Un progetto atteso da 30 anni dai pendolari che ogni giorno intasano la Paullese. I sindaci dalla provincia di Crema hanno scritto al governo per far inserire l’opera tra le infrastrutture prioritarie nel Recovery Plan. Ecco il possibile tracciato e quanto costerebbe.
“Vogliamo il METRÒ fino a PAULLO”
# I sindaci del cremasco scrivono al premier Draghi per inserire il prolungamento della M3 fino a Paullo nel Recovery Plan
Credits: ilpost.it
L’assessore al bilancio di Crema Cinzia Fontana commenta la lettera firmata da tutti gli esponenti dei partiti cremaschi, in cui viene chiesto di finanziare il prolungamento della M3 fino a Paullo, indirizzata al premier Mario Draghi, ai ministri Daniele Franco ed Enrico Giovannini, al presidente della Lombardia Attilio Fontana e al sindaco di Milano Beppe Sala: “Mosse dall’interesse comune di sostenere azioni positive che portino beneficio al nostro territorio le forze politiche dell’area cremasca hanno condiviso un appello unitario a Governo, Regione e istituzioni locali affinché il progetto di prolungamento della MM3 San Donato-Paullo sia inserito tra gli interventi infrastrutturali prioritari e strategici nel Piano Nazionale Ripresa e Resilienza finanziato col Recovery fund“.
# L’ultimo progetto redatto da MM costerebbe 1,1 miliardi di euro: 14 km di estensione con 8 nuove fermate
Progetto MM Prolungamento M3 Paullo
Oltre ad agevolare il viaggio dei pendolari con un collegamento puntuale e efficiente, il prolungamento della linea gialla fino a Paullo andrebbe a snellire il traffico sulla Paullese i cui lavori non sono ancora arrivati a conclusione. L’ultimo progetto nella versione più estesa redatto da Metropolitana Milanese tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ‘2000, insieme ad altri successivi, sono stati tutti bocciati dalla Corte dei conti per mancanza della sufficiente copertura finanziaria e un rapporto costi/benefici non ottimale. L’estensione della M3, come da immagine in alto, prevedrebbe 8 nuove fermate per una lunghezza di circa 14 km con metà del tracciato in sotterranea fino a Peschiera e il resto quasi completamente in superficie o trincea fino a Paullo Est.
Tavola Paullo Teem e Prolungamento M3
Il finanziamento richiesto sarebbe di 1,1 miliardi di euro e secondo i sindaci del cremasco i fondi si troverebbero se l’opera fosse inserita come infrastruttura prioritaria nel Recovery Plan. A questo si aggiunge che la TEEM, tangenziale est esterna di Milano, è stata progettata e realizzata lasciando la spazio necessario per l’estensione delle M3 fino alla fermata di Paullo Est e per il deposito dei treni.
# L’ipotesi più probabile ad oggi: 2 fermate fino a San Donato Est, il resto con metrotranvia o bus rapidi
Prolungamento M3
Al momento l’ipotesi più fattibile contempla un’estensione della M3 per 2 fermate fino a San Donato Est e il resto del percorso realizzato tramite infrastrutture meno impattanti sia a livello costruttivo che finanziario, come metrotranvia o bus rapidi in corsia protetta.
Credit: nord24milano.it
Da anni però anche i comuni a nord di Milano chiedono il prolungamento della M3. Le ultime ipotesi vedono un’estensione massima di altre 2 fermate dopo il capolinea di Comasina: Cormano e Paderno Dugnano.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
L’acquisizione di una libertà virtuale ci sta rendendo più disponibili alla perdita della libertà reale.
Fino a trent’anni fa sarebbe stato impossibile applicare il confinamento come soluzione di salute pubblica. Sia per un motivo politico, perché il confinamento veniva associato alle dittature del novecento, sia per le caratteristiche della vita quotidiana.
Perché fino ai primi anni novanta tutta la vita era fuori di casa. In casa si studiava, si mangiava e si dormiva. Fine. Tutta la vita consisteva in quello che accadeva fuori. Soprattutto vivere significava la ricerca della socialità e dell’incontro con gli altri. In quel caso non sarebbe stato mai stata accettato un limite ad uscire proprio perché sarebbe stato interpretato automaticamente come perdere la vita.
La libertà era al centro non solo della vita quotidiana ma era un pilastro della politica. Nella politica interna si rivendicava una maggiore libertà per il singolo o per le diverse categorie, con la progressiva conquista sociale di diritti e libertà sempre più ampi. E anche a livello internazionale sulla spinta della voglia di libertà dei popoli si assisteva al crollo dei muri e alla nascita di un mondo senza frontiere.
Tutte cose che oggi sono state barattate in campo di una buona connessione internet e di un rapido servizio delivery.
Kim Jong-un è il nuovo vate della nostra epoca?
Talking teens è un progetto nato dagli adolescenti per gli adolescenti, ma non solo. È un’iniziativa culturale e educativa nata da studenti delle scuole superiori, per questo nel nome c’è la parola “teens” (adolescenti), e che è riuscita a coinvolgere insegnanti, cittadini e attori. Che cos’è però Talking Teens? È un viaggio nel tempo dove se ci si avvicina ad una statua del centro città di Parma, si potrà sentire la stessa parlare.
Talking teens: le STAUTE PARLANTI di Parma
# “Salve, sono Giuseppe Verdi”
Credits: @talkingteens_parma Alcune tra le statue
L’iniziativa ha coinvolto 350 studenti che hanno scelto le statue, approfondito la storia delle stesse e del personaggio rappresentato e scritto il testo delle telefonate. Inoltre, sempre gli studenti hanno contribuito al lancio del sito web facendo foto, video e modellini delle statue stesse. Insieme ai vari licei e istituti di Parma, essenziali per il progetto sono stati l’associazione culturale ECHO, il Comune di Parma e altri enti della città. Ci si avvicina alla statua, il cellulare squilla e quando rispondi senti “Salve, sono Giuseppe Verdi…”, un’esperienza unica! Tra i personaggi delle statue troviamo Verdi, Giuseppe Garibaldi, Il Parmigianino, Il Correggio e molti altri. A dar voce alle statue ci sono, invece, attori di cinema e teatro, tra cui Lino Guanciale, e 5 studenti che hanno registrato la storia del Gruppo del Sileno.
# È accessibile a tutti
Credits: @talkingteens_parma Statue Parma
Nonostante l’iniziativa sia partita dai giovani per i giovani, è un’esperienza di visita che possono fare tutti: dai più grandi ai più piccoli, stranieri (le registrazioni sono fatte anche in inglese), ma soprattutto anche le persone con disabilità. La “chiacchierata” la si può fare anche con una videochiamata in LIS e la targhetta con la spiegazione su come funziona è scritta in rilievo per poter essere capita anche dai non-vedenti.
# Ma come funziona?
Credits: @talkingteens_parma Talking Teens
Talking Teens è un percorso di 16 statue delle piazze della città. Ovviamente non è automatica la “chiacchierata” con la statua, altrimenti già due statue nella stessa piazza darebbero fastidio ai visitatori che non vogliono sentirle parlare. Il progetto è un modo perfetto per unire tecnologia e cultura, valorizzando i monumenti della città. Innanzitutto, per poter sentir parlare le statue bisogna essere muniti di un telefono cellulare, ma ormai è difficile trovare qualcuno che non lo abbia. Ci si deve avvicinare ad esse e seguire le indicazioni scritte su una targhetta segnaletica. Da qui o componendo il numero di telefono riportato sulla targa, o scansionando il QR code presente o scaricando la APP si può far partire la telefonata con le statue.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In Veneto, fino a pochi anni fa, non esisteva famiglia che non avesse ALMENO una Graziella. E in paese, a 2021 ingranato, la situazione, non è ancora cambiata. Senz’ombra di dubbio, sto parlando della bicicletta pieghevole più famosa del mondo.
Le SPECIAL EDITION più curiose della GRAZIELLA, la BICICLETTA pieghevole più famosa del mondo
# Vittorio Veneto, Treviso 1964
La storica bicicletta Graziella nasce a Vittorio Veneto, nel 1964, dal progetto creativo di Rinaldo Donzelli, brianzolo (di Mariano Comense).
Viene prodotta inizialmente a brand Bottecchia dall’azienda Carnielli di Vittorio Veneto (Tv). Si distingue subito per la sua straordinaria praticità.
Robusta, pieghevole ed unica, la Graziella ha canna orizzontale, ma è dotata di una cerniera centrale, piccole ruote, sella e manubrio smontabili. Può essere comodamente riposta nel portabagagli delle macchine utilitarie; da piegata occupa infatti uno spazio di 75x60x30 cm per un peso complessivo di 16 kg.
# Testimonial d’eccezione
Nel corso degli anni, per merito dei suoi elementi innovativi, la Graziella riesce a conquistare il pubblico. Ma il successo non si ferma qui: Graziella riesce a farsi amare anche dalle personalità più significative degli anni ’60.
Brigitte Bardot, icona della sensualità femminile del tempo, fu protagonista di una campagna pubblicitaria che definì la Graziella “La Rolls Royce di Brigitte Bardot”
Credits: @bottecchia.com – Brigitte Bardot a bordo della Graziella, la sua “Rolls Royce”
Anche lo spirito anticonformista e surrealista di Salvador Dalì subì il fascino della Graziella. Il celebre artista spagnolo venne ritratto mentre trasportava alcune sue opere a fianco della sua inseparabile Graziella.
Credits: @bottecchia.com – Salvador Dalì e la sua inseparabile Graziella
# Edizioni Speciali
E come ogni oggetto prodotto in serie degno di nota, non sono di certo mancate le Special Edition di Graziella. Tandem, triplet, Floreali.
Un artigiano tedesco, appassionato della mitica Graziella, si è addirittura superato e ne ha realizzato un modello unico. Interamente placcato d’oro 24 carati con un complessivo di 150 grammi di oro, il telaio Graziella n° 82826 è oggi preziosamente conservato alla Bottecchia Cicli all’interno di una teca per preservarlo dal trascorrere degli anni.
Credits: @bottecchia.com – Graziella OroCredits: @bottecchia.com – Graziella Oro
# Il marchio
Nel corso degli anni, “Graziella” è diventato sinonimo nell’uso comune del termine per identificare tutte le bici pieghevoli. Ma l’originale è sempre rimasta inconfondibile, anche nel marchio. Volutamente elegante e “graziato”, il font voleva essere un omaggio alle testate dei più famosi magazine di moda femmile dell’epoca, in particolare alla rivista Grazia. La Graziella è stato un fenomeno sociale degli anni 60′, simbolo di anticonformismo e di emancipazione femminile.
# Ritorno in grande stile
A metà degli anni ’90 il marchio Bottecchia, separato da quello Carnielli, viene rilevato dall’attuale compagine societaria che porta l’azienda da Vittorio Veneto nell’attuale sede di Cavarzere, in provincia di Venezia.
Nel 2012, grazie alla Bottecchia Cicli srl, è nata la nuova Graziella.
Il modello richiama rigorosamente quello originale e ne conserva fascino e valori. Al tempo stesso, la nuova bicicletta pieghevole made in Italy si configura come un prodotto completamente nuovo ed innovativo, soprattutto grazie alla componentistica e ai suoi accessori tecnologici hi-tech di ultima generazione, oltre che fashion. Per omaggiare il suo passato, Graziella viene proposta in tre colorazioni (il Bianco Brigitte, il Blu Salvador e il Nero Passione).
Con l’occasione, sono stati realizzati anche dei bellissimi accessori da abbinare alla Nuova Graziella, elementi di design non indifferenti: borse, cestini, fino ad un Sound System dedicato.
Credits: @bottecchia.com – Gli accessori di design della Nuova Graziella
# Graziella e dintorni
Se Bottecchia è diventata famosa nel mondo per merito di Graziella, non di certo ad essa si limita la fama della aziende venete del settore. La continua ricerca della qualità si è dimostrata, nel corso del tempo, un’arma vincente per il successo. Chi corre in bici conosce bene aziende come Bottecchia, Esperia, Olympia, per citarne alcune, e non può che elogiare le qualità dei loro prodotti. La fama di queste aziende, nell’ambito della corsa, è diventata mondiale.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Perché, noi milanesi, abbiamo questa voglia di confrontarci con la vecchia Milano, con i ricordi per i tempi andati? Quando la nostalgia per il passato smette di essere semplice rimpianto e diventa costruttiva? La risposta è disarmante: succede quando i ricordi sono esclusivamente nostri, creano complicità e permettono di capirci con un semplice sguardo di intesa. Hanno formato la nostra identità e alimentano la nostra cultura. Quali sono gli anelli di congiunzione tra passato e futuro, di cui dovremmo prenderci cura?
Le 7 cose che NON CI SONO più a Milano e che RIVOGLIAMO indietro
Anche se le archistar ormai pensano ad altro e non si costruiscono più, i ballatoi e i cortili delle case di ringhiera sono un vero e proprio simbolo architettonico di Milano. Un modello che ha attraversato decenni con la leggerezza dei suoni e profumi più belli del mondo: gli schiamazzi del cortile e le cucine tradizionali di ogni regione.
Affacciandosi dal portoncino si entra in un universo fatto di colori, panni stesi, porte socchiuse, dialetti e tradizioni provenienti da ogni parte. Nate come case popolari, sono simbolo di vita e inclusione tipicamente milanese, che abbiamo il compito di traghettare nei prossimi anni.
Sui ballatoi si rinuncia ad un po’ di privacy, per godere della compagnia dei vicini appena fuori dalla porta di casa. C’è poi lo spazio per giocare all’interno del cortile, quasi sempre invisibile ai più e che rappresenta una piccola bolla che lascia fuori tutta la città e diventa un borgo personale, silenzioso e pacifico. Che è esattamente ciò di cui ha bisogno anche la città di domani: tradizione e senso di comunità, comodità e spazi aperti. Tutto a portata di mano.
Siamo nati in un paese che è la bellezza tridimensionale, eppure abbiamo subito alcune decisioni contrarie ai canoni minimi di bellezza. Il giallo è uno dei colori primari della nostra città, el giald, mentre il taxi bianco è ciò che di più impersonale esiste sulla terra.
Giallo è il colore del risotto, ed è anche la tonalità “Giallo Maria Teresa” – giallo Milano– che fa parte della nostra tradizione, ci siamo cresciuti dentro e intorno: è uno dei filamenti del DNA meneghino. Togliere quel colore ai “nostri” taxi è stato un po’ come segare una delle nostre radici più forti e antiche.
Provate a togliere gli Yellow Caba NYC. Oppure chiediamoci perché questa decisione è stata accettata quasi senza protestare.
E se proprio dobbiamo avere il bianco, usiamolo per quello che è: nella città del design è un fondo neutro da dipingere con tutti i contributi colorati, di immagine e contenuti spot possibili. Si può fare, è concesso. Osiamo.
Guardando alle grandi capitali, come Parigi e Londra, Milano crea alla fine del 1800 il proprio corpo di Vigili, primi in Italia ad allenarsi nella lotta senza armi, con l’intento di dare autorevolezza senza l’uso della brutalità. Prima del traffico, prima ancora dell’Italia, nascono i Canòn de stüa, cannone della stufa (di ghisa). Questo il primo soprannome del corpo dei Sorveglianti, poi Vigili Urbani ora Polizia Locale. Ghisa pare abbia due possibili origini: la somiglianza appunto con il tubo della stufa, oppure perché nei primi anni si trovarono al servizio dell’assessore Ghisalberti.
Il corpo dei Vigili Urbani di Milano, seppure militarizzato, è uno dei pochi che disobbedisce a Beccaris, rifiutando di andare contro i cittadini in rivolta e questo gesto trasforma i vigili milanesi negli amici dei cittadini.
Quel copricapo, forse scopiazzato dai Bobbieslondinesi, ha fatto del ghisaun simbolo di Milano. In effetti è ancora in dotazione, ma viene indossato in poche occasioni, quasi con vergogna, preferendo sostituirlo con un cappellino da baseball. Come sempre, aver tolto un simbolo non ha giovato a Milano e nemmeno ai Vigili stessi, percepiti oggi come una élite lontana anni luce da quella che si è guadagnata il rispetto dei rivoltosi di fine ‘800. Riproporlo come abbigliamento fisso dell’uniforme, potrebbe essere invece il primo tentativo per rimettere le cose a posto.
Senigà…. Sinigà…. Sinigallia? Senigaglia?
Com’è che l’antico mercato delle pulci ha, nel nome, più storpiature della Royal Family?
La “colpa”, se così si può dire, è solo della grande inclusività di Milano, che ha accolto e accoglie cittadini provenienti da ogni parte di Italia e del mondo e che prova a condividere una parte della propria tradizione, che ognuno pronuncia come può o come sa.
Ma non è la dizione il problema più grosso di questo capitolo. Il “crimine” è aver smembrato la Fiera di Sinigaglia ovvero il mercatino più antico di Milano.
Risale all’800 ed è stata una tappa fondamentale dei sabati di molte generazioni milanesi. Sinigaglia ha sempre avuto tutte le carte in regola per funzionare, finché la burocrazia ha tenuto le mani lontano. Poi sono iniziati i disastri: interessi esterni sull’area espositiva, lo smembramento e la divisione in zone e giorni diversi, lo spostamento sulla Ripa Ticinese in un lungo Naviglio affascinante quanto inadatto.
Nella città del futuro ci sarà ancora posto per i mercatini delle pulci? Gli anni a venire non si prospettano esattamente come quelli di Bengodi, quindi riqualificare e re-interpretare Sinigaglia come spazio cittadino che parla anche di moda sostenibile, di vita dei prodotti di seconda mano, di donazione e ricerca di qualità ad un prezzo inferiore del nuovo, sarebbe un vero successo e un forte impulso a migliorare la città dal basso.
La storia del Vivaio Riva, o meglio, la sua fine è l’emblema degli errori commessi a Milano negli ultimi anni di crescita.
Nato negli anni 20 del ‘900 e gestito sempre dalla famiglia Riva, è arrivato a diventare un meraviglioso giardino in uno degli angoli più inaspettati di Milano. Da vivaio nato per la coltivazione di fiori da destinare all’addobbo delle chiese ambrosiane, fino a giungere a un giardino botanico, arredato con ottimo gusto, è divenuto negli anni un adorabile spazio di offerta culturale senza eguali, in ogni stagione dell’anno.
Il Vivaio Riva ha tracciato una strada per la nuova modernità milanese, fatta di socialità ed educazione al verde sostenibile in pieno centro storico con musica, mostre, laboratori di giardinaggio, meritando a pienissimo titolo l’appellativo di “incantevole”. Anche nei mesi freddi, offriva la vista sul giardino d’inverno.
Le sorelle Riva hanno insegnato a Milano come avere sui balconi, fiori tutti i mesi. Non si doveva permettere ad un cavillo burocratico come la scadenza di un contratto di affitto, di interrompere questa strada, che altre realtà avrebbero potuto imitare e migliorare. Il mancato rinnovo del contratto da parte del Comune, ha procurato una profonda cicatrice alla città che nemmeno la nuova corsa al green new deal post pandemia, o la pennellata di verde prevista per le prossime elezioni comunali, potranno far sparire. Indietro non si torna, ma si può, anzi si deve, fare in modo che un errore così madornale serva da esempio per non ripetere più questo spreco di identità e di luoghi di aggregazione tanto cari, quanto indispensabili, per tutti noi di Milano.
#6 La Milano di MTV e Total Request Live in Piazza Duomo
credits: sorrisi e canzoni tv
La trasmissione TRL, in onda tutti i pomeriggi su MTV e trasmessa in diretta da Milano, è una vera e propria icona del divertimento milanese, giovanile e non solo. Da quando MTV ha deciso di trasmettere affacciandosi su Piazza del Duomo, gruppi di ragazze e ragazzi hanno iniziato a radunarsi sotto il piccolo studio del Centro Culturale Sardo. Col binocolo, il cannocchiale, il cellulare e i primi SMS mandati in onda in diretta, commentando la puntata o anche solo per rassicurare la mamma che andava tutto bene. In qualunque condizione atmosferica, si poteva mettere l’orologio sull’urlo dei ragazzini raccolti sotto quella balconata: le 14:00, inizia TRL.
Le scolaresche in gita a Milano hanno iniziato a loro volta a darsi appuntamento davanti al Duomo, per urlare con gioia l’entusiasmo rivolto agli idoli affacciati. E come dimenticare i divertentissimi e sguaiati cori “Fateci salire!” o i cartelli colorati esposti a favore di telecamera.
Il sorriso benevolo e divertito dei milanesi più grandi ha sempre fatto da cornice a questi gruppetti.
Anche la disapprovazione e le proteste, quelle non sono mancate mai. Ma i giovani a cavallo del millennio hanno scritto un’allegra pagina di storia, personalizzando il modo di vivere Piazza Duomo come mai prima di allora. Purtroppo, neanche dopo. Ci mancate ragazzi, grazie per l’allegria che ci avete regalato.
#7 Il dialetto milanese
credits: wikipedia
La migliore arma di inclusione di Milano sembra essere quella di non fermarsi più di tanto a giudicare le inflessioni dialettali delle new entry. Sì certo, può capitare che qualcuno si senta preso in giro perché, ammettiamolo, è troppo divertente scherzare con chi non apre le vocali come si fa a Milano.
Allo stesso tempo ognuno è libero di pronunciare le vocali finali come vuole: qui si sente sempre a casa. Quindi sembra che il dialetto milanese non sia così importante. Anzi, sta proprio scomparendo in virtù di questa grande inclusione. Tuttavia una delle fondamenta dell’identità è proprio quel divertente idioma: il milanese, o meneghino.
Dovremmo portarlo a scuola, come materia alternativa ad una delle materie facoltative, un’ora o due a settimana, sacrificando una delle materie convenzionali? Sicuramente sì, se questo significa avere uomini e donne migliori in futuro, attenti al loro territorio, alle loro origini, in grado di fare la cernita tra il meglio e il peggio del passato, battersi per salvarlo e consegnarlo al prossimo futuro di Milano. Perché se c’è una costante nell’evoluzione è proprio il tramandarsi il meglio del passato per portarlo dietro come bussola nel viaggio alla scoperta del futuro.
Guardare il passato con affetto è come guardare un album fotografico e ridere dei bei giorni andati, ma poi soffermarsi su alcune foto e riflettere. Anziché rimpiangere l’istante che si sta osservando, è possibile proiettarlo nel futuro e immaginare come potrebbe essere?
Portare alcuni gesti del passato con noi anche negli anni futuri, trasformarli e migliorare certi atteggiamenti è una cosa naturale che facciamo tutti: si chiama “crescere”. Può sembrare strano, ma è proprio quello che fa la differenza tra la lungimiranza e l’immobilità. La nostalgia è l’unico sentimento che ci mostra il passato facendo intuire il nuovo in arrivo. Come ci ha insegnato il filosofo Soren Kierkegaard: «La vita si può capire solo all’indietro, ma va vissuta in avanti».
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Con le api, le olive e l’uva il Colosseo diventa polmone verde della biodiversità
Nel cuore del PARCO ARCHEOLOGICO del COLOSSEO non ci saranno più solo ruderi antichi ma un vero e proprio polmone verde che un progetto agricolo amico della biodiversità sta valorizzando con la produzione di miele, olio e vino, prodotti antichi almeno quanto il Colosseo.
A Roma l’OLIO, il MIELE e il VINO si producono al COLOSSEO
Sono ancora in pochi a saperlo ma al Parco Archeologico del Colosseo, lo scorso 14 marzo, in occasione della Giornata Nazionale del Paesaggio, è stato presentato al pubblico il Parco Green, una iniziativa nata con l’intento di valorizzare la grande area verde che comprende il Foro Romano ed il Palatino e si estende per più di 40 ettari nel cuore della città e che ha dato vita a un progetto agricolo.
L’agricoltura, di cui una importante parte è rappresentata dalla coltivazione dell’olivo e della vite, era considerata l’attività moralmente più degna del cittadino romano, espressione dei valori dei padri e della prosperità della nazione. Le fonti antiche, tra cui l’enciclopedica Naturalis historia di Plinio il Vecchio, tramandano la presenza, nella piazza del Foro Romano, di tre piante, simbolo della cultura romana: Ficus, Olea et Vitis, e tuttora, piante delle stesse specie, vengono mantenute a memoria di quelle antiche, nello stesso luogo.
#Un’isola di biodiversità
Il Parco Archeologico del Colosseo, dove il progetto agricolo è partito, ora non rappresenta più solo un’area inestimabile sotto il profilo archeologico e paesaggistico, ma anche una vera e propsia isola di biodiversità. Un parco naturale in cui la vegetazione spontanea, tipica dell’area mediterranea, convive con i grandi alberi piantati negli ultimi secoli allo scopo di far rivivere lo spirito dei giardini imperiali e dei rinascimentali Horti Farnesiani che, in fasi successive, hanno abbellito l’antico colle. Per questo, da qualche anno, nel Parco è iniziata un’intensa attività di tutela e valorizzazione del verde e l’attivazione di produzioni agricole.
#Il miele del Palatino con Grabees
Con il progetto GRABees – sono state posizionate lungo il percorso sul versante meridionale del Colle Palatino all’interno del Parco, le arnie da cui è stato possibile ricavare il miele Ambrosia del Palatino. Le arnie sono state posizionate ai piedi delle capanne romulee, dove ha inizio la storia arcaica di Roma, in uno dei punti più tranquilli e più suggestivi del Parco ricchissimo di vegetazione mediterranea. Questo ha facilitato l’ambientamento delle api e la riuscita del progetto tanto che è stato possibile avere una produzione di buona quantità e di notevole pregio. Quello prodotto sul Palatino è un miele millefiori con essenze di mirto e trifoglio.
# L’olio del Parco
Nel Parco archeologico del Colosseo sono presenti 189 alberi di olivo, di epoche di impianto varie, dai centenari esemplari vicino l’arco di Tito, a quelli di recente piantagione, perfettamente inseriti in un paesaggio in cui gli olivi hanno fatto parte fin dall’antichità. Un recupero virtuoso di quelle piante ha portato alla produzione dell’olio del Palatino, Extra Vergine di Oliva [EVO]. Oggi le olive vengono raccolte grazie alla collaborazione avviata con Coldiretti Lazio, che si preoccupa anche della potatura degli alberi e poi della spremitura per produrre l’olio del parco.
# Il vino nella Vigna Barberini
L’ultimo tassello di questa operazione èil vino, con il vigneto che a breve sorgerà nell’area dellaVigna Barberini, in collaborazione con l’azienda vitivinicolaCincinnatodi Cori. Il vitigno scelto è ilbellone, storicamente legato alla tradizione laziale. Già Plinio il Vecchio lo cita come vino apprezzato dai romani. A Cori, l’azienda è in attività dal 1947. Le prime bottiglie di una piccolissima produzione saranno pronte tra tre anni. Nel frattempo la Vigna Barberini, che ora accoglie anche diversi alberi da frutto storici, tra cui il fico ruminale, il pero e gli agrumi in arrivo dagli Horti Farnesiani, si candida a diventare un’area di divulgazione importante per indagare sulla storia della viticoltura.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Sembrano caramelle giganti da poter scartare ma in realtà sono case. A Singapore, la città del futuro, c’è una via che è rimasta ferma nel tempo e che fa concorrenza al Paese dei balocchi.
Le CASE CARAMELLA
#Candy Houses
Credit: @scmoments_photography
Capire perchè queste case sono state soprannominate “Candy Houses” non è difficile, guardando da lontano queste abitazioni sembrano delle vere e proprio caramelle giganti da poter scartare.
Siamo a Singapore, un’isola città-stato a sud della Malesia, un paese che in realtà si è sempre distinto per grattacieli futuristici e trasporti all’avanguardia.
Eppure c’è un luogo, nel mezzo di questa città moderna, che si è fermato nel tempo virando verso un mondo che sembra quasi di fantasia.
#La storia delle case colorate
Credit: @singaporetoutistpass
Le case colorate di Singapore rappresentano l’ultimo baluardo della cultura Peranakan, un popolo discendente dei primi immigrati cinesi insediati nelle colonie britanniche dagli stretti a Malacca, Penang e Singapore.
Per trovare le tracce di questa cultura basta andare in una piccola trasversale della trafficatissima Orchard Road, un lungo viale alberato dove si allineano grattacieli e centri commerciali alla moda.
A pochi passi dalla Singapore moderna si trova infatti la Emerald Hill Road, una stradina bordata di casette a due piani, realizzate alla fine del XIX secolo dai membri di questa comunità.
Singapore si è sempre contraddistinta per il suo sguardo al futuro ma nell’ultimo tempo sembra mostrare la volontà di proteggere e trasformare questi esempi architettonici in simboli della tradizione ormai un po’ persa.
Proprio per questo, se tra gli anni ’70 e ’90 quasi la metà della città vecchia di Singapore era stata demolita, adesso è in atto un grande restauro delle vecchie botteghe della città.
#Quello che rimane oggi
Credit: @reiseuhu
Quello che rimane oggi della cultura Peranakan è un paesaggio unico del suo genere.
La strada contiene tutte botteghe a due o tre piani, progettate per contenere le attività commerciali al piano terra e gli spazi abitativi a quelli superiori.
Ogni abitazione ha il proprio colore: dal rosa o verde pastello fino al rosso fuoco. Ci sono ceramiche colorate alle pareti, le porte sono intagliate con dei motivi mozzafiato e tutte le case sono interamente decorate.
Quando si cammina lungo questa via, le case sembrano caramelle e ci si sente nel Paese dei balocchi.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Un tipo di pane soffiato che si riconosce dal tipico stampo a stella con “cappello centrale”. Stiamo parlando della michetta, il pane della Milano del Novecento popolare anche nel resto d’Italia con il nome “rosetta”. Ma la michetta milanese è una cosa seria che non può essere confusa con altre tipologie di pane: è leggera, fragrante, dalla forma inconfondibile e dal sapore unico.
Ecco quali sono i tre migliori panifici milanesi dove comprare la michetta più buona secondo il sito coolinmilan.it.
La MICHETTA più BUONA DI MILANO? I tre panifici supertop
# La storia e il valore della michetta milanese
Credits: @michetta_milano IG
La michetta nasce nel 1700 a Milano, dopo essere stata importata dagli austriaci e modificata dai fornai locali, svuotandola dalla mollica e rendendola soffiata e più digeribile.
Ciò che la caratterizza è un processo di lavorazione molto lungo e particolare. Infatti, ancora oggi, viene preparata secondo le regole della tradizione: la sua lavorazione parte dalla biga, una pasta lievitata e fermentata, che deve riposare almeno 16 ore prima di essere informata.
È in questa lentezza che risiede il segreto della michetta meneghina, ma anche un suo limite: i prestinai che la producono sono sempre meno perché il guadagno è davvero esiguo rispetto alla lunghezza della preparazione richiesta.
Ecco perché il suo enorme valore è stato potenziato: infatti, nel 2007, ha ricevuto dal Comune di Milano la De.Co, una denominazione comunale quale prodotto gastronomico tradizionale della città.
#1 Il Panificio Davide Longoni
Credits: @panificiodavidelongoni IG
Il primo panificio di cui vogliamo parlare è quello di Davide Longoni. Qui, per gli impasti, si usano solo ottime materie prime e farine scelte con cura. In più, la lievitazione è rigorosamente naturale e lenta, rendendo il pane più buono, profumato, digeribile e conservabile. Senz’altro il processo giusto per realizzare le michette.
#2 Il Panificio Danelli a Lambrate
Credits: @panificiodanelli IG
Si tratta di un panificio storico di Milano, in cui, alle diverse tipologie di pane, si alterna una vasta scelta di pasticceria. Il cavallo di battaglia è il dolce Matilde che, con un impasto simile a quello della Colomba, nasconde al suo interno albicocche, fichi secchi, noci e uvetta. Ma non dimentichiamo l’enorme produzione di michette.
#3 Il Forno di via Commenda
Credits: @ilfornodiviacommenda IG
Questo panificio artigianale sorge in pieno centro storico ed è il luogo perfetto per una pausa pranzo veloce o uno spuntino. Infatti, non mancano piatti caldi e bevande. Anche se il “fiore all’occhiello” resta il suo pane fresco, dalla baguette fino alla nostra michetta.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Quando l’ottusità delle dittature incontra l’arroganza, il servilismo e la presunzione più estrema, il risultato non può che essere questo: gigantesche volumetrie e sventramenti. Questo in sintesi il Palazzo di Giustizia di Milano.
Il PALAZZO di GIUSTIZIA: monumento al servilismo e agli sventramenti urbanistici
# La distruzione di tre antichi conventi
Il Palazzo di Giustizia è stato costruito tra il 1932 e il 1940 su di un’area talmente estesa da inghiottire e distruggere in un solo colpo tre antichi conventi, uno adiacente all’altro. Per capire e avere un’idea di come fosse la zona, si pensi al sopravvissuto chiostro di S. Maria della Pace (oggi dell’Umanitaria). Una meraviglia! Il Palazzo di Giustizia occupa un’area quadrilatera di circa 30.000 m². Si tratta di un enorme volume che si erge su una pianta a forma di trapezio, aperta da otto cortili di differente ampiezza.
Elevato su quattro piani e due ammezzati, l’accesso ai vari settori è garantito da sei scaloni e nove ascensori, cui si aggiungono numerose scale secondarie. Il visitatore deve essere guidato da piantine e cartelli, se non vuole perdersi nel labirinto delle scale e corridoi.
# Una facciata con i principi della Giurisprudenza
Credits: @frankbaresi Palazzo di Giustizia
Preceduta da una monumentale gradinata, tanto grande quanto scomoda e inutile, la facciata principale si apre su un triplice portale di accesso al grande vestibolo di smistamento alto 25 metri. L’ingresso è dominato da imponenti frasi latine riguardanti i principi della Giurisprudenza. Leggerle ora pensando alla criminale dittatura fascista non si può che sorridere amaramente.
Ma scopriamo chi è stato l’artefice di questa opera colossale, per alcuni bella per altri orribile. Sicuramente un’opera che provoca allo sguardo una sensazione straniante.
# Piacentini: l’architetto di corte
Credits: AD Piacentini
Il grandissimo architetto ed urbanista Piacentini, artefice di tale imponente edificio al quale tuttora ci si dovrebbe inchinare, fu strumentale al regime. Non per nulla soprannominato “l’architetto di corte”, non si fece in ogni caso alcun problema ad avere un ruolo di primo piano anche nei governi democristiani del dopo guerra. In fondo, l’Italia i conti con il proprio passato non li ha fatti nemmeno in architettura…Quando la penna di Piacentini passava sulla piantina di una città, questo significava la demolizione di interi quartieri e sventramenti di centri storici. Senza alcuna remora. Ricordiamone alcuni.
# Sventramenti simili a quello per il Palazzo di Giustizia
Credits: en.wikipedia.com Casa Poporului, Bucarest
A Torino, per la costruzione di via Roma, fu sventrata la cinquecentesca contrada Nova con i suoi antichi palazzi le sue botteghe, i laboratori artigianali e negozi con annessa residenza. Il piano di risanamento del 1930 ne sanciva la completa trasformazione tramite lo sventramento degli isolati che si affacciano sulla Via.
A Brescia la realizzazione di Piazza della Vittoria nel 1932 si fece attraverso la demolizione dell’antica area medievale del quartiere delle Pescherie. Il quartiere si sviluppava fra vicoli angusti, larghi anche solo due metri, su cui si affacciavano edifici di edilizia medievale che toccavano i 25 metri di altezza.
A Roma, forse il disastro più assurdo, la demolizione della cosiddetta “spina di Borgo”. La Roma medioevale spazzata via, secoli di storia mandati in frantumi, cosi la cornice perfetta per la maestosità della Basilica di San Pietro.
Pensando al Palazzo di Giustizia e agli sventramenti portati avanti da Piacentini, non può non venire alla mente quanto accaduto a Bucarest con la Casa Popolurui, tanto voluta da Ceasescu, alla cui costruzione nessuno osò opporsi, per paura o convenienza. Per la sua costruzione (oltre a quella dei palazzi intorno) fu rasa al suolo buona parte del centro città della “Parigi dei Carpazi”. In quel caso, si salvò miracolosamente solo la zona di “lipscani”, ora pedonalizzata e ricca di locali caffè ristoranti, tanto amata dai turisti e dai residenti.
# La contorta mentalità italiana, sempre pronta a piegarsi al potere
Credits: blog.urbanfile.org Palazzo di Giustizia
La maggior parte dei nostri stessi architetti ed urbanisti definirebbe crimini le medesime opere portate avanti altrove, ma realizzate in Italia. Eppure la stessa è pronta a difendere degli abomini come “grandi opere di risanamento”. Il Palazzo della Giustizia è decantato e considerato un capolavoro da una minoranza di eletti colti e preparati, ritenuto orrendo da buona parte di tutti gli altri, che lo considerano una volumetria spropositata nel cuore del centro storico di una città plurimillenaria. Pochi, se non per motivi squisitamente legali, sono tentati ad entrarci solo per una visita.
# Eppure esiste qualcuno che riesce a dissociarsi dal pensiero dominante
“Piacentini sarebbe stato in grado di far compiere all’architettura italiana una svolta capace di reinnestarla nel circuito europeo. Aveva i giovani dalla sua parte: i vecchi lo adoravano o comunque lo proteggevano. A questo punto, invece, si esaurisce il suo contributo. I motivi che determinarono, all’età di 44 anni, la morte dell’architetto sono materia di psicologia. In compenso fu accademico d’Italia, preside della facoltà di architettura, despota incontrastato del regime, capo di una scuola di cui si può dire soltanto che i seguaci sono peggiori del maestro… Per questo, nel momento in cui Piacentini ci lascia, dopo una lunga malattia che ha sedato rancori e vanificato le polemiche, val meglio ripensare al giovane che possedeva ogni requisito per diventare uno dei più qualificati architetti europei e perì a 44 anni.”
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Si dice di pensare anche all’economia del Paese e non solo all’emergenza sanitaria, ma poi effettivamente si sente parlare di attività chiuse definitivamente, contratti non rinnovati (perché non si può licenziare ma i lavoratori precari sono tantissimi e a loro il contratto non viene rinnovato) e difficoltà di trovare lavoro. Non si sta parlando solo dell’Italia, però, dove c’è chi pensa si stia facendo tutto il possibile e chi invece crede si possa fare molto di più, ma di un problema mondiale. Perché adesso non solo siamo di fronte ad una pandemia, ma anche ad un’altra emergenza: un aumento esponenziale della povertà.
L’altra emergenza: +131 milioni di POVERI nel 2020
# Diminuiscono i benestanti e aumentano i poveri
Credits: it.businessinsider.com tabella aumento della povertà causato dal Covid
Nel 2020 il PIL mondiale è diminuito del 4,3% e il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà è aumentato di 131 milioni. Questa volta ad essere stata colpita è la classe media. Gli standard globali definiscono “povero” colui che vive con meno di due dollari al giorno, o 2920 dollari l’anno per una famiglia di 4 persone. Benestante o persona a medio-alto reddito è colui che guadagna dai 20 ai 50 dollari al giorno, oltre i 50 dollari si vive in una condizione di ricchezza. Lo scorso anno sia il numero delle persone che vivono ad alto che medio reddito è diminuito, rispettivamente -62 milioni e -36 milioni. Vi è poi tutta la fascia di quelle persone che vivono con dai 2 ai 10 dollari al giorno, ovvero coloro che hanno un reddito basso, e anche loro sono stati vittime della pandemia. Il numero di persone entrate in questa fascia è stato di 21 milioni.
# Come la crisi ha colpito i diversi Paesi
Credits: nonsprecare.it povertà
È arrivato il Covid a vanificare anni di progressi in alcuni Paesi. Stiamo parlando del Sudest Asiatico, dell’Asia orientale e del Pacifico, dell’Africa sub sahariana e dell’India, queste sono le zone maggiormente colpite dalla crisi economica.
Come è stato detto, inoltre, la classe media è forse quella che ne ha risentito di più. Se prima del 2020 erano 1,48 miliardi di persone coloro che rientravano in questa fascia, si stima oggi siano 1,32 miliardi. Se non fosse stato per la Cina poi, che nonostante sia stata la prima ad essere colpita dall’epidemia è riuscita a contenere i danni economici, probabilmente il numero delle persone nella classe media sarebbe ancora più basso. Non bisogna dimenticarsi anche di coloro che vivono in condizioni di cosiddetta “povertà relativa”, coloro ai margini della povertà assoluta, che hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita.
Nel 2020 sono 803 milioni i poveri del mondo, contrariamente ai 672 che si erano stimato inizialmente. Il dato è allarmante!
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A causa dei ritrovamenti archeologici nella stazione De Amicis, a cui si aggiungono i tre mesi di ritardo accumulati per la pandemia, è rinviata ancora l’apertura della nuova linea metropolitana blu. Ecco il nuovo cronoprogramma.
🛑 M4 RALLENTA ancora: i tempi si allungano
# In dubbio anche l’apertura ad Aprile delle prime 3 fermate tra Linate e Stazione Forlanini
L’assessore ai trasporti Marco Granelli ha comunicato l’ennesimo rinvio dell’inaugurazione della nuova linea metropolitana M4, probabile anche per le prime 3 fermate da Linate Aeroporto a Stazione Forlanini che interscambia con le linee suburbane S5 e S6: “i lavori sono sostanzialmente terminati e ora sono in corso le attività necessarie per avere le autorizzazioni, dalla data del 31 gennaio, inizialmente annunciata, con i tre mesi di ritardo dovuti al Covid, si andrà al 30 aprile. Sulla partenza effettiva del servizio, attendiamo di capire gli scenari pandemici, soprattutto in relazione al sistema dei trasporti e al traffico aereo di Linate“.
# L’apertura completa slitterà al 2024, in centro i treni viaggeranno non prima del 2023
Credits: wiikipedia.org
Nonostante si sia cercato di minimizzare i ritardi imposti dal Covid, l’assessore ai trasporti Granelli conferma che anche le aperture di tutte le altre tratte saranno spostate in avanti nel tempo di 3 mesi: “La stazione di Dateodalla previsione di apertura a luglio 2022slitterà in autunno e lo stesso per San Babila che da dicembre 2022 sconterà i tre mesi di ritardo del Covid. Più pesante il bilancio per la tratta che arriverà fino a San Cristoforo e che doveva essere terminata a luglio 2023.”
Credits: Urbanfile – Ritrovamento muro romano nella stazione De Amicis
Per il restante tracciatodella M4 che prosegue sotto la Cerchia dei Navigli i tempi saranno quindi ancora più lunghi e non altrettanto certi, complice i ritrovamenti archeologici emersi durante la realizzazione della stazione De Amicis. Il commento dell’assessore Granelli: “oltre a dover scontare i tre mesi di ritardo per il Covid, accumulerà ulteriore ritardo a seguito dei ritrovamenti archeologici in De Amicis. I costruttori che hanno fatto un’analisi in base alle indicazioni della Soprintendenza, ci hanno dato un’indicazione del ritardo quantificabile in mesi, ma non abbiamo un riscontro certo di cosa significhi. È un’operazione complessa non ancora definita del tutto e quindi non possiamo determinare con precisione la data di conclusione lavori“. È facile ipotizzare che l’apertura dell’intera linea prevista a luglio 2023, che con i mesi di ritardo causa Covid sarebbe stata comunque posticipata a ottobre, non avverrà prima del 2024.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Nei secoli si è lottato per ridurre e limitare l’autorità del sovrano. Da questo sono nate tutte le Costituzioni e le conquiste della civiltà contemporanea.
La tendenza della nostra società è assegnare al governante di turno la stessa potestà, se non di più, di quella che un tempo avevano i sovrani assoluti contro cui i nostri antenati hanno lottato.
Tutti quelli che erano paradigmi ormai impossibili da ripetere stanno diventando normali. Esempio, il coprifuoco per fasce orarie o il confinamento, in casa o all’interno di un comune, una regione o uno stato, sono diventate cose di ordinaria amministrazione. Il controllo e l’omologazione dei media hanno raggiunti livelli da totalitarismo e nella maggior parte degli stati non esiste più l’opposizione, ma solo diverse gradazioni di autoritarismi.
Una società pervasa da internet e dalla comunicazione orizzontale sta portando la politica verso un nuovo autoritarismo simile a quello che abbiamo vissuto nella prima metà del novecento. I diritti che erano considerati fondamentali proprio perché mai escludibili soprattutto nelle situazioni di emergenza, sono diventati delle decorazioni del diritto.
Dall’altro lato sembra che sia assodato come soluzione ai problemi quello di accentrare tutti i poteri nelle mani del governo o di commissari improvvisati e di ridurre al minimo l’autonomia di azione e di decisione per i cittadini.
Ormai essere multati perfino perché si beve il caffé in tazzina o perché si prende il sole è considerato normale. Anzi, i cittadinisi accaniscono contro chi rivendica un minimo di libertà.
Come alla fine dell’antica Roma il Senato e le istituzioni repubblicane sono state soppiantate alla volontà dell’imperatore, così adesso si stanno perdendo tutti gli strumenti di tutela dei cittadini in nome di un’autorità assoluta che sta acquisendo sempre di più tratti divini.
Continua la lettura con: in Italia ogni cosa è religione
La Norvegia ha annunciato il via ai lavori di costruzione del primo tunnel navale al mondo, attraverso la penisola montuosa di Stadhavet. Ecco quando verrà realizzato e quali sono gli enormi vantaggi che apporterà alla navigazione.
Il primo TUNNEL NAVALE del mondo (video e rendering)
# Un investimento di 330 milioni di dollari per un tunnel lungo 1,7 km
La Norvegia ha annunciato il via ai lavori di costruzione del primo tunnel navale al mondo, progettato per il transito delle imbarcazioni tra i fiordi di Moldefjorden e Kjødepollen nel Mare di Stadhavet. La galleria sarà scavata attraverso la penisola montuosa di Stadhavet nella Norvegia nordoccidentale per una lunghezza di 1,7 km e un investimento complessivo di 330 milioni di dollari, circa 280 milioni di euro. I cantieri inizieranno nel 2022 e la loro durata prevista è di tre/quattro anni.
# L’obiettivo è rendere più agevole il transito delle imbarcazioni, spesso soggetto a tempeste
Credits: CNN/The Norwegian Coastal Administration
L’obiettivo principale di questa infrastrutturaè rendere i viaggi delle navi più sicuri e agevoli perché, spiega il project manager Terje Andreassen: “La costa al di fuori di questa penisola è la zona più tempestosa della Norvegia, con gli uragani. Ci sono molte correnti strane qui. A volte le navi devono aspettare giorni nel porto più vicino affinché le condizioni meteorologiche migliorino.” I benefici non si fermano qui perché grazie a questo tunnel si potrà in futuro istituire un servizio di traghetti ad alta velocità e rafforzare anche le attività industriali e commerciali della zona.
# Anche le navi di grandi dimensioni potranno transitarvi
L’ingresso al tunnel sarà controllato da un sistema semaforico. Il piano prevede che lo scavo avvenga tramite piattaforme di perforazione sotterranee ed è prevista la rimozione di alcuni edifici e circa tre milioni di metri cubi di roccia.
Il tunnel navale attraverserà il punto più stretto della penisola di Stadhavete questo consentirà, come dichiara l’amministrazione costiera norvegese, il transito anche di navi di grandi dimensioni rispetto a altri tunnel che possono ospitare solo piccole imbarcazioni e chiatte.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Si è appena chiusa la gara d’appalto per l’assegnazione dei lavori, Piazza Castello e via Beltrami a giugno cambieranno volto. Si parte in ritardo, dato che il concorso di progettazione era stato indetto e vinto nel 2017, ma, salvo imprevisti, quest’estate si avvierà il cantiere. Il progetto è diviso in due lotti e per ora partirà solo il primo, mentre per il secondo, che comprende il rifacimento di largo Cairoli e alcune vie intorno a Foro Bonaparte, bisognerà aspettare.
🛑 PIAZZA CASTELLO avrà un nuovo VOLTO: da giugno parte il restyling
# Un progetto da 5,2 milioni di euro
Credits: @dolcevita_in_giro Piazza castello
Tra le otto offerte, l’appalto è stato vinto dalla Giussani Emilio srl e prevederà una spesa di 5,2 milioni di euro, molto meno rispetto ai 6 milioni e mezzo che erano stati stabiliti da Palazzo Marino. Meglio, considerando che la spesa complessiva è stata fissata a quasi 10 milioni e che quindi si avranno maggiori disponibilità per il secondo lotto. I lavori dovrebbero essere seguiti dal sindaco Beppe Sala, ma sempre meglio mettere il condizionale, data anche l’emergenza sanitaria in cui ci troviamo che potrebbe portare ad un rinvio dei lavori. Anche se la data sembra fissata, nel caso dovesse essere rimandata dopo l’estate, potrebbe spettare al nuovo sindaco il destino di Piazza Castello, nonché del secondo lotto del progetto (questo già sicuro).
Tempi e sindaco a parte, il futuro di Piazza Castello è deciso: diventerà una zona molto più verde e in armonia con Parco Sempione.
La Giussani Emilio srl nel corso del tempo ha modificato un po’ il progetto, leggere correzioni, infatti l’obiettivo di fondo di far diventare la piazza più verde è rimasto. 184 nuovi alberi, di cui 167 aceri, andranno a creare un triplice filare alberato e in Piazza Castello compariranno nuove aiuole. Ma il verde non andrà a coprire la vista del Castello, al contrario le piante creeranno una sorta di cornice intorno agli attraversamenti. L’area diventerà completamente pedonale. I lavori in via Beltrami, invece, consisteranno nel rifacimento della pavimentazione. Si è optato per il granito bianco di Montorfano con inserti di beola grigia. Oltre ad una valorizzazione degli attraversamenti pedonali e dell’aumento del verde intorno al Castello, il progetto prevede un miglioramento dell’illuminazione pubblica.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Dal Tulipark, all’Orto Botanico, passando per il Roseto Comunale e alcune vie di Roma, il periodo della fioritura nella capitale è un tripudio di colori da non perdere.
Tulipani, rose, ciliegi in fiore, sono pronti a farsi ammirare in quanto attrattiva all’aria aperta. Di seguito alcune destinazioni top a Roma per gli amanti dei fiori.
La PRIMAVERA a ROMA: TULIPARK, roseti e ciliegi giapponesi
# i TULIPANI al Tulipark
Forse la Primavera si sta facendo attendere, ma non il tripudio di 360.000tulipani coltivati e pronti da raccogliere al TULIPARK di Via Gordiani, nel quartiere Prenestino. Inaugurato nel 2018 e rimasto chiuso nel 2019 causa Covid, in occasione della festa del papà, lo scorso 19 Marzo, sono stati riaperti al pubblico gli oltre 16.000 metri quadridi terreno coltivati a filari di tulipani. Con il sistema U-pick, cogli tu, dopo una rapida spiegazione sul come fare, ognuno può scegliere personalmente i tulipani per il proprio mazzo. Il Pretty woman, è di un frivolo rosso ciliega, il Rococo ha dei riccioli spettinati, il Dowgones è ordinatamente giallo e rosso, il Queen of night è sorprendentemente nero, poi c’è il Queensland, il Carola, il Menton. Sono i nomi di alcune delle oltre 100 varietà di tulipani pronti per essere colti al Tulipark di Roma.
# Le FIORITURE al Museo Orto Botanico
Situato alle pendici del Gianicolo, un altro luogo per amanti dei fiori e delle piante è il Museo Orto Botanico di Roma, dell’Università degli Studi di Roma la Sapienza.Si estende su una superficie di circa 12 ettari nel cuore del tessuto urbano della città, fra Via della Lungara e il Colle del Gianicolo, occupando parte dell’area archeologica denominata Horti Getae costituita, in antico, dalle terme di Settimio Severo. E’ un vero e proprio patrimonio urbano a tutela della conservazione della biodiversità con all’interno anche una casa delle farfalle dal suggestivo nome Butterfly Even.
Questo Orto ha origini molto lontane che risalgono all’undicesimo secolo, anche se solo nel 1660 all’Università venne assegnato un terreno per crearvi l’Orto Botanico universitario. La sua sistemazione definitiva, nella attuale sede di Villa Corsini “alla Lungara” risale invece a poco più di un secolo fa. Oggi accoglie 3.500 specie di piante alcune delle quali antichissime. In questa stagione permette di ammirare le fioriture primaverili ed in particolare la splendida fioritura dei ciliegi hanami.
#Le ROSE del Roseto Comunale
Con 340 nuove piante aggiunte di recente Il Roseto Comunale è il luogo per gli amanti del fiore per eccellenza, la rosa. Non grande nelle dimensioni, si trova in una location spettacolare, sulle pendici dell’Aventino. Di fronte si aprono alla vista del visitatore i resti del Palatino, appena sopra il Circo Massimo, il campanile di S. Maria in Cosmedin, la cupola della Sinagoga, il Vittoriano e la vista spazia fino ad arrivare all’osservatorio di Monte Mario. Il Roseto ospita circa 1.100 specie di rose provenienti da tutto il mondo, persino dalla Cina e dalla Mongolia. Fra le più curiose, la Rosa Chinensis Virdiflora, dai petali di color verde, la Rosa Chinensis Mutabilis, che cambia colore con il passare dei giorni e la Rosa Foetida, una rosa sorprendentemente maleodorante. Fin dal III sec. a.c. il luogo in cui sorge il roseto era dedicato ai fiori. Tacito, negli Annales, parla di un tempio dedicato alla dea Flora, i cui festeggiamenti, i floralia, si svolgevano in primavera nel Circo Massimo. Ricoperto di orti e vigne fino a tutto il XVI sec., divenne, nel 1645, l’Orto degli Ebrei poi imase incolto fino al 1950, quando divenne sede del nuovo roseto comunale.
#I CILIEGI Giapponesi
Roma è una delle città migliori in Italia dove poter assistere allo spettacolo primaverile della fioritura dei ciliegi. Il luogo più conosciuto dai romani, e non solo, per assistere alla fioritura dei Sakura, il ciliegio giapponese, è sicuramente il Parco Lago dell’EUR. Sono 150 i ciliegi giapponesi donati nel 1959, dell’allora primo ministro Nobusuke Kishi, durante la visita ufficiale a Roma, da parte della città di Tokyo. Sono tante le persone che in primavera si radunano qui per passeggiare o fare pic-nic sotto questi splendidi alberi.
Ci sono poi i sakura di via Panama nel quartiere Parioli, tra Via Salaria e Villa Ada, strada che, tra il 1942 e il 1945, si chiamavaVia Giappone. Nei primi anni venti, l’imperatore del Giappone Hirohito compì un viaggio in Europa, visitando anche l’Italia. In particolare, arrivato a Roma, donò alla città dei ciliegi giapponesi che vennero piantati in quella che, per l’occasione, fu chiamata Via del Giappone. Oggi, a causa dell’inquinamento, purtroppo, solo una minima parte dei ciliegi ha resistito al tempo ma la loro fioritura può essere ancora ammirata.
Altro luogo amato dai romani che desiderano scoprire il fascino dei ciliegi in fiore è l’Istituto giapponese di cultura. All’interno del giardino, realizzato dall’architetto Ken Nakajima, sono presenti oltre ad alberi tipici dell’area mediterranea anche dei ciliegi giapponesi. Sebbene sia piccolo il giardino ha tutto quello che un giardino giapponese dovrebbe avere: un laghetto, la cascata, piccole isole, un ponticello e un toro, ovvero la tradizionale lampada in pietra.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ricordo come fosse ieri la giornata del 3 settembre 1989. Molti di voi manco erano nati, lo so. Io avevo 10 anni. In quella grigia domenica, mio papà mi accompagnò a vedere Hellas Verona-Juventus allo Stadio Bentegodi. Assistevo per la prima volta, dal vivo, a una partita di Serie A. I miei occhi erano increduli di fronte ad un simile spettacolo. Stadio al completo, pista d’atletica a dividere gli spalti dal campo di gioco. Potevo vedere dal vivo i “personaggi” che fino a quel momento avevo visto solo in TV, grazie al 90° Minuto di Paolo Valenti. Si parla di un’era distante anni luce da quella che viviamo oggi. Vi dico solo che i primi due goal della partita, finita per 1-4, li ha segnati un certo Totò Schillaci. Alla fine della partita abbiamo fatto una corsa verso casa per riuscire a “vedere i goal in TV”, alle 10 di sera. Durante la Domenica Sportiva giungeva una bruttissima notizia: Gaetano Scirea era morto a causa di un incidente stradale, in Polonia. Avevo solo dieci anni, ma ricordo ancora oggi ogni momento di quella singolare giornata.
La Nuova ARENA di Verona da 100 milioni di euro
Dopo 30 anni, quel bellissimo stadio che ho visitato molte volte e che non smetto mai di ammirare ogni volta che percorro l’autostrada A4, con molta probabilità, verrà demolito.
Il progetto a cui lascerà spazio è però figlio del progresso e della volontà di dare un nuovo volto a Verona.
# Come sarà
Uno stadio nuovo di zecca, fatto a immagine e somiglianza dell’Arena, aperto e attivo sette giorni su sette, con tanto di albergo di lusso, piscina e ristorante stellato. Sorgerà in Piazzale Olimpia, dove oggi si trova lo Stadio Bentegodi.
Anche il nome è pronto: Nuova Arena Stadium, e il count down segna come data il 2022.
@archistadia.it (IG) – Rendering del Nuovo Arena Stadium
Il nuovo stadio, esternamente, richiamerà infatti l’Arena: tipica forma ellittica e la riproduzione della forma degli arcovoli. Il campo da calcio rientrerà nella categoria 4 Uefa. Non ci sarà più la pista di atletica, inutilizzata da anni. Dalle poltroncine, da qualunque settore, si potrà quindi vedere più da vicino il campo, senza ostacoli, da qualsiasi lato.
Lo spazio esterno guadagnato con la nuova costruzione, che sarà infatti più piccola dell’attuale, secondo il progetto presentato sarà destinato a parco verde. Per quanto riguarda la sostenibilità, si garantisce l’utilizzo di materiali e tecnologie moderne, con vantaggi anche per la gestione dei costi. Fra le opzioni anche quella di dotare il nuovo stadio di un tetto richiudibile, da usare per abbattere il disturbo e migliorare l’acustica durante i concerti. Ovviamente, tornerebbe utile in caso di maltempo.
Si tratta di un impianto più piccolo ma decisamente più moderno rispetto al colosso di cemento armato risalente ai primi anni ’60 del secolo scorso. Il sindaco di Verona, Federico Sboarina, ha precisato che risistemare l’attuale Bentegodi, costerebbe molto di più. Aggiunge inoltre che «Non va dimenticato lo stato di salute del Bentegodi. Per quest’anno siamo riusciti a rientrare nei parametri imposti dalla Lega Calcio per l’iscrizione dell’Hellas al campionato, ma i vincoli in tema di sicurezza e normative da rispettare diventano sempre più restringenti. Per adeguare il Bentegodi servono interventi davvero onerosi».
# I costi a carico del Comune saranno ZERO
Lo stadio verrò costruito rigorosamente in project financing. Il progetto, garantito dall’Istituto per il Credito Sportivo, è quello di costruire il nuovo stadio, alle migliori condizioni e con costi e tempi certi. Il Credito Sportivo potrebbe guidare un insieme di banche che coprirebbero più della metà dei costi, mentre le restanti spese dovrebbero essere sostenute dai promotori dell’iniziativa e da tutti gli investitori privati interessati a partecipare. La Nuova Arena sarebbe, dunque, finanziata in tutto e per tutto da privati. I costi preventivati ammontano a 72 milioni di euro, ai quali se ne devono aggiungere altri 18 per le zone cosiddette extrasportive, ovvero hotel, ristoranti, bar, centro convegni, perfino un asilo. Totale un centinaio di milioni. “L’opera sarà realizzata a costo zero per il Comune, che ne manterrà la proprietà, mentre la gestione competerà a una società specializzata”, fa infatti sapere l’amministrazione comunale della città.
# La parola al sindaco Federico Sboarina
Credits: sboarinasindacoi (IG) – Il Sindaco di Verona Federico Sboarina
Nonostante le ottime premesse, è plausibile che quello della Nuova Arena sia un progetto che non mette d’accordo tutta la città e soprattutto tutta l’amministrazione cittadina. Il sindaco Sboarina non sembra avere dubbi, comunque, sull’opportunità dell’operazione, e afferma con entusiasmo:
«Il Bentegodi rappresenta la storia sportiva del calcio di Verona, delle nostre squadre e di tanti avvenimenti. È nel cuore di tutti i tifosi, anche nel mio, è lo stadio dello Scudetto (1984-85, ndr) e di tanti ricordi per tifosi, bambini e famiglie. Sto pensando di far lasciare una traccia della vecchia gloria e magari anche che ogni tifoso abbia un pezzo del Bentegodi. Oggi però la costruzione è ormai datata e il nostro calcio si merita una struttura all’avanguardia. Il Bentegodi ha bisogno di diversi interventi milionari che sarebbero a carico del Comune e cioè dei veronesi, mentre il nuovo stadio sarebbe a costo zero per le casse comunali. Il fatto che ci sia un interesse imprenditoriale per realizzarlo è per Verona una novità importante. L’aspetto significativo è inoltre che in abbinata ci sarebbe la riqualificazione del quartiere. Faremo di tutto per rendere possibile questo sogno”.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Siamo a Berlino, capitale di un paese che ha visto un andamento del Covid-19 simile al nostro: picchi alti nei primi mesi, lockdown, una situazione migliore in estate, chiusure e restrizioni nuovamente in questo periodo.
Eppure, il 30 marzo, la Filarmonica di Berlino ha tenuto un concerto con 1000 spettatori, un progetto pilota per capire come far ripartire la musica anche durante una pandemia.
1.000 persone alla Filarmonica di Berlino: la Germania si organizza per riaprire TEATRI e SALE CONCERTI
# La Filarmonica e il concerto con 1000 persone
Credit: @berlinphil
Sabato 20 marzo, alla filarmonica di Berlino si è tenuto un concerto con un pubblico di 1000 persone.
Dopo un anno di chiusure e di musica online, si è dato il via al primo progetto pilota, un tentativo per far ripartire le attività culturali.
E così, dopo tanto tempo, 1000 persone si sono sedute in un teatro per sentire della musica dal vivo.
Sembra assurdo data la situazione sanitaria attuale, la Germania ha da pochi giorni riaperto alcune attività ma ha comunque moltissimi contagi al giorno e una situazione precaria, un po’ come l’Italia.
E da qui mi sorge una domanda spontanea: ci sembra assurdo perché rappresenta effettivamente un pericolo o perché da noi non si è mai fatto?
Per l’occasione, sono state l’Ouverture di Romeo e Giulietta di Tchaikovsky e la Seconda Sinfonia di Rachmaninov dirette dal Maestro Kirill Petrenko a risuonare nel teatro.
# Un evento in sicurezza
Credit: @berlinphil
Tutto l’evento si è svolto in completa sicurezza.
Per entrare al teatro bisognava presentare un test Covid negativo effettuato in giornata.
Se questo potrebbe sembrare una “seccatura” da dover sbrigare, i tedeschi hanno pensato anche a questo: al momento dell’acquisto del biglietto, ogni cliente riceveva un voucher con la possibilità di prenotare un appuntamento in un centro test della città.
Chi non poteva effettuare il test in anticipo, aveva comunque la possibilità di sottoporsi al tampone subito prima del concerto.
Questo avveniva in un centro appositamente allestito e con un team della Charité presente per garantire che i test fossero effettuati correttamente.
Il teatro normalmente ospita quasi 2500 posti mentre in questa occasione gli spettatori erano 1000. La capacità del teatro è stata quindi dimezzata per l’occasione, così da poter tenere una poltrona vuota fra uno spettatore e l’altro.
All’interno della struttura era obbligatorio indossare la mascherina e non era previsto un intervallo. Non era in funzione neanche il servizio di guardaroba e c’è stata un attenzione particolare alla ventilazione e sanificazione degli ambienti.
# Un esempio per tutto il mondo?
Credit: ilmitte.com
Il senatore alla cultura di Berlino Klaus Lederer ha sottolineato come questo progetto potrebbe estendersi e diventare un esempio per tutti gli altri teatri del Paese e per tutto il mondo.
Questo concerto è la prova vivente che fare eventi in sicurezza si può, la strada per uscire completamente dal Covid sembra ancora lunga, perchè nel mentre non sentire un po’ di musica?
Questo concerto è stato il primo e servirà quindi per riconsiderare le procedure di sicurezza, la logistica e la gestione degli spazi per poter migliorare i prossimi eventi.
La direttrice artistica Andrea Zietzschmann ha specificato che questo evento è stato reso possibile solo perché tutti i professionisti hanno lavorato senza essere pagati ma soprattutto grazie al Senato di Berlino che ha fornito i test.
É quindi necessario trovare un modo per gestire meglio i costi.
Ma da qui si parte. Dopo questo primo tentativo si studieranno altre soluzioni possibili per far tornare la musica del vivo.
Andrea Zietzschmann ha dichiarato che tutti i biglietti disponibili sono stati venduti in tre minuti e questo dimostra che una cosa è certa: c’è voglia di musica.
Perchè non seguire il modello della Filarmonica di Berlino anche in Italia?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In quasi tutto il Paese sono chiuse le scuole di ogni ordine e grado compresi asili nido e scuole materne. Su 8 milioni di alunni oltre 7 sono a casa. Ecco la drammatica condizione degli studenti italiani confrontata con quella delle altre nazioni.
In Europa scuole CHIUSE in media per 10 settimane. In Italia: scuole APERTE per 10 settimane
# I dati Unesco: in Europa (senza contare l’Italia) scuole chiuse in media 10 settimane a causa del Covid
Credits: Unesco – Media durata chiusura scuole
In base ai dati riportati dall’Unesco la durata media della chiusura totale in Europa non ha superato le dieci settimane, mentre la media mondiale è di 22 e negli USA di 38. Meno di tutte Australia e Nuova Zelanda: solo 7 settimane di chiusura. In Italia invece la media di apertura è stata all’incirca di 10 settimane. Le considerazioni dell’Unesco sottolineano come le risposte dei singoli governi siano state molte e diverse tra loro, con impatti diversi anche a livello sociale e pedagogico. Vediamo la situazione attuale sulle aperture e chiusure nei principali Stati europei.
# La situazione attuale: in tutti i principali Stati europei le scuole sono aperte
# Austria: le scuole hanno riaperto lo scorso 8 febbraio, ma gli alunni devono sottoporsi ad un test ogni settimana. Dal 15 marzo le lezioni di educazione fisica riprenderanno regolarmente nelle scuole austriache.
# Belgio: le scuole di ogni ordine e grado sono aperte, organizzate sulla base di un protocollo sanitario che prevede l’uso della mascherina e il distanziamento di 1 metro e mezzo.
# Francia: Le scuole restano aperte in Francia, dove gli studenti sono tornati sui banchi dopo le vacanze di febbraio, differenziate a seconda dei dipartimenti. Ad eccezione del lockdown tra marzo e maggio 2020 e dei periodi di ferie, in Francia le scuole non hanno mai chiuso.
# Germania: le scuole hanno riaperto in 11 Laender, dopo una chiusura durata due mesi, a partire dal 16 dicembre. Lo scorso 15 febbraio la Sassonia è diventata il primo Stato tedesco a riaprire nidi, materne ed elementari.
# Polonia: le scuole dell’infanzia e le primarie sono aperte da gennaio.
# Regno Unito: dopo quasi tre mesi di didattica a distanza, tutte le scuole hanno riaperto l’8 marzo.
# Olanda: asili nidi, materne e scuole elementari hanno riaperto le porte l’8 febbraio, dopo essere state chiuse dal 17 dicembre.
# Spagna: tutte le scuole restano aperte, con casi di chiusura e di ritorno alla didattica a distanza legati agli istituti nei quali si registrano contagi.
# Svezia: sono aperte le scuole materne ed elementari che non hanno chiuso neppure un giorno. Le secondarie di primo e secondo grado sono in parte dal vivo e in parte a distanza fino al 1° aprile.
# Svizzera: le scuole sono aperte, con obbligo di mascherina dai 12 anni.
# In Italia le scuole sono rimaste aperte per una media di 10 settimane. Oggi su poco più di 8 milioni di alunni oltre 7 sono ancora a casa
Credits: lametino,it
Da lunedì 15 marzo sono 11 le regioni rosse, con l’obbligo quindi della solo didattica a distanza nelle scuole: Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Campania, Molise, Puglia. Le regioni in fascia arancione, che sono Valle d’Aosta, Liguria, Calabria e Sicilia, Toscana, Umbria e Abruzzo, possono decidere se aprire o tenere chiuse le scuole, con ogni istituto che in base all’autonomia garantisce la presenza tra il 50% e il 75% degli studenti.
In realtà però in Toscana tutte le scuole sono chiuse nelle province di Arezzo, Pistoia, Prato, in Abruzzo sono chiuse in tutta le regione e in Umbria sono aperti solo nidi e scuole d’infanzia. In totale, su poco più di 8 milioni di alunni oltre 7 rimangono a casa. Una situazione drammatica per gli studenti italiani che sono andati in classe per una media di sole 10 settimane in tutto il 2020.
La Campania risulta il luogo al mondo dove le scuole sono state chiuse per più tempo.
Credits: altavaltrebbia.net
il Trebbia abbraccia Brugnello
“Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto fino al mattino. Poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è”. Viene da citare l’Isola che non c’è quando si pensa al progetto di Stefano Boeri, l’archistar del Bosco Verticale milanese, e dei 71 studenti del Politecnico sul borgo di Brugnello in Val Trebbia. In questo caso la strada non è così facile trovarla da sé però, l’architetto ha sicuramente direzionato il pensiero, ma incentivi statali e un cambio di mentalità possono portare all’effettiva realizzazione del progetto. È necessario però capire meglio qual è l’obiettivo di Boeri.
“L’ISOLA che non c’è”: il progetto innovativo di Boeri per un BORGO STORICO
# “La pandemia ha fatto riscoprire i borghi storici” dice Boeri
Credits: architetti.com Stefano Boeri
L’architetto ritiene che la pandemia abbia fatto riscoprire i borghi storici e che saranno proprio i piccoli comuni a salvare la metropoli. Un po’ di borghi in città e un po’ di città nei borghi è quello che serve. I piccoli comuni italiani si trovano di fronte al loro declino e se non si vuole arrivare al loro abbandono totale bisogna intervenire. In poche parole l’obiettivo è quello di ripopolare i borghi storici, senza tornare però indietro ai tempi di un’attività esclusivamente rurale e agricola, ma piuttosto rendendo accessibile il borgo stesso.
Una prima soluzione sarà sicuramente quella di portare una connessione veloce nei piccoli comuni, nonché essere improntati verso il digitale e il nuovo. Questo non significa però desertificare le città, la cosa risulterebbe impensabile, ma sicuramente rivedere l’organizzazione di essa, puntando ad esempio sui quartieri e sulla “città in 15 minuti”, come sta già pensando Milano, è un buon inizio.
# Il paese di Brugnello in Val Trebbia
Credits: @vivopiacenza Brugnello
Tra Marsaglia e Bobbio, Brugnello, in provincia di Piacenza, è unpiccolissimo paese che conta circa 10 abitanti. Si trova esattamente sopra uno sperone di roccia a 464 m. ed è un paesello di origine medievale, al di sotto del quale ci sono gole scenografiche e una vallata. Nel borgo non c’è molto: poche case, una chiesa e un hotel ristorante per i turisti. La forza del borgo sono però gli artisti che lo abitano che hanno ristrutturato le case di pietra ricavate dalla roccia circostante, ma soprattutto creato motivi floreali, sedie e panchine per gli abitanti, tutto in pietra. È proprio con Brugnello e altri 2 borghi pilota che parte il progetto di ripopolare i borghi.
# Perché si parla di Isola che non c’è?
Credits: altavaltrebbia.net il Trebbia abbraccia Brugnello
Nei giorni nuvolosi, Brugnello, con un po’ di immaginazione, potrebbe sembrare un paese che fluttua nelle nuvole, ma non è per questo che il progetto guidato da Boeri è ormai chiamato così. Seppure a distanza, l’architetto e i suoi studenti da tutto il mondo hanno iniziato ad ideare progetti per far riscoprire il borgo. Sono proprio queste idee che rendono Brugnello “l’isola che non c’è”, sembrano più un sogno che realtà, eppure sono tutti realizzabili.
C’è chi vuole trasformarlo in un insieme di botteghe per artisti, chi vorrebbe il paese come un luogo dove studiare flora e fauna e poi ci sono coloro che vorrebbero creare un cinema all’aperto con tanto di telo bianco. Non mancano le idee per una nuova didattica: una scuola all’aperto e una cittadella per i bambini che si collega a Marsaglia con un cavo. Peter Pan d’altronde dice che se ci credi puoi volare. Per poter far rinascere Brugnello ci deve essere sicuramente un coinvolgimento degli abitanti del borgo, ma in generale ci dovrebbe essere un cambio di prospettiva. Con i progetti di Boeri, Brugnello sembrerebbe pronto ad innovarsi e magari diventare anche digitale; è qui che ci si sorprende, quasi non si riesce a pensare ad un borgo storico innovativo.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo (Giordano Bruno)
La nostra epoca, soprattutto in Italia, è dominata da uno sciamanesimo scientifico. Con la rivoluzione scientifica si è combattuta la religione. Ma la religione uscita dalla porta è rientrata dalla finestra, sotto mentite spoglie.
Si vive ormai ogni dimensione sociale con un atteggiamento religioso.
La scienza non è più terreno di dibattito, di osservazioni e critiche ma è il campo della fede. O sei per i vaccini o sei contro. O sei per le mascherine o sei contro. O sei per la scienza o sei contro. Ogni sfumatura di dibattito o di punto di vista è polarizzata e si tramuta in un’etichetta per chi la esprime. Ogni divergenza è giudicata un’eresia e contrastata con carattere inquisitorio da argomentazioni assolute e dogmatiche, per definizione non scientifiche. L’unico modo per redimersi è l’abiura.
Questo accade anche nella politica. Non c’è più un metro di giudizio soggettivo per verificare gli effetti della politica sulla comunità o sulla propria vita ma ci si uniforma a una posizione collettiva, per fede. Anche l’orientamento economico, culturale o lo stesso sapere specialistico sono diventati una forma di culto.
Questo processo inizia con la scuola in cui l’educazione scientifica non esiste: non c’è spazio per la creatività o per lo sviluppo della soggettività ma il sapere lo si trasmette come erudizione da assorbire in modo passivo, senza alcuna possibilità di critica o di variazione.
Un’istruzione che invece di essere punto di partenza per la creatività e la crescita personale struttura un modo di pensare cristallizzato che conforma i comportamenti nell’obbedienza alle regole e all’autorità.
Un’autorità che non è al servizio dei cittadini ma è di tipo sacerdotale. Che richiede solo una cosa: la fede cieca.