Partito da un’iniziativa commerciale di uno stabilimento balneare, la “Maldive italiane” si estendono lungo 7 km di litorale di mare e spiagge da sogno. Scopriamo dove si trovano.
Queste sono le MALDIVE d’ITALIA
# Il nome “Maldive del Salento” è partito da un’iniziativa commerciale
Credits: egregio_sig_casarano IG – Maldive del Salento
Nel 2000 le “Maldive del Salento” sono nate come un’idea commerciale per un nuovo lido balneare ancora oggi aperto, un’oasi attrezzata poco a nord di Pescoluse, nel sud della Puglia. Il nome non era stato scelto per caso in quanto la spiaggia e il mare di questa zona d’Italia non hanno niente da invidiare alle isole dell’Oceano Indiano. Poco a poco il nome è arrivato a identificare tutte l’area costiera attorno a Pescoluse, il centro delle Maldive salentine. Oltre alla meraviglia della natura, questa zona è anche un paradiso di biodiversità.
# Uno spettacolo paradisiaco: 7 km di sabbia finissima e acque cristalline
Le “Maldive del Salento”, o la “Zona Maldive” sono sette chilometri di sabbia candida e finissima e acque cristalline che sfuma dal verde smeraldo all’azzurro per poi degradare al blu cobalto, tra Torre Pali e Torre Vado, sulla costa del Mar Ionio.
Lido Maldive del Salento - @manumec94 IG
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Lido Maldive del Salento 1 - @manumec94 IG
Lido Maldive del Salento 1 - @manumec94 IG
Lido Maldive del Salento - @manumec94 IG
Lido Maldive del Salento 3 - daytrippers.ch IG
Lido Maldive del Salento 3 - daytrippers.ch IG
Maldive di Salento 4 - therealalice91 IG
Pescoluse - capperi_bb_salento IG
Pescoluse - capperi_bb_salento IG
Infatti oltre a Pescoluse troviamo Lido Marini e Torre Pali, a poca distanza dall’Isola della Fanciulla, Posto Vecchio di Salve e la vicina Torre Vado, caratterizzata da un pittoresco porticciolo e infine scendendo ancora di qualche km la marina di San Gregorio.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Lo stile liberty nasce da quella che è conosciuta più comunemente come Art Nouveau, movimento artistico e filosofico tra la fine dell’ottocento e il primo decennio del novecento, in piena Belle Epoque.
Un movimento che influenzò anche l’architettura europea e anche l’Italia si distinse in questo nuovo stile che il giornalista torinese Enrico Thovez definì come “fedelmente naturalistico e nella sostanza nettamente decorativo”. Uno stile che si ritrova in particolare in un quartiere di Milano.
Il VILLAGGIO del SARTO ritornerà al suo antico SPLENDORE
# Lo stile liberty in Italia
Fu durante l’Esposizione internazionale d’arte decorativa moderna agli inizi del nuovo secolo che si cominciò a parlare dello stile liberty, annunciandolo come un nuovo rinascimento dell’architettura.
Il liberty traeva ispirazione dallo stile di età vittoriana, dal Rococò aggiungendo e modernizzando gli elementi presenti in natura.
Non era infatti cosa scontata trovare nelle nuove costruzioni decorazioni marmoree di alghe, fili d’erba o insetti e nonostante la loro semplicità fu vista e salutata dai critici come una vera e propria rivoluzione nel mondo del design.
Una rivoluzione che nei primi del novecento raggiunse il massimo splendore lasciando ai posteri costruzioni che ancora oggi riusciamo ad ammirare in diverse città italiane.
# Il liberty a Milano
Credit: @theworldartnouveau – casa Campanini
Qui a Milano ci sono diversi palazzi in questo stile:
Palazzo Società Reale Mutua Assicurazioni (Ex Hotel Trianon)
Casa Donzelli
Palazzo Castiglioni
Casa Campanini
Casa Ferrario
Palazzina Liberty
# Il Villaggio del Sarto
Credit: blog.urbanfile.org
E’ notizia di pochi giorni fa: il Villaggio del Sarto ritornerà al suo splendore originale.
Il villaggio del sarto è una zona di Città Studi.
Durante il ventennio fascista l’architetto Giovanni Broglio firmò un progetto che prevedeva la costruzione di alcune villette in stile liberty che dovevano sorgere in viale Gran Sasso, via Vanvitelli e via Andrea del Sarto.
Nelle prime due zone sono rimaste purtroppo solo pochi passaggi di questo progetto così ambizioso per l’epoca.
Per quanto riguarda il lotto di Andrea del Sarto invece, ci sono delle villette che, nonostante le varie vicende, hanno mantenuto il loro fascino e per buona parte la loro struttura originale.
Il progetto prevedeva la costruzione di queste villette da destinare al corpo docenti dell’università che in quegli anni si stava, a mano a mano, espandendo. Poi vissero un primo periodo di abbandono dato che la vicina piazza Ferravilla era diventata una zona dove lo spaccio era all’ordine del giorno.
Vennero usate come uffici pubblici e infine il collettivo Lambretta occupò abusivamente i diversi spazi, a quel punto il degrado e l’abbandono totale fu inevitabile e ricordo che anch’io in quegli anni, passando da quelle parti, mi chiedevo spesso come fossero dentro, chi ci abitava e che fine avrebbero fatto.
# La ristrutturazione è ormai ultimata
Credit: milano.correrie.it
Finalmente arriva la notizia che i lavori di ristrutturazione sono quasi ultimati, che manca solo una villetta da sistemare e il Villaggio del Sarto tornerà a essere, di certo una zona residenziale di lusso, ma soprattutto un patrimonio immobiliare di enorme importanza storica.
La Sovraintendenza ha permesso di modificare qualche vetrata, ma tutto sommato, le villette manterranno le facciate originali decorate con motivi floreali e anche i finestroni e gli oblò resteranno identici al progetto di Broglio.
Da alcune notizie circolate, pare che per acquistare una di queste villette si parte da una spesa minima di un milione e mezzo che di questi tempi non è di certo una cifra abbordabile, ma al di là del discorso economico, non va sottovalutato il salto di qualità e il rinnovato decoro urbanistico di questo quartiere.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Presto a Roma nel quartire San Lorenzo aprirà il 5′ The Student Hotel d’Italia per dormire, studiare, lavorare e vivere in modalità sharing.
La vecchia concezione di residenza studentesca è ormai superata. Oggi gli spazi destinati agli studenti fuori sede si rinnovano con servizi per co-working e co-living che rispondono alle esigenze di nuovi stili di vita più liquidi e globali.
The STUDENT HOTEL: il nuovo LIVING CONCEPT per studenti
A questo target ha dato risposta la formula dei THE STUDENT HOTEL TSH, una nuova formula di ospitalità pensata per soddisfare un pubblico che ama la condivisione e che è fruitore di ciò che offre la sharing economy. Un hotel che già nel concept nasce pensato per la generazione dei nativi digitali. Già presente a Bologna e Firenze, non poteva mancare uno spazio così anche a Roma.
#Il TSH San Lorenzo
Quello che aprirà a Roma alla fine del 2023 è il 5’The Student Hotel (TSH) in italia e si chiamerà TSH San Lorenzo dal nome del quartiere in cui aprirà i battenti. Sorgerà nel sito storico dell’Ex Dogana, un’area estremamente effervescente fra il quartiere San Lorenzo e la Stazione Termini. San Lorenzo è uno dei più autentici quartieri di Roma, sede di una grande università e comunità studentesca, La Sapienza, oltre che essere diventato ormai da anni un quartiere di artisti, artigiani, intellettuali che ruotano intorno all’Università, allo snodo ferroviario, all’Ospedale Umberto I e al quartiere multietnico dell’Esquilino.
Il TSH San Lorenzo si svilupperà in una struttura di 21.000 mq, comprensiva di 444 stanze per studenti, ospiti hotel e giovani professionisti, nonché spazi per il co-working, meeting ed eventi, nei quali ospiti di ogni tipo potranno incontrarsi e scambiarsi idee. Inoltre, il progetto prevede numerose aree verdi e aree dedicate allo sport, a eventi e attività ricreative, che saranno completamente aperte e accessibili al pubblico.
Pensando a Roma non poteva esserci un luogo migliore di San Lorenzo dove aprire uno spazio come quello voluto dal fondatore dei TSH, Charlie MacGregor. “The Student Hotel – è lui stesso a raccontarlo – è nato dalla convinzione che gli studenti meritassero di meglio. Oltre agli alloggi, avevano bisogno di uno spazio stimolante per trovare la propria strada, realizzare il proprio potenziale e cambiare il mondo“. Così è stato e gli avventori dei TSH già operativi oggi sono per lo più studenti che vi restano per interi semestri, viaggiatori che si fermano un solo weekend, habitué del co-working, avventori che fanno un salto per un caffè e tutte le sfumature nel mezzo di una comunità interconnessa.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Alzi la mano chi non ha mai desiderato sfregare una lampada, veder uscire il fantomatico Genio e chiedergli uno o più desideri. Dalle cose più nobili, alle vincite in denaro, fino ai sogni proibiti.
Però vorrei pensare in grande, al di là dei desideri personali, e mi rivolgo al Genio per migliorare la nostra amata casa, la nostra città.
Ecco tre desideri irrealizzabili, ma neanche troppo…
I miei 3 DESIDERI per MILANO
#1 “Caro Genio, potresti gentilmente punire chi deturpa il territorio?”
Credits: www.bufale.net
“Caro Genio, potresti gentilmente punire chi deturpa il territorio?”
Il segugio meccanico di Bradbury sbranava chiunque non stesse alle regole del regime distopico di Fahrenheit 451. Mi piacerebbe che il Genio inventasse un altro tipo di segugio, ovviamente un po’ meno spietato di quello dei pompieri di Bradbury. E la sua funzione sarebbe semplicissima: non appena qualcuno getta un mozzicone, una carta o una bottiglia per terra, il segugio scannerizza il soggetto, ne identifica la residenza e gli fa pervenire a casa una bella contravvenzione di 1000 euro, da pagare entro un mese. Senza alcuna possibilità di ricorso o riduzione.
Così poi vediamo se il “genio”, non quello della lampada, ci riprova.
#2 “Caro Genio, potresti tornare indietro nel tempo ed evitare lo scandalo dell’assegnazione EMA?”
Credits: www.yarix.com
“Caro Genio, potresti tornare indietro nel tempo ed evitare lo scandalo dell’assegnazione EMA?”
Già, perché qui nessuno si dimentica che, dopo due votazioni a pari punti, il trasferimento dell’Agenzia Europea del Farmaco da Londra in Europa ha visto trionfare Amsterdam, finalista con Milano, grazie al lancio di una monetina. Come si decidevano le finali dei mondiali di calcio cinquant’anni fa, per intenderci.
Un fatto che qui sotto il Duomo non ha digerito mai nessuno, dai medici, ai cittadini, alle stesse istituzioni. Anche perché è stato appurato da più parti che i requisiti di Milano erano superiori a quelli della capitale olandese. E, secondo gli esperti, una terza votazione sarebbe stata più corretta.
Questo, per assicurarsi un ente che, trasferitosi qui, avrebbe portato svariati miliardi di euro di indotto, oltre alla creazione di almeno 1 milione di posti di lavoro, con conseguente impennata dell’economia milanese, lombarda e in generale italiana.
E, dato che la vicenda si è chiusa in modo scorretto, caro Genio non ti chiedo di rifare la votazione. Voglio direttamente l’EMA a Milano.
#3 “Caro Genio, potresti togliere di mezzo per sempre la Juventus?”
Credits: jmania.it
“Caro Genio, potresti togliere di mezzo per sempre la Juventus?”
Sì… lo sappiamo. Di juventini in Italia ce n’è ovunque, anche a Milano.
Ma mi piace immaginare che il calcio milanese possa tornare ai fasti di un tempo, dove o il Milan o l’Inter comandavano a fasi alterne in Italia e in Europa. Invece, pare che qualcun altro nelle competizioni europee proprio non riesca a dire la sua… Non me ne vogliano i torinesi juventini o comunque i tifosi bianconeri lettori di Milano Città Stato.
E tranquillo, Genio, che non voglio davvero eliminare la Juventus. Solo retrogradarla per sempre rispetto alle squadre di Milano.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Anche in tempi di Covid c’è chi ora rilancia, candidandosi come luogo della felicità.
Questa città italiana si candida come “CAPITALE della FELICITÀ”
# Un’estate da dimenticare: persi più di 7 milioni di turisti in una sola estate
Credits: ilrestodelcarlino.it Bagnini che misurano le distanze
La città si aspettava che l’estate 2020 sarebbe stata una stagione calda ben diversa dalle altre. Rimini ha dovuto contare 7,2 milioni di presenze turistiche in meno e gli stessi abitanti del Comune si sono recati molto meno nelle spiagge e nei locali della città, arrivando addirittura al 50% di presenze in meno. Nonostante questo drastico calo, Rimini ha potuto contare comunque sui turisti italiani e quelli delle nazioni limitrofe come Francia, Svizzera, Germania e Austria, che hanno restituito un po’ di quella felicità e quel divertimento che caratterizzano l’anima della città. Quest’anno però Rimini è decisa a non replicare un’estatecome quellapassata e propone “Rimini Capitale della felicità”, anche in tempi di Covid.
# Come la città del divertimento ha reagito al 2020
Credits: @youngpeoplehotels Rimini
Rimini già l’anno scorso ha voluto reagire e mandare avanti quel modello strategico, che era già stato intrapreso sin dagli anni ’50, e che è stato implementato durante la pandemia. Si tratta di un nuovo modello di promozione turistica italiana. Dopo che a maggio 2020 si era ragionato su come il Covid avrebbe cambiato il turismo, perché era una cosa inevitabile, si era vista come possibile soluzione una cooperazione tra operatori turistici locali e l’innescare un processo innovativo che coinvolgesse tutti.
# “Rimini il sorriso degli italiani”
Credits: rimininotizie.net Rimini e felicità
La città ha lanciato una nuova brand identity, quello di “Rimini il sorriso degli italiani”, nonché “Rimini Capitale della felicità”. Tramite una campagna di comunicazione nazionale è stata presentata la riviera riminese come sicura e sorridente. Non si sono aboliti gli eventi, ma al contrario li si organizzerà e si proporrà, ad esempio, l’evento diffuso nel tempo e nello spazio.
Nascerà anche la spiaggia open space: maggiori distanziamenti da quelli imposti dal DPCM, ma la possibilità di vivere il mare quasi 24 ore su 24. Ristoranti e locali che si allargheranno nelle piazze e nelle strade rendendo non solo le spiagge open space, ma l’intera città. Grazie ad un “coro di imprese” locali, si vogliono riaccendere i riflettori su Rimini, anche nel mercato internazionale. Se ogni persona quando va in vacanza vuole essere felice, Rimini vuole offrire un’esperienza turistica senza preoccupazioni e restituire il sorriso.
Non bisogna dimenticare che Rimini poi non è solo movida, mare e divertimento. I grandi eventi su Fellini, la nascita di nuovi spazi museali, la valorizzazione dell’entroterra enogastronomico, il turismo congressuale cercheranno di mostrare come Rimini possa rendere felice chiunque.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il 30 marzo 1876 nasce in Italia, e precisamente a Trieste, il primo trasporto pubblico in Italia.
1876: nasce il primo TRASPORTO PUBBLICO in Italia
Siamo in pieno periodo asburgico e tutto comincia per le richieste della borghesia imprenditoriale della città friulana. E’ diventato ormai necessario un collegamento rapido tra il capolinea della stazione ferroviaria Trieste-Vienna e le fabbriche del Borgo Teresiano. Bisogna far viaggiare in maniera più rapida, in città, sia le persone che le merci. Nasce così quello che diventa il primo trasporto pubblico in Italia. Un servizio inaugurato il 30 marzo del 1876.
Credits: @mondotram
# Borgo Teresiano
Credits: @palazzoteresiano.com – Borgo Teresiano, il Canal Grande
Il Borgo Teresiano è uno dei quartieri più antichi e pieni di storia del centro di Trieste. Voluto da Maria Teresa, prima imperatrice d’Austria, intorno alla metà del diciottesimo secolo, il nuovo quartiere signorile ricavato dall’interramento delle saline costituirà il nuovo fulcro del commercio della città.
Grazie all’ordinato intersecarsi delle sue vie ortogonali, rappresenta uno dei primi esempi di pianificazione urbanistica moderna.
Il quartiere, col nome Borgo Teresiano, continua a dare omaggio a colei che l’ha fondato. Fulcro del quartiere è il Canal Grande: canale navigabile, perpendicolare al lungomare, atto a far arrivare le merci direttamente in città.
# Trieste e il boom economico
Nel 1719 Carlo VI proclamò Trieste porto franco. Trieste a quell’epoca era in pieno splendore essendo il porto ufficiale dell’impero asburgico. L’afflusso di commercianti da vari paesi, soprattutto dai balcani, constrinse dapprima la città ad estendere i propri confini fuori dalle mura di cinta medievali, e poi a permettere il veloce trasporto di uomini e merci.
# Tram e cavalli al servizio della città
Inizialmente, venne messa in servizio una linea di carrozze con cavalli. Questa, però, non forniva un servizio all’altezza delle richieste dell’utenza e aveva dei costi non accessibili ai più.
Credits: @mondotram.it
Venne così dato, successivamente, l’incarico alla Società Triestina Tramway di provvedere al nuovo trasporto pubblico. La società era costituita dalla Belga “Des Tramways de Brusselles” (che gestì anche i trasporti pubblici di Roma dal 1877 e fino al 1924 quelli di Bologna) e da capitalisti triestini, fra i quali il consigliere comunale Filippo Artelli e il vicepresidente del Consiglio municipale Francesco Hermet , entrambi liberal-nazionali.
Credits: @mondotram.it
Si istituì una linea tramviara ippotrainata che proponeva vagoni di prima e seconda classe. La differenza consisteva in un cuscino che rendeva più morbido il sedile del viaggiatore.
La tariffa era rispettivamente di dieci e cinque soldi, a cui si doveva aggiungere un soldo per la tradizionale mancia al bigliettaio. Non c’erano fermate prestabilite: era possibile salire e scendere in qualunque punto del percorso, utilizzando segnale acustico o facendo un gesto con la mano. Il deposito sorgeva a Guardiella ed era dotato di scuderie per i cavalli, rigorosamente di razza ungherese e transilvana, del maniscalco, del veterinario, di fienili e granai e delle abitazioni degli addetti.
# Nasce il primo trasporto pubblico in Italia
La prima linea fu ufficialmente inaugurata all’alba del 30 marzo 1876, con la tratta Battisti-rotonda del Boschetto: una corsa ogni 15 minuti.
Nacque così, a Trieste, il primo trasporto pubblico d’Italia, alla portata di tutti. Un solo anno dopo Parigi ma in anticipo di un anno rispetto a Roma e Bologna. Sei anni rispetto a Milano (dove il servizio su rotaia iniziò nel 1882).
Lo studio “Decoding Global Talent, Onsite and Virtual” di Boston Consulting Group mostra un dato in controtendenza rispetto al resto del mondo. 9 italiani su 10 sono disponibili a trasferirsi all’estero per lavorare. Ma quali sono le mete preferite?
Studio choc: 9 ITALIANI su 10 pronti a EMIGRARE all’ESTERO
# Il report di Boston Consulting Group: 1 persona su 2 nel mondo è disposta a vivere all’estero per lavoro. In calo la voglia di emigrare
Lavorare all’estero 2014-2020 BCGC
Come rivela il report di Boston Consulting Group “Decoding Global Talent, Onsite and Virtual” la tendenza generale delle persone a livello globale è quella di spostarsi meno per motivi di lavoro, dal 63,8% degli intervistati che voleva lavorare all’estero nel 2014 si è passati al 50,4% nel 2020: una riduzione di 13 punti percentuali in soli sei anni.
# Italia in controtendenza: dal 59% si è passati al 90% di interessati a emigrare
L’Italia si muove in direzione diametralmente opposta rispetto a quasi tutto il resto del mondo. La quota dei lavoratori italiani che nel 2014 era disposta a trasferirsi all’estero per trovare un impiego era il 59%. Nel 2020 questa percentuale si è impennata al 90%. La motivazione principale indicata dallo studio è la crisi economica conseguente alla pandemia da Covid-19 che ha colpito più duramente il nostro Paese.
# Cambio al vertice tra le mete preferite dagli italiani: la Svizzera prende il posto del Regno Unito. Forte calo degli USA
Credits: BGCG
Ma quali sono le mete preferite dagli italiani? Dopo gli ultimi anni di dominio, complice anche la Brexit il Regno Unito cede il primato alla Svizzera che in due anni passa dal quarto al primo posto. A seguire appunto il Regno Unito e la Germania. Anche osservando la classifica delle destinazioni più gettonate dagli italiani per il lavoro da remoto c’è sempre la Svizzera in testa, poi Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Pochi milanesi conoscono il significato della nostra bandiera. generalmente si ritiene che, come quella inglese, sia la copia di quella genovese. Invece non è così: ma qual è la sua storia?
Siamo poco affezionati alla nostra bandiera, perché crediamo essere copiata da quella di una città rivale. Cambierebbe qualcosa sapere che è originariamente pensata per sbandierare (letteralmente) l’ambizione di autonomia, ed è dedicata al nostro amatissimo patrono?
La bandiera di Milano, erroneamente chiamata Croce di S. Giorgio, è in realtà la bandiera di S. Ambrogio. Come molte bandiere delle città dell’Alta Italia pre-unitaria, nasce in epoca medievale e giunge fino all’epoca moderna, conservando intatte quasi tutte le caratteristiche di un simbolo. L’aspetto identitario, ovvero l’orgoglio di riconoscersi in quel vessillo, è l’unico da ridefinire.
# La bandiera meneghina: un simbolo sconosciuto ai milanesi
credit: charitystars
Nella stagione calcistica 2006-2007, l’Inter ha usato nelle competizioni la maglia del centenario della fondazione della squadra: una casacca bianca con la croce rossa. Durante una partita di Champions League con il Fenerbache, un avvocato turco ebbe modo di sentirsi offeso, perché l’Inter ostentava simboli dei crociati. Furono in pochissimi a rispondergli, per altro pacatamente, che la squadra milanese intendeva onorare la bandiera meneghina, nel centesimo anniversario della propria fondazione sportiva. Ho sempre trovato questo episodio molto emblematico, che rivela quanto poco attaccamento hanno i milanesi verso la propria bandiera ma, soprattutto, quanto poco conoscono quel simbolo e quei colori.
# Ciò che rimane della rivalità di Milano con il Sacro Romano Impero
ph. wikipedia
Eppure quella bandiera, ha origini antichissime e – come per molte città lombarde – si forma nell’XI° secolo.
Il fatto che sia rimasta immutata per secoli, è segno che i milanesi prima di noi ci si sono identificati e riconosciuti con orgoglio, in quel simbolo. A quel tempo Milano era fiera Città Stato, modello giurisdizionale atipico che cercava di sfuggire alla morsa dell’Imperatore. Come dimenticare la rivalità che portò Federico Barbarossa a sopprimere le velleità di Milano, o come Milano si riprese dalla distruzione perpetrata dall’Imperatore. Erano tempi in cui i modi semplici erano un obbligo, la popolazione alfabetizzata era la minima parte. Quindi per i rivali dell’Imperatore che avevano la necessità di farsi riconoscere dai propri alleati, la soluzione era non tanto di usare un vessillo completamente diverso, quanto usare lo stesso del rivale, ma con colorazione opposta.
Se l’Impero era identificato da un vessillo cruciforme, croce bianca in campo rosso, ai rivali – come Milano – è bastato adottare un emblema uguale ma con colorazione invertita.
# La bandiera di San Giorgio? No, di Sant’Ambrogio!
ph. Flickr
Fin qui nulla di nuovo. In fin dei conti, quella simbologia è propria di San Giorgio, santo militare per eccellenza e protettore dell’Inghilterra. Nonostante le credenze che tale scelta assomigli alla bandiera dell’Inghilterra, che a sua volta era copiata (questa sì) dal vessillo di Genova, se andiamo a vedere le fonti ci accorgiamo che non è così. Indagando i documenti storici, possiamo notare che non c’è la minima traccia che quello della Lega Lombarda fosse ispirato al vessillo di S. Giorgio. Al contrario, nelle fonti medievali milanesi, la bandiera della città è chiamata espressamente Vexillum Sancti Ambrosii, la bandiera di S. Ambrogio.
Considerando l’importanza dedicata alla sfera religiosa nel medioevo, è normale che il vessillo fosse dedicato al Santo Patrono e – conoscendo l’attaccamento dei milanesi verso il proprio patrono – è naturale accettare che la cavalleria della città, abbia dedicato la bandiera a S. Ambrogio.
La questione è che si può parlare di bandiera di San Giorgio: il patrono della nazione, nel caso dell’Inghilterra. In tutti gli altri casi è bene consultare prima le fonti a disposizione.
# Lo stesso accadde in tante città lombarde
ph. ebay
Le città che, come Milano, hanno adottato il vessillo opposto a quello imperiale, sono tante. Molte di queste le troviamo coalizzate nella Lega Lombarda contro il Barbarossa e sono le città di tradizione guelfa: Varese, Lodi, Bologna, Mantova, Vercelli, Alessandria e Padova. Anche per tutte queste città, non si dovrebbe parlare di Croce di San Giorgio, ma della bandiera collegata al loro patrono, in quanto la bandiera con una croce rossa in campo bianco è un vessillo comune a molti santi militari, che sono noti per essere stati dei grandi cavalieri, diventati poi patroni militari.
Un emblema che dal campo militare e dai successi conseguiti sul campo di battaglia è stato adottato in ambito civile, guardato con orgoglio dai cittadini e innalzato come esempio da seguire nel futuro.
Un motivo in più di orgoglio storico, è pensare a quando, nel Nord Italia è iniziata l’era dei Comuni. L’ambizione e la fame di autonomia di questi si è contrapposta in maniera feroce al feudalesimo vigente, portando i cittadini e i loro cavalieri ad ostentare con forza le proprie convinzioni, disposti a sacrificare quanto di più caro per ribadire le proprie idee.
Succede così che le bandiere si sono trasferite dall’ambito militare a quello del singolo territorio, adottando un ulteriore simbolo: la bandiera. Nel nostro caso, la bandiera di Sant’Ambrogio.
Mostrare attaccamento al vessillo meneghino, non è assolutamente una mancanza di rispetto nei confronti della bandiera nazionale. La bandiera di Milano ha ricevuto – prima assoluta in Italia – la medaglia al valore per il Risorgimento, quello che ha portato all’adozione del tricolore verde-bianco-rosso. Aggiunge identità al nostro territorio, unico nel suo genere.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ci sono parole che a forza di usarle a sproposito si sono svuotate del loro significato semantico. Sono diventate della parole fantasma, come dei morti viventi che quando entrano della mente non sono capaci si stimolare alcun pensiero e non hanno più alcuna attinenza con il reale.
Anzi, spesso generano un senso di malessere, di fastidio. Proprio perché sono ormai messaggere di nulla.
Vediamo questi 10 esempi:
#1 Cabina di regia
#2 Rischio zero
#3 Comitato tecnico scientifico
#4 Resilienza
#4 Lockdown
#5 Distanziamento sociale
#6 Evidenza scientifica
#7 Normalità
#8 Ristoro
#9 In sicurezza
#10 Coprifuoco
Sono tutte parole ormai dissociate dal loro significato.
Se prendiamo l’ultima, coprifuoco si chiama così perché si coprivano i fuochi la sera per evitare incendi che nelle ore notturne potevano rivelarsi fatali. Poi si è trasformato in un termine bellico e ormai è diventata una parola che non rievoca nessuna guerra e non ha nessun legame con la sua origine.
Sono tutti termini questi che dopo essere stati abusati in modo strumentale ora sparano a salve senza innescare alcun costrutto mentale. Ai più si abbinano a pregiudizi o a stereotipi, ad alcuni li lasciano indifferenti, a molti generano un fastidio mentale. In tutti vagano nel cervello ostacolando il pensiero creativo.
Come gridare sempre al lupo al lupo insegna, bisogna usare le parole con cognizione per non rischiare di svuotarle e di non trasformarle in zombie nella nostra mente.
Credits: Claudio Cremaschi - In giallo la tratta verso l'aeroporto da Milano
La proposta è stata lanciata dal professore bergamasco Claudio Cremaschi dopo i dubbi e le proposte di modifica richieste dall’amministrazione di Bergamo e dai residenti. Ecco come si potrebbe realizzare e i vantaggi rispetto al progetto attuale.
TRENO DIRETTISSIMO Orio-Milano senza passare da Bergamo?
# Il tracciato in progetto oggi: 5 km di binari e un treno ogni 30 minuti da e per Milano e Orio al Serio
Tracciato Aeroporto-Stazione dei treni di Bergamo
Il tracciato progettato da Rfi, per portare chi sceglie di andare da Orio al Serio a Milano e viceversa in treno, si estenderà complessivamente per circa cinque chilometri. La sua origine sarà collocata ad est della stazione di Bergamo proseguendo poi per un chilometro in parallelo alla linea per Brescia dalla quale si distaccherà in prossimità della Fiera di Bergamo. La futura stazione a servizio dello scalo sarà servita da quattro binari di sosta ed è prevista in superficie sulla sede dell’attuale strada provinciale 116, che sarà delocalizzata a nord della ferrovia. A regime è previsto un treno ogni 30 minuti da Milano Centrale e Milano Porta Garibaldi (via Treviglio) e un treno ogni ora da Lecco e Ponte San Pietro. L’inizio dei lavori è stato programmato per la metà di quest’anno con conclusione prevista tre anni dopo, nel 2024, ma i dubbi sul progetto sono stati avanzati da più parti.
# L’amministrazione comunale di Bergamo e i residenti bocciano il progetto
Il progetto ha fatto discutere sin da subito e al momento della sua presentazione ufficiale negli ultimi mesi del 2020 da parte di RFI sono state mosse diverse istanza. In primis l’amministrazione comunale di Bergamoche ha chiesto di trasformare da sopraelevato a raso anche attraverso delle interrogazioni parlamentari. Poi i residenti dei quartieri maggiormente coinvolti dal transito del treno che si sono anche riuniti in un comitato, per proporre invece l’interramento di tutto il tracciato. Oltre a questo lo stesso comitato ha lanciato una petizione su Change.org rivolto agli enti in causa per rivedere tutto il progetto.
# La proposta del professore bergamasco Claudio Cremaschi: prolungare la linea ferroviaria da Milano direttamente all’aeroporto
Credits: Claudio Cremaschi – In giallo la tratta verso l’aeroporto da Milano
La proposta del professore bergamasco Claudio Cremaschi arriva quindi dopo i numerosi dubbi sul progetto messo sul tavolo da Rfi per il collegamento tra Bergamo e Orio al Serio. Secondo il suo parere essendo questo un collegamento utile per velocizzare il viaggio principalmente per chi arriva e per chi è diretto a Milano, sarebbe meglio realizzare una deviazione dalla linea ferroviaria attuale in arrivo dal capoluogo lombardo e portarla direttamente all’aeroporto: “Considerando che per chi ha il potere di decidere sembra indispensabile questo collegamento dell’aeroporto con Milano ( visto che il resto del territorio non ne ha alcuna utilità), perché non facciamo davvero un collegamento diretto tra Milano e l’aeroporto, senza passare per la stazione di Bergamo?”
La proposta prevede un doppio binario che corre a fianco della sede autostradale, per ricongiungersi a Stezzano con la linea ferroviaria Bergamo Milano. “Il tracciato da realizzare è lungo più o meno come quello dell’attuale progetto (in rosso). L’impatto ambientale e il consumo di suolo nettamente inferiore, realizzandolo a fianco del tracciato autostradale. I tempi di percorrenza tra Milano e l’aeroporto verrebbero ridotti di un quarto d’ora (più o meno). A Stezzano si potrebbe potenziare la stazione esistente, e potrebbe funzionare da interscambio, con una navetta che porterebbe a Bergamo i passeggeri del treno da Milano che non intendano recarsi a Orio (ovvio che i treni attuali per Bergamo continuerebbero a viaggiare).”
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Unuovo n palazzo potrebbe andare a rivoluzionare le regole del progettare. Si tratta di un edificio residenziale che al posto dei balconi ha delle pescine. La piscina è ormai diventata quasi d’obbligo in molte strutture alberghiere a 4 o 5 stelle, tanto che per averla la si posiziona ovunque e, nelle località marittime, si cerca di collocarla in modo tale da avere un’ottima vista, ma ora si è arrivati addirittura ad avere le piscine su un “comunissimo” palazzo residenziale. Vediamo dove si trova.
Il PALAZZO con le PISCINE sui BALCONI: un modello per le case del futuro?
Siamo nella città di Limassol, sull’isola di Cipro.
L’edificio residenziale è stato progettato dallo studio di architettura francese Hamonic + Masson & Associés e si è posizionato al secondo posto nella competizione internazionale per la miglior “Torre di Limassol”. Lusso è la parola d’ordine in questa struttura: avere un piscina in casa è già un bel privilegio, ma abitare in un appartamento e averne una sul balcone lo è ancora di più. Oltre alle piscine, l’edificio dispone di tutti i comfort di un complesso di lusso: spazi comuni, centro benessere e palestra. Il palazzo, inoltre, occupa una posizione privilegiata. Si affaccia direttamente sul Mar Mediterraneo, a sud di Cipro, e entra in un dialogo armonioso con ciò che lo circonda.
# Ispirato alla natura
Credits: ad-italia.it Torre di Limassol
La struttura si ispira alle geometri naturali della corolla floreale. Nell’isola di Cipro, chiamata “isola di Afrodite”, la bellezza del mare e il sole quasi tutto l’anno hanno portato lo studio progettista a creare unità abitative individuali che si sviluppano in altezza e dalle quali si aprono verso l’esterno piscine circolari e aree verdi. Sono state create, quindi, “isole indipendenti” che, attraverso la struttura trasparente e le porte in vetro e tramite il richiamo della natura nelle sue forme, entrano in armonia con l’esterno. Si potrebbe dire che si tratta di un edifico-scultura.
# Saranno le case del futuro?
Sicuramente la Limassol Tower o Clelia Tower, è così che è chiamato questo palazzo, ha rivoluzionato il concetto del progettare. Tuttavia, non è certamente l’unico. Gli architetti contemporanei stanno riscrivendo le regole, fanno proposte che a primo impatto possono sembrare assurde ma certamente affascinanti e futuristiche. Potrebbe partire una scommessa su quale architetto di oggi abbia veramente anticipato il concept delle case del futuro. Intanto, mi ci vedo già a fare un bagno sul mio balcone di casa, anche se a Milano forse è un po’ scomodo; ma le località marittime italiane sono moltissime, quindi, perché no, magari inizieranno da quelle.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Diciamolo chiaramente: non abbiamo molte speranze per i viaggi questa estate.
La situazione è ancora troppo incerta, molte persone al momento non navigano nell’oro e prendere dei biglietti aerei sembra ancora troppo rischioso.
La soluzione migliore su tutti i fronti sembra quella del viaggio in camper: si è da soli, niente hotel, niente aerei e ci si può spostare quando si vuole, potendo anche eventualmente fare una quarantena all’interno (quando si viaggia di deve pensare a tutto).
Questo fantastico piano ha però un ostacolo: i prezzi dei camper. Eppure questo potrebbe cambiare.
Arriva il CAMPER low-cost: ha il prezzo di una CITY-CAR
# Viaggiare in camper costa
Credit: myluxury.it
Fare una vacanza in camper può sembrare un buon modo per risparmiare dei soldi ma normalmente un camper ha un costo medio che si aggira intorno ai 25.000-30.000 euro, senza pensare che questo prezzo può arrivare alle stelle se puntiamo ai camper lussuosi con prezzi a 6 o 7 cifre.
Avere un camper e mantenerlo costa, è bello avere tutti i confort possibili e molto spazio ma quando bisogna risparmiare il motto è questo: meno cose ci sono, meglio è.
La casa automobilistica russa Lada potrebbe aver trovato la soluzione a questo problema.
# ll camper che costa come un’utilitaria
Credit: voloscontato.it
La casa automobilistica Lada, in collaborazione con Lux-Form, ha progettato un camper low cost.
Si chiama Lada Granta e potrebbe essere il camper più economico del mondo.
Il prezzo è di soli 12.800 euro, praticamente quanto un’utilitaria ma nonostante il prezzo e le piccole dimensioni sembra avere tutto il necessario.
# Com’è fatto
Credit: esquire.com
Il camper della casa automobilistica Lada è un po’ piccolo ma tutti gli spazi sono progettati in modo molto funzionale e pieni di dettagli.
La cabina è di 2,17 m di lunghezza, 1,58 m di larghezza e 1,64 m di altezza.
La cucina ha un lavello, un frigorifero da 60 litri, una stufa a gas e diversi armadietti per riporre tutto il necessario per quando si viaggia.
Dispone di un mini soggiorno a due panche molto accogliente, di un wc molto piccolo ma essenziale e la stanza da letto si trova nella cabina superiore, con la possibilità di abilitare un secondo letto.
Ci sono inoltre diverse finestre e lucernari che garantiscono tanta luce ed aria, così da non risentire di uno spazio così piccolo.
Il marchio offre ai suoi clienti anche tanti comfort e opzioni aggiuntive che si possono sommare al prezzo base.
# Il futuro dei viaggi?
Questo camper low-cost potrebbe essere la svolta per le prossime estati: garantisce una vacanza sicura senza spendere un patrimonio.
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Tra le colline dell’Appennino tosco-romagnolo c’è un paese inserito ne “Borghi più Belli d’Italia” e addirittura citato da “Forbes” come uno dei posti imperdibili del BelPaese, alla pari con Firenze, Venezia e Roma. Se alcuni possano pensare che Forbes abbia esagerato, il borgo di Dozza è però sicuramente uno di quei luoghi assolutamente da visitare.
Il BORGO DIPINTO, uno dei “posti imperdibili” d’Italia secondo Forbes
# Dove si trova
Credits: @borghitalia Dozza
Dozza si trova a sud di Bologna e a 6km da Imola. Precisamente è sul crinale di una collina nella valle del fiume Sellustra che scende direttamente verso la via Emilia. Dozza è un comune di poco più di 6 000 abitanti, ma il paese che dà il nome al Comune conta poco più di mille anime, le restanti abitano a Toscanella, la sua frazione. La sua particolarità? Essere un museo a cielo aperto.
# Il borgo dalle mura dipinte
Credits: viaggiareunostiledivita.it Dozza
Dozza è conosciuta come “il museo vivente” o “il borgo dalle mura dipinte”. Sui muri di questo piccolo paese, infatti, ci sono ormai più di 200 storie raccontate. È un luogo dove la storicità degli edifici incontra la nuova arte, quella della street art, e non stona per nulla, al contrario storia e murales entrano inperfetta armonia. Ad aver reso così bello e particolare il borgo medievale di Dozza ha contribuito la Biennale del Muro dipinto, un’iniziativa comunale lanciata già negli anni Sessanta e che ha reso i muri del paese le tele di artisti contemporanei esordienti.
# Meglio non organizzarsi un itinerario turistico ma vagare per il paese
Credits: @ferrara_eventi Dozza
Per assaporare al meglio l’atmosfera del borgo di Dozza, la cosa migliore da fare, nonché la più semplice, è quello di vagare per il paese e perdersi nell’ammirare i suoi murales. Il primo dipinto che si incontra una volta arrivati è l’Arcobaleno di Alfonso Frasnedi e poi, proseguendo, sotto ogni murales c’è il nome dell’autore e l’anno di produzione. Ma Dozza è anche un borgo medievale dove immergersi nel passato, ad esempio ammirando la Rocca Sforzesca, una fortezza costruita nel XII secolo ma certamente modificata nel corso del tempo.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Le isole italiane stanno parlando di diventare Covid-free. Mentre in Grecia è stato effettivamente raggiunto l’obiettivo, in Italia è scoppiata la polemica. L’idea di vaccinare a tappetto tutti gli abitanti potrebbe essere una soluzione per risollevare il turismo e dare sicurezza alle persone che arrivano. A questa idea molti obiettano che non è giusto favorire certe isole rispetto ad altri territori e che invece si debba proseguire sulla strada della vaccinazione per classi d’età. In attesa di vedere l’evoluzione della situazione, in Italia, in realtà, un’isola Covid free c’è già.
In ITALIA c’è già un’ISOLA COVID FREE
# Qual è l’isola Covid free italiana?
Credits: @diariotricolore_umbria Isola Maggiore sul Lago Trasimeno
Non stiamo parlando di isole come la Sardegna o la Sicilia, e tantomeno come Ischia, Capri o Panarea, anzi l’isola in questione è molto piccola e conta solamente 15 abitanti. Si tratta dell’Isola Maggiore, in provincia di Perugia e sul Lago Trasimeno, il lago più vasto del Centro Italia. Le isole del Lago Trasimeno sono 3: quella Maggiore, Minore e la Polvese, ma solo la Maggiore è abitata. Con una superficie di 24 ettari, racchiusa in un perimetro di 2 km e dalla natura ancora selvaggia, l’abitato dell’Isola Maggiore si sviluppa lungo la via principale intorno a un porticciolo. L’isola in questione, inoltre, è collegata alla terraferma dai traghetti e può essere considerata come meta turistica, non alla pari con le isole di mare, ma certamente visitata.
# Il Covid non l’ha mai raggiunta
Credits: @anna1966190 Isola Maggiore
L’Isola Maggiore non è Covid free perché ha tutti gli abitanti vaccinati, come prevede il piano, ma perché il Coronavirus non l’ha mai raggiunta. Sull’isola non è mai stato registrato un caso di positività, anzi il numero degli abitanti è aumentato da 14 a 15 con la nascita di un bambino, cosa che non avveniva da 27 anni. Le isole del Lago, inoltre, fanno parte del comune di Tuoro sul Trasimeno e, come riporta il sindaco Maria Elena Minciaroni, anche l’intero territorio comunale fino all’ottobre scorso era stato risparmiato dal virus.
# Il turismo sull’isola
Credits: @adascopelliti Isola Maggiore
Le isole del Lago Trasimeno sono delle vere e proprie mete turistiche: affascinano con la loro natura ma anche con alcuni edifici di importanza storica. Se l’Isola Minore è importante per la sua natura selvaggia e la Polvese è diventata un parco scientifico-didattico, l’Isola Maggiore ha luoghi di particolare interesse. Oltre alla bellezza del percorrere i sentieri circondati da una natura molto varia, pini, cipressi e boschi di ulivi, gli edifici storici dell’Isola attraggono turisti. Importanti sono la Casa del Capitano del Popolo, il Castello Guglielmi del XIV secolo e alcune chiese e chiesette; ma l’attrazione per eccellenza è lo Scoglio di San Francesco, dove si dice che il Santo trovò rifugio.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In futuro la somministrazione intradermica potrebbe non essere l’unica opzione: arriveranno anche i vaccini spray e via cerotto?
Arriveranno i VACCINI SPRAY e via CEROTTO?
Se la domanda più diffusa dello scorso anno è stata “quando si avrà un vaccino?”, adesso che i vaccini sono stati trovati la domanda è diventata “mi vaccino o non mi vaccino?”. E al momento l’unica soluzione è la somministrazione intradermica, ma non è detto che sarà così anche in futuro, infatti in alcuni laboratori statunitensi ed europei si stanno sperimentando altre due possibili somministrazioni: lo spray intranasale e il cerotto. Potremo vaccinarci anche così? In un’intervista a Il Giorno, ha fatto il punto della situazione Francesco Menichetti, infettivologo dell’Università di Pisa.
# L’RNA Messaggero: una soluzione innovativa e facilmente aggiornabile alle varianti
credit: luccaindiretta.it
Menichetti, oltre ad essere infettivologo dell’Università di Pisa, è il capofila della sperimentazione italiana del plasma iperimmune. Ha spiegato a Il Giorno quali potrebbero essere le soluzioni che in futuro sostituiranno il vaccino, aumentando l’efficacia e riducendo anche i possibili effetti collaterali: “La soluzione a RNA messaggero si sta dimostrando innovativa, facilmente gestibile, si predispone meglio all’aggiornamento del preparato vaccinale alla luce delle mutazioni. […] La strategia anti-Covid sta perfezionando strumenti che minimizzano il rischio effetti collaterali, amplificando la capacità di fermare l’insidia“.
# Ma in futuro potrebbero esserci altre soluzioni: lo spray nasale blocca il virus sulle mucose
credit: amicopediatra.it
Sempre secondo l’infettivologo però ci sono altre soluzione che, seppur agli albori, in futuro potrebbero sostituire il vaccino intradermico. In merito allo spray intranasale afferma: “I vaccini spray cercano in qualche modo di sollecitare l’immunità locale, le IgA. Significa cercare di bloccare il virus sulle mucose, prevenire l’attecchimento sugli epiteli delle alte vie respiratorie. Sono filoni di ricerca promettenti, ma siamo agli albori. So che esistono laboratori negli Usa e in Europa che li stanno indagando. Sfruttano la somministrazione di spray intranasale, una strada diversa da quelle finora battute, bisognerà vedere in che misura funziona“.
# Spray o cerotti sono interessanti per il futuro. La priorità? Migliorare i vaccini già in produzione
credit: liberoquotidiano.it
Non solo spray nasale: il vaccino del futuro potrebbe anche essere assunto sotto forma di gocce. “Questi vaccini presi per via orale, o per via transdermica con i cerotti, sono interessanti ma ci vorrà del tempo.” ha spiegato Menichetti. Per il momento l’infettivologo sottolinea l’importanza della vaccinazione di massa, ponendo come priorità non la scoperta di soluzioni alternative bensì il miglioramento di quelle già in produzione: “la scommessa vera sarà poter disporre in tempo utile, e in quantità adeguate, di vaccini che già abbiamo, aggiornati alle varianti. Noi sappiamo che i vaccini sono efficaci nella variante inglese, predominante in Italia, ma relativamente deboli nei confronti della sudafricana e della brasiliana. Le mutazioni possono mandare in crisi anche il plasma convalescente raccolto nei mesi passati, così come gli anticorpi monoclonali di prima generazione, quelli recentemente approvati da Aifa”.
Al momento dunque l’unica alternativa sembrerebbe il vaccino tradizionale, ma in futuro la soluzione contro il virus che ha messo in ginocchio il mondo potrebbe essere custodita in un piccolo cerotto o in qualche spruzzo di spray nasali.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Sono tanti gli animali insoliti con cui si può nuotare: gli squali, i delfini, le razze, le tartarughe e persino le foche.
A questa lista bisogna aggiungere un animale che mai avrei pensato di vedere in questo elenco: i maiali.
Tra la sabbia bianca e l’acqua cristallina delle Bahamas c’è infatti un’isola abitata da tanti maiali con cui si può nuotare.
La SPIAGGIA dove si nuota con i MAIALI
# Exuma: il paradiso terrestre
Credit: @spiagge.da.sogno
Siamo alle Bahamas, nell’arcipelago di Exuma, spesso chiamato anche il paradiso terrestre.
Exuma è formata da 365 isole, luoghi incontaminati, con sabbia bianca e acqua cristallina che ogni anno attirano molti turisti perchè luogo perfetto per una vacanza in pieno relax.
Tra queste 365 isole ce n’è una con degli abitanti molto speciali.
# La Pig Beach: l’isola dei maiali naufraghi
Credit: @affordableluxurytravel
Pig Beach, ufficialmente Big Major Cay, è un’isola disabitata situata a Exuma che deve il suo soprannome ad una colonia di maiali che la popola.
Sono molte le leggende che cercano di trovare una spiegazione alla presenza dei maiali in questo luogo sperduto.
C’è chi dice che i maiali siano stati portati sull’isola da un gruppo di marinai con l’intento di mangiarli ma senza essere mai più tornati e chi invece crede che i maiali siano sopravvissuti ad un naufragio e siano riusciti ad arrivare a riva.
C’è persino chi sostiene che questi animali facciano parte di un piano economico che avrebbe lo scopo di attirare turisti alle Bahamas.
Leggende a parte, una cosa è certa: i maiali della Pig Beach sono diventati delle vere e proprie star.
# Nuotare con i maiali
Credit: @yachtarience
La spiaggia dei maiali è un’isola abbandonata dove non vivono gli uomini ma si possono fare delle escursioni per poterla andare a visitare in giornata.
Ci si può imbarcare da Royal Plantation Island per raggiungere Big Major Cay, sino ad arrivare a Pig Beach.
Lungo il tragitto è possibile anche sostarea Guana Cay, dove poter dare uva alle iguane, oppure a Compass Cay, dove è possibile nutrire gli squali.
La Pig Beach è ormai diventata famosissima e sono molti i turisti che ogni anno decidono di andare a trovare questi mammiferi che ormai spopolano su Instagram.
Secondo i fortunati che hanno provato quest’esperienza l’accoglienza è molto calorosa: i maiali corrono verso i turisti per avere un po’ di frutta e stanno con loro nell’acqua, ma non troppo a lungo dato che il loro corpo non è fatto per nuotare e preferiscono sdraiarsi al sole.
# L’altra faccia della medaglia
La Pig Beach è sicuramente un luogo insolito da vedere nella vita ma non è tutto oro ciò che luccica.
Nel 2016 l’attrice Michelle Chen fece visita all’isola dei maiali in occasione della sua luna di miele e raccontò l’altra faccia della medaglia che molto spesso viene tralasciata.
Michelle raccontò che l’isola è popolata soprattutto da maialini che appaiono in cattive condizioni, per la troppa esposizione al sole o per i turisti che danno loro qualsiasi cosa da mangiare.
A questo si aggiunge un problema: essendo l’isola disabitata, i maiali non dovrebbero essere migliaia? Per ovvie ragioni, i maiali che accolgono i turisti non sono mai più di una trentina, ma che fine fanno gli altri?
Le testimonianze dell’attrice fecero molto scalpore e dovrebbero aver costretto il governo a porre più controlli, soprattutto per l’incolumità degli animali così accoglienti.
# Quanto costa nuotare con i maiali?
Credit: @estacao.londres
Nuotare con la colonia di maiali ha un prezzo ed è anche molto alto, in media si spendono infatti 215 dollari, a testa!
Un po’ troppo per un business a gestione “familiare”?
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Molti lo considerano “fuori scala rispetto agli edifici circostanti”, “senza nessun rispetto per la storia del quartiere”. Inoltre la vicenda che ha portato alla sua costruzione ha qualche ombra. Ecco dove sta per essere realizzato e come cambierà in peggio, secondo i residenti, l’immagine della zona.
Il “MOSTRO EDILIZIO” in costruzione tra Brera e Garibaldi: una raccolta firme per BLOCCARLO
# La petizione diretta al Sindaco Sala: “fermiamo il mostro edilizio in costruzione nel cuore di Brera-Garibaldi!”
In via Anfiteatro 7 tra Brera e Porta Garibaldi è in costruzione un nuovo edificio al posto di un’area rimasta a verde in seguito alla demolizione di un vecchio edificio. Sarà una torre fuori scala rispetto al contesto e la vicenda con cui è stata portata avanti la sua costruzione ha più di qualche ombra. I residenti della zona hanno lanciato una petizione per bloccarne la costruzione.
Ecco alcuni estratti: “E’ in corso un intervento edilizio in Via Anfiteatro 7 nel cuore di Brera-Garibaldi, che rischia di deturpare indelebilmente una delle zone più caratteristiche di Milano, sollevando interrogativi, sdegno e frustrazione […]. Si tratta della realizzazione di un nuovo fabbricato che ha avuto inizio la scorsa estate, dopo una procedura urbanistica accelerata, poco trasparente e sottratta ad ogni partecipazione democratica.
E’ previsto un edificio di undici piani fuori terra destinato a mini-appartamenti di lusso, su una superficie di poco più di mille mq risultanti da un rudere demolito nel 2007, sulla cui reale consistenza pre-demolizione occorre un atto di fede. In origine, il fabbricato si sviluppava su tre livelli, in linea con altezze e sagome del resto della Via Anfiteatro. Ottenuto con difficoltà l’accesso agli atti e dopo avere iniziato un giudizio davanti al TAR Lombardia contro il Comune, contro il costruttore e contro un fondo immobiliare che si era inserito nel progetto, si è appreso che si tratterebbe del c.d. recupero della volumetria non più esistente da quasi 15 anni […]
# Prima dell’inizio dei lavori c’era una piccola area verde curata dai residenti, che chiedono almeno una riduzione dell’altezza del nuovo palazzo
Credits: Urbanfile – Area abbandonata in via Anfiteatro 7
La petizione continua: “Sarà un edificio nato dal “nulla” su una minuscola area verde tenuta in vita su base di volontariato, che si ergerà per undici piani, a cavallo di un edificio di tre ed uno di sei, senza rispetto degli allineamenti, delle precedenti sagome e della storia del quartiere. […] Ci saranno tre piani di box in sottosuolo, e poi monolocali e terrazze, con mortificazione e degradazione dell’ambiente urbano circostante […] Ci sarà chi si ritroverà a vivere in “ fondo ad un pozzo”, chi non vedrà più il sole, chi perderà la privacy avendo […] chi perderà per sempre la vista su Porta Nuova e sulle Alpi, e soprattutto chi, passeggiando per questo storico quartiere, si imbatterà in un moderno mostro edilizio che nulla ha a che fare con tutto ciò che lo circonda. […] è ragionevole e politicamente accettabile nel 2021 uno scempio edilizio nel cuore di Milano di natura dichiaratamente speculativa?”
Credits: Urbanfile - Cantiere via Anfiteatro 7
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L’appello finale al sindaco di Milano: “Spiace vedere dimenticate le linee ispiratrici della gestione della Città del Sindaco Sala, presentate come improntate al rispetto dell’ambiente urbano e della vivibilità di tutti a tutti i livelli […]attendiamo un Suo concreto e coerente intervento prima del “fatto compiuto”, quanto meno per ricondurre il progetto ad un’altezza edificata in linea con la situazione pre-esistente, nel rispetto del patrimonio urbanistico della Città e delle aspirazioni e dei diritti di tutti, e non solo di pochi.”
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Cascare nei luoghi comuni è facile quando si parla di subculture o fenomeni sociali esplosi in un determinato periodo, soprattutto a Milano e in Lombardia.
Gli stessi rappresentanti, nella maggior parte dei casi, storcono il naso di fronte a categorizzazioni o etichette che li distinguano. Salvo poi riconoscere che esiste davvero un vero e proprio stile connotante un gruppo.
Come sarebbe altrimenti possibile che a un emo venga negato l’ingresso a uno spettacolo della Scala o che un sancarlino rischierebbe una derisione presentandosi a un concerto metal?
Vediamo quali sono i gruppi e le subculture in ambito musicale, e non solo, che si sono avvicendati a Milano e che, per la maggior parte, in estinzione.
I 7 GRUPPI MILANESI estinti o in via di estinzione
#1 Gabber
Credits: zero.eu
Identificata come cultura adolescenziale, quella dei gabber è stata una subcultura tutt’altro che banale e scontata. Infatti, dai movimenti hardcore del nord Europa, si è diffusa prevalentemente a Milano dagli anni 2000, reinventando alcuni dress-code leggendari come la tuta acetata Adidas a tre strisce.
Quali erano le serate clou ormai tramontate? Al Number One e al Florida, club storici della nightlife del bresciano.
#2 Emo
Credits: www.nssmag.com
Sottogenere dell’hardcore punk, “emo” è un neologismo nato alla metà degli anni 80 negli Stati Uniti occidentali, come contrazione di “emotional hardcore”.
Jeans invecchiati, capelli spettinati e scuri, smalto nero e, in generale, un look da trasandato: gli emo sono decisamente un fenomeno in via di estinzione.
#3 Paninari
Credits: www.vanityfair.it
I ragazzi che a bordo di moto da cross, con giubbotti di jeans e bandana, occupavano le scalinate del vecchio Burghy di Corso Vittorio Emanuele, sono forse l’immagine adolescenziale più vintage della Milano da Bere.
Per la cronaca, quel Burghy divenne poi McDonald’s e, sotto la sua famosa scalinata, si organizzarono i primi movimenti hip-hop della scena meneghina, tra writers e breakdance.
#4 Sancarlini
Credits: radioglobo.it
Quando molti ancora raccattavano la bmx , loro andavano già in giro in mountain bike. Immagine simbolo del figlio di papà, il sancarlino deriva dall’Istituto San Carlo e, spesso, veniva erroneamente accostato al pariolino romano che però altro non fu che una sua mal riuscita imitazione. Comunque, ambedue rappresentavano il ragazzo superborghese a cui le carriere genitoriali non facevano mancare nulla.
E ormai anche il “sanca” è un ricordo sbiadito di vent’anni fa, di una Milano che ha avuto più melting pot che qualunque altra capitale europea.
#5 Metallari
Credits: www.sdangher.com
Gli amanti intramontabili dell’heavy metal, vestiti con chiodo, borchie, catene e Dr. Martens.
In Italia e a Milano andavano fortissimi negli anni 90. Però, qui in città molti locali a tema hanno chiuso o si sono reinventati, mentre in Lombardia, soprattutto nelle zone del Lago Maggiore e nei dintorni di Malpensa, i metallari sono ancora molto attivi.
A vederli da piccoli facevano molta paura, anche se come gruppo non sono mai stati famosi per essere rissosi.
#6 Truzzi
Credits: www.stileggendo.com
Erano davvero i peggiori. E possiamo dirlo senza rischiare che uno di loro venga a minacciarci. Per grazia ricevuta, si sono semplicemente eclissati. E, con loro, le scarpe e gli scandalosi tagli di capelli rasati solo ai lati che avevano il coraggio di sfoggiare.
#7 Ska
Credits: www.reggaeradio.it
Genere musicale antesignano di reggae e rock steady, lo Ska fu un movimento che si portò dietro un esercito di adepti, riconoscibili da determinate mode.
Infatti, lo Ska ha avuto deviazioni di genere, dando vita a Hip Hop-ska, Ska punk e Ska-jazz. E con questi si è mescolato in maniera camaleontica, con outfit a tema: felpe con il cappuccio e salopette per l’hip-hop, catene e jeans stracciati per il punk e così via.
Anche lo ska, come il metal, è ancora parzialmente attivo soprattutto in Brianza.
# E gli hipster?
Credits: www.amando.it
Discorso a parte meritano gli hipster. Non sono scomparsi, ma sicuramente si sono ridimensionati e trasformati rispetto alla loro nascita avvenuta attorno al 2003. Su di loro si è detto di tutto e di più, ed è senza dubbio il gruppo a cui le etichette sono sempre andate più strette.
Un fatto è palese: Milano è e resterà all’avanguardia per la nascita, lo sviluppo e il conseguente tramonto di subculture come queste.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La moderna chiesa di Santa Madre Teresa di Calcutta di Via Fratelli Fraschini è stata da poco completata e fa già discutere per la sua estetica, tanto che c’è chi già la definisce “la chiesa più strana d’Italia”.
Il progetto dell’edificio religioso nel quartiere de “Le Terrazze” al Gratosoglio, realizzato a fine anni ’80, era stato presentato nel 2005 ma solo nel 2016 sono partiti i lavori. È una succursale della più antica chiesa dei SS. Pietro e Paolo ai Tre Ronchetti, il borgo che si trova più a sud sempre lungo la via dei Missaglia.
# La chiesa senza campanile ma con una cella campanaria
La chiesa ha un’architettura essenziale ed è formata da elementi autonomi che vanno definire l’intero complesso. Realizzata con materiali chiari quali pietra calcarea bianca, pietra arenaria rosata e calcestruzzo dilavato, si compone di: un sagrato e un edificio destinato ad ospitare il nido, gli alloggi del clero e gli uffici che si accompagnano all’andamento del suolo agricolo, e l’oratorio che invece si orienta verso il quartiere residenziale formando una “L” con l’edificio precedente. Spicca l’assenza del campanile, al suo posto una cella campanaria fatta a griglia metallica installata lateralmente nel punto più alto dell’edificio religioso. Nel complesso una costruzione banale e senza spunti di originalità.
# Le curiosità all’interno, con la “via Crucis” e le aperture a shed sul soffitto
Credits: Urbanfile - Interno chiesa
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All’interno si trova un croce luminosa sul retro dell’altare, mentre il soffitto è caratterizzato da un gioco di “aperture a shed”, tipiche degli edifici industriali e piccole feritoie lungo la parete che consentono alla luce di entrare e diffondersi creando ombre e luci. Alle pareti è stata realizzata la “via Crucis” sotto forma di singoli quadri che rappresentano i momenti in successione.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La Vespa nasce il 23 Aprile 1946, Enrico Piaggio voleva qualcosa di diverso dalle solite moto e fece progettare il motociclo da un ingegnere aeronautico, Corradino D’Ascanio, che aveva in carico progetti di elicotteri e la mente sgombra da stereotipi a due ruote.
Ecco che nasce un motociclo su cui si può salire senza dover scavalcare il sellino, con il cambio sul manubrio, con una scocca che protegge il motore, con sospensione anteriore simile a quella degli aerei e con una ruota di scorta.
Un design unico. La leggenda dice che alla vista del primo prototipo Enrico Piaggio esclamò “sembra una Vespa” e da lì nacque il famoso nome, ormai Brand conosciuto a livello internazionale.
Una regina che ha avuto ed ha il suo ruolo in molti film famosi, che l’hanno scelta come attrice non protagonista, nella splendida cornice di Roma.
La VESPA: attrice in molti film ambientati a ROMA
# Vacanze romane
Credit: italianways.com
Uno dei film più iconici è sicuramente Vacanze Romane, del 1953, forse anche un po` artefice del successo della Vespa.
Gregory Peck e Audrey Hepburn girano Roma a bordo di una Vespa, facendo sognare milioni di persone.
Una sorta di storia di Cenerentola al contrario, ispirata alla fuga della principessa Margaret d’Inghilterra, sorella di Elisabetta II, per godersi una vacanza italiana in anonimato 2 anni prima l’uscita del film.
# La dolce vita
Credit: starcmantova.wordpress.com
La dolce vita, iconico film di Fellini del 1960, dove Marcello Mastroianni interpreta un Paparazzo (nome che poi sarà utilizzato su larga scala per denominare i fotografi di VIP). Attraverso il suo personaggio vengono svelate luci ed ombre della Roma dell’epoca. Marcello scorrazza per via Veneto a bordo della Vespa, ovviamente.
# Il ragazzo del pony express
Credit: ilgiornale.it
Film del 1986 con un giovane Jerry Calà che ruba dei soldi proprio per comprarsi una Vespa ed iniziare a Roma il suo lavoro come Pony Express. Ma poi la ragazza “derubata” si innamora di lui e tutti vissero felici e contenti girando per la città eterna.
# Caro diario
Credit: riminitoday.it
Film di Nanni Moretti del 1993. Il primo episodio, proprio intitolato “In Vespa” ci mostra una Roma estiva e deserta attraverso gli occhi del protagonista che la gira in Vespa.
Fotografie di una città magica, dei suoi monumenti, dell’architettura, ma anche dei quartieri meno blasonati, come Spinaceto, per finire ad Ostia, sotto la statua di Pasolini, vicino al luogo in cui fu ucciso.
Uscendo da Roma, sono ancora tanti i film che hanno avuto la Vespa come attrice non protagonista, sia in Italia che in ambito internazionale, solo per citarne alcuni: Poveri ma belli, American Graffiti, Scarface, Sapore di mare, Il ragazzo di campagna, 7 chili in 7 giorni, Good Morning, Vietnam, Il barbiere di Rio, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Il talento di Mr. Ripley, American Pie, About a Boy, Alfie, Manuale d’amore, The Interpreter.
Per non dimenticarci dei Lùnapop, che nel 1999 dedicarono una canzone alla Vespa 50 Special.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.