazione tra capitalisti locali e la società belga Des Tramways de Bruxelles, già attiva nella gestione del trasporto pubblico a Roma dal 1877 e a Bologna fino al 1924.
Credits: @mondotram.it
Nasce così la prima linea tramviaria ippotrainata, un servizio che offriva vagoni di prima e seconda classe. La differenza? Un semplice cuscino che addolciva il viaggio dei passeggeri più facoltosi.
Le tariffe erano di dieci e cinque soldi, con l’aggiunta di un soldo destinato alla tradizionale mancia del bigliettaio. Nessuna fermata prestabilita: bastava un gesto della mano o un segnale acustico per salire e scendere ovunque lungo il percorso, in un’epoca in cui la mobilità si adattava ai ritmi della città.
La prima linea fu inaugurata all’alba del 30 marzo 1876, con la tratta Battisti-rotonda del Boschetto: una corsa ogni 15 minuti. Parte così, a Trieste, il primo trasporto pubblico d’Italia, alla portata di tutti. Un anno dopo Parigi ma in anticipo di un anno rispetto a Roma e Bologna. E sei anni rispetto a Milano, dove il servizio su rotaia iniziò nel 1882.
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Si entra nella stagione calda. L’estate è alle porte. E all’orizzonte, in fondo in fondo, si inizia a delineare la sagoma inconfondibile di una nuova battaglia elettorale. Siamo arrivati al punto di fare qualche domanda al sindaco. Lo abbiamo chiesto ai cittadini. Vediamo le domande che i milanesi vorrebbero rivolgere al primo cittadino.
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Le 7 domande scottanti che i milanesi vorrebbero fare al sindaco
#1 Perché l’aria resta irrespirabile?
Inquinamento
Il tema dell’inquinamento rimane uno tra quelli più sentiti dai milanesi. Le politiche introdotte negli ultimi anni, Area C e Area B, non sembrano aver prodotto i risultati sperati. E se invece di fare la guerra alle auto, si cercassero nuove strade? Ad esempio, sui riscaldamenti o sulle tecnologie per depurare l’aria?
#2 Perché la città è diventata un parcheggio a cielo aperto?
Massimiliano Tonelli – Auto su percorsi non vedenti zona Citylife
Altro argomento scottante è quello dei parcheggi. Per molti milanesi ne servirebbero di più, per altri la città è una distesa di lamiere e ci sono troppe auto in circolazione, e la giunta non farebbe abbastanza per risolvere il problema, come sintetizza Francesco Rizzo: «Perché non avete il coraggio e la capacità di ridurre drasticamente il traffico delle auto: Milano è diventata il parcheggio di un ristorante».
#3 Quali criteri vengono scelti per istituire le strisce blu?
Foto redazione – Nuove strisce blu Via Verbano
In città stanno proliferando i parcheggi a pagamento, senza distinzione tra centro e periferia. Ormai trovare un posto auto gratuito è diventata un’utopia: c’è davvero bisogno di tutte queste strisce blu? E, soprattutto, qual è il criterio con cui vengono assegnate?
#4 Perchè gli interscambi della M4 sono fatti così male?
Gabriele Meroni FB – Collegamento M2-M4
A molti milanesi non va proprio giù come è stata gestita la situazione degli interscambi della linea M4. Tutti con i doppi tornelli, a Sant’Ambrogio bisogna uscire all’esterno e Sforza Policlinico occorre camminare all’aperto perchè il collegamento non esiste. Alessandro Gramiccia è tranchant: «Perché non hai evitato che nella progettazione e costruzione della M4 venissero compiuti veri e propri crimini (tipo il mancato collegamento Sforza- Crocetta ma non solo)?»
#5 Perché Milano è così sporca?
Foto redazione – Sporcizia a Milano
La pulizia sta sempre più lasciando a desiderare, complice anche il crescente grado di inciviltà delle persone, come segnala Ombretta Carminati: «Ma casa sua è sporca come la nostra Milano? Perché di solito chi governa trasferisce il proprio modo di vivere nelle cose che gestisce… e Milano è diventata proprio sporca!!!».
#6 Perché i cittadini fuori dal centro storico non vengono considerati?
Maps – Cerchia dei Navigli
Le politiche di Palazzo Marino tendono a privilegiare i residenti del Municipio 1, in particolare chi abita all’interno della circonvallazione più interna di Milano. Francesca Bettelli si fa portavoce di una domanda molto popolare tra chi non vive in Area C: «Egr. sig. Sindaco, lo sa che il comune di Milano si estende anche oltre la cerchia dei Navigli?».
#7 Quando finisce il tuo mandato?
Ph. @il__giorno Ig
C’è infine chi vede come soluzione dei problemi della città quella di mandare via il Sindaco Beppe Sala insieme a tutta la sua giunta: «Quando finisce il tuo orribile mandato?». (Salvatore Vilardo)
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Ci sono alcune cose che sono fonte di stress per la sciura milanese. Quali?
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Le 7 cose che fanno esaurire la vera milanese
#1 Non essere invitata a un evento
bertosalotti IG – Fuori Salone
Adesso poi, con la imminente design week, fiera e Fuori Salone, vuoi che non abbia un invito a partecipare ad una serata esclusiva? Adesso che la città diventa ancora più attrattiva, fra installazioni scenografiche, eventi e ristoranti glamour? Non esiste e se esiste, è fonte di stress.
#2 Stare a casa con l’influenza
Credits: pixabay.com
Quella che ti annichilisce e non permette nemmeno di lavorare in smart working. Recarsi in ufficio, relazionarsi con gli altri, uscire di casa in ordine, é fondamentale per una sano equilibrio interiore. No all’ozio forzato.
#3 Organizzare una cena
pexels-nicole-michalou-Cena Natale
La regina dei salotti sa come ospitare a casa. Nella sua dimora anni 30 con arredi minimal chic, sarà perfettamente in grado di stupire con tavolate scenografiche, magnifici addobbi floreali e pietanze inusuali. Con un tocco in più, la sua inconfondibile eleganza, con cui saprà condire serate indimenticabili. Rinunciarci? Non se ne parla proprio.
#4 Non essere informata
passionetrasporti.com – X Atm
Sul meteo, sul traffico, sullo sciopero dei mezzi o sul perché la collega è a casa dal lavoro, tutto può tornare utile ad organizzare nel dettaglio la propria giornata ed essere pronta a qualsiasi imprevisto. Non è bieco gossip, ma informazione, senza la quale, nel caos più totale, lo sclero è dietro l’angolo.
#5 Uscire di casa in disordine
Matilde Gioli – Icona di stile milanese (Credit: Instagram @matildegioli)
La milanese se non è in ordine non esce di casa. È sempre impeccabile anche nella cura dei particolari. Non c è uno scopo dimostrativo perché di apparire non gliene importa nulla, ma é un equilibrio con se stessi, un volersi bene che passa anche dalla cura di sé. Farne a meno? Neuro assicurata.
#6 Non avere punti di riferimento
credits: lapalestra.it
Amici, palestra o il corso di ceramica, tutto ciò che insomma crea legami e una rete sociale solida, fa vivere bene, crea sicurezza interiore. Le amiche di sempre, la bottega storica, la palestra che si frequenta da anni, sono tutti elementi funzionali a legarsi alla propria città in modo indissolubile. E spesso Milano ricambia con grandi abbracci.
#7 Stare lontano da Milano troppo a lungo
pexels-asad-photo- Vacanze
Magari in occasione delle vacanze estive, si ha più tempo per staccare la spina, mollare le consuete abitudini e la solita routine. È bello conoscere nuovi paesi, vivere esperienze nuove e sperimentare nuovi sentieri anche mentali. Dopo due settimane però…anche basta: poi è bello tornare a casa no?
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I 10 stereotipi più veri sui milanesi, secondo un sondaggio effettuato sugli stessi milanesi.
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Questi sono gli stereotipi più veri sui milanesi
Sondaggio: «Uno stereotipo sui milanesi che per te è vero?». Queste sono state le risposte che hanno ricevuto il consenso maggiore.
#10 «Non salutano!»
«Il milanese non saluta». Questo si dice. E secondo i milanesi stessi si tratta di uno stereotipo realistico. Se si incrocia per strada qualcuno che si conosce siamo maestri nell’arte di abbassare lo sguardo sul cellulare, nei palazzi per evitare l’infamia del salute si origlia dalla porta per sentire se il corridoio è libero, perfino sull’ascensore si fatica a dire buongiorno, buonasera. Superiori, pigri o timidi? Cercando di giustificare il classico milanese, a volte è davvero troppo impegnato per alzare la testa e guardare chi gli passa davanti.
#9 «Fatturare fatturare»
Credits: @club_of_miljonairs IG
«Pensano sempre a fatturare». L’immagine tipica dell’imbruttito che pensa a come fare soldi anche quando si trova in ciabatte ai Caraibi. Uno stereotipo solido, classico nel definire il milanese al di fuori della città, che presenta molte verità. Soprattutto in tempi di vacche magre e di costi stellari come questo.
#8 «Fatti, non parole!»
Ci sono anche stereotipi positivi. Uno dei questi è che il milanese fa i fatti, non le parole. I milanesi sono persone di parola, non è gente, come si suol dire, “tutto fumo e niente arrosto”. Se promettono o dicono qualcosa la fanno. Questo è uno stereotipo rispondente al vero, soprattutto a Milano chi parla e non fa, fa poca strada.
#7 «Cena alle 7 di sera…»
cena tra amici (Wikipedia)
«I milanesi mangiano come le galline». Difficile trovare a Milano le tavolate che finiscono nel cuore della notte. Anche perché per fare prima a Milano spesso si unisce la cena con l’aperitivo.
#6 «Non esistono»
Un po’ come il Molise, anche sull’esistenza dei milanesi molti dubitano. Il bello di Milano è anche questo: la sua apertura a chi viene da fuori. Non solo, a Milano si definiscono non milanesi anche chi lo è da generazione ma richiama l’avo altoatesino o occitano giusto per darsi un tono esotico. Ma Milano ti prende e ti avvolge, quindi, chi sono i milanesi? Tutti coloro che la abitano e la amano.
#5 «Sono puntuali»
sveglia (da pixabay)
A Milano ci si dà appuntamento alle 17:25 e se a quell’ora non sei lì il milanese chiama per verificare se è successo qualcosa di male. Bisogna ricordarsi che a Milano il tempo è la prima ricchezza: chi non dà valore al tempo degli altri è visto come un ladro.
#4 «Sono radical chic»
Credits beppesala IG – Beppe Sala alla presentazione del Salone del Mobile
A Milano si è in tanti e ognuno ha una propria preferenza politica. Uno stereotipo confermato dalle elezioni è che il Nord è leghista, ma Milano no. Un altro è che sia la nuova Stalingrado d’Italia, dove la sinistra raggiunge livelli record. Comunque sia è vero che è la capitale italiana dei radical chic. Forse del mondo.
#3 «Lavorare come non ci fosse un domani»
credit: borderline24.com
“E tu di cosa ti occupi???” “Avevo solo detto ciao…” una delle classiche conversazioni che avvengono a Milano. Il lavoro è una ragione d’essere a Milano.
#2 «Hanno il cuore in mano»
(da pixabay)
Forse il più celebre stereotipo positivo sui milanesi. Milano ha il cuore in mano. Se sei in difficoltà trovi sempre qualcuno che ti tenda una mano. Non come assistenzialismo ma come mutuo soccorso. I milanesi sono brave persone, sono gentili e sempre felici di aiutare l’altro.
#1 «Sempre di corsa»
Credits: allafinediunviaggio.com andare di fretta Milano
«Milanese, è inutile che corri, tanto vince l’etiope», la battuta di chi ci vede da fuori ma non capisce. La velocità è forse la caratteristica sovrana a Milano. Rapidità in tutto: camminando, sulla metro, in auto, al ristorante. Velocità = qualità. Prima di andare a Milano, si consiglia sempre un po’ di allenamento cardio: bisognerà correre tutto il giorno.
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L’alta velocità è una delle infrastrutture più importanti per il Paese. Per una città metropolitana come Milano lo è ancora di più, soprattutto visto il suo notevole sviluppo negli ultimi decenni. C’è però un compromesso significativo tra il funzionamento della linee AV e delle altre linee ferroviarie: siccome sia la cintura ferroviaria, sia le grandi stazioni milanesi sono ormai sature, è opportuno pensare di costruire un passante ferroviario che diminuisca questi problemi.
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I due nuovi «super passanti» TAV: una nuova rete di treni veloci per Milano?
# La nuova rete milanese con i due passanti per treni veloci
Due passanti per Milano
Milano è uno dei più importanti snodi per l’alta velocità italiana, siccome è raggiunta da treni velocità da nord, sud, est ed ovest, per questo si potrebbero ipotizzare due direttrici per il passante alta velocità.
#1 Il passante est-ovest da Rho Fiera e Segrate sull’asse dei tre aeroporti: le 5 fermate
La prima da est ad ovest, da Rho Fiera e Segrate accoglierebbe i treni in direzione Torino e Venezia, con un totale di cinque fermate:
Rho fiera (M1)
Milano Cadorna (M1, M2, S3, S4, S8, S18)
Milano Porta Garibaldi (M2,M5, S1,S2, S5, S6, S7, S8, S11, S12, S13, S14, S15, S18)
Milano Centrale (AV, M2, M3)
Segrate (M4, S5, S6)
Questo passante ferroviario potrebbe anche migliorare il servizio Malpensa Express, in quanto unirebbe i due tragitti, quello che collega l’aeroporto di Malpensa a Milano Centrale, aumentando così la frequenza dei mezzi. Potrebbe anche essere un gancio di collegamento tra i tre aeroporti: Malpensa, Linate e Orio.
#2 Il passante nord-sud tra Monza e Milano Rogoredo sull’asse Genova-Svizzera: le 3 fermate
Da nord a sud possiamo invece pensare ad un servizio che colleghi la stazione di Monza con quella di Milano Rogoredo, accogliendo a nord i treni per la Svizzera e a sud quelli per Genova e per Roma. In questo caso, il numero di stazioni sarebbe limitato a tre, ma garantirebbe un ottimo interscambio sia con il servizio metropolitano, sia con quello dei treni suburbani.
Monza (M5, S7,S8,S9, S11, S18)
Milano Centrale (AV, M2, M3)
Milano Rogoredo (M3, S1,S2, S12, S13)
# I benefici ottenibili costruendo le due linee
Circle Line
Così facendo, diminuirebbero i treni che percorrono la cintura urbana, questo permetterebbe di inserire al posto dei treni AV, un maggior numero di treni della circle line, garantendo quindi la creazione di questo servizio con una frequenza quasi metropolitana.
Allo stesso modo, sarebbe possibile accogliere più treni alta velocità a Milano Centrale, ad esempio anche i treni TGV per Parigi, che oggi fermano a Milano Porta Garibaldi o potrebbero dirigersi anche oltre Milano.
Oltre a questo sarebbe possibile rendere il collegamento Milano-Malpensa un servizio con frequenza molto più elevata in quanto il numero di mezzi sarebbe invariato, ma unificando la linea con quella che si dirige a Milano Cadorna, la frequenza raddoppierebbe.
Oltre a questo, Milano potrebbe creare delle stazioni completamente automatiche, come quella presenti lungo le linee metropolitane M4 e M5, che garantirebbero ai treni che non si fermano in tutte le stazioni di poter avere velocità di percorrenza maggiori, oltre a garantire una migliore sicurezza in banchina.
Le questioni da approfondire, sarebbero il dimensionamento dell’opera, in quanto bisognerebbe garantire una certa capacità di accogliere mezzi, oltre alla creazione delle stazioni nel centro di Milano, in quanto lo spazio, anche in verticale, ormai scarseggia.
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A tre fermate di metro dal centro Milano si nasconde una panetteria che celebra la tradizione filippina con dolci e pani autentici. Un angolo nascosto di cultura gastronomica da scoprire e assaporare.
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Il forno di Milano dove fare colazione a 1 euro
# Una porta d’accesso alla cultura filippina
bakersplacetinapayan IG
I filippini sono una delle comunità più numerose in Italia, ma la loro cucina è ancora poco conosciuta. Mentre ristoranti cinesi e giapponesi abbondano, la gastronomia filippina resta di nicchia, con pochi locali frequentati perlopiù dalla stessa comunità. A Milano, però, un progetto unico sta facendo scoprire i prodotti: Baker’s Place Tinapayan, un panificio che porta sulle tavole dolci e pani tipici come Otap Otap, Pianono e Bitso Bitso.
bakersplacetinapayan IG – Negozio
Fondato da Romeo Mendoza, maestro fornaio con 45 anni di esperienza, il forno di via Plinio è l’ultima evoluzione di un lungo viaggio iniziato nelle Filippine, passato per l’Arabia Saudita e le navi da crociera, fino a Milano. Romeo, cresciuto tra panetterie e festival del pane a Batangas, ha portato qui la sua passione e il suo sapere, creando un ponte culturale attraverso i sapori. Dopo quasi 10 anni di attività, Baker’s Place non è solo un panificio, ma una porta d’accesso alla cultura filippina, tutta da scoprire.
# Le prelibatezze vicine ma lontane
bakersplacetinapayan IG – Kakanin
Molto interessante è la varietà di dolci che sono prodotti, alcuni rappresentano degli specifici territori delle Filippine e testimoniano tradizioni di panificazione regionale con cui Mendoza è venuto in contatto negli anni. Come la Buko Pie, una torta popolare della città di Laguna farcita con polpa di cocco, più buona se mangiata vecchia di un giorno. L’Hopiang è uno dei pezzi forti, un dolce da forno di antiche origini cinesi farcito con cipolle dolci o con carne di maiale in agrodolce. Il Kababayan è una sorta di muffin che si serve ricoperto di burro fuso, il Pianono è una specie di torta rustica arrotolata che accoglie volentieri formaggio e prosciutto ma che storicamente si farciva con margarina e zucchero.
bakersplacetinapayan IG – Ube bears
Il Bitso Bitso è un pane cotto al forno fatto di pasta morbida solitamente fritto. Può essere farcito in vari modi, ricoperto di glassa o semplicemente di zucchero bianco. L’Ensaymada è un tipo di pane dolce nato a Maiorca, in Spagna che, durante la dominazione spagnola, è stato assimilato e modificato dalla produzione locale. Questo dolce al forno è morbido, dolce e gustoso come una brioche. C’è anche il Cinnamon Bread che è una torta cotta al forno, fatta di sfoglie di pasta arrotolata con lievito, cannella, uvetta e zucchero e una spruzzata di glassa bianca come finitura. Questa deliziosa torta soffice è originaria della Svezia, dove è chiamata “Kanelbulle” ed è ideale per le pause tè, caffè o dessert.
I riferimenti culinari sono locali ma anche internazionali, con parecchi dolci che si ispirano alle produzioni cinesi e occidentali e soprattutto quella spagnola, visto che le Filippine sono state per molto sotto la dominazione di Madrid. I prezzi sono a dir poco contenuti: partono da 1 euro in su fino ad una media di 3,50 euro.
La panetteria ha tre punti vendita e, quella di via Plinio 12, si trova attaccatissima a Corso Buenos Aires, dove c’è la fermata della metropolitana Lima:
via Plinio 12
viale Fulvio Testi 70
viale Stelvio 74
Sono aperti dal lunedì al sabato dalle 8 alle 19, mentre la domenica è chiuso.
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Di Emat560 - Opera propria, CC BY 4.0, httpscommons.wikimedia.orgwindex.phpcurid=157561589 - Estensioni metro
Tra progetti in rampa di lancio, incagliati e in valutazione, sono diverse le estensioni che potrebbe rivoluzionare la rete metropolitana di Milano. Vediamo quali sono e il punto della situazione.
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Prolungamenti e nuova M6: il 2025 sarà l’anno della svolta per la rete metropolitana di Milano?
# M1: 3,3 km verso ovest (Bisceglie – Olmi) e 1,9 km verso nord (Sesto Restellone – Cinisello Bettola)
Credits Comune di Milano – Estensione M1 Quartiere degli Olmi
La M1, la prima linea metropolitana di Milano, attende due importanti prolungamenti. Uno verso ovest, con l’estensione fino a Quartiere Olmi. Questo prolungamento prevede una lunghezza di circa 3,3 km e 3 nuove fermate (Parri-Valsesia, Baggio e Olmi).
L’altro riguarda l’estensione verso nord con una lunghezza di 1,9 km e 2 nuove fermate(Sesto Restellone e Cinisello Bettola). I cantieri per questo tracciato sono stati aperti ormai 15 anni fa, ma non sono mai stati terminati. Nel mese di febbraio si è chiuso il secondobando per l’estensione a ovest della linea, dopo il flop del primo, che comprende l’opzione, esercitabile da Palazzo Marino, per far concludere i lavori anche per la tratta verso Monza. Nei prossimi mesi è prevista l’assegnazione dell’appalto, entro la fine dell’anno la partenza dei cantieri pe entrambi i progetti. Inaugurazione del prolungamento per Bettola nel 2029, per quartiere Olmi nel 2031-2032.
# M4: 3,1 km e due fermate (Idroscalo San Felice e Segrate Porta Est)
M4 Segrate
Il prolungamento verso Segrate della linea M4 appresenta un tassello fondamentale per l’estensione della rete, con una lunghezza di circa 3,1 km e 2 nuove fermate (Idroscalo San Felice e Segrate Porta Est), soprattutto per collegare meglio l’hinterland est a Milano. In questi mesi è dovrebbe essere avviata la Conferenza dei Servizi, sono ancora da recuperare circa 70 milioni di extracosti, con l’obiettivo di partenza dei cantieri tra la fine dell’anno e i primi mesi del 2026, per concludersi tra il 2032 e il 2033. Al futuro capolinea la linea previsto l’interscambio con la nuova stazione dell’alta velocità ancora da costruire.
Una lunghezza di circa 13 km e 11 nuove fermate, da Bignami a Monza Polo Istituzionale, tra i progetti più importanti per decongestionare il traffico nella zona nord di Milano e migliorare i collegamenti con la Brianza. All’appello mancano 589 milioni di euro, non contando i 300 milioni promessi nell’ultima finanziaria, da recuperare entro giugno 2025 per non rischiare di perdere anche l’1,29 miliardi già stanziati. A seguito di un incontro tra tutti i sindaci interessati, si era paventato la cancellazione di alcune fermate e la realizzazione dell’opera in più lotti, è stato concordato di proseguire con un unico lotto. Si attende nei prossimi mesi una riunione presso il Ministero dei Trasporti, con una rappresentativa degli enti coinvolti, per trovare la quadra sulla questione extracosti. Il cronoprogramma prevede bando di gara tra fine 2026 e inizio 2027, avvio dei lavori a settembre 2027 e inaugurazione del prolungamento a dicembre 2033.
A ottobre 2024 era attesa la presentazione di sei 6 progetti di tracciato, in realtà uno era inerente l’estensione della linea M2 da piazza Abbiategrasso verso in direzione del Vigentino, per la linea rosa. Il 2025 potrebbe essere l’anno buono per vedere le soluzioni studiate da MM e Politecnico. La sfida verte però al momento su due ipotesi. Una voluta dal Comune di Milano, con un percorso sud-ovest/sud-est dalla Barona a Ponte Lambro, e prosecuzione lungo l’arco ovest non servito dalla cintura ferroviaria per servire zone come Sempione, Certosa e forse MIND.
Il Giornale – Percorso ipotizzato nuova M6
Un’altra spinta dal governo italiano, che prevede lo sbinamento dal ramo della M1 per Bisceglie e la continuazione in direzione lungo l’asse del Ripamonti per fare capolinea a Opera/Locate Triulzi e interscambiare con la stazione dell’alta velocità sulla Milano-Genova in fase di valutazione.
# M5 per Settimo e M3 per Peschiera più avanti nella progettazione, a rilento M4 per Buccinasco e M2 per Vimercate
Estensioni
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Prolungamento M5 Settimo Milanese
Prolungamento M5 Settimo Milanese
Credits treno metro4milano IG - Prolungamento M4
M3 Peschiera
Prolungamento M5 Settimo Milanese
Tra i prolungamenti allo studio, per i quali al momento non si attendono novità nel 2025, ci sono in ordine di avanzamento progettuale:
la M5 verso Settimo Milanese, di circa 4,5 km e 4 nuove fermate. Realizzati i primi rilievi nel sottosuolo in zona San Siro, in corso lo studio di fattibilità;
la M3 verso sud est con due fermate, una a San Donato e l’altra a Peschiera Borromeo. Al lavoro MM per realizzare lo studio di fattibilità;
la M4 verso sud ovest, con estensione più probabile di 1-2 fermate tra Buccinasco e Corsico. In questo caso, tra le sei ipotesi, la più ambiziosa con estensione fino a Trezzano sul Naviglio, non è stata in realtà effettuata ancora una scelta.
infine l’estensione della M2 fino a Vimercate, anche se si tratta di prosecuzione in metrotranvia, per la quale è partito da poco l’elaborazione di uno studio di fattibilità preliminare.
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La cosa che piace di più Milano è la possibilità di girare il mondo senza andare troppo lontano. Ecco 5 ristoranti etnici che proprio non puoi perderti.
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5 locali etnici imperdibili a Milano
#1 Llama Maki – via Silvio Spaventa, 1
llamamakinikkei IG
È il primo ristorante e uramakeria Peruviana in chiave fusion basato sulla tradizione, l’originalità e l’innovazione con la professionalità di chi ha fatto della ricerca del gusto la propria professione. Ogni sera con la loro filosofia riescono a far vivere un’esperienza unica ai loro clienti accompagnandoli in un viaggio sensoriale e gustativo in cui incontreranno i sapori, le consistenze e i prodotti esotici e tradizionali che compongono la ricca cultura nikkei peruviana, senza bisogno di prendere un aereo per goderne.
Llama Maki è frutto del lavoro dello chef Gustavo Morales, che trasforma gli ingredienti peruviani di alta qualità in piatti deliziosi e ricchi di cultura. L’obiettivo è far sentire i clienti come a casa, offrendo un’esperienza accogliente e familiare. Il locale offre due diversi menù:
Menù pranzo: durante la settimana a mezzogiorno è disponibile il Menu Business Lunch composto da piatti gustosi e diversi dal solito.
Orario Menu Business Lunch: da martedì a venerdì dalle 12.00 alle 14.45
Puoi scegliere 1 Entradas + 1 piatto principale + 1 acqua a 15€.
Menù cena: è un viaggio sensoriale e ogni morso del piatto che sceglierete di assaggiare vi farà immergere nella ricca cultura gastronomica nikkei peruviana. Orario cena: da martedì a sabato dalle 19.00 alle 22.30, domenica dalle 12 alle 14.45.
#2 Sachi – via Orefici, 26
sachi.milano IG – Interno
Sachi è l’indirizzo specializzato in cucina nipponica all’ultimo piano del nuovissimo Palazzo Cordusio, parte del progetto di riqualificazione e restauro dello storico Palazzo Venezia, oggi trasformato nell’hotel 5 stelle lusso del gruppo Gran Meliá. A suggerire che questo sia un locale davvero speciale è, in primis, la posizione, a pochi passi dal Duomo e dal Quadrilatero della Moda, all’interno di una terrazza con giardino che guarda le guglie del Duomo. Sachi è il secondo locale che porta questo marchio, dopo la prima apertura avvenuta a Londra, aperto dal gruppo Sunset Hospitality Group. Un rooftop che gioca sugli elementi e gli stili classici orientali senza mai calcare la mano: il grande bancone è un’esperienza diretta con i sushimen, l’imponente bonsai centrale, i toni naturali del legno, i famosi byōbu, ovvero i tipici paraventi giapponesi formati dall’unione di pannelli decorati con pitture decorative e calligrafiche.
Sachi in giapponese vuol dire “felicità” ed è il concetto di base che guida la mano dello chef Moon Kyung Sooha che attinge a rituali e tradizioni antiche per creare il percorso gastronomico. Coreano con una formazione giapponese, lo chef Moon Kyung Sooha porta in tavola un menù che si trova a mezza via tra il pranzo ‘kaiseki’, più informale e conviviale, e la cucina degli ‘izakaya’, le classiche trattorie del Giappone. Questo stile esclusivo prende il nome di “kappo ryori”, letteralmente “tagliare e cucinare”. La carta comincia con i kobachi, antipasti come l’insalata goma di spinaci, i friggitelli verdi con miso rosso al miele e il karaage di wagyu con toro, caviale e aioli al tartufo. Non mancano poi i crudi, dalla tartare di toro al carpaccio di ricciola con miso al coriandolo e zucca giapponese. C’è anche spazio per la robata, la classica griglia, e una selezione di whisky giapponesi, sake e vini di prima classe curata dai loro sommelier.
Menù classico: 6 portate abbinate a una selezione di 8 calici Chianti Classico e una Grande Selezione di Ricasoli, è un viaggio per immergersi nella tradizione giapponese: sugli ingredienti: dalla carne di razza rara cotta sulla griglia robata al pescato del giorno, il tutto accompagnato dalla storia della cantina guidato da esperti del settore.
Menù Omakase: tradotto come “lascio a te la scelta,” è una cena multi-portata guidata dallo chef, ispirata alle stagioni e ai migliori ingredienti disponibili. Si svolge al bancone di fronte alla cucina a vista: è un’esperienza intima e interattiva tra ospite e chef composta da 6 portate abbinate a una selezione di 8 calici Chianti Classico e una Grande Selezione di Ricasoli guidato dallo chef.
Orari: dalle 7.00 alle 11.00, chiuso la domenica.
#3 Cittamani – piazza Carlo Mirabello, 5
cittamanimilano IG
La figura femminile del Buddha, espressione della saggezza:Cittamani è una parola carica di significato che dà il nome a uno dei ristoranti punto di riferimento a Milano per la cucina indiana, evocando un luogo di armonia e illuminazione culinaria. Situato nel cuore dello storico quartiere Brera all’interno di un edificio del Novecento, Cittamani è un ristorante elegante e di design in cui i materiali di pregio come l’ottone, il marmo e poi la pelle e gli specchi si sposano con i complementi e agli arredi creati artigianalmente in India. Le ampie vetrate regalano un’apertura verso l’esterno creando un continuo con la città che lo ospita e con la quale intrattiene un forte legame. Tempio gastronomico e crocevia che fonde la ricchezza culinaria dell’India moderna con quella dell’Italia contemporanea rispecchia fortemente lo spirito della sua fondatrice Ritu Dalmia.
A guidare la cucina del ristorante di Ritu Dalmia, c’è lo chef Bishnu Prasad Dhakal originario del Nepal, formatosi sotto la guida di Dalmia a partire dal 2004 presso i ristoranti Diva. Il progetto di ristorazione ha preso forma grazie al sostegno nella società sudafricana Leeu Collection e del suo fondatore, l’imprenditore di origine indiana, Mr. Analjit Singh, che ha da subito creduto nell’intuito di Dalmia.
Il menù di Cittamani propone una cucina indiana autentica e casalinga dai sapori delicati, nella quale le spezie sono utilizzate in maniera dosata, così da soddisfare i gusti locali, con ispirazioni provenienti dai piatti tipici regionali della Penisola. Non a caso, gli ingredienti utilizzati sono per la maggior parte di provenienza italiana, selezionati personalmente da Ritu Dalmia in occasione dei suoi lunghi viaggi da piccoli produttori locali. La carta dei vini conta circa 60 etichette di cui il settanta per cento italiane. Tema cardine dell’offerta enogastronomica di Cittamani è il concetto di condivisione: è possibile scegliere tra una grande varietà di piatti in versione sia piccola che grande, così da degustare, sperimentare e, appunto, condividere un’esperienza variegata e multisensoriale, in cui i profumi e i sapori dell’india si mescolano a quelli a noi familiari.
Orari: a pranzo dalle 12.30 alle 15.00, a cena dalle 19.00 alle 23.00, aperto tutti i giorni, il sabato solo a cena, la domenica chiuso.
#4 Veranda – via Bezzecca, 6
dancersfooddiary IG – Veranda
Il ristorante Veranda, inaugurato nel 2012 in via Bezzecca nella zona di Piazza V Giornate, ha mantenuto il suo nome originale. La scelta del nome si ispira alla sua atmosfera accogliente e alla disposizione degli spazi, che ricreano l’idea di una veranda, il termine “veranda” ha infatti lo stesso significato in italiano, ucraino e russo. L’idea di coniugare la cucina russa e ucraina con quella georgiana è dovuta al fatto che lo chef del ristorante viene dalla piccola repubblica ex-sovietica, nota per la sua cultura gastronomica antichissima e riconosciuta in tutto il mondo. Le tre cucine condividono molte caratteristiche, che derivano sia dalla vicinanza geografica che da secoli di scambi culturali, migrazioni e interazioni storiche nella regione euroasiatica. Tutte e tre utilizzano abbondantemente ingredienti come carne, patate, cereali e latticini nelle loro preparazioni, oltre all’uso di spezie e erbe aromatiche simili come aneto, coriandolo, aglio, paprika che conferiscono sapori intensi e molto distintivi.
La missione di Hanna, la proprietaria, è dimostrare che la tavola unisce, proprio per questo lei stessa ha indicato un piatto assolutamente da assaggiare per ognuna delle tre cucine servite nel suo locale. Per l’Ucrain il borsch, la coloratissima zuppa di cavolo, barbabietole, manzo, panna acida e verdure, per la Russia invece l’insalata Olivier che è la vera insalata russa e per la la cucina georgiana il piatto suggerito è il khachapuri, il pane a forma di occhio, ripieno con formaggi tipici, tuorlo d’uovo e burro. L’intraprendenza della proprietaria l’ha portata a produrre una sua linea di birre artigianali, che è possibile assaggiare solo all’interno di Veranda, che hanno il nome di sua figlia di 8 ann.
#5 Eldogo – via Nicola D’Apulia, 4
eldogo_bistrot IG
El Dogo è un bistrotd’impronta argentina aperto nel 2023 a Nolo, una via di mezzo tra un locale street food e un ristorante. Di fatto, El Dogo è un bistrot attraente per l’offerta, l’atmosfera e la posizione. Il locale si sviluppa con 40 coperti su due sale, in particolare, quella principale vede una parete completamente rivestita di muschio, che vuole puntare l’attenzione sul rispetto per l’ambiente (qui la plastica non esiste), oltre a svolgere una salutare funzione fonoassorbente. È interessante anche il simbolo-insegna del bistrot che celebra il Dogo, la famosa razza canina originaria della provincia Cordoba. Un cane che è un richiamo diretto a questa terra, un cane leale e protettivo che si ritrova anche all’interno del locale con le sue impronte stampate sul soffitto del corridoio che unisce le due sale.
Mario Celotti, di prima professione architetto, ha inaugurato il locale puntando su una formula formato famiglia che si focalizza su un’ampia offerta di empanadas, confort food per eccellenza. Si tratta di una rielaborazione di una tradizione domestica: la mamma di Mario, Josefine, è infatti argentina e i figli sono cresciuti a suon di tipicità gastronomiche locali, empanadas in testa. Al momento in lista ce ne sono sei, ripiene di manzo, pollo, tonno, zucca, erbette, formaggio e cipolla. Appetitosi anche i panini, come il Choripán, una pita con salsiccia speziata, chorizo e salsa chimichurri, e il Lomito, con controfiletto di manzo e sempre con salsa chimichurri. Ma si spazia anche dalla caponata al polpo e crostacei, un piatto in bilico tra Sicilia e Sudamerica davvero riuscitissimo, alla carne di qualità come il diaframma di manzo con tortino di patate dolci e salsa criolla. Una formula vincente, che punta su empanadas e piatti della tradizione mantenendo un equilibrato rapporto qualità-prezzo.
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