Il grande sogno di chiunque viva o venga a Milano. Dormire davanti al Duomo. In questo appartamento è possibile. Vediamo come è fatto.
È questo il PIÙ BEL AIRBNB di Milano?
# La foto non è un fotomontaggio
Credits Airbnb – Airbnb Milano
Dormire con affaccio diretto sul Duomo di Milano? Per i turisti che vogliono una camera da cui ammirare il panorama più ambito della città su AirBnb c’è un appartamento di lusso che esaudisce questo desiderio. La foto non è un fotomontaggio e infatti, come recita l’annuncio, “la vista dell’appartamento è esattamente quella che vedete dalle foto, nessun trucco.” Gli arredi sono in stile shabby chic e c’è persino una terrazza da cui godersi la vista della Galleria e soprattutto quella frontale della piazza e del Duomo.
# Come è fatto l’appartamento
Credits Airbnb – Camera Duomo Milano
L’appartamento può ospitare fino a 6 persone e si compone di 2 camere con letti king size e un divano letto, tre bagni, una cucina arredata e pronta all’uso e un ampio soggiorno-sala da pranzo con camino.
Credits Airbnb – Soggiorno Duomo Milano
All’interno spiccano i soffitti in legno e le colonne e gli archi in pietra faccia vista.
Milano: c’è chi la vuole piccola e chi grande. La voleva grande Napoleone, la volevano piccola gli austriaci e lo Stato unitario italiano. Poi di nuovo più grande Mussolini: quest’anno sono cent’anni dalla riforma del 1923 che ha incorporato nel comune di Milano 12 comuni. Rispetto ad altre città europee i confini amministrativi di Milano sono assai ridotti. Eppure ci sarebbero grandi benefici ad estenderli come ricorda un nuovo articolo dell’Eco di Milano.
Il GRANDE affare a rendere MILANO più GRANDE: più connessioni e più servizi per chi abita nei dintorni
“Quest’anno ricorre il centesimo anniversario del varo della legge che consentì l’allargamento dei confini di Milano. Nel 1923 furono aggregati al capoluogo lombardo 12 comuni. Fra questi: Chiaravalle con Rogoredo, Greco, Lambrate, Affori, Baggio, Crescenzago, Gorla-Precotto, Musocco, Niguarda, Trenno e Vigentino. Si trattò di un progetto lungimirante, quello realizzato durante il Ventennio fascista. Ma già l’imperatore Napoleone nel 1808 aveva accorpato a Milano 35 comuni.”
I vantaggi che nel corso del secolo i territori entrati a far parte di Milano hanno goduto sono evidenti. Un quartiere come Lambrate (…) ha l’autobus che porta fino al S. Raffaele, la 54, che arriva fino a piazza del Duomo, e il tram 33 che termina la sua corsa alla Stazione centrale; mezzi di trasporto che non avrebbe avuto se fosse rimasto comune autonomo. (…)
Il principale vantaggio per i comuni incorporati sarebbe dato dalle connessioni e dai servizi “Attualmente, tutti i comuni dell’hinterland milanese usufruiscono dei servizi di trasporto dell’Atm; ed è solo grazie a Milano che i comuni della Provincia escono dall’isolamento. In termini di servizi la Grande Milano offrirebbe tanti vantaggi agli abitanti che entrerebbero a farne parte.” Come accade peraltro a tutte le grandi metropoli europee, come Parigi, Londra, Madrid o Berlino. Metropoli in cui lo Stato si guarda bene dal rimpicciolire i confini. Ma fino a che punto si dovrebbero estendere i confini di Milano?
# Quanto dovrebbe essere grande
Credit Urbanfile – Grande Milano
Il principio è elementare, come ricorda l’Eco di Milano: “fin dove c’è continuità di insediamenti urbani”.
Basta osservare l’immagine satellitare, qui rielaborata da Urbanfile, per vedere fin dove sarebbero i confini reali in base a questo principio. L’abitato si diffonde senza soluzione di continuità oltre Monza ad est, verso Busto Arsizio e Gallarate a ovest e nella provincia di Como a nord.
Prendendo in considerazione i soli comuni della prima e seconda corona dell’hinterland si contano 1,23 milioni di residenti, poco meno di 200.000 rispetto a quelli del Comune di Milano, e aggiungendo gli 880.000 della provincia di Monza e Brianza si arriva a un totale di 3,5 milioni. Sommando i restanti della Città Metropolitana di Milano si superano i 4 milioni.
Ci sono diversi studi che ipotizzano una più veritiera estensione del capoluogo lombardo. In base all’analisi di Demographia, il nucleo aggregante della più vasta area metropolitana sarebbe seconda nell’UE per popolazione dopo Parigi con una superficie di 2.225 kmq e 5,5 milioni di abitanti. Secondo l’OCSEl’area metropolitana milanese comprenderebbe anche i territori delle province di Varese, Bergamo, Como, Lecco, Cremona, Lodi, Pavia, Novara, Alessandria, Brescia e Piacenza avvicinandosi agli 8 milioni di abitanti.
# La soluzione ottimale
la regione urbana di Milano secondo l’OCSE
La soluzione più simile sembrerebbe quella di Parigi, che ha un comune di dimensioni più ridotte rispetto a quelle del Comune di Milano ma ha un’area metropolitana più vasta e gestita in maniera unitaria da un ente con propri poteri e risorse. Il capoluogo lombardo avrebbe bisogno di ampliare i suoi confini amministrativi, tramite l’incorporamento di comuni o in alternativa trasformandosi in una città regione che comprenda lo stesso comune di Milano e tutti quelli dell’area metropolitana allargata, per competere con le altre metropoli internazionali, aumentare la capillarità del trasporto pubblico e offrire servizi migliori a tutti i cittadini che gravitano su e attorno al capoluogo.
Il ponte più antico di Roma ha avuto un destino maledetto per chi lo ha progettato.
L’INCUBO degli ARCHISTAR: la TERRIBILE STORIA del PONTE più antico di ROMA
# Ponte Fabricio: il più antico ponte originale romano
Credits: @clavdio77 Ponte Fabricio
Con i suoi 2039 anni, Ponte Fabricio è il ponte più antico di Roma che mantiene ancora la sua composizione originaria. Se infatti Ponte Milvio fu costruito nel 200 a.C. e Ponte Sublicio è ancora più antico perché realizzato nel 600 a.C., entrambi inizialmente erano in legno e furono più volte ricostruiti; lasciando, quindi, a Ponte Fabricio il record. Quest’ultimo, infatti, fu costruito nel 69 a.C. È lungo 62 metri e alto 5,5 e collega l’Isola Tiberina alla terraferma sul lato orientale, verso Campo Marzio.
Il ponte è chiamato così dal suo costruttore, Lucio Fabricio, e nelle quattro arcate che lo caratterizzano appare l’iscrizione con il nome del progettista. Tuttavia, dai romani, il ponte è principalmente conosciuto come quello dei Quattro Capi o Pons Judaeorum, proprio per la storia tra verità e leggenda che si tramanda e che lo vede protagonista.
# Una fine maledetta: l’incubo degli Archistar
Credits: @curiosityrome Ponte Quattro Capi
È vero che Ponte Fabricio è il più antico di Roma rimasto nella sua composizione originaria, tuttavia ciò non nega il fatto che sia stato ristrutturato. Ed è proprio da uno dei suoi restauri che nasce la tragica storia a cui è associato, questa volta nessuna magia o divinità.
Si narra infatti che, alla fine del Cinquecento, Papa Sisto V avesse commissionato a 4 architetti di restaurare Ponte Fabricio, ma durante il progetto tra i quattro nacque un’inimicizia e presero a litigare tra di loro furiosamente. Tanta discordia e odio profondo che il fatto divenne uno scandalo sulla bocca di tutti, fino a quando lo venne a sapere il Pontefice. Se in un primo momento Papa Sisto V reagì in modo pacato, una volta ultimati i lavori di restauro condannò tutti e 4 gli architetti alla decapitazione. Si erano comportati in un mondo non cristiano, tanto da meritare la morte. Si dice che gli architetti furono decapitati proprio sul ponte e da qui il nome Ponte dei Quattro Capi.
Tutto, ma proprio tutto, parla lombardo. Anche la carta dei vini.
APRE a Milano la TRATTORIA che ha solo PIATTI LOMBARDI
# “Non facciamo neppure la pastasciutta, non era tradizione della Lombardia”
Credits trattoriasincera FB – Trattoria Sincera
Il suo claim lascia poco spazio ai fraintendimenti: «dalle Alpi al Po, cucina tradizionale lombarda». Si presenta così la Trattoria Sincera, inaugurata il 28 aprile 2023 in zona Lambrate e nata dall’idea degli imprenditori che hanno fatto nascere il locale Fred e il cocktail bar Arca. Qui si mangiano solo piatti tipici della Lombardia. A guidare la cucina lo chef milanese Federico Boni, precedentemente al ristorante Sottobosco con vista piazza San Luigi, che intervistato da Massimiliano Tonelli per Cibo Today racconta il nuovo locale: “Non facciamo neppure la pastasciutta, non era tradizione della Lombardia, qui si mangiavano magari gli gnocchi, sicuramente tanto riso, poi c’era il mais ma di certo non si coltivava grano per cui niente pasta. Neppure nel menu veloce del pranzo”.
# Anche le materie prime sono tutte lombarde
Credits gatti9983 IG – Salumeria
Non solo i piatti, anche le materie prime sono lombarde, così pure tutta la carta dei vini, degli spumanti, degli amari, delle birre, delle bevande analcoliche. Il locale, con due sale una fronte strada e l’altra sul retro, si distingue per uno spazio dedicato allasalumeria dove vengono affettati “prosciutti, mortadelle di fegato di maiale, violini di capra, lardi, nervetti e bresaola della Valtellina selezionati da Marco D’Oggiono”. Non manca la parte dedicata ai formaggi, tra questi troviamo il Formai de Mut dell’Alta Valbrembana e la Raspadura di Lodi.
# Cosa si mangia
Credits gatti9983 IG – Risotto
Veniamo quindi alla parte più interessante, quali sono i piatti da provare? Partiamo dai grandi classici della tradizione: cotoletta, ossobuco e risotto giallo, risotto senape e carne salada, tagliatelle al sugo d’arrosto e gnocchetti al Raspadura. A questi si affiancano i Mondeghili con salsa di senape e paprika, il risotto alla milanese mantecato col midollo, il risotto all’aglio nero con rognoncini di coniglio, l’ossobuco di vitello in gremolada e pernice farcita con frutta secca. Pure i prezzi sono milanesi: il risotto al midollo viene 14 euro, la cotoletta 22 euro.
A Milano ha aperto il primo negozio un-brandend d’Italia, cosa significa? Qui si possono comprare abiti di grandi marchi ma a prezzi molto più bassi, questo perché sono privi di etichetta: quindi non compri il brand ma solo l’abito. Ecco dov’è e come funziona.
Aperto a Milano il primo NEGOZIO UNBRANDED d’Italia: GRANDI MARCHI a PREZZI BASSI ma senza etichetta
# Più di 100 brand a prezzi ribassati
Credits: @yolostoremilano Yolo
Non sarà più il marchio di ciò che indossiamo a definire la nostra personalità: il nuovo store di Milano rimette al centro la qualità dell’abito. In un periodo in cui il brand vale più del vestito in sé, in questo negozio bisognerà scegliere i vestiti da comprare “solo” in base alla vestibilità, il comfort e il valore di un capo in sé. Nel primo negozio un-branded d’Italia ci sono infatti abiti di oltre 100 marchi selezionati, ma venduti senza etichetta, così che i clienti non sanno che firma stanno acquistando. Ma dov’è di preciso questo store?
Si chiama Yolo e si trova in via Torino 60. Un negozio ben riconoscibile, una location estremamente curate dai colori accessi. L’allestimento di Yolo mette a suo agio il cliente ma soprattutto lo affascina, questo perché all’interno del negozio si trovano anche elementi giocosi e interattivi, ne sono un esempio l’ascensore pieno di orsetti di peluche o il piccolo spazio dove giocare a basket.
# Yolo: you only live once
Credits: @yolostoremilano Yolo
Yolo, acronimo di “you only live once” (si vive una volta sola), propone abiti di vecchie collezioni, di collezioni attuali o di prototipi per quelle future. Qui si possono trovare vestiti di ogni tipo low price, ma come specifica lo store mai “cheap”. Ma perché i prezzi sono ribassati? Molti brand preferiscono vendere senza etichetta a un prezzo più basso il loro magazzino, l’archivio e i prototipi per non sovrapporsi alla distribuzione primaria. In questo mondo non si compra il brand ma solo la qualità dell’abito.
In più, per far vivere l’esperienza dello shopping in modo giocoso, oltre a messaggi motivazionali e sfondi molto instagrammabili, se si spende più di 50 euro si può partecipare ad un gioco a premi. YOLO è aperto da lunedì a domenica dalle 10:00 alle 20:00.
Un’opera faraonica pronta a polverizzare ogni record. Il progetto nel dettaglio e l’investimento stimato per la sua costruzione.
Il progetto di TUNNEL SOTTOMARINO più LUNGO del MONDO
# Un tunnel sottomarino da Guinness
By Ekem – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=27256607 – Bohaitunnel
Il governo cinese ci lavora dal 2013, anno in cui è stato presentato il primo progetto il cui nome ufficiale è Bohai Strait Cross-Sea Corridor. Il tunnel sottomarino attraverserà lo stretto di Bohai per mettere in collegamento con i treni dell’alta velocità la città di Dalian nella penisola di Liaodong con quella di Yantai nella penisola di Shandong, entrambe con una popolazione pari a 7 milioni. La gestione sarebbe in carico alla China Railway Engineering Corporation. Il tunnel si connetterebbe all’esistente sistema ferroviario cinese ad alta velocità e consentirebbe di ridurre di tre volte i tempi necessari per andare da una penisola all’altra: dalle due ore impiegate oggi dal Bohai Train Ferry ai 40 minutidi treno, anche per chi scegliesse di caricare la propria auto sui convogli ferroviari.
Il progetto prevede una lunghezza complessiva del tunnel di circa 125 chilometri, di cui oltre 100 chilometri sotto lo stretto e ben 90 chilometriimmersi nell’acqua. Un’opera davvero faraonica, basti pensare che sommando l’estensione dei due tunnel sottomarini più lunghi del mondo, quello del Seikan e quello sotto la Manica, si superano di poco i 60 km.
# Un investimento di 43 miliardi di dollari
Credits Broesis-pixabay – Costruzione tunnel
La prima stima dei costi di costruzione, risalente al 2014, era stata di 32 miliardi. Nell’ultimo aggiornamento è salita a 43 miliardi di dollari. Nel 2019 il progetto definitivo è stato presentato ufficialmente alla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma. Oltre al tunnel sono previsti anche due punto da Penglai per collegare le isole Changshan. I lavori per la costruzione del tunnel dei record avrebbero una durata non inferiore ai 10 anni, ma al momento non è stato dato il via libera definitivo.
E’ al centro delle cronache: la Stazione Centrale. Ogni settimana una grave aggressione. Ma è sempre stata così? Questo video di MilanoVintage ci mostra com’era una trentina d’anni fa.
Hai un video di Milano da inviarci o segnalarci? Scrivici su info@milanocittastato.it (video del giorno)
Anche se i parametri meteorologici non si sono ancora allineati, inizia uno dei mesi più belli di Milano. Ecco cosa succede in città prima del week end.
Prima SETTIMANA di MAGGIO: appuntamenti a Milano (#ToDoMilano dal 2 al 5 maggio)
Senza titolo: spettacolo di performing art, creato da Romeo Castellucci appositamente per il centenario della Triennale di Milano, nata nel maggio 1923. In scena alle 18.00, 19.00, 20.00 21.00 e che resta in replica fino a domenica 7 maggio compreso.
Il ballerino e l’ideale: storia degli eventi del 12 dicembre 1969. Ricostruzione di piazza Fontana, in scena fino a domenica 7 all’Elfo Puccini. Debutto alle ore 19.30.
Poco più di un fatto personale: il vicino di casa della setta delle Bestie di satana, racconta le vite della banda criminale. In scena fino al 6/5 al Teatro della Cooperativa, sipario alle 20.00.
Farà giorno: spettacolo di confronto duro ma esilarante, tra un vecchio partigiano e un giovane della periferia romana, non proprio allineato all’ideale antifascista. In scena nella Sala A del Teatro Franco Parenti, debutta alle 20.30, in replica fino al 28 maggio.
L’erba del vicino è sempre più verde: dove può portare un’insana invidia sociale? Tra suspence e qualche graffiante battuta, lo racconta Carlo Buccirosso, al debutto al Teatro Manzoni alle 20.45. Lo spettacolo resta in replica fino al 14 maggio.
Caterina Barbieri: spettacolo musicale ispirato a grandi figure femminili del passato, con sonorità particolari realizzate con sintetizzatori e voci. Il concerto si inserisce nel programma FOG della Triennale e va in scena alle 21.00 sul palco di viale Alemagna.
Verace Comedy Lab: monologhi e sarcasmo con Paolo Ruffini e tre conduttori un po’ acustici, alla ricerca della risata più forte. Alle 21.00 allo Zelig di viale Monza.
Fakear: esibizione del dj proveniente dalla Normandia, che ha raccolto successi in tutto il mondo nella sua giovane carriera. Spettacolo e selezione musicale al Circolo Magnolia di Segrate, inizio alle 21.00.
Mr. Rain: rapper e produttore di Desenzano, arrivato all’attenzione del grande pubblico con Sanremo 2023, porta in tour il suo ultimo lavoro. Liriche sempre particolari, regalate al pubblico del Fabrique, nel concerto che inizia alle 21.00.
Milan – Cremonese: derby lombardo a San Siro con i rossoneri che cercano di assicurarsi la Champions ospitando una squadra all’ultima spiaggia per la serie A. Alle 21
Cuore di cactus: debutta nella Sala Grande del Franco Parenti, una lettura teatrale, musicata e narrata, che racconta un italiano di oggi e i suoi dubbi. Sipario su alle 21.15.
#Mercoledì 3/5: 100 anni della Triennale di Milano, debutto di metà stagione alla Scala e il raffinato jazz di Diana Krall all’Arcimboldi
Triennale Milano – Credits: arte.it
Un’andatura un po’ storta ed esuberante: esibizione di performing art ideata ed eseguita da Antonio Tagliarini, inclusa nella rassegna FOG. In scena 3 e 4 maggio, alle ore 19.30 presso Fondazione il Lazzaretto.
L’attimo fuggente: edizione teatrale dello stesso autore originale, che arriva a Milano nella Sala Grande del Teatro Franco Parenti, con la regia di Marco Iacomelli. In replica fino al domenica 7 maggio, sipario alle ore 19.45.
Notti: liberamente ispirato dalle Notti Bianche di Dostoevskij, debutta al Teatro Menotti l’edizione a cura di Elena Strada. In replica fino a domenica 7, debutta alle ore 20.00.
Andrea Chénier: debutto di mezza stagione alla Scala, per l’opera ambientata durante i tumulti francesi del 1789. Dirige Marco Armiliato sul libretto di Illica, in replica fino al 27 maggio. La prima è alle ore 20.00.
The Baylor Project: marito e moglie, entrambi cresciuti nel gospel e deep soul, sono in tour a Milano ospiti del placo del Blue Note. Doppio spettacolo, alle 20.30 e 22.30.
Laboratorio Artistico: appuntamento ricorrente dell’Area Zelig, condotto da Davide Paniate. Il club presenta le nuove proposte della comicità, che si avvicendano sul palco a partire dalle ore 21.00.
Diana Krall: pianista e compositrice jazz, l’artista canadese arriva a Milano in tour. Si esibisce sil palco degli Arcimboldi, con inizio spettacolo alle 21.00.
Will: è l’ora anche del giovanissimo cantante reduce dal palco sanremese di quest’anno. Si esibisce ai Magazzini Generali, a partire dalle 21.00.
The Mission: unica data italiana per il tour della band, che recupera gli annullamenti degli anni scorsi. Sono al Legend Club alle 21.00, in viale Enrico Fermi.
#Giovedì 4/5: doppio Edipo in prosa e sinfonica, musica di Baby K e Macklemore
Louis Lortie: raffinato pianista, arriva al Teatro Dal Verme anche nei panni di Direttore dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali. Prova mattutina alle 10:00 aperta al pubblico, per lo show della sera, in programma alle ore 20.00.
Circe: in scena la storia della maga e dea, sceneggiata attraverso l’occhio più intimo dell’edizione voluta da Chiara Salvucci. In replica fino a domenica 14, debutta al Teatro Litta alle 19.30.
Edipo tra infanzia e voce, Edipo re di Sofocle: l’omaggio al re di Tebe, riscritto da Chiara Guidi e che viene condotto dalla voce. Debutta alle 19.30 al Piccolo Teatro – Mariangela Melato, in scena fino a domenica 7.
Edipo Re: un altro Edipo, stavolta in musica, è protagonista all’Auditorium di Milano. Con la voce narrante di Massimiliano Finazzer Flory e la direzione di Andrey Boreyko, la Sinfonica esegue Stravinskij e Pizzetti. Sipario alle 20.00.
Through The Night Softly: spettacolo visionario, dove nulla è come appare e va colto attraverso suoni, immagini e suggestioni. In scena al Teatro Leonardo di via Ampere, debutta alle 20.30 in replica fino al 14 maggio.
Mario Rusca Trio: concerto che celebra i 30 anni di attività dell’etichetta Right Tempo, che vede il pianista in formazione speciale al Blue Note. Primo spettacolo alle 20.30, secondo alle 22.30.
Infinity Scemette: Zelig e Scemette festeggiano il loro decimo anniversario insieme, proponendo una serie di serate del giovedì. Questa settimana, alle 21.00, il mondo in una stand-up night con varie artiste che si alternano.
Cabaret: l’arte di alleggerire la descrizione oggettiva della realtà, con l’ironia e la stand-up comedy di Filippo Giardina. Serata di ironia e divertimento all’Eco Teatro, a partire dalle 21.00.
Macklemore: rapper americano, atteso per ascoltare i brani del nuovo lavoro in tour, The Ben. Ospite dell’Alcatraz, il concerto inizia alle 21.00.
Baby K: al secolo Claudia Nahum, è in tournée proponendo Donna Sulla Luna Live. Il concerto si snoda tra repertorio e nuove proposte discografiche, live ai Magazzini Generali dalle 21.00.
#Venerdì 5/5 (diurno e preserale): networking ed economie per la generazione Z, prima edizione del Festival Internazionale dell’Antimafia
Antimafia – Credits: chedonna.it
L’Impegno di Tutti: prima edizione del Festival Internazionale dell’Antimafia, in programma a Milano all’Anteo Palazzo Cinema. Inaugurazione alle 10.00 della giornata dedicata alle scuole superiori. Il Festival si sviluppa anche sabato e domenica.
Economia civile, generatrice di innovazione per l’Impresa e la Città: mattinata di confronto dedicata all’economia civile, a cura di Assolombarda. Inizia alle 10.00 in via Pantano 9.
Verde Giffoni – Milano Edition: evento green della Generazione Z, la cui seconda edizione è dedicata alla sostenibilità. Dalle 14.00 alle 18.00 presso Deloitte Greenhouse di via Tortona 25.
Startup Geeks Meetup: appuntamento di networking organizzato da Startup Geeks, per mettere in rete i co-founder e le nuove idee. Inizia come aperitivo alle 18.30, presso Mondas87 in via Vetere 9.
Laboratorio botanico sulle erbe officinali: introduzione alle piante officinali attraverso l’osservazione botanica e l’esplorazione sensoriale. Dal giardino all’uso erboristico e mixology, al Rob de Matt di via Butti. Si inizia alle 18.00.
Danze macabre e fatine luminose, nel Parco Agricolo Sud Milano, visite all’ombelico di Mediolanum, prospettive falsate. A Milano succede di tutto, anche che quattro luoghi davanti ai quali passiamo ogni giorno nascondano sorprese da farci rimanere secchi. E non è un modo di dire.
I QUATTRO TESORI di Milano che POCHI conoscono
# La Chiesa dei Teschi: Ossario di San Bernardino alle Ossa
Partiamo da San Bernardino alle Ossa. Chiunque passi alle spalle del Duomo, subito dopo il Verziere e Largo Augusto, non può non scorgere l’enorme tiburio ottagonale di questa chiesa situata in piazza Santo Stefano.
La sobria architettura dell’esterno nasconde una delle più stupefacenti decorazioni di Milano: un ossario con le pareti interamente decorare di ossa vere. Venne costruito nel 1268 dalla Confraternita dei disciplini e ad oggi richiama fedeli e curiosi che si domandano: di chi sono quelle ossa?
Non si sa se si tratti di quelle in esubero dall’attiguo cimitero dei lebbrosi, di pertinenza del complesso detto “di San Bernardino alle Ossa o San Bernardino ai Morti” e che si trovava in una vasta area di ortaglie e boschi (siamo nel 1127, e a quell’epoca la chiesa era collocata al di fuori delle mura urbane).
Leggende meneghine alludono ai caduti contro gli ariani al tempo di Sant’Ambrogio, a santi e martiri meneghini, ma c’è chi pensa anche agli appestati manzoniani del 1630.
Quello che è certo è che la sistemazione artistica delle ossa, affidata all’architetto Carlo Buzzi e terminata dal suo allievo Gerolamo Quadrio, impressionò così tanto il pubblico che persino il re Portogallo Giovanni V ne volle riprodurre una identica a Lisbona.
Così come è cosa nota che, avvicinandosi alla chiesa nella notte di Ognissanti, non si potrà non sentire il cocciare di menischi, tibie, crani e falangi, impegnati nella danza macabra della morte e dei redivivi.
Per visitarla – aperto tutti i giorni dalle 7,30 alle 12,00 e dalle 13 fino alle 18.
Il sabato solo per il mattino e la domenica dalle 9 alle 12.
Visita gratuita.
# La casa del Petrarca: Cascina Linterno
Anche questa è una storia che affonda al Medioevo di Milano. Dal cuore di Milano ci spostiamo a ovest, nell’attuale Parco delle Cave, accanto a Baggio.
La Cascina Linterno è al centro di un’attiva opera di riqualificazione urbana per la difesa della sua storia, della attività agricola e la divulgazione degli usi e dei costumi rurali, attività queste che fanno capo all’Associazione Amici Cascina Linterno che ha strappato con le unghie e i denti questo brano di storia meneghina dall’incuria del tempo e degli amministratori.
Che forse non sapevano che a Cascina Linterno sono passati ospiti illustri: Don Giuseppe Gervasini, il “Pret de Ratanà”, capace di straordinarie guarigioni a cavallo tra Ottocento e Novecento, ma ancora di più Francesco Petrarca.
Pare infatti che il Poeta si compiacesse della sua “diletta solitudine” (1353-1361) in queste aree suburbane quando arrivò a Milano, all’epoca dei Visconti, trovandovi un paesaggio bucolico che ancora resiste.
Forse chi è passato qui di recente non sa tutta questa storia, ma è comunque rimasto affascinato dal calendario di eventi preparato da Cascina Linterno. Su tutte, il recupero della tradizionale “Lusiroeula”, in dialetto, la serata con la danza d’amore delle lucciole. Una notte al Parco delle Cave e tutto intorno alla Cascina avvolti dalle luci di queste minuscole fatine in programma ogni anno da metà maggio a metà giugno.
# L’ “Ombelico di Milano”: Cripta di San Sepolcro
Scendiamo ora nelle viscere della terra, all’ombelico di Milano. Nel vero senso della parola.
In Piazza Santo Sepolcrosi trova l’omonima chiesa. Un breve rampa di scale aperta nel profilo laterale dell’edificio conduce nei suoi sotterranei. Qui, il Cardinale Federico Borromeo ancora si ritira in preghiera nella sua cella monacale (una scultura policroma lo ricorda). Qui, o meglio, a pochi metri da qui, si cela il forum dell’antica Milano romana.
La Cripta di San Sepolcro, aperta da poco più di un anno, ha accolto migliaia di visitatori e numerosi eventi, volti a ripercorrere la sacralità di questo punto nevralgico da cui è nata Milano ed i suoi rituali.
# La prospettiva magica: San Satiro
E chiudiamo con una delle perle più straordinarie e meno note di Milano.
Via Torino. Esterno abside. Come di San Bernardino nasconde disegni di ossa, così l’abside di mattoni della Chiesa di San Satiro sorprende chi la veda, una volta superato il portale d’ingresso.
A chi varchi la soglia della chiesa sembrerà la chiesa sarà profondissima. Avvicinandosi, invece, si accorgerà che il coro sul fondo della chiesa non è profondo che pochi centimetri. E’ la meraviglia della prospettiva rinascimentale opera dell’architetto romano Donato Bramante nel suo passaggio a Milano (fino al 1499). E dire che, alla corte di Ludovico il Moro, lui ci era arrivato come pittore.
Via Ripamonti è la strada più lunga di Milano: 6,7 chilometri collegano questo lungo asse dalla centralissima Crocetta alle campagne del Parco Agricolo Sud Milano. Due mondi diversissimi. Soprattutto quello che si trova al suo limite più lontano.
Viaggio alla FINE di RIPAMONTI (Foto)
Credits: Skidmore, Owings & Merrill Vista aerea lato Ripamonti
Ai confini di Ripamonti si trova la periferia milanese più vicina al centro della città: in meno di mezz’ora di tram si passa da piazza del Duomo alla campagna vera, quella coltivata, da dove si può anche ammirare la Ciribiriaccola, lo storico Campanile dell’abbazia cistercense di Chiaravalle. Ma prima di oltrepassare il suo limite meridionale il viaggio si fa già affascinante.
# Che cosa si trova alla fine di Ripamonti
Seguendo il tragitto del tram 24 si susseguono palazzi storici, portoni fastosi, corti a ringhiera fiorite, che lasciano poi il posto a palazzoni degli anni ’60, improbabili centri massaggi cinesi, ristoranti, locali all’ultima moda finché, alla fine, compare lei: la campagna.
Ecco, proprio in quel momento in cui la civiltà sembra perduta e l’unico punto di riferimento sembra la triste destinazione dello IEO (Istituto Europeo Oncologico, fiore all’occhiello della sanità meneghina), proprio in quel momento alla fine di Ripamonti e di Milano si entra in una favola.
# La fotogallery di un mondo nascosto
Campi di pannocchie puntellate di rossi papaveri, percorsi di margherite di camomilla e piccoli arbusti dalla forma di abeti che aspettano di crescere solcano le rive delle rogge, adibite oggi, come un tempo, ad irrigare i campi di grano e di mais e dalle quali fanno capolino – incredibile a dirsi – pescetti, rane e gamberi di fiume. La mattina poi non è strano imbattersi in aironi e fagiani, ed a volte anche qualche lepre fa capolino tra le colture.
I campi si susseguono a perdita d’occhio, si confondono con il cielo, e se non fosse per qualche cascinale in lontananza e il palazzo della BMW di San Donato Milanese a segnare l’orizzonte, sembra di aver superato – inconsapevoli – un portale del tempo.
1 of 11
# Il misterioso palazzo diroccato
Di fatto, cammina cammina per i campi e il grano, si arriva al dedalo di strade sterrate (almeno tre) che si diparte da altrettanti punti di via Ripamonti w converge in un unico edificio. Diroccato. Semidistrutto. Forse mai veramente completato. “Qualcuno dice sia un bunker, altri sostengono sia un poligono di tiro, forse era un locale con il suo bello scalone di ingresso, il dehor e le cupole a illuminare la sala dall’alto” sono le voci che circolano in zona.
Ci affacciamo, e tra i resti di nottate brave e qualche rifugio di fortuna, scopriamo
che l’edificio, dalla natura ignota, è un perfetto parallelepipedo nascosto e simmetrico con, alle due estremità, due torrette altrettanto diroccate.
Quella di sinistra, quasi un grande cilindro, si confonde in mezzo ad un piccolo bosco. Quella di destra punta verso un’altra dimensione, quella di un’epoca in cui questa porzione di Milano era Comune, il Comune di Macconago.
# Il mini Castello Sforzesco
Castello di Macconago
Nascosto dietro ad un cancellone verde, spunta il corpo laterale di una residenza gentilizia che il cartello delle Dimore Storiche segnala essere il Castello di Macconago.
Fondato dalla famiglia Pusterla e poi passato ai Visconti, oggi è di proprietà della famiglia Ferrario Gavana. Il Castello di Macconago sorse tra il 1330 e il 1340 come un edificio fortificato a pianta quadrata, provvisto di torri di avvistamento, camminamenti merlati, torri quadrangolari, merlature a coda di rondine. Nonostante i diversi rimaneggiamenti, oggi i fortunati che lo possono vivere (sposi nel loro giorno del sì oppure privati che lo impegnano per cerimonie ed eventi), possono ancora godere della copertura a cassettoni lignei e delle tracce di graffiti rinascimentali che si conservano qua e là.
Un bene celato la cui torretta è ben visibile dalla contigua Locanda Macconago, un esempio delizioso dell’architettura lombarda fatta di cascine, aie, casali in mattoni rossi.
Di fronte, una deliziosa chiesetta diroccata dà il benvenuto al borgo oggi dimenticato, ma che cela una storia straordinaria appena al di là di via Ripamonti.
# Il borgo di Macconago
Quello che forse non tutti sanno, infatti, è che questo borgo dimenticato rimase comune
autonomo fino al 1841, quando poi fu annesso a Quintosole, per venire poi inglobato
dentro Milano nel 1923.
Un borgo di tutto rispetto già citato “1346, negli Statuti delle acque e delle strade del contado di Milano, dove viene indicato fra le località a cui spetta la manutenzione della strata da Siptiano (Compartizione delle fagie, 1346)” (cit. Wikipedia) e che al censimento del 1751 risulta avesse 204 abitanti.
Macconago era dunque un Comune vero e proprio con un suo amministratore – il consiglio costituito da un’assemblea dei capi di casa della comunità, indetta dal console almeno una volta l’anno in occasione della pubblicazione dei riparti annuali e del rinnovo delle cariche (cit.), due maggiori estimati, incaricati dell’ordinaria amministrazione degli affari e della custodia dei riparti (cit.), un cancelliere, residente al Vigentino, e un esattore, scelto con asta pubblica.
# In fondo… il Lago Verde
Credits: facebook.com/LagoVerdeMilano/
E se non basta, se si solleva lo sguardo oltre la linea del tram 24, il centro oncologico IEO e le superstrade che portano alle tangenziali, si possono scoprire il maneggio Centro Ippico Milanese che propone tanto verde e passeggiate a cavallo tra i campi, ed anche il Lago Verde, piccolo laghetto per la pesca sportiva, tutt’oggi in funzione. Un’altra meraviglia celata dal Vigentino. Un altro record per via Ripamonti.
A distanza di quasi cinque mesi siamo andati a vedere come si presenta.
La PRIMA STAZIONE della CIRCLE LINE di Milano: il reportage FOTOGRAFICO
# A dicembre 2022 l’inaugurazione della prima stazione della futura Circle Line
Credits Comune di Milano – Stazione Tibaldi il giorno dell’inaugurazione
La nuova stazione Tibaldi-Bocconi, finanziata in parte dai fondi europei per il progetto “Clever Cities” e in parte da Rfi che ha investito 22 milioni di euro, ha inaugurato il 5 dicembre 2022 anche se è diventata operativa l’11 dicembre 2022 per il servizio suburbano della S9, con l’entrata in vigore dell’orario invernale.
# La prima nuova stazione della futura circle line
Foto redazione – Stazione Tibaldi dettaglio mappa
Localizzata tra le fermate di Milano Romolo e Milano Porta Romana, è la stazione di riferimento per gli studenti provenienti o diretti al Campus dell’UniversitàBocconi. Ma il suo significato simbolico è un altro: è la prima nuova fermata della Circle Line che sarà operativa nei prossimi anni, con un tracciato semi circolare che da San Cristoforo arriverà a Rho Fiera. A distanza di quasi cinque mesi siamo andati a vedere come si presenta.
Foto redazione - Stazione Tibaldi tavoli scacchi e dama
Partiamo dal lato dell’ingresso su via Carlo Bazzi, verso l’Università Bocconi, dove troviamo due grande aiuole con arbusti e piante basse ancora in ottima condizione.
oto redazione - Stazione Tibaldi area divertimento
1 of 3
Foto redazione - Stazione Tibaldi tavolo ping pong
Foto redazione - Stazione Tibaldi tavoli scacchi e dama
Foto redazione - Stazione Tibaldi tavoli scacchi e dama dettaglio
Qui è presente anche un’area giochi/relax con un tavolo da ping pong e altri per giocare a scacchi o a dama. Purtroppo su uno di questi un imbrattatore ha lasciato la sua firma.
Foto redazione - Stazione Tibaldi tag
1 of 2
Foto redazione - Stazione Tibaldi tag
Foto redazione - Stazione Tibaldi tag dettaglio
Lo stesso è accaduto sulla parete che conduce alle scale e all’ascensore, anche se lo scarabocchio è di dimensioni limitate.
Foto redazione - Stazione Tibaldi
1 of 15
Foto redazione - Stazione Tibaldi rastrelliere
Foto redazione - Stazione Tibaldi scale e ascensore
Foto redazione - Stazione Tibaldi ingresso Bazzi
Foto redazione - Stazione Tibaldi architettura
Foto redazione - Stazione Tibaldi banchina
Foto redazione - Stazione Tibaldi mappe
Foto redazione - Stazione Tibaldi dettaglio mappa
Foto redazione - Stazione Tibaldi cartello
Foto redazione - Stazione Tibaldi lettore carte e abbonamenti
Foto redazione - Stazione Tibaldi banchine
Foto redazione - Stazione Tibaldi binari e banchina
Foto redazione - Stazione Tibaldi binari e banchine
Foto redazione - Stazione Tibaldi binari lato opposto
Foto redazione - Stazione Tibaldi binari
Foto redazione - Stazione Tibaldi camminamento banchina
Il resto della stazione, scale, ascensore, banchine e sedute per ora hanno resistito. Ma possiamo all’altro ingresso.
Foto redazione - Stazione Tibaldi pannello mappa lato via Fedro
Foto redazione - Stazione Tibaldi binari e banchine
Foto redazione - Stazione Tibaldi parete verde via Fedro
Foto redazione - Stazione Tibaldi parete verde via Fedro insieme
Foto redazione - Stazione Tibaldi via Fedro da lontano
Anche l’accesso della stazione Tibaldi-Bocconi lato via Fedro non registra particolari problemi di degrado, nonostante l’azione dei soliti imbrattamuri. Le pareti green di entrambi gli accessi e quella ad angolo verso via Pedra, pensate per assorbire parzialmente le emissioni di anidride carbonica, sono in ottime condizioni.
Foto redazione - Stazione Tibaldi lato via Fedro
1 of 4
Foto redazione - Stazione Tibaldi altro lato via Fedro
Foto redazione - Stazione Tibaldi parete verde altro lato via Fedro
Foto redazione - Stazione Tibaldi altro lato via Fedro grande
Foto redazione - Stazione Tibaldi altro lato via Fedro tag
Il lato verso piazza Caduti del Lavoro è stato invece “omaggiato” di una tag abbastanza evidente sulla parete bianca a lato dell’ascensore oltre ad altre di dimensioni più ridotte sulle colonne affiancate dalle rastrelliere. Le pareti sotto il ponte ferroviario e quelle che proseguono lungo via Pedra, anche se non propriamente parte della stazione, sono interamente ricoperte da tag e graffiti.
Nella città più cara d’Italia si trovava in pieno centro un bar dove una tazzina di caffè costava meno di centesimi. L’avventura è arrivata però al capolinea. Cosa ha aperto al suo posto.
Ha CHIUSO il BAR più ECONOMICO di Milano: per un CAFFÈ bastavano 50 CENTESIMI
# Il bar del centro dove un caffé si pagava meno di 50 centesimi
credit: comunicaffe.it – Pasticceria Marchesi in Galleria Vittorio Emanuele II
Per capire se una città è cara basta guardare il costo di una tazzina di caffè: in media a Milano non scende mai sotto 1 euro e più ci si sposta in direzione del centro più il prezzo si impenna anche a causa della location: da Cracco e Marchesi in Galleria alle nuove piccole torrefazioni dedicate agli specialty coffee o da Starbucks in Cordusio, si può arrivare a superare i 2 euro e anche di più. Per 4 anni dal 2017 al 2021 c’è stata un’eccezione, dietro piazza del Duomo: Bar Mio Caffè.
# La “rivoluzione del caffè” è arrivata al capolinea
Credits: Francesca Cento – Bar mio caffè
La “rivoluzione del caffè”, questo il claim della società milanese “Il Caffè del mio bar” che aveva aperto a giugno 2017 il suo primo locale a due passi dal Duomo in via Gonzaga 7. Un’iniziativa replicata a Sesto San Giovanni. Uno dei soci aveva spiegato come i loro bar riuscivano a tenere il prezzo di un caffè a soli 50 centesimi: “Vendiamo la tazzina a 50 centesimi. Come ci riusciamo? Siamo noi i produttori diretti del caffè: lo compriamo dal Centro America, lo tostiamo, lo impacchettiamo e in tutti questi passaggi riusciamo a risparmiare tanto da poter vendere il prodotto finale a 50 centesimi e ad aver anche un piccolo guadagno“.
Credits Jonathan Pellicanò Google – Prezzi il caffè del Mio bar
Anche l’orzo e il ginseng avevano un prezzo di 50 centesimi. I cappuccini, dal classico a quello a soia, così come l’orzo in tazza grande e il marocchino costavano 1 euro. Dopo 4 anni la rivoluzione è arrivata al capolinea: il bar ha chiuso i battenti.
# Al suo posto uno showroom di design
Credits Gonzaga7 FB – Showroom
Dopo un breve periodo in cui gli spazi sono rimasti vuoti, a maggio 2021 al posto di Bar Mio Caffè ha aperto lo showroom Albed, che oltre a Radio Cluster FM, ospita eventi, cocktail party, esposizioni e presentazioni legate al design e alla moda.
Periodicamente compaiono a Milano, come di recente è successo al Parco Nord. Ma in realtà il simbolo reso infame dal nazismo a Milano ha una storia lunga.
Le SVASTICHE di MILANO
# L’ultima comparsa al Parco Nord
La svastica al Parco Nord
19 febbraio 2023. Un’enorme svastica realizzata con tronchi di legno compare al Parco Nord di Milano, dove sorge il Monumento al Deportato. E’ l’ultimo caso di atto vandalico che rievoca il nazismo. Ma non tutti sanno che a Milano esistono svastiche che con il nazismo non hanno nulla a che fare. Anzi, risalgono a epoche ben più lontane.
# Le svastiche storiche di Milano
Svastica a San Marco
Delle svastiche si trovano sull’abside della Chiesa di San Marco e sui quattro lati del sarcofago sotto il pulpito della Basilica di Sant’Ambrogio.
In realtà non si tratta di un’apologia del nazismo, ma dell’utilizzo di un simbolo religioso e propizio per le culture religiose originarie dell’India.
# Il significato originario della svastica
Prima di essere corrotta dalla follia nazista la svastica era un simbolo di universalità, di origine e ordine cosmico, persino di bene e di pace. Poi però un monaco austriaco dell’Ottocento ci ha messo lo zampino.
Le origini della svastica. Nella Grecia preellenica la celebre croce a bracci uncinati veniva utilizzata per raffigurare il concetto di moto perpetuo. Anche in Italia la svastica esisteva già nell’antichità, come dimostrano alcune raffigurazioni presenti su ceramiche etrusche. Nel Nord Europa la svastica rappresentava la luce solare, come salvezza dalle tenebre del male. In Oriente la svastica era diffusissima negli ambienti induisti, dove simboleggiava Vishnu, figura divina protettrice del mondo, e in quelli buddhisti, dove era un ideogramma rappresentante la coscienza della ciclicità di tutte le cose. Vista la forma a croce, fu anche un simbolo molto utilizzato anche dal cristianesimo, come è il caso delle svastiche presenti in San Marco e in Sant’Ambrogio. Tutti esempi molto di utilizzo positivo, vitale e benigno in ogni cultura. Ma poi è successo qualcosa che ne ha stravolto il significato.
# I due Adolf
Il significato benigno si è tramandato nei millenni fino ad arrivare al 1895. Adolf Lanz era un giovane monaco austriaco appassionato di occultismo ed esoterismo. Per queste sue passioni considerate incoerenti con la fede cattolica, il giovane fu cacciato dall’Università di Linz. L’espulsione non servì a togliergli le sue manie, anzi. Lanzo colse l’occasione di partire per l’India, per approfondire le sue conoscenze dell’esoterismo. Mentre si trovava a Calcutta, venne in possesso di un anello che aveva incisa una svastica. Una volta tornato in Austria, Lanz decise di fondare una setta, denominata Ostara, che aveva come simbolo proprio il simbolo di quell’anello che venne usato come una forma di reliquia magica.
La setta Ostara si fondava su teorie che erano un mix tra l’esoterismo orientalista, l’arianesimo e l’antisemitismo radicale: Lanz fu il primo a sostenere che gli ebrei andassero annientati attraverso il simbolo liberatorio della svastica. A quel punto facile capire come un paio di decenni dopo il simbolo venne utilizzato da un altro Adolf austriaco che, una volta preso il potere, decise di fare della svastica il simbolo del partito nazionalsocialista, ponendola su un sfondo rosso ad indicare la supremazia sul comunismo.
Primo maggio 2015, primo maggio 2023. Otto anni. I primi gloriosi, gli ultimi zoppicanti. Una fotografia su ciò che fu Expo 2015, ciò che fu per Milano, e ciò che è rimasto.
EXPO, 8 ANNI DOPO: i ricordi indelebili e che cosa è RIMASTO a MILANO
# I ricordi indelebili di Expo 2015
coda padiglione giappone
# la via principale con la sua fila di vele bianche
# il Palazzo Italia e le stecche sul Cardo, l’asse trasversale che con il Decumano definiva lo spazio espositivo
# i cluster tematici, ognuno dedicato a una filiera alimentare o a un’identità comune
# il pendio della Collina mediterranea, alta 12 metri che riproduceva alcune tra le più tipiche vegetazioni e colture dell’ecosistema mediterraneo.
# il Padiglione Zero, che riproponeva la morfologia delle crosta terrestre, con i rilievi e la grande valle centrale che ospitava lo spazio pubblico dell’arena
# i canali d’acqua che circondavano l’intera area con relative polemiche per la loro costruzione (solo in parte realizzata)
# la Cascina Triulza, un’antica costruzione rurale già presente all’interno del Sito Espositivo, patrimonio storico, architettonico e ambientale della Lombardia, rinata come casa della Società Civile
# l’Expo by Night, ricca di manifestazioni, musica e intrattenimento
# La Coda al Padiglione del Giappone: per entrare a visitarlo si perdeva l’intera giornata in coda
# l’Albero della Vita, alto 37 metri e costruito in acciaio e legno, luogo di spettacolo e icona globale.
Questi i ricordi: ma che cosa è rimasto a Milano?
Che cosa è rimasto in città:
#1 MIND e i padiglioni “in fuga”
La grande area Expo è ora al centro di nuovi progetti ambiziosi. In totale, i padiglioni erano 54. Tutti sono stati smantellati. Qualcuno è stato spostato altrove.
E’ il caso, ad esempio, del Padiglione dell’Uruguay. Avreste mai pensato di ritrovarlo, oggi, nelle vesti di ristorante etnico in Via Saronnino, 1 a Origgio, Varese!? (foto)
Qualcun altro, invece ha colto la palla (di neve) al balzo. E’ il caso di uno sponsor privato che, nell’inverno di due anni fa, ha fatto di questa nuova Area 51 di Milano il set del trampolino da sci più e snowboard più grande del mondo. Una competition polare che, per qualche giorno, ha fatto tornare a battere il cuore di questo grande ambiente dismesso.
foto di repertorio
A distanza di quattro anni pare che finalmente l’area abbia preso una direzione definita con il progetto Human Technopole e la nascita del distretto MIND, come abbiamo scritto qui:
#2 Nuove panchine, come quelle in zona 4 (corso XXII Marzo)
Sono quelle della Germania, che oggi fanno bella mostra di loro nel Giardino delle culture di via Morosini, sotto il murale con cuore dell’artista Millo.
A dire il vero, la prima destinazione delle panchine pare fosse un’azienda specializzata in allestimenti. A cambiare la meta finale fu, invece, una lettera del Comune di Milano ai Paesi ospitanti, riportante l’invito a cedere alcuni arredi alla città. Così avvenne ed ora le panchine servono a tutti.
#3 Le code
Farà ridere, qualcuno sarà sdegnato, ma di fatto le code interminabili fuori dal Padiglione del Giappone sono entrate così nell’immaginario comune da aver introdotto – per fortuna – un buon costume (anche) negli italiani. Nessuno avrebbe mai immaginato che anni dopo code simili si sarebbero verificate fuori dai supermercati. Ai tempi del lockdown.
Expo ha lanciato la moda, Milano non si è più fermata.
Dopo il Bosco Verticaleecco la rinascita diTorre Galfa, le super suite di Libeskind alla ‘Fedez’ (foto) con vista sulle nuvole di Porta Nuova, la grande vela Zaha Hadid in compimento, il salvadanaio di Fondazione Prada, e poi Osservatorio Prada sopra Galleria Vittorio Emanuele, City Life, il bis di Porta Nuova… Milano tende verso l’alto, e tutti stanno con il naso in su.
#6 La darsena
Prima c’erano i topi, ora si naviga con vista su bistrot, panchine, ponticelli dai sospiri d’amore. E qualcuno è pure tornato a pescare…
Viale Monza include SoS e Martesangeles, con la Silicon Valley nostrana.
I milanesi si sono accorti che esistono le 5 vie e tutto il patrimonio storico traPiazza Cordusio e Piazza Santo Sepolcro.
Lodi-Porta Romana erano da rifuggire, fino a qualche tempo fa. Ora Prada, LVHM, Bottega Veneta hanno fatto importanti investimenti, e anche i writers internazionali, come Zed, si contendono i muri per far rifiorire la città (foto: via Brembo, Madama Hotel Bistrot)
Isola…. chi? Il luogo più desolato degli anni ’90 è la nuova mecca di bikers, esperti di moda, designer, intellettuali. Quest’anno è diventata pure una Design District con tanto di prima Design Week. Proprio come Ventura-Stazione Centrale, e chi l’avrebbe mai detto!
#8 Da Padiglione Coca Cola a…
…campo da basket! Si tratta del Parco Robinson, tra via Moncucco e via Famagosta.
Il parallelepipedo di 35 metri per 20, alto 12 metri, capace di coprire in tutto 1000 metri quadrati (ne avevamo parlato qui) è divenuto il cuore di un progetto articolato,’ParkMI’, composto da 240 giornate di attività ricreative, ludiche e sportive.
#9 L’Albero della Vita
Qualcuno lo voleva in Piazzale Loreto, e non è stato ancora smantellato.
Qualcun altro l’ha progettato in versione Lego, ma la verità che l’unico e inimitabile Albero della Vita si vede ancora dall’autostrada.
Qualche estate fa – inimmaginabile a dirsi – il set della spiaggia all’aperto più lontana da Milano, ma più affollata dai milanesi. Con un ricco calendario di appuntamenti, tra concerti e proiezioni di partite di calcio, ha riadattato l’area Expo in un ‘parco Experience’ fuori dal comune (in effetti, siamo già a Rho).
#10 Il sindaco
Beh, senza Expo, difficilmente Beppe Sala sarebbe sindaco.
I tassisti a Milano non sono tutti uguali e sanno rendere il percorso in taxi piacevole o infernale. Per questo è importante imparare a riconoscerli prima di salire a bordo.
10 TASSISTI TIPICI a Milano
#1 Il fumatore
Il taxi è una camera a gas. L’unica volta che se apri il finestrino a Milano respiri aria pulita.
#2 Il chiacchierone
Arriva puntuale a ogni presagio di mal di testa.
#3 Il taciturno
Ti domandi se ha qualcosa che non va. Poi ti chiedi se sei tu ad avere qualcosa che non va. Poi ti immergi in quel silenzio imbarazzato che ti ricorda tanto le interrogazioni al liceo.
#4 Il Radio fun
Ascolta alla mattina Fabio Volo e poi Linus di Radio Dee Jay. Il pomeriggio Lo zoo di 105. Va un po’ meglio con quello che ascolta Radio 24.
#5 Il politico
Se non sei di Milano scopri subito quali sono i problemi da risolvere.
Ph. IgorSaveliev
#6 L’intellettuale
Tra una chiamata e l’altra legge un libro che deve raccontare al primo malcapitato che gli capita come cliente.
#7 Il ferrarista
Va come un pazzo. Arriva a destinazione in un battibaleno. Non capita mai.
#8 L’irascibile
Si arrabbia con: pedoni, ciclisti, automobilisti, autobus, Uber, traffico, pioggia, clienti passati che lo hanno fregato. Ti domandi perché mai faccia il tassista.
#9 Il maleodorante
Soprattutto d’estate. Poverino, avrà scaricato centinaia di valigie.
#10 L’errante
Non capisci se è una tecnica per guadagnare di più o se è al suo primo giorno di servizio.
Da quartiere popolare a uno dei più cool della città, anche grazie a un’operazione di rebranding. Come nasce e la continua trasformazione in atto.
NOLO è diventato la nuova ISOLA?
# Da quartiere popolare a uno dei più cool di Milano
NoLO_ via Facebook 1
L’area che oggi è conosciuta come Nolo, compresa tra Greco, Casoretto e Turro, fino a circa dieci anni fa era un quartiere popolare con un passato critico, che trovava forza nella sua vita di comunità e abitata da immigrati del Sud Italia poi sostituiti da latinoamericani, nordafricani e orientali, e solitamente nota alle cronache per fenomeni come spaccio, prostituzione, scippi, case occupate oltre a degrado e sciatteria di strade e muri.
Negli ultimi anni grazie a una trasformazione spontanea, che riguarda principalmente la composizione sociale del quartiere, la zona è diventata una delle preferite da studenti, giovani professionisti e creativi attratti dai prezzi bassi delle case e degli affitti, ma anche da quell’atmosfera multiculturale che ora non fa più così paura, e viene anzi spesso vissuta come un plus.
Se solo ieri il Parco Trotter era un luogo noto per il problema della droga, oggi è il fulcro intorno a cui ruotano hipster, florist designer, bikers e biciclettai, artisti di ogni genere con lunghi cappelli e cappelloni, baffi. Un’intera generazione di artisti e creativi che ha riconquistato l’area.
# Come nasce Nolo
Nolo -North of Loreto
Il nome Nolo nasce nel 2012 come un’idea di marketing da parte dagli architetti Francesco Cavalli, Luisa Milani e Walter Molteni, mentre scherzavano sulla possibilità di creare un marchio di quartiere: come SoHo a New York sta per South of Houston, Nolo identifica NOrth of LOreto. Da quel momento ha iniziato concettualmente a prendere forma, e le manifestazioni, i mercati cittadini e le iniziative del territorio hanno cominciato a portare un nuovo nome fino a che è entrato a far parte parte ufficialmente del Comune di Milano come nuovo quartiere.
# L’esplosione di locali e iniziative
Credits: @ghepensi_mi Ghe Pensi MI
La trasformazione della zona si è caratterizzata anche per un vero e proprio boom di locali e iniziative. Da Hug Milano, un bistrot sorto in un’antica fabbrica di cioccolata che fa anche da ostello, ciclofficina, spazio coworking e un po’ da portineria, a Zia Barbara, un po’ bar, un po’ zia e anche un po’ luogo di aggregazione, dove tutti o quasi si conoscono e almeno una volta al giorno devono passare di qua, fino a Ilgelatochenonce, dove i gelati vengono preparati al momento con l’azoto liquido. Oppure al Ghe Pensi Mi e al NoLoSo, il locale con le pareti rosa e blue Tiffany diventato in poco tempo un punto di riferimento per la comunità gay friendly.
Credits svevamnf IG – Caffineria
Altri ancora Caffineria, una piccola caffetteria aperta dalla mattina fino a dopo cena con tavolini che si affacciano su Piazza Morbegno, più defilato Iurio, un cocktail bar & bistrot caratterizzato da un’affascinante atmosfera con le pareti rosse che ricordano il passato dell’edificio da sede del Partito Comunista, e infine Osteria della Pasta e Fagioli, una trattoria rustica con prezzi economici e cucina pugliese.
Ci sono poi i negozi tradizionali che si sono reinventati in moderni e trendy “concept store”, dove anziché vestiti si vendono “esperienze sensoriali” come Spazio Nolo 43, anziché fiori o biciclette si vendono entrambi anche in coppia, facendoti sentire pioniere di uno stile di vita più misurato e sostenibile, da Bici e radici. Ci sono anche associazioni culturali come la Salumeria del Design che fra le altre cose anima la via Stazio con un mercatino del vintage dall’improbabile nome Le Pulci Spettinate.
# La creatività di Nolo con la radio di quartiere, il festival delle arti e quello alternativo a San Remo
Radio Nolo
Nel quartiere è però la socialità ad avere espresso il massimo delle sue potenzialità. Sara e Daniele sono i due fondatori di NoLo Social District, che a forza di colazioni organizzate in strada hanno messo su un bel gruppo di gente appassionata e coesa che crede al nuovo quartiere. Sono nate altre iniziativa per rafforzare lo spirito di comunità come il CorNolo, il gruppo lavoro a maglia LaNolo, il gruppo di fotografia PhotoNolo e così via. C’è persino una radio di quartiere che ovviamente si chiama RadioNolo, e trasmette un radiogiornale che non poteva non chiamarsi GiorNoLo.
Non manca poi il Fringe Festival, dedicato alle arti, Biennolo, e il Festival di SanNolo, che nel 2022 ha festeggiato la sua quinta edizione, una sorta di contro festival della canzone italiana.
Credits tunnelboulevard Fb – Via Pontano vista laterale
Oltre alle trasformazioni sociali sono in corso alcune riqualificazioni importanti che interessano una buona parte del quartiere. A inizio dicembre2021 è stata infatti inaugurata una prima tappa di Tunnel Boulevard con una galleria di poster art di Pablo Pinxit, proprio nei tunnel di via Padova. I temi rappresentati sono legati alle culture, al sociale, all’attualità, all’ambiente, alle arti, letteratura e filosofia, “Via Padova come il mondo”, un diario di viaggio con la direzione artistica di Christian Gangitano.
# La riqualificazione di via Padova
Credits: Comune di Milano – MM . Rendering del progetto
L’investimento complessivo è di 10 milioni di euro, per metà coperto dalle risorse del Patto per Milano. I primi cantieri sono partiti il 19 aprile 2022, la seconda fase è iniziata a febbraio 2023 con la costruzione dei marciapiedi nel sottopasso di via Pontano. Per via Padova si prevede la realizzazione di “8 nuove piazze”, la piantumazione di 230 alberi e marciapiedi allargati e in granito, con aiuole e panchine. In totale saranno 22 gli incroci riqualificati e 35 gli attraversamenti pedonali rialzati.
“Tutti gli attori devono essere un po’ cialtroni, io lo sono stata, poi con il passare degli anni non lo sono più”. Con questa frase, citata nel 1995, Valentina Cortese aveva dato una definizione del come, chi recita sul palco di un teatro o davanti ad una cinepresa, deve comportarsi per poter sopravvivere nel complicato ed affascinante mondo dello spettacolo.
VALENTINA CORTESE: la stella milanese di Hollywood
# A Hollywood con Spencer Tracy, James Stewart e Orson Welles
Credits: @classici_del_cinema_italiani Valentina Cortese e Orson Welles
Nata a Milano il 1° gennaio 1923, a Porta Nuova, la sua non è un’infanzia felice: viene cresciuta da parenti, in quanto i genitori non riuscivano a darle le necessarie attenzioni. Vive i periodi della fanciullezza in provincia di Cremona: sale su un palco per la prima volta a tre anni per interpretare un angelo vestito di azzurro e d’argento, con le ali bianche. Dotata di una luminosa bellezza, a 17 anni debutta al cinema nel film “L’orizzonte dipinto” di Guido Salvini, a 19 anni ha un ruolo importante nella pellicola di genere epico-drammatico “La cena delle beffe” di Alesandro Blasetti, su soggetto di Sem Benelli. La bellezza di Valentina Cortese toglie il fiato, ma soprattutto evidenzia una personalità ed un carisma unici, così per lei inizia una carriera che, dopo altri quattro film girati in Italia, sbarca ad Hollywood: firma un contratto con la 20th Century Fox, e lavora al fianco di Spencer Tracy, James Stewart, Orson Welles e una ancora sconosciuta Andrey Hepburn.
# C’è chi dice no a Charlie Chaplin
La carriera di Valentina Cortese non conosce limiti, è diretta da Joseph Mankiewicz accanto ad Ava Gardner, Rossano Brazzi ed Humphrey Bogart nel film “La contessa scalza”, mentre Charlie Chaplin nel 1951 la vuole per “Luci della ribalta”, ma Valentina ha appena partorito il figlio Jackie avuto con l’attore statunitense Richard Basehart, e deve dire “no” alla prestigiosa opportunità.
Torna a lavorare dopo la separazione con il marito: nel 1961 è protagonista di “Barabba”, accanto a Anthony Quinn, Silvana Mangano e Vittorio Gassman, mentre nel 1965 la vuole Federico Fellini per “Giulietta degli spiriti”. Poi è la volta del teatro, guidata da Giorgio Strehler, dove troviamo una Valentina Cortese capace di esprimere tutta la propria generosità scenica nel recitare davanti ad un pubblico, in un’intimo feedback tra lei e gli spettatori che fa risaltare ancor di più la sua classe. È guidata dalle regie di Visconti, Antonioni, Zeffirelli e Truffaut e instaurerà buoni rapporti di amicizia con Vittorio de Sica, Gregory Peck e Grace Kelly.
# Una grande stella milanese: ha recitato in circa 90 film al cinema e in 20 opere teatrali
Credits: @studiolorenzarotti Valentina Cortese
“Se dovessi rinascere farei ancora l’attrice“, confidò in un’intervista degli anni Ottanta, periodo in cui si prende una pausa dal teatro e dal cinema impegnati per passare alla commedia italiana tipica di quei periodi, recitando in “Via Montenapoleone” dei fratelli Vanzina, dimostrandosi felice di aver trovato in questo prodotto cinematografico il modo di poter fare qualcosa di leggero, effimero e, proprio per questo, stimolante. “Mi sono divertita a lavorare in via Montenapoleone, è stato un piacere farmi guidare da Carlo ed Enrico Vanzina, a cui sono legata per l’amizia che ho con i loro genitori”.
Ha recitato in circa 90 film per il Cinema, 18 per la Televisione e in una ventina di opere teatrali, facendosi dirigere dai più grandi registi di tutti i tempi. Valentina Cortese è morta a Milano il 10 luglio 2019, lasciando un grande vuoto nel mondo della recitazione, ma regalandoci un’eredità di lavori che rappresentano una vera e propria opera d’arte da difendere e da rivedere.
Come ogni città che si rispetti, anche Milano possiede fontanelle civiche, dalle quali ci si può abbeverare gratuitamente. Qui sono chiamate Vedovelle o talvolta Drago-Verde a seconda delle frequentazioni dei vari quartieri della città. Sono uno dei simboli di Milano, presenti in tantissime piazze, dal centro alla periferia. Tutti le conoscono ma pochi sanno tutti i loro segreti.
Le VEDOVELLE di Milano: perché si chiamano così e che cosa le rende così uniche
Vedovella
Le fontanelle sono presenti in tutte le città italiane: a Milano sono chiamate Vedovelle, a Torino i Torelli (torèt) e a Roma i Nasoni. Ad oggi, nella nostra città, ce ne sono di funzionanti e distribuite su tutto il territorio del Comune più di 400.
# Perchè “vedovelle”?
Il nome di Vedovella deriva dal filo d’acqua incessante che sgorga dal loro rubinetto, simile al pianto perenne di una vedova inconsolabile. Invece, l’altro soprannome, Drago-Verde, deriva dal loro rubinetto in ottone a forma di drago. Tipica era o è, tra i milanesi, l’usanza di dire: “andiamo a bere al bar del drago verde”! (Tanto è gratis!).
Oltre al nome presentano delle caratteristiche uniche.
# La bacinella per far abbeverare gli animali
fontanella Milano o Vedovella ghisa catalogo anno 1898
Le Vedovelle hanno una struttura in ghisa, dipinta del color verde scuro. Sono alte circa un metro e mezzo e larghe cinquanta centimetri. Le tipiche fontanelle di acqua potabile sono composte da una torretta a base quadrata marchiata con lo stemma del Comune di Milano, sormontata da un pignone, un “cappellino a pigna”. Alla base sono munite di una bacinella semi-circolare (che serviva per far abbeverare gli animali) e dal pilastrino dal quale spunta una testa di drago.
# La prima vedovella di Milano: l’unica dorata
La leggenda narra che la prima Vedovella sia quella istallata in piazza della Scala verso la fine degli anni Venti del ‘900. Tuttavia vi sono testimonianze fotografiche che risalgono alla fine dell’800 che mostrano la presenza di una fontanella, più piccola, proprio nello stesso punto.
Quella di Piazza della Scala oltre ad essere la più antica tra le Vedovelle, è l’unica realizzata in ottone dorato e non in ghisa. È incorniciata da una elegante greca in mosaico, e fu disegnata dall’architetto Luca Beltrami. Questa fontanella ha la bocca di drago ispirata da uno dei doccioni del Duomo, scoli d’acqua visibili sulle parti laterali della cattedrale, che hanno la forma di mostri – figure spaventose, da cui scola l’acqua piovana.
# Senza rubinetto
Come notano in molti le Vedovelle non hanno il rubinetto. Questo non comporta uno spreco di acqua in realtà. Anzi il suo flusso continuo, svolge l’importante funzione di mantenere l’acqua in movimento. Ed è di quantità irrisoria in confronto alla portata distribuita dall’acquedotto milanese. Infatti, a fronte di un flusso istantaneo medio erogato di circa 7500 litri/secondo, la portata dell’insieme delle fontanelle è pari a 8 l/s.
# Dove va a finire l’acqua
La portata di acqua in uscita dalle fontanelle, non viene dispersa: raggiunge i depuratori di Milano attraverso la fognatura, per poi essere impiegata dai consorzi agricoli per l’irrigazione dei campi a sud della città. Inoltre questo flusso continuo ne preserva la freschezza e la buona qualità, soprattutto in corrispondenza delle “teste morte”, ovvero delle tubazioni terminali cieche.
# La mappa delle Vedovelle
Dove trovare le Vedovelle? Si può girare per la città oppure dare uno sguardo al sito www.fontanelle.org che visualizza la posizione delle fontanelle d’acqua a Milano, Roma e in altre città.
Un susseguirsi di pareti rocciose, decine di scalini e poi, all’improvviso, uno squarcio che mostra questo tempio incastonato nel cuore della terra.
Nascosto tra le pareti di un’antica grotta, il tempio del Valadier ha davanti a sé solo il panorama della natura in cui è immerso. Scopriamo insieme questo luogo magico.
Il “RIFUGIO dei PECCATORI” nascosto in una GROTTA
# Il rifugio nella grotta
Credit: @mauripino97
Questo luogo surreale si trova nelle Marche vicino a Genga e alle Grotte di Frasassi.
Il Tempio del Valadier è un santuario ottagonale in stile neoclassico fatto costruire da Papa Leone XII su disegno dell’architetto Giuseppe Valadier.
Fu nel 1828 che Papa Leone XII decise di far costruire sopra una vecchia chiesa già esistente un nuovo luogo di culto più grande, così nacque l’attuale tempio. Per secoli, questo luogo misterioso è stato usato come rifugio dalla popolazione locale per scampare alle razzie un tempo frequenti.
Successivamente divenne un luogo di pellegrinaggio per i cristiani che volevano chiedere perdono, da cui il soprannome “rifugio dei peccatori”.
# Armonia e contrasti tra uomo e natura
Credit: @eugeniojacopo
Il tempio del Valadier è un perfetto esempio di contrasti ed armonia.
La fusione totale tra ambiente e lavoro dell’uomo permette di ammirarne e comprenderne la bellezza solo se lo si guarda all’interno del panorama e del contesto naturalistico in cui è inserito. Allo stesso tempo però, ogni elemento naturalistico sembra quasi accentuare il contrasto con gli elementi del santuario.
Dal marmo su cui poggia la base il cui colore risalta ancora di più all’interno della grotta, alla statua della Vergine con Bambino di Antonio Canova (ora sostituita da una copia) che sembra ancora più preziosa perché inserita in un contesto così duro e spoglio.
Il tempio del Valadier oggi è una meta di grande suggestione soprattutto quando a Natale viene rappresentato il tradizionale presepe vivente.
# Come raggiungerlo
Credit: @fever_old_stones
Questo luogo capace di lasciare senza fiato chiunque è raggiungibile grazie a una strada ampia e lastricata, adatta quindi sia per le bici ma anche ai bambini.
Dopo un percorso di circa 800 metri in salita, lo spettacolo naturalistico ripèaga di ogni sforzo. Con il santuario incastonato nel cuore della terra.