In questi giorni, a Milano, cadono due anniversari, accomunati dall’unità di misura del mezzo secolo. Cinquant’anni fa, infatti, uscirono due opere d’arte, entrate nell’immaginario collettivo del mondo operaio della grande città, caratterizzato da impegno sociale, amore, tradimento, sofferenza e identificazione della propria vita nel lavoro.
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I 50 anni di “Romanzo Popolare” e la canzone “Vincenzina e la fabbrica”, uno degli inni della classe operaia
# Il film e la canzone che hanno rappresentato Milano nel periodo delle lotte di classe degli anni ’70
Nell’autunno del 1974 uscì il film “Romanzo popolare”, di Mario Monicelli, in cui, al di là degli attori di prim’ordine, la vera protagonista è Milano, vista dalla parte del proletariato, indigeno e di quello rappresentato dai “freschi” immigrati dal sud dell’Italia. La città meneghina è rappresentata con le lotte di classe degli anni ’70, con il concetto d’amore, ruvido e struggente, che faticava ad adeguarsi all’amore “libero” ed emancipato, che veniva pontificato nei salotti sinistrorsi e saccenti di una metropoli che, già allora, non si poteva permettere di viaggiare a due velocità.
L’altra opera d’arte, che compie i cinquant’anni, è la canzone “Vincenzina e la fabbrica” di Enzo Jannacci e Beppe Viola, che diventa la colonna sonora di “Romanzo popolare”, sovrapponendo alla toccante trama della pellicola, un’emozione coinvolgente, che eleva i tratti, volutamente patetici e ironici del film, a rappresentazione di uno spaccato della vita operaia milanese mai così vera e riconoscibile.
# Presenti tutti gli elementi fondamentali della commedia all’italiana
Nella trama di “Romanzo popolare” ci sono i fondamentali della commedia all’italiana: l’amore e il matrimonio tra un signore di mezza età (Giulio Basletti, interpretato da Ugo Tognazzi) e una ragazza ancora minorenne (Vincenzina Rotunno, interpretata da Ornella Muti) proveniente dal Sud. La contrapposizione tra la mentalità e la parlata milanese e quella delle variopinte popolazioni dei “terruncelli” appena giunti dal “tacco”. C’è l’atmosfera acre degli anni settanta, delle lotte sindacali, dei fumi della fabbriche, che rappresentavano il periferico orizzonte visto dai piani alti dei palazzi del centro. Della commedia all’italiana c’è il tradimento, la disperazione del tradito e l’amicizia, eterna pomata lenitiva dei mali dell’anima. Ma, per essere “commedia”, ha bisogno dell’ironia che, grazie alla duttilità interpretativa di un Ugo Tognazzi, non solo non manca, ma nei momenti più drammatici e struggenti, ecco che l’attore cremonese tira fuori, quando meno te lo aspetti, il colpo di genio della battuta, diremmo comica, usata come valvola di decompressione emotiva, quasi a voler tutelare lo spettatore da emozioni troppo forti.
# La memoria della Milano canora e musicale protagonista al cinema
Le ricorrenze dei cinquant’anni di “Romanzo popolare” e di “Vincenzina e la fabbrica”, sono anche la memoria di una Milano canora e musicale che entra nella Milano cinematografica creando un prodotto artistico unico, che ha scritto la storia della cultura meneghina e nazionale. Ma, quasi a voler esagerare in ridondanza, uno degli autori del brano che accompagna la pellicola di Monicelli, diventa egli stesso attore del film: è Beppe Viola, che interpreta il bigliettaio del cinema Abanella (davvero esistito), di via Bottelli, che nega a Vincenzina di entrare in sala perchè viene proiettato un film vietato ai minori di 18 anni e lei ne ha ancora 17. Ma c’è da sottolineare anche la presenza di Enzo Jannacci, come doppiatore di Pippo Starnazza. Eccolo lì, un altro milanese doc, proprio Starnazza (nel ruolo di Salvatore Armetta, amico di Giulio), che morirà neppure un anno dopo l’uscita del film.
# “Vincenzina e la fabbrica” è una canzone che parla di coraggio
Nel 1980, in un’esibizione presso la Tv svizzera italiana, Enzo Jannacci introduceva così “Vincenzina e la fabbrica”: “è una canzone che parla di coraggio; la storia ci ha insegnato che il coraggio è quello eroico di Enrico Toti e di Napoleone (…) questa canzone, invece, vuole rappresentare un altro concetto di coraggio: quello di chi si alza tutte le mattine alle quattro, prende il treno e va a lavorare in fabbrica (…)”.
“Quel coraggio -prosegue Jannacci- non lo troviamo sui libri, quindi con questa canzone voglio rendere omaggio a tutte le Vincenzine che lavorano dentro una fabbrica”.
Così il brano, che diventerà uno degli inni della classe operaia, ci accompagna in quel virtuale viaggio a Milano, proposto dal film di Monicelli, che ci fa attraversare viale Gorizia, via dei Transiti, via Gramsci e via Maffi a Sesto San Giovanni, via Rubattino, fuori dalla Innocenti di Lambrate, via Guanella, Piazza Cinque Giornate e, nel desolante quanto speranzoso finale, nel paesaggio desertico di Quarto Oggiaro.
FABIO BUFFA
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