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MILANESE vs ROMANESCO: la sfida dei dialetti metropolitani

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Celentano ne Il Rugantino

La diatriba tra Roma e Milano sembra non finire mai eppure confrontando i due dialetti, non appaiono poi così diversi.

MILANESE vs ROMANESCO: la sfida dei dialetti metropolitani

La competizione piuttosto seria che c’è tra i milanesi e i romani è innegabile, ma è arrivato il momento di concluderla e di spostare la disputa su un campo più scherzoso e ironico: il dialetto. Quando un romano viene a Milano e cerca il fruttarolo verrà guardato male tanto quanto un milanese che a Roma chiama la metropolitana metro (con la e chiusa chiaramente!). Ecco 5 aspetti di questi due titanici dialetti a confronto.

#1 Avere fretta o avere prescia?

Ph. credits: adidas-runners

Due realtà a confronto: una che corre sempre, e l’altra che non vorrebbe correre mai. Infatti a Roma i frettolosi vengono colti in flagrante come se stessero commettendo un reato: “Aho, ma che c’hai prescia?”. E il sotto testo di questa esclamazione è qualcosa di simile a “Ma davvero stai andando di fretta?! Rilassati” e infatti è spesso seguita da “Mettete a sede”. Il milanese invece si sa, è di corsa per inerzia e di fatti il detto “mangiare un boccone al volo” deriva proprio da un modo di dire milanese “mangià on boccon in pee” ovvero mangiare un boccone in piedi.

#2 Ovunque si deve fatturare, che siano piotte o danè

Credits: medicinaonline.co

Eppure il verbo gergale romanesco “piottare” ovvero “andare velocemente”  si è diffuso moltissimo anche tra i giovani milanesi che lo utilizzano per intendere “camminare velocemente”. Quindi abbiamo assodato che anche i romani piottano, e la cosa più assurda è che se a Milano la fretta viene associata al denaro, anche a Roma è così. Infatti alle origini della parola, quando si trattava di piotte a Roma si trattava di soldi, anzi di sordi, indicava il numero cento ed era usato per indicare la moneta da 100 lire o la banconota da 100mila lire. Se a Milano si corre per fare il grano (o i danè), a Roma piottano per gli euri (che hanno ormai quasi sostituito le piotte).

#3 Il romano in cerca di uno spuntino a Milano

Credits: nonsprecare.it

Dopo aver parlato di corse, mi è venuto un certo languorino quindi passiamo al cibo. Il romano a Milano non chiederà dove si trova il fruttiroeu, piuttosto cercherà il fruttarolo. Ma la frutta sarebbe uno spuntino forse troppo leggero per un romano, che probabilmente cercherà di andare a comprare la carne, ma non dal becchee. Cercherà la ciccia dal macellaroPer non parlare poi dei nostri amati bocconi al volo, farciti con i salumi del cervellee… per i romani il pizzicarolo: il pizzicarolo è colui che gestisce una pizzicheria, ovvero una bottega che vende salumi e formaggi. E parlando di formaggi, a Milano il pranzo non è finito finché non si mangia qualche latticino: La bocca l’è minga stracca se la sa nò prima de vacca.

#4 Il formacc sfida il cacio

Il formaggio è un campo di battaglia piuttosto ostico. I romani amano così tanto il formaggio, chiamato cacio, che per parlare di qualcosa perfettamente complementare con un’altra affermano che è “come er cacio sui maccheroni”. Il formaggio sulla pasta è quel tocco in più che rende tutto perfetto e a Roma sembra che l’abbiano capito molto bene. Ma il cacio romano, protagonista della pasta cacio e pepe, ha veramente tantissimi rivali in Lombardia, considerando che esistono più di 80 tipologie di formacc, primo tra tutti il Grana Padano.

#5 Una sfida “bestiale”

credit: la regione.ch

L’ultimo punto è dedicato agli animali, altri indiscussi protagonisti di questi due dialetti. Partendo dalle temperature meneghine, che spesso spaventano chi si trasferisce dal centro-sud Italia, e che assumono forme animalesche ben oltre quelle canine (fa un freddo cane). A Milano fa on frecc de biss, ovvero fa un freddo di biscia. Perché? Perché la biscia essendo un serpente ha il sangue freddo, anzi, freddissimo. I romani invece utilizzano l’immagine di un famelico felino per avvertire gli avidi: “Sparagna, sparagna, arriva er gatto e se lo magna”. In parole povere: risparmia pure, che tanto poi ti verrà sottratto tutto da qualcun altro di più potente, rappresentato con dal gatto affamato. Ma anche a Milano gli avidi così come gli avari non sono ben visti, e infatti è molto diffuso il detto “l’avar el dorma mai”.

In fin dei conti la lingua di un popolo ne rappresenta lo spirito e ne riflette il modus vivendi. Come si è visto anche tra questi due dialetti apparentemente molto diversi ci sono un’infinità di cose in comune, e queste sono solo cinque delle tante.

Leggi anche: Antichi ROMANI e ROMANI di oggi a confronto: in cosa sono CAMBIATI nel corso dei SECOLI?

ROSITA GIULIANO

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Il mio VIAGGIO in Cina, in AUTOSTOP

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Realtà e fantasia. Il mondo ci appare lontano, vediamo i paesi attraverso i media ma non sappiamo mai veramente come sono fino a quando non ci andiamo.

Realtà e fantasia. Non sono mai stata una persona da hotel con piscina e tour guidati, sono più da cibo per strada e occhi di persone diverse da me.

E così mi ritrovo sul sedile posteriore di un signore cinese, che con la musica a tutto volume mi offre dei piselli al wasabi. Ed è qui che il mio viaggio in Cina inizia.

Il mio VIAGGIO in Cina, in AUTOSTOP

# La Cina in autostop

Quando dico di aver fatto un viaggio in Cina in autostop molte persone rimangono stupite. Un po’ per la mia faccia che tradisce la mia età e un po’ perché è una cosa totalmente lontana dall’idea comune di viaggio.
Fare l’autostop non è una passeggiata e ha diversi lati negativi: non sempre si trova un passaggio e magari ti ritrovi la sera, stanca, in una stazione di servizio in autostrada senza nessuno che vada nella tua direzione.

Spoiler: nessuno mi ha dato un passaggio e alla fine ho dormito lì.

Quella dell’autostop è sicuramente una scelta estrema, ma è anche quello che ti permette di entrare veramente a contatto con le persone.
Non tutti ti parlano, a volte vogliono ma non capisci, quindi stai lì, sul sedile posteriore sbirciando la vita di persone mai viste prima: la foto sul cruscotto, i biscotti nascosti sotto il cappotto, i parenti che ti fanno telefonare.

# Quella volta nella Bentley

 

Questa è una storia accaduta davvero ma che ha ancora dell’incredibile.

Scenario: in macchina da 7 ore, imbottigliata nel traffico per vari incidenti, senza aver mangiato niente (a parte i famosi piselli al wasabi offerti dal mio gentile guidatore).
Mi trovavo nella macchina di questo signore che per 7 ore ha tenuto il volume della radio così alto che non riuscivo neanche a sentire i miei pensieri.

Dalla disperazione scendo per prendere un po’ d’aria.

Cerco di capire dove sia l’incidente e perché mai i cinesi non riescano a lasciare lo spazio per le ambulanze che devono passare, ed è lì che mi si avvicina un signore.
Questo chiede al suo accompagnatore più giovane di parlare con me in inglese (nessuno in Cina parla inglese). Tra una cosa e l’altra si rivelano due persone incredibilmente gentili che devono andare esattamente dove voglio andare io.

Mi offrono un passaggio ma quando prendo il mio zaino mi aspetta una sorpresa: la macchina che mi aspetta è una Bentley nuova di zecca in cui io cerco di entrare senza rovesciare le bucce di mandarino e i piselli al wasabi che mi portavo dietro.

I miei due salvatori si offrono di portarmi a cena e più passa il tempo più capisco che c’è qualcosa di strano in questo duo.

Quando chiedo la sorpresa è ancora più grande: il signore che sta mangiando noodles piccanti di fronte a me è uno degli imprenditori più ricchi della Cina e il ragazzo che ha tradotto per me non è un suo amico, ma il suo autista privato.

Probabilmente la botta di fortuna più grande della mia vita.

# I dolcetti delle nonne

Fare un viaggio itinerante è difficile, molto spesso stressante eppure ci sono dei momenti in cui tutta la fatica viene ripagata.

Come quando sei in viaggio e il guidatore ti chiede se può fermarsi dalla mamma e dalla nonna per mangiare qualcosa.

E tu sei lì, a goderti un po’ di sole dopo tante ore in macchina, quando ti portano fuori un vassoio pieno di dolci e piccole focaccine fatte in casa.

Non ti dicono niente, la lingua non glielo permette, eppure tu capisci tutto.

# I parchi per trovare moglie

Quando vai in un paese così lontano non sai mai cosa può aspettarti e io, qualcosa di un po’ scioccante, l’ho trovato.

In Cina, soprattutto nelle grandi città, c’è un’usanza molto strana: esistono dei parchi dove cercare moglie/mariti per i proprio figli o nipoti.

Avete letto bene, i diretti interessati non sono neanche presenti, fanno tutto i parenti: scrivono le caratteristiche fisiche e caratteriali su un cartello e aspettano che qualcuno si avvicini.

Quando l’altra nonna/mamma si mostra interessata è arrivato il momento di far vedere le foto, scambiare i contatti e il gioco è fatto, una sorta di Tinder combinato: ti sembra affascinante, è alto 1.70 e studia economia? La nonna della fortunata farà match.

# Ai confini col Tibet

Mi sono avvicinata molto ai confini col Tibet e lì è tutta un’altra storia.

Non ci sono turisti, quasi tutti gli hotel sonno chiusi, non c’è niente tranne i pochi abitanti e qualche animale.

Il mio viaggio è durato un mese, ho visto tante facce che ormai la mia mente ha dimenticato ma ce ne sono due, che non dimenticherò mai.

Un giorno stavo guardando un tempio da lontano quando dei signori seduti sui gradini mi hanno fatto cenno di avvicinarmi.
Alla base di questo piccolo tempio c’era una decina di signore e signori molto vecchi che pregavano, facendo una sorta di cantilena contando le perle del rosario.

Quando mi avvicino mi danno un vecchio sacco di riso su cui sedermi e solo questo gesto mi fa capire la differenza tra realtà e fantasia: questi signori di 90 anni, seduti sulle travi di legno del tempio, offrono a me, ventenne, un sacco per stare più comoda.

E poi arriva una bambina, la nipote del signore più vecchio.

Si siede in braccio al nonno perché è intimidita da me, è piccola e probabilmente non ha mai visto qualcuno con la pelle bianca.

Il vecchio signore dalla pelle scura per il sole tira fuori una pera dalla tasca, la taglia e ne dà un pezzo alla bambina e il secondo pezzo lo offre a me, come se fosse la cosa più normale del mondo.

In un secondo mi passano tutte le raccomandazioni fattemi prima di partire “non mangiare niente di non lavato, non bere acqua non filtrata, non mangiare cose crude” eppure, quel pezzo di pera, mi sembra la cosa più preziosa che io abbia mai ricevuto e quindi accetto.

Credo di essere rimasta seduta su quei sacchi di riso per diverse ore, senza dire una parola. Forse loro non si ricordano più della ragazza italiana seduta fuori dal tempio ma io non mi dimenticherò mai di loro.

# Storia di un mondo lontano

Cina: un mondo lontano, una cultura diversa, una lingua incomprensibile, e cibi mai visti prima.

Un paese meraviglioso i cui abitanti mi hanno sempre aiutato, spesso più di quello che avrei fatto io.

Realtà e fantasia. É facile farsi un’idea basandosi su quello che sentiamo alla televisione o sulle recensioni di amici.

La verità è questa: non sapremo mai la verità di un luogo fino a quando non saremo li, sul sedile posteriore di un auto, con dei piselli al wasabi in mano.

Continua la lettura con: 10 VIAGGI post Covid che ci CAMBIERANNO LA VITA

ARIANNA BOTTINI

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Sogno una Milano più ARTISTICA

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Credits: @veliakforu IG

Milano vanta un ricchissimo patrimonio artistico. I diversi musei, con le loro mostre temporanee o permanenti, rispecchiano, e rispettano, i gusti di ognuno di noi. Ma, lasciando da parte questo periodo, le persone che frequentano i luoghi d’arte sono sempre meno, soprattutto i più giovani.

Non è giusto far finire nel dimenticatoio una simile eredità… Quindi, perché non agire?

Sogno una Milano più ARTISTICA

# Il patrimonio artistico di Milano è ricchissimo, ma forse ciò che manca sono gli stimoli

Credis: @ambraarte IG

Dall’affascinante Pinacoteca di Brera, all’innovativo Museo del Novecento, fino ai rinascimentali Musei del Castello Sforzesco, passando per la Triennale, il primo museo del design italiano… Diciamocelo, il patrimonio artistico offerto da Milano è molto ampio e riesce a rispondere ai diversi gusti dei visitatori.

Ecco, magari quello che manca è il tempo: purtroppo, presi dalla nostra quotidianità, ci dimentichiamo dell’esistenza di luoghi e bellezze da ammirare e da visitare, da non perdere, ma in cui perdersi.

Ma viene tralasciato anche altro, soprattutto per i più giovani… Forse un po’ di incentivazione?

# Una bassa affluenza che potrebbe derivare da una sbagliata educazione all’arte

Credits: www.familygo.eu

Immaginiamo di programmare un’uscita con i nostri amici. Alla domanda “Che si fa oggi?” nessuno risponderà “Dai, andiamo a farci un giro al Museo del Novecento”. Certo, ci sono le eccezioni, ma, diciamocelo, sono molto rare. E, sicuramente, la colpa non è del costo del biglietto.

Quindi, dove possiamo ricercare la causa della bassa affluenza dei ragazzi nei musei?

Forse portiamo con noi ancora qualche strascico di quando eravamo più piccoli e gli insegnanti organizzavano le uscite didattiche nei musei. Beh, io quei momenti li vivevo più come un gioco, un modo per stare con i miei amichetti e divertirci insieme. Di certo non prestavo attenzione alla guida che, con molta pazienza, provava a spiegarci quello che Raffaello voleva comunicare nello Sposalizio della Vergine.

Sicuramente un comportamento sbagliato, ma anche figlio di un’assenza di sollecitazione, di stimoli ad imparare qualcosa di nuovo con un approccio diverso rispetto alle solite lezioni in aula: quello visivo.

# La bassa affluenza deriva da una “avversione” nei confronti dei musei?

Credits: @margheritagroaz IG

Ma come dare la colpa a dei bambini di 7 o 10 anni? Io, per esempio, ho imparato ad amare l’arte alla fine delle superiori, forse quando più nessuno mi “costringeva” ad andare nei musei ed ascoltare le spiegazioni. Forse quando ho iniziato a capire da sola le opere, lasciandomi trasportare anche a tempi lontani.

Ma alcuni ragazzi, e parlo per conoscenza, hanno una “avversione” nei confronti dei musei. Si annoiano, non sono interessati alle opere, a niente di quello che si può scoprire. E torniamo lì: i gusti sono gusti, ma è davvero un peccato.

Un peccato perché un tempo l’arte era davvero amata, mentre ora sembra un interesse per pochi, un argomento di nicchia.

# Il mio sogno per Milano? Valorizzare i musei e fare in modo che la loro bellezza non vada persa

Credits: @veliakforu IG

Quindi, ecco qual è il mio sogno per Milano: valorizzare i musei sul suo territorio e renderli più attrattivi, più stimolanti in modo che la loro eredità non vada persa. Non basta più fare sconti, biglietti di gruppo, incrementare gli orari fino a sera, postare sui social contenuti accattivanti. No, è necessario trovare soluzioni affinché tra i più giovani non si perdano quelle sensazioni, e quel patrimonio, propri dell’arte.

Ma quali soluzioni? Beh, basterebbe avvicinarsi a questo target, chiedergli espressamente cosa desiderano e perché proprio quello, e cercare di andare incontro anche alle loro esigenze e non più solamente a quelle di “pochi”.

Continua la lettura con: 5 attrazioni uniche del MUSEO DEL NOVECENTO

ALESSIA LONATI

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Le 10 MINICASE “Fai-da te” più belle del mondo (fotogallery)

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Credits: pinterest

L’azienda svedese ha avviato il “Tiny House project” in collaborazione con la società americana Escape specializzata in minicase, realizzando la prima minicasa sostenibile, autosufficiente e accogliente pronta all’uso, di 17 metri quadrati con un prezzo a partire da circa 40 mila euro. Un segnale che testimonia come andare ad abitare nelle case in miniatura stia prendendo sempre più piede e che presto chiunque potrà costruirsene una. Andiamo alla scoperta di alcune tra le più belle in giro per il mondo.

Le 10 MINICASE “Fai-da te” più belle del mondo (fotogallery)

#1 La tiny house più bella del mondo secondo Forbes

Credits: greenme.it – Escape

#2 La minicasa caravan nel bosco

Credits: pinterest

#3 La minicasa galleggiante sul lago con molo d’attracco

Credits: @lilypadpalmbeach IG

#4 La tiny house sauna sulle Alpi

Credits: @roamtheplanet IG

#5 La minicasa sulle Isole Loften in Norvegia per ammirare l’aurora boreale

Credits: @hattvikalodge IG

#6 La casa in miniatura in pietra e legno

Credits: cabinlove IG

#7 La minicasa sulla scogliera in riva al fiume

Credits: @crei34 IG

#8 La tiny house a forma di piramide sopraelevata

Credits: @espen.surnevik IG

#9 La minicasa palafitta nel mare caraibico

Credits: @lumadeline IG

#10 La tiny house geometrica ispirata alle montagne dolomitiche

Credits: cabinlove IG

Continua la lettura con: IKEA lancia le MINICASE fai-da-te: piccolo prezzo e realizzabili ovunque

FABIO MARCOMIN

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Il primo TRAMTRENO in partenza nella città Ticino

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Credit: rttl.ti.ch - Tram-Treno in centro a Lugano

Arriva nelle città Ticino il primo tram/treno, e così il “trenino” Lugano-Ponte Tresa diventa solo un lontano ricordo.

Il primo TRAMTRENO in partenza nella città Ticino

# Posato sui binari il primo Tram/Treno

Alla stazione di Caslano è stato consegnato e posato sui binari il primo modulo di Tram/Treno che collegherà Ponte Tresa a Lugano col nuovo ed ampliato percorso.

Questo modulo è giunto da Valencia con un trasporto speciale dallo stabilimento della svizzera Stadler, che sarà la stessa azienda che fornirà i nuovi Tram alla città di Milano in occasione delle prossime Olimpiadi invernali del 2026.

# Il nuovo percorso Ponte Tresa – Lugano

Credit: rttl.ti.ch

Questi nuovi mezzi andranno a sostituire entro il 2021 quelli in funzione oggi, che hanno alle spalle ormai 40 anni di servizio.
Però per viaggiare sul nuovo percorso completato dovremo aspettare il 2027, perché i lavori da fare sono ancora molti ed importanti.

Se la tratta Bioggio-Ponte Tresa resterà la stessa attualmente in funzione, completamente nuovi saranno invece i collegamenti con Manno e con Lugano.

# I nuovi Tram/Treno

Credit: tio.ch

Per quanto riguarda i nuovi mezzi ci sarà un deciso salto di tecnologie, che del passato hanno mantenuto, a testimoniare la loro storia, soltanto un sorriso dipinto sul frontale del
treno.
Sono infatti i primi mezzi veloci come un treno, ma nel contempo silenziosi per essere idonei a viaggiare anche nel centro cittadino.

# Il Tram/Treno nel centro di Lugano

Credit: rttl.ti.ch

La galleria che congiungerà la piana del Vedeggio con il centro di Lugano sarà certamente l’opera più impegnativa.

Si aprirà direttamente su corso Pestalozzi, dove sorgono palazzi e lo snodo principale di tutta la rete di trasporti del Luganese alla attuale pensilina Botta.

Le tappe successive di sviluppo della rete Tram/Treno del Luganese prevedono inoltre l’estensione dell’utilizzo della linea a nord verso Cornaredo e a sud verso il Pian Scairolo.

Per usufruire di queste opportunità dovremo però attendere gli anni ’30.

Continua la lettura con: I 7 motivi perché CITTÀ TICINO si può considerare una METROPOLI

GIUSEPPE MARZAGALLI

copyright milanocittastato.it

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ALFA ROMEO: 111 anni di storia per il celebre marchio made in Milano

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Credits: @alfaromeoofficial ALFA Romeo

111 anni di storia di uno dei più prestigiosi marchi automobilistici del pianeta sono impossibili da condensare in poche righe. Senza mancare di rispetto alle moltissime persone e alla storia di ogni singolo modello, cercheremo di condensare i tratti più salienti della Alfa Romeo, storico marchio milanese e vanto di tutta l’Italia nel mondo.

ALFA ROMEO: 111 anni di storia per il celebre marchio made in Milano

# Nata a Milano da padre francese

Credits: wikipedia.org
ALFA Romeo al Portello

Pierre Alexandre Darracq è un francese, per la precisione di Bordeaux, che da produttore di biciclette decide di fare il grande passo e produrre auto. Le cose vanno bene ed apre alcune succursali, tra cui una a Napoli. Ma la logistica di allora rende difficile il collegamento con la casa madre e alla fine del 1906 trasferisce la produzione a Milano, al 95 di strada del Portello. Le sue macchine, però, non sono adatte ad un nascente mercato italiano. Nel 1909 decide di disfarsi della sua attività in Italia (in Germania la sua attività produttiva diede una svolta alla famiglia Opel, proprietaria dell’omonimo marchio).

# Nasce la “Anonima Lombarda Fabbrica Automobili”

Credits: quandoilbiscionemordeva.forumalfaromeo.it
Alfa Romeo

L’amministratore delegato in Italia, cavalier Ugo Stella, con alcuni finanzieri lombardi e la garanzia della Banca Agricola Milanese rileva lo stabilimento e riassume gli oltre 200 operai ma, soprattutto, individua in Giuseppe Merosi la persona che potrà progettare le nuove auto, dando una svolta che darà inizio alla storia della Alfa Romeo. Merosi, lavorando senza sosta nel suo alloggio milanese, progettò la 12 Hp e la 24 HP. La seconda vettura sarà pronta prima ancora che il marchio dell’azienda venga depositato. La prima A.L.F.A. acronimo di Anonima Lombarda Fabbrica Automobili ha già in sé tutto della natura delle future vetture del Biscione: elegante e sportiva, tecnologicamente avanzata e dotata di grande fascino. Nel 1911 sviluppa la 24 HP Corsa. La prima vittoria arriva alla Parma-Poggio di Berceto del 1913.

# La Grande Guerra

Si tenga conto che le vetture uscivano prive di carrozzeria, dato che ogni cliente poteva rivolgersi al proprio carrozziere di fiducia e “vestire” l’auto a seconda delle proprie necessità o desideri. Il conte Ricotti chiede al carrozziere Castagna di sperimentare sullo chassis A.L.F.A. una carrozzeria che tenga conto di alcuni studi avveniristici riguardanti l’aerodinamicità e nasce l’Aerodinamica, vettura pionieristica e ancor oggi piena di fascino. Ma la Grande Guerra è alle porte e serve convertire le fabbriche nella produzione di armamenti e mezzi bellici. L’Ing. Nicola Romeo acquista la fabbrica implementando il reparto produttivo con nuovi macchinari, arrivando ad una forza lavoro di 1.200 unità. L’unione con altre fabbriche via via comprate dall’ingegnere e una battaglia legale con i precedenti proprietari della ALFA convincono il patron di battezzare la nuova realtà industriale come ALFA Romeo.

# Vince il primo campionato di formula 1 della storia

Credits: wheels.iconmagazine.it
Vittorio Jano

Si torna alla normalità e alle competizioni e l’Alfa Romeo affida le proprie vetture a piloti quali Giuseppe Campari, Antonio Ascari ed un giovane Enzo Ferrari. I successi sono tanti ma ancora sempre legati all’Italia. Manca quel successo internazionale che catapulti il marchio nell’Olimpo delle migliori al mondo. Mentre Merosi confeziona la RL, indiscusso capolavoro, Ferrari coglie l’occasione della nuova direttiva aziendale che scinde la produzione di vetture serie da quelle da Gran Premio, facendo assumere Vittorio Jano, progettista che arriva dalla precedente esperienza in FIAT. Tra la sovralimentazione di vetture di piccole cilindrata e altre soluzioni innovative, una vettura di Jano ottiene il primo premio nel Primo Campionato del mondo Gran Prix. Per celebrare la vittoria, il logo Alfa Romeo verrà circondato da una corona d’alloro. Jano porta alla luce alcuni modelli che faranno la storia dell’auto, la 6C 1750, poi seguite dalla 1900, 2300 e 2500 con prestazioni e soluzioni che faranno scuola nel mondo delle automobili. I successi sulle piste di tutto il mondo fanno capire che è con l’Alfa Romeo che chiunque dovrà fare i conti.

# “Quando vedo un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello” (Henry Ford)

Compatibilmente con le richieste sempre maggiori di auto ad un prezzo più accessibile, nel 1933 viene inaugurato un reparto di carrozzeria interno alla fabbrica anche se non sostituisce completamente il lavoro dei carrozzieri. Sempre nel 1933, in concomitanza con il passaggio di proprietà di ALFA Romeo al gruppo statale IRI, entra in azienda l’Ing. Ugo Gobbato, uomo di straordinaria esperienza che, chiamato per risollevare le sorti dell’azienda che stava attraversando un momento di difficoltà, detterà la regole per una organizzazione industriale che faranno scuola. Gobbato porterà Alfa Romeo ad un completo risanamento economico oltre che ad una diversificazione della produzione, introducendo una sezione di motori per l’industria aerea nel distaccamento di Pomigliano d’Arco. Proprio Gobbato sarà protagonista di un episodio che racchiude in se tutto il successo della ALFA Romeo. Trovatosi a colloquiare con Henry Ford, uno che di automobili se ne intendeva parecchio, ebbe l’onore di sentirsi dire “Quando vedo un’Alfa Romeo mi tolgo il cappello”, affermazione che consacra definitivamente ALFA Romeo come una delle industrie di automobili migliori al mondo.

# Intanto negli Stabilimenti di Milano si giocava a pallone

Nel 1938 viene costruito un campo da calcio con anello di atletica e tribune. La squadra del dopolavoro aziendale vince la divisione regionale l’anno prima, e giocherà in serie C. Viene quindi ingaggiato una giovane promessa nonché futuro capitano della Nazionale e del Grande Torino Valentino Mazzola.

# Mai battuta 

Credits: ruoteclassiche.quattroruote.it
vittoria Alfa Romeo

Il prezzo pagato dall’azienda è enorme. I bombardamenti alleati hanno raso al suolo buona parte della sede industriale del Portello e la ricostruzione è difficile in quanto, se pur rimesso in piedi lo stabilimento, mancano le materie prime per la produzione. Durante il conflitto erano rimaste alcuni modelli di Alfetta 158, ennesima perla prodotta dall’ALFA, chiusi nello stabilimento del Portello. Grazie ad un’azione degna di una unità commando, alcuni dipendenti aiutati da appassionati del marchio, oltre che dal famoso motonauta Achille Castoldi, recordman mondiale grazie ad un motore del Biscione, riuscirono a sottrarre ai tedeschi il prezioso carico portandolo ad Abbiategrasso, ove le macchine vennero nascoste tra officine e cascine del posto in attesa della fine del conflitto. Finita la guerra le Alfetta 158 tornarono a ruggire sui vari circuiti fintanto che non venne inaugurato, nel 1950, il primo campionato mondiale. Il British Grand Prix di Silverstone del 1950 è la prima delle sette gare del neonato Campionato mondiale FIA di Formula 1 e il podio finale sarà tutto della Alfa Romeo. La casa milanese è la squadra da battere. Si parlerà durante la stagione della “squadra delle 3 F”: Farina, Fangio e Fagioli. Si chiude il campionato con Nino Farina come primo Campione Mondiale di Formula 1 della storia. L’anno successivo ALFA Romeo bissa il successo all’ultima gara nonostante la fortissima concorrenza della Ferrari. Manuel Fangio alza di nuovo il titolo iridato. Il Biscione uscirà dal mondo della Formula 1 imbattuta e dedicherà tutte le sue energie alla produzione di serie.

# Collaborazione con Pinin Farina

Pinin Farina, con una audace carrozzeria che riveste la 6C 2500, conquista un pubblico mondiale fatto di star cinematografiche, sportivi e aristocratici di ogni parte del globo. Sarà la prima di una serie di vetture straordinarie che diventeranno leggenda. Duetto l’ALFA comparirà in molte pellicole e Dustin Hoffmann ne “Il laureato” ne guiderà una, scatenando una sorta di mania collettiva che ancor oggi raccoglie i suoi effetti. Nel mentre la casa milanese doterà le forze dell’ordine e l’esercito con le proprie vetture. La mitica Giulia sarà la Pantera o la Gazzella e la Matta saranno protagoniste di azioni, inseguimenti e operazioni contro il crimine per moltissimi anni apparendo anche in molte pellicole che ne consacreranno il meritato successo. Sono i risultati dell’Ing. Orazio Satta Puliga, un manager che continuerà il percorso intrapreso da Gobbato e snellirà molti processi produttivi, passando da una fabbrica quasi artigianale a un complesso industriale.

# Giuseppe Luraghi

Credits: wheels.iconmagazine.it
Giuseppe Luraghi

Milanese, bocconiano e praticante della boxe ma anche filosofo e poeta, dal 1960 al 1974 sarà presidente del Biscione. Alfa Romeo Spider 1600, erede della Duetto, Alfa Montreal, Alfasud con oltre 900.000 unità vendute, ma anche la 33 Stradale (prodotta in soli 12 esemplari e a tutt’oggi una delle macchine più care e ricercate di sempre) sono alcuni risultati della gestione Luraghi, che riporta l’anima sportiva nell’azienda con la Autodelta per la partecipazione al Mondiale Sport Prototipi, nella quale collaborerà anche l’Ing. Chiti, geniale progettista autore di innumerevoli motori dal ruggito inconfondibile. Luraghi soprattutto capisce che sta vivendo gli anni di un boom economico incredibile e sforna una serie di vetture adatte al grande pubblico, ottenendo un enorme successo. Intanto il 12 marzo 1967 la 33 entra, vincendo, nel mondo delle competizioni. Una cavalcata che porterà la 33 TZ2 sul tetto del mondo, con le vittorie iridate nel Campionato Marche del 1975 e del 1977. Seguirà una fase di grandi successi commerciali per quanto concerne la produzione di vetture di serie con l’Alfasud, la più venduta di sempre, l’Alfetta e la Giulietta. Nonostante questo, una nuova crisi economica porta l’azienda ad un forte indebitamento e ALFA ha un altro passaggio di proprietà. Tra la Ford e la FIAT la sputa quest’ultima, nonostante l’offerta sia quasi quattro volte inferiore a quella della casa americana. E’ il 1986 e da questo momento ALFA inizia una fase nella quale perde parte della propria identità, quell’anima fatta da motori roboanti, prestazioni eccellenti e cura dei particolari.

# ALFA Romeo oggi

Lentamente, però, ALFA Romeo ha riconquistato una propria autonomia nello sviluppo delle vetture, tornando a dotarne l’anima con motori ruggenti. La berlina Giulia Quadrifoglio e il SUV Stelvio Quadrifoglio sono ad oggi le macchine più veloci al mondo nelle rispettive categorie e, dal 2020, ALFA Romeo è tornata a schierare in Formula 1 una propria vettura. Bentornata ALFA.

Continua la lettura con: Ma le auto non dovevano volare? Ho un SOGNO: Milano SENZA MACCHINE

ROBERTO BINAGHI

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.

 

La COBRA TOWER: il grattacielo a forma di SERPENTE

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Credit: @gphaus

É simbolo di forza, cambia la sua pelle e ha delle fauci molti grandi.

Un serpente? No, un grattacielo. Un progetto concepito per le città orientali. 

La COBRA TOWER: il grattacielo a forma di SERPENTE

# Un grattacielo simbolo di forza e vita eterna

Credit: designboom.com

L’Asian Cobra Tower è il progetto per realizzare il primo grattacielo a forma di serpente nel mondo.

Ma perché la forma di serpente? Quando si parla di serpenti ognuno ha la sua opinione; soprattutto in Occidente molto spesso questi animali vengono associati a pericolo o disgusto ma è tutto un’altra storia se siamo in Oriente.

In Giappone dire a qualcuno che è un serpente è un complimento; in Cina i serpenti sono spesso considerati simili ai draghi e sono simbolo di saggezza e vita eterna.

Una cosa è certa, in tutte le culture del mondo i serpenti sono simbolo di forza e di potere.

É proprio partendo da questi valori che Vasily Klyukin, l’architetto russo a cui appartiene l’idea, è convinto che questo serpente rivestito d’oro abbellirà qualsiasi città asiatica.

#Una torre che cambia la pelle

Credit: snupdesign.com

Come ogni serpente che si rispetti, anche la torre cambierà la sua pelle.

Grazie al suo rivestimento nero e oro, il grattacielo a forma di cobra potrà infatti cambiare il suo colore continuamente.

Inutile dire che questo gioco di illuminazione sarà una grandissima attrazione per turisti da tutto il mondo e non.

# La struttura del cobra

Credit: @gphaus

La struttura dell’edificio prevede un enorme base circolare, ispirato alla forma del corpo di un serpente arrotolato. La parte superiore del grattacielo avrà invece il volto di un serpente con le fauci aperte e gli occhi luccicanti.

Lungo il suo corpo ci saranno gli uffici e gli appartamenti mentre l’interno delle fauci fungerà da terrazza per un ristorante e un night club, da cui si potrà ammirare un panorama da capogiro.

La parte posteriore della Cobra Tower si distinguerà per un modello a forma di diamante che sarà il simbolo dello Yang e Yin, la dualità e la riunificazione del Sole e della Luna, maschile e femminile, la conciliazione degli opposti, e l’androginia.

Oltre che essere un progetto di architettura particolarmente ambizioso e stravagante, la torre a forma di serpente ha l’obiettivo di essere portatrice di grandi significati.

Secondo Vasily Klyukin, qualsiasi città che accetterà di costruire questo serpente gigante diventerà eterna e potente.

Chi sarà la preda?

Fonti: snupdesign.com

Continua la lettura con: Il GRATTACIELO più BASSO del MONDO: frutto di una epica TRUFFA

ARIANNA BOTTINI

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5 curiosità su CLAUDIO CECCHETTO: il più grande scopritore di NUOVI TALENTI

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credits: rockit.it

Dj, autore e conduttore televisivo, produttore discografico, conduttore radiofonico e, soprattutto, talent scout. Questo, in breve, il profilo del factotum dello show business italiano che risponde al nome di Claudio Cecchetto. E proprio come ogni personaggio celebre, anche lui si porta dietro alcune curiosità che pochi conoscono. Andiamo a scoprirle assieme.

5 curiosità su CLAUDIO CECCHETTO: il più grande scopritore di NUOVI TALENTI

# Da dj a talent scout, musica e spettacolo a 360 gradi: la carriera di Cecchetto

credits: indiscreto.info

Cresciuto nel capoluogo lombardo, dove si iscrive alla facoltà di Scienze e tecnologie alimentari dell’Università degli studi di Milano, abbandona presto gli studi per inseguire la sua vera vocazione: la musica.

Siamo alla fine degli anni’70 e Cecchetto inizia a farsi una corposa gavetta come dj presso piccoli club meneghini, dividendosi inoltre fra Radio Milano International e Radio Studio 105 e approdando poi come resident dj al celebre Divina, roccaforte della nightlife milanese dell’epoca. Da quel momento non sbaglia un colpo, occupandosi di TV, musica e spettacolo a 360°, fondando Radio Deejay e vantando, oltre a vari eventi minori, la conduzione del Festival di Sanremo per tre edizioni consecutive (1980-1982).

Nel 1984 inizia a sfoderare la dote di talent scout, scoprendo artisti solisti o gruppi musicali che, di lì a breve, sarebbero entrati di diritto nello star system italiano degli anni ’80 e ’90. Fra le sue “scoperte” più celebri ricordiamo su tutti: Jovanotti, gli 883, Rosario e Beppe Fiorello, Amadeus, Sabrina Salerno, Nicola Savino, Leonardo Pieraccioni e Fabio Volo.

È stato insomma in grado di dire la sua in quasi tutte le forme contemporanee dello spettacolo, dalla musica alla televisione, passando per il cinema. Ma proprio come ogni personaggio celebre, anche lui si porta dietro alcune curiosità che pochi conoscono.

#1 A soli 27 anni sul palco di Sanremo come conduttore

credits: cavevisioni.it

In occasione della sua prima conduzione di Sanremo, Cecchetto ricordò che fu contattato dalla direzione del Festival perché c’era bisogno di un presentatore disc-jockey, che facesse un po’ più presa sul pubblico giovane e vivacizzasse l’evento rispetto alle precedenti conduzioni.

Gli fu chiesto di essere affiancato da Roberto Benigni e, a dispetto di quanto “i piani alti” si aspettavano, la scelta lo rassicurò in quanto, ancora 27enne, aveva probabilmente addosso una tensione che solo la presenza di un personaggio “navigato” come Benigni avrebbe potuto alleviare. Il Festival andò benissimo, e Cecchetto si guadagnò con pieno merito altre due edizioni.

#2 Da dj a candidato sindaco

credits: secoloditalia.it

Nel 2019 si è candidato a Sindaco di Misano Adriatico, celebre comune nel Riminese famoso per il circuito di Motomondiale e SuperBike, portando a casa 2490 preferenze e mancando l’obiettivo per soli 400 voti. A spuntarla con il 39,1%, contro il 33,8% della lista civica di Cecchetto, è stato il vicesindaco uscente e esponente del centrosinistra, Fabrizio Piccioni.
La lista ‘W Misano Viva’ guidata da Cecchetto era composta da 16 cittadini misanesi tra cui Ivano Bonetti, ex calciatore professionista di Juventus e Bologna. Alla fine, è stato comunque eletto consigliere comunale, portando a casa un ottimo risultato elettorale, per un esordiente nel mondo della politica.

#3 Numero 1 nel mondo con Gioca Jouer

credits: ritornoaglianni80 IG

In Italia il singolo Gioca Jouer arrivò al n.1 della Hit Parade con oltre 500.000 copie vendute, ottenendo un ottimo successo anche all’estero. Ad esempio, venne pubblicato anche in Argentina, dove arrivò con la versione in spagnolo al n.1 della classifica di vendite, mentre nel 1983 salì nella Top Ten dei singoli più venduti nel Regno Unito.

Circa quindici anni fa il celebre brano, composto nel 1981, venne ripubblicato in francese, inglese, spagnolo, tedescoe cinese. Per festeggiare il venticinquennale della hit, Cecchetto collaborò alla realizzazione di uno spassoso videoclip girato negli Stati Uniti, in Sud Africa, in Egitto, in India, in Cina e in altri paesi dove i protagonisti ballavano il Gioca Jouer.

Nel 2011, in occasione dei trent’anni dall’uscita del tormentone,è stato fatto un montaggio scegliendo alcune immagini dai numerosi video del ballo di gruppo pubblicati su YouTube.

#4 La casa di famiglia nella campagna veneta

Molti pensano sia milanese doc, ma in realtà Cecchetto è nato a Ceggia, in provincia di Venezia, spostandosi poi nel capoluogo lombardo a soli 3 anni.

«Sono nato in casa, come si usava in campagna», racconta Cecchetto nella sua autobiografia «In diretta. Il Gioca Jouer della mia vita», pubblicata nel 2014. La casa era quella dei nonni Sante e Adelasia Partinelli, a Ceggia, il giorno, il 19 aprile del 1952. E in quella stessa casa il giovane Claudio, trasferitosi a Milano insieme a mamma Ines Bonotto, papà Gino e la sorella Daniela, trascorrerà le estati fino all’adolescenza. 

#5 Chi ha scoperto Claudio Cecchetto?

credits: @claudio cecchetto Twitter

Cecchetto ha scoperto e lanciato talenti in ogni campo, ma chi ha scoperto Cecchetto?

Per scovare un futuro campione ci voleva per forza un altro mostro sacro dello show-biz nostrano, e chi se non Mike Bongiorno poteva avere l’occhio così lungo da intuirne il potenziale?

Il Mike nazionale lanciò Cecchetto nel lontano 1978, quando era direttore artistico di TeleMilano58, la futura canale 5, assegnando al giovane talento la sua prima conduzione: quella di Chewing Gum, ovvero il primo vero programma musicale del nascente network televisivo.

Continua la lettura con: 5 PERSONAGGI simbolo degli anni OTTANTA a Milano

CARLO CHIODO

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.

A BOLOGNA ogni porta corrisponde a un SEGNO ZODIACALE

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Credits: travelemiliaromagna.it Bologna

C’è chi pensa che senza astrologia non potremmo vivere e chi invece la ritiene solo una superstizione. Se credete o meno nell’oroscopo è però poco rilevante, ognuno ha comunque un segno zodiacale abbinato. Bologna all’astrologia ci crede! Alle 12 porte della città, di cui solo 10 sono ancora esistenti, corrispondevano i 12 segni zodiacali.

Una curiosità che secondo alcuni è senza prova, anche se già il fatto che è l’Università del capoluogo dell’Emilia Romagna ad aver introdotto nel 1088 la prima cattedra di astrologia, ci fa pensare. Sembrerebbe però che le origini di questa storia vadano fatte risalire ben prima, al 520 a.C., quando gli etruschi ripartirono lo spazio urbano della città secondo la ripartizione del cielo, casa degli dei. Con o senza prove, ormai è diventata una curiosità e credenza popolare, a quale porta della città corrispondi?

A BOLOGNA ogni porta corrisponde a un SEGNO ZODIACALE

# Bologna: il perfetto cerchio zodiacale

Credits: travelemiliaromagna.it
Bologna

Se osservata dall’alto Bologna sembra un grande cerchio zodiacale con al centro Piazza Maggiore. Ogni accesso alla città avrebbe una relazione simbolica, storica ed energetica con un segno dello zodiaco. Una ”forza” che determinerebbe il futuro della zona e degli abitanti di essa, nonché i tratti caratteriali degli stessi cittadini. Se la cosa sembra poco chiara, o comunque inventata, lo stesso Tolomeo credeva a quanto appena detto.

Grazie a questo cerchio perfetto qual era Bologna, era possibile anche calcolare l’ascendente. Per chi è originario della città il calcolo è piuttosto facile perché dipende dall’ospedale in cui si è nati: Ospedale Sant’Orsola (Scorpione) o Ospedale Maggiore (Ariete). Per i non bolognesi invece iniziano a complicarsi le cose: posizionandosi però al centro del capoluogo e armandosi di una bussola, in base alla zona dove si è andati ad abitare, viene attribuito un ascendente, ad esempio Toro (Est-Nord-Est).

# A che porta corrispondi?

Credits: @ellabologna
Porta Maggiore

Se non bolognesi, sembrerebbe che le porte non possano stabilire il nostro futuro, ma vediamo lo stesso meglio gli abbinamenti.

Porta San Felice sarebbe collegata al segno dell’Ariete

Porta Sant’Isaia (distrutta nel 1903) al Toro

Porta Saragozza ai Gemelli

Porta San Mamolo (o Porta D’Azeglio, distrutta anch’essa nel 1903) al Cancro

Porta Castiglione al segno del Leone

Porta Santo Stefano alla Vergine

Porta Maggiore alla Bilancia

Porta San Vitale allo Scorpione

Porta San Donato al segno del Sagittario

Porta Mascarella al Capricorno

Porta Galliera al segno dell’Acquario

Porta (delle) Lame al segno dei Pesci

Fonti: travelemiliaromagna.it

Continua la lettura con: BOLOGNA è la città con il portico più LUNGO del MONDO (con lo zampino del DEMONIO)

BEATRICE BARAZZETTI

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.

La PAOHAUS: l’ultima novità di Milano

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Credit: living.corriere

Divenuto celebre per i pinguini sui “panettoni” nelle strade di Milano, arriva la sua nuova opera: un gigantesco murale di 300 mq per dare
nuova vita ad una scuola media della periferia nord-ovest della città. Ecco il progetto di PAO.

La PAOHAUS: l’ultima novità di Milano

# I panettoni stradali trasformati in pinguini

Credit: hano.it

Pao, al secolo Paolo Bordino, è attivo dal 2000 nel panorama della street art.
Milanese classe 1977, Pao è colui che trasformava i panettoni stradali in pinguini, alieni e
personaggi fantasy come iron man e altri super eroi.

La sua formazione in realtà è teatrale: inizia come macchinista e tecnico nella compagnia teatrale di Dario Fo e Franca Rame, per passare nei laboratori della Scala di Milano fino al 2000 quando, come già detto, si avvicina al mondo dell’arte di strada per non abbandonarlo più.

# PaoPao: studio di Lampugnano e la sua “evoluzione artistica”

Nel 2005 l’artista si stabilisce nel quartiere di Lampugnano, dove insieme alla graphic design Laura, che si occupa della parte grafica e comunicazione, fonda il PAOPAO STUDIO, il luogo dove nascono le sue opere e i suoi progetti.

In quegli anni l’artista inizia anche importanti collaborazioni con grandi aziende che lo porteranno ad ampliare la sua produzione artistica, utilizzando anche materiali diversi e “innovativi” per lui come tele e supporti tridimensionali in vetroresina.

Questa evoluzione permette allo street artist di uscire dai “confini urbani” e farsi conoscere dalla società di massa, vedendo le sue opere esposte al Padiglione d’arte contemporanea di Milano, alla Triennale di Milano e alla Biennale di Venezia..

# I lavori su commissione: Le opere di PAO

Sono moltissime le sue creazioni in giro per il capoluogo lombardo e non solo, molte sono realizzate anche in collaborazione con altri “colleghi” esponenti della street art. Ne citeremo solo alcune.

# Il bosco verticale (ma non quello che pensi)

Credit: paopao.it

No, non è QUEL bosco verticale che tutti conoscono. In questo caso il bosco si trova a Dolo (VE).
L’artista lo ha realizzato nel 2017 in occasione del Festival I DO LOVE, dove sono intervenuti anche molti altri artisti come lui, che con le loro opere hanno trasformato/colorato il paesaggio urbano della cittadina veneta.

# Chi viaggia alla ricerca dei paesi, scopre il mondo dentro di sè

Credit: Pintarest.it

L’opera si trova a Como, sulla facciata esterna dell’Ostello Bello. Il tema è chiaro: IL VIAGGIO, e il soggetto è perfetto per l’attività del committente.

La nascita del progetto è originale: l’artista qualche settimana prima della realizzazione ha tenuto una serie di workshop all’Istituto italiano del Design Aldo Galli, coinvolgendo gli studenti nella realizzazione della bozza.

# Khaled al asaad

Credit: agenziacomunica.net

Se siete di Milano o avete visitato la città passando in zona Monumentale, l’avrete sicuramente notata: si trova sulla facciata della Fabbrica del Vapore che dà proprio verso il Cimitero, ed è un ritratto dedicato all’archeologo siriano torturato e ucciso dall’ISIS per non aver rivelato dove nascondeva i reperti archeologici trovati durante gli scavi a Palmira, città appena conquistata dai terroristi.

L’opera è stata realizzata nel 2016 ed è stata inaugurata durante gli eventi organizzati per
la Giornata Europea dei Giusti.

# Mandela

Credit: milanotoday.it

Sempre alla Fabbrica del Vapore, PAO ha collaborato insieme ad altri street artist per realizzare il murale dedicato a Nelson Mandela. Dipinta nel 2014, il lavoro era stato commissionato dal consolato del Sud Africa per il Mandela Day (18 luglio) quando si festeggia il compleanno dell’attivista sudafricano.

Come già scritto in precedenza, ci sono moltissime altre opere in Italia firmate dall’artista milanese, se ne trovano in Sicilia, Sorrento a Rimini e fino in Svizzera.

Si possono ammirare sul suo sito (paopao.it )per vedere dove si trovano.

# La riqualificazione della scuola media di Via Sapri 50 a Milano

Tra le collaborazioni più recenti c’è quella con l’associazione no profit PROJECT FOR PEOPLE, che si occupa di progettare e realizzare progetti per la rigenerazione e sostenibilità ambientale delle scuole milanesi.

Grazie all’incontro fra PAO e l’associazione, la scuola media di Via Sapri adesso ha un look tutto nuovo e decisamente colorato: la superficie di 300 mq della struttura, provata dal logorio del tempo e dello smog, adesso è un’esplosione di colori.

L’opera si chiama PAUHAUS perchè, spiega l’artista, ha utilizzato un gioco di parole che fonde insieme l’assonanza del suo nome e il Bauhaus, la scuola d’arte di design con sede in Germania e fondata dall’architetto tedesco Walter Gropius, attiva dal 1919 al 1933.

Lo stile utilizzato per dipingere e dar colore alla facciata rimanda allo stile Bauhaus, una bellezza funzionale, una bellezza “senza fronzoli” per dirla in parole povere.
A rendere la creazione ancora più speciale sono le vernici utilizzate che hanno la caratteristica di “catturare” lo smog e purificare l’aria.

Scelta perfetta, trattandosi di una scuola.
L’opera però, va detto, non è ancora finita! Si prevede una seconda fase che vede coinvolti anche gli studenti, per colorare il muro di cinta sotto la supervisione proprio di PAO.

 

# Il bando del municipio 8 di Milano

Tutto questo PAO lo ha realizzato insieme all’immancabile Laura Pasquazzo (Co-fondatrice dei Paopao studio, come detto all’inizio graphic designer) dopo aver vinto il bando indetto dal municipio 8 per rendere più umana ed accogliente la scuola.

 

Continua la lettura con: 38 MURALES nel VILLAGGIO dei FIORI: così MILANO cambierà volto per le OLIMPIADI

ANGELA CALABRESE

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.

Colpevoli fino a prova contraria

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Giudice scimmia e Pinocchio

Il grado di civiltà di una società è legato all’assunto che tutti i cittadini sono uguali alla legge e innocenti fino a prova contraria.
È l’autorità che deve verificare che sia stata commessa un’infrazione. Prima del processo c’è anche l’istruttoria in cui il magistrato valuta se fare il processo oppure no, perché da una prima analisi spesso vengono archiviate per inconsistenza delle prove.

Questo è il pilastro della civiltà perché una società si regge sulla fiducia tra i cittadini e nei confronti dell’autorità. L’obiettivo del sistema democratico è di evitare una pena che poteva essere evitata. Infatti vengono giudicati criminali i regimi che comminano una pena prima ancora di aver fatto il processo.

Si preferisce il rischio di avere un colpevole fuori piuttosto che avere un innocente in carcere: questo è il fondamento delle democrazie moderne e civili che si sono costituite in seguito alle rivoluzioni francese e americana, in cui anche Milano con Beccaria è stata uno dei fari ispiratori.

In questo periodo si sta diffondendo in modo pandemico l’idea per cui sei colpevole fino a che non dimostri la tua innocenza. Diffondendo l’idea liberticida e antidemocratica che una persona è contagiosa, ossia colpevole, fino a prova contraria.
Forse il prezzo più alto che si rischia di pagare nel nome della massima sicurezza sono più di duecento anni di conquiste sociali.

Continua la lettura con: L’egoismo dell’altruista (e viceversa)

MILANO CITTA’ STATO 

La KIMONO FOREST: la foresta che si accende di NOTTE. Uno spunto perfetto per la METRO milanese?

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credit: mainichi.jp

E’ definita la migliore fusione tra natura e cultura di tutto il mondo. Dove si trova e perché non se ne crea una versione milanese?

La KIMONO FOREST: la foresta che si accende di NOTTE. Uno spunto perfetto per la METRO milanese?

Tutto il mondo conosce la parola giapponese “kimono”, ma pochi sanno cosa significa davvero. Letteralmente si può tradurre con “cosa che si indossa”, sottolineandone non la forma oppure l’ambito di utilizzo ma semplicemente la funzione. Dunque chi o cosa indossi il kimono non ha importanza, e i giapponesi hanno pensato bene di far indossare tanti coloratissimi kimono a degli alberi artificiali, ottenendo come risultato una magica foresta di kimono. Definita la più alta espressione del connubio tra natura e tradizione culturale, dove si trova la Kimono Forest e perché non se ne crea una versione milanese?

# La miglior fusione tra natura e cultura mai creata dall’uomo

credit: siviaggia.it

La “Kimonp Forest” è un’installazione permanente nei pressi di Kyoto, precisamente nella località turistica di Arashiyama. Questa località è conosciuta in tutto il mondo per la sua immensa foresta di bambù, di cui ormai il web è saturo di fotografie e video, e per richiamare l’ecosistema naturale della città, aggiungendoci però il tocco di classe della tradizione culturale giapponese, se n’è creato un equilibrato connubio: una foresta di kimono. Chiunque ci sia stato ne è rimasto affascinato e sono in moltissimi a sostenere che sia l’esempio di fusione perfetta tra natura e cultura, la migliore mai creata dall’uomo.

# Un luogo più unico che raro, eppure riservato a pochi

credit: en.japantravel.com

Nonostante sia così speciale, non è quasi mai annoverata tra le principali attrazioni turistiche di Kyoto e per questo è spesso trascurata. Il lato positivo? Questa sua impopolarità rende la foresta un luogo riservato a pochi, aumentandone la magia e l’atmosfera onirica. Un sentiero di 600 cilindri altri circa 2 metri che sono stati sapientemente “vestiti” con colorati tessuti decorati utilizzando la tradizionale tecnica Kyo-Yuzen. 

# Di giorno esplosione di colori, di notte un cammino mistico

credit: siviaggia.it

Sia di giorno che di notte la foresta è uno spettacolo magnifico: un’esplosione di colori durante le ore diurne ma ancor più bella e dal fascino mistico e quasi spirituale dopo il tramonto. Non è molto famosa, eppure la kimono forest è stata posizionata proprio sotto agli occhi di tutti. Infatti circonda la stazione dei tram di Arashiyama, sulla Keifuku Randen Tram Line, rendendola davvero unica al mondo. Ovviamente l’ingresso alla foresta è gratuito e vale la pena visitarla soprattutto la sera; dopo il tramonto fino alle 21 gli “alberi” della foresta si accendono, illuminati da luci LED che ne valorizzano ancor di più le decorazioni e i colori.

credit: siviaggia.it

Insomma è una tappa assolutamente imperdibile e poco mainstream per chi sta programmando un viaggio in Giappone. Ma perché non progettarne una anche a Milano, magari sostituendo l’abito tradizionale giapponese con elementi tipici meneghini?

Fonte: Si Viaggia

Leggi anche: Un angolo di AMAZZONIA a Milano con il MIGLIO DELLE FARFALLE

ROSITA GIULIANO

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BAGGIO: io ci vivo (felicemente)

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Credit: @stefy_gya

Questa è la storia di Baggio: il borgo all’interno di Milano che, pur mantenendo la sua storia, continua ad evolversi.

BAGGIO: io ci vivo (felicemente)

# La storia del piccolo borgo 

Credit: pophistory.it

Piccolo centro agricolo ai margini di Milano, zona sud ovest, diventa amministrativamente parte della città nel 1923.

Quasi incredibilmente riesce a mantenere negli anni le sue caratteristiche di vecchio borgo.
Solo a partire dagli anni 60/70 sorgono intorno al nucleo storico casermoni popolari e qualche condominio residenziale, ma la Baggio vecchia sopravvive con le sue corti, le case più antiche, la chiesa e il suo organo.
 
Seguono anni difficili, Baggio diventa sinonimo di malavita e spaccio.
Questa è la fama che la accompagna, ma nonostante ciò il borgo mantiene tutta la sua dignità.
É la forza che le viene dal suo essere ancora “paese”, sia pur a pochi chilometri dal Duomo.

# Da Porta Romana a Forze Armate

Nel 1972, giovane insegnante, vado a vivere alla Viridiana, nuovo complesso residenziale in via Forze Armate.
 
Confesso che per me, abituata a raggiungere il centro a piedi da Porta Romana, è stato un salto verso l’ignoto.
Il comune di Milano mi assegna alcune ore nelle scuole serali della zona: preparazione agli esami di terza media nei locali delle suore delle case minime e corsi di ragioneria al quartiere Olmi.
E così l’ignoto mi si svela, per certi versi inquietante.
 
É un mondo che non conosco, fatto di sacche di abbandono e povertà, ma anche di giovani che dopo una giornata di lavoro vengono a scuola per poter sognare un futuro diverso. Grande scuola di vita.
 
Mi trasferisco ai Castelli Romani ma poi torno a Milano.
 

# Vado a vivere a Baggio

Nel 1987 cerco un appartamento da acquistare, ma escludo di tornare in questa zona.
Per puro caso rispondo a un’inserzione su Secondamano, senza sapere che la casa è a Baggio.  Lo scopro andando a vederla e me ne innamoro a prima vista. 
 
Ho una figlia piccola e Baggio è purtroppo ancora vissuta come terra di frontiera, nonostante tante cose siano cambiate.
Mi assillano mille dubbi sul quartiere, sulle scuole, sulla lontananza dal centro, mi si prospetta una scelta complicata ma alla fine firmo il compromesso.
 
Questo il percorso che mi ha portato qui, dove ora vivo felice: una realtà molto milanese, si sente ancora parlare in dialetto, ma per certi versi poco metropolitana.
 
Baggio è cambiata, la sua cattiva fama è un ricordo ormai lontano, e non si distingue certo dal resto della città per fatti e presenze malavitose.
 

# Il borgo antico mantiene inalterato il suo fascino

 
Credit: it.wikipedia.org
Ci sono ancora corti, cascine, la vecchia chiesa di Sant’Apollinare con il campanile romanico, vecchie botteghe e osterie dove si beve il bianco spruzzato e si mangia milanese, come una volta.
Forse è uno dei pochi quartieri a Milano che mostra ancora la sua storia.
 
É bello fare quattro passi e incontrare gente conosciuta, entrare nei negozi come se fossero case di amici, mangiare la “cassoeula” in compagnia e sentirsi parte di una comunità, anche grazie alla presenza decisiva di associazioni locali che contribuiscono a rafforzarla.
 

Tutto è a portata di mano: le poste, l’anagrafe, l’ufficio di igiene, ambulatori e consultorio, biblioteca, scuole, negozi, supermercati, mercato coperto e bei mercati settimanali nelle vie del quartiere.

Non a caso fra gli anziani c’è ancora chi, dovendo andare in centro, dice che va a Milano.

# Baggio nuovo centro del mondo

Credit: @stefy_gya
Negli ultimi anni sono stati aperti nuovi locali che richiamano una clientela giovane, spesso proveniente da altre zone della città, senza alterare l’atmosfera un po’ provinciale del borgo. 
 
In attesa della metropolitana, che sembra possa arrivare fra qualche anno, dobbiamo fare la fatica di raggiungere la fermata di Bisceglie in pochi minuti di auto o autobus, ma la grande fortuna è vivere nel verde. 
 
Il parco delle Cave è a pochi passi dal borgo e nel mese di maggio ci offre ogni anno il grande spettacolo della lucciolata.
 
Nel giardino del mio condominio vivono indisturbati gli scoiattoli e dalle mie finestre vedo il Monviso e il Monterosa.
Non rimpiango il centro, la folla e il rumore.
 
Qui è come vivere in provincia, ma con i servizi di una grande città e l’orgoglio di appartenere a una comunità, quella di Baggio.
 

Continua la lettura con: Cosa si nasconde dietro al detto “Va’ a BAGG a sonà l’òrghen!”

 
MARGHERITA BIANCHI
 

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La METROPOLI DEL FUTURO, dove le PERIFERIE sono paesi di MONTAGNA

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Credits: www.ticino.ch

Si è lavorato, e ancora tanto resta da fare, per recuperare il degrado urbanistico e sociale delle periferie. In tutto il mondo, le metropoli si rigenerano e riattivano i quartieri periferici, con la creazione di progetti sociali e urbanistici studiati su misura delle diverse realtà.

Ma non è così nella Città Ticino: le sue periferie sono particolari e i classici quartieri periferici sono distribuiti e diluiti in tutto il suo interno.

Le vere periferie della Città Ticino sono le località di montagna, le “terre alte”, che esprimono diverse socialità, diverse espressioni artistiche, diverse ricchezze culturali e diverse coesioni sociali.

La METROPOLI DEL FUTURO, dove le PERIFERIE sono paesi di MONTAGNA

# Le aree di confine

Credits: www.ticino.ch

Le periferie della Città Ticino possono anche essere aree di confine. Ovviamente, con tutto quello che ne consegue e con la vicinanza ad un paese straniero. Basta pensare alle aree a contatto con la provincie di Como, di Varese e del Verbano Cusio Ossola.

Poi, ci possono essere periferie confinanti con aree svizzere. Dunque, altri cantoni, con diverse legislazioni, capaci anche di generare attriti.

# Le comunità di montagna

Credits: www.ticino.ch

Ma le vere periferie della Città Ticino sono le comunità di montagna, dove le esperienze e le storie umane sono decisamente diverse rispetto a quelle di pianura.

Mentre nelle periferie delle metropoli e nelle aree di confine l’evoluzione genera spontanei assestamenti, le comunità di montagna dovrebbero richiedere maggior impegno politico, che forse potrà facilmente trovare soluzioni con una sorta di federalismo di città. Quindi, sono le piccole aree periferiche a costruire il proprio futuro in piena autonomia, mantenendo ed enfatizzando quella che è la loro “biodiversità cittadina”.

# La convivenza tra uomini, animali e predatori

Credits: www.ticino.ch

Infatti, sono tante le tematiche di montagna incomprensibili da coloro che vivono in città. Dalla gestione degli alpeggi con la produzione di formaggi, alla convivenza con animali predatori, fino al mantenimento della qualità del territorio da parte delle popolazioni locali, passando per la convivenza con condizioni climatiche estreme e per la distanza dai servizi…

Anche per questo, il format della Città Ticino è particolare, ma innovativo e un buon esempio per il futuro.

Continua la lettura con: I 7 motivi perché CITTÀ TICINO si può considerare una METROPOLI

GIUSEPPE MARZAGALLI

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🔴 Sentenza a favore di #IoApro: la Corte di Cassazione dalla parte dei ristoratori

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credits: affariitaliani.it

#IoApro è il movimento di alcuni ristoratori che nel mese di gennaio, di fronte alle nuove forme di contenimento e restrizione, avevano deciso di restare aperti, infrangendo il Dpcm. Il collegio di difesa dell’associazione aveva fatto ricorso alla Corte di Cassazione, che nei giorni scorsi gli ha dato ragione. Cosa ha stabilito la sentenza?

Sentenza a favore di #IoApro: la Corte di Cassazione dalla parte dei ristoratori

# La disobbedienza civile dei ristoratori

credits: napoli.zon.it

Il movimento #IoApro nasce a gennaio per opera di alcuni ristoratori che, stanchi del tira-e-molla tra aperture e chiusure, hanno deciso di rimanere aperti nonostante gli ordini del Dpcm.

Una forma di protesta, di disobbedienza civile volta a denunciare una situazione critica e insostenibile per migliaia di operatori del settore della ristorazione. Ristoratori e clienti erano stati prontamente puniti e multati per il loro gesto, ma questo non è bastato a fermare i proprietari dei ristoranti.

La battaglia dell’associazione va avanti da inizio anno e l’ultima manifestazione è stata in concomitanza al Festival di Sanremo, quando si sono trovati di fronte al teatro Ariston per far sentire la loro voce.

# La sentenza della Corte di Cassazione a favore di #IoApro

Una svolta sembra essere arrivata nei giorni scorsi attraverso la sentenza della Corte di Cassazione. Nello specifico, nel provvedimento del Pm si legge che: “il legislatore ha sottratto le violazioni della normativa anti-covid al campo del diritto penale, in particolare sancendo espressamente la non applicabilità dell’articolo 650”. Si legge inoltre che “se da un lato appare giustificabile per verosimili ragioni di pace sociale, dall’altro inibisce all’autorità pubblica la possibilità di reprimere il protrarsi di condotte illecite con strumenti più incisivi”.

Il legale di #IoApro, Lorenzo Nannelli, ha commentato in seguito la sentenza spiegando che nessun titolare d’azienda può essere punito penalmente se apre.

# Il precedente che potrebbe spingere molti ad aprire

credits: firenzetoday.it

Momi, ristoratore tra i fondatori del movimento, ha dichiarato che la sentenza è come “una boccata di ossigeno”. In questo modo molte persone che non avevano riaperto per paura delle ripercussioni penali potranno ripensarci, aderendo all’iniziativa di #IoApro ed al suo messaggio “basta chiusure e basta paura”.

Questa decisione costituisce un importante precedente e potrebbe aprire un nuovo fronte all’interno del governo tra chi è per una linea di intervento più morbida e chi invece è a favore delle chiusure.

Insomma, l’ennesima grana per il governo Draghi, molti infatti, di fronte alle ultime chiusure, potrebbero essere tentati ad aprire in barba ai decreti.

Fonte: affaritaliani.it

Continua a leggere: 🛑 #IOAPRO: venerdì 15 la protesta simbolica. Chi sono, chi partecipa, cosa succederà, cosa si rischia?

CHIARA BARONE

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VIA DEI CONDOTTI: dove a tutti è concesso sognare

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ROME, ITALY - MAY 03: Father and son ride a bicycle in Via Condotti empty of of tourists during the Coronavirus (Covid-19) pandemic, on May 03, 2020 in Rome, Italy. Italy will remain on lockdown to stem the transmission of the Coronavirus (Covid-19), slowly easing restrictions. (Photo by Silvia Lore/Getty Images)

Collega Trinità dei Monti con Via del Corso, ha negozi esclusivi, palazzi rinascimentali, il Caffè più antico di Roma e sa come farsi amare. Via dei Condotti non è solamente una via. E’ un pezzo di Roma fatto della stessa materia dei sogni. E’ una via bella come un sogno bello e come in un sogno bello sa far sentire sensazione particolari.

VIA DEI CONDOTTI: dove a tutti è concesso sognare

Quando ci si è dentro sembra corta. Poi si scopre che non finisce perché chi la percorre rallenta. Il tempo si ferma quando si è a Via dei Condotti e non importa da quale lato la si prenda, lei sa catturare lo sguardo. Così i minuti possono diventare ore e gli elementi guardati dettagli. Il fregio settecentesco del portone di un palazzo. Un gioiello nella vetrina di Bulgari.  Oppure scorci interi. Una linea retta che corre verso un punto in lontananza, quello dove la strada, nascosta nell’ombra, finisce in un bagno di luce. Piazza di Spagna. Qui la via diventa fluida, fontana con l’acqua che sgorga e zampilla per poi accompagnare lo sguardo verso l’alto. Una scalinata, Trinità dei Monti, la sua Chiesa e i due campanili a fermare finalmente lo sguardo come di fronte a un picco delle Alpi.

Questa è Via dei Condotti e chi la percorre può sentirsi Audrey Hepburn o Jacki Onassis, Ronaldo o Chiara Ferragni, Giorgio Armani o Lady Gaga, Cenerentola o Bianca Neve. In realtà non importa chi si è quando si percorre Via dei Condotti perchè è questa via a definire chi la percorre. Qui il sogno diventa realtà e così Roma può sembrare più all’avanguardia di Tokyo, una ragazza può sentirsi più regina di Elisabetta d’Inghilterra, un uomo d’affari può scoprire l’amore e una donna di casa il business. A via dei Condotti non interessa cosa indossi e da dove vieni, lei è li, distesa, come un personale tappeto rosso pronto a diventare la passerella di ciascuno.

E’ così che questa via ha imparato a farsi amare, senza condizioni, da tutti, romani e non. Una via con un nome che rievoca secoli di storia legati all’acqua. In questa area confluivano le tre condotte dell’acquedotto Vergine ripristinate intorno al 1450 per portare l’acqua dal Pincio a Fontana di Trevi. C’è poi una leggenda che racconta una storia diversa e più antica.  Il termine “condotti” deriverebbe dal latino ducti, guidati, con riferimento ai soldati di Agrippa che nel 19 a. C., assetati, furono condotti da una fanciulla, virgo, alla sorgente dell’acqua, alla quale fu dato il nome di Acqua Vergine.  

Qualunque sia la storia del suo nome, questa via, da ovunque la si guardi esprime bellezza ed eleganza, non solo per i negozi di lusso, ma per gli splendidi edifici che la contornano e che hanno ospitato illustri nomi come quello di  Stendhal, che dimorò al civico 11 nel palazzo Maruscelli Lepri o di Goldoni che visse per qualche tempo nell’ex Ospizio dei Trinitari Castigliani al civico 47.

Ma sicuramente è il celeberrimo Caffè Greco al civico 86, il più antico di Roma, a ricoprire il ruolo di maggiore attrattiva della strada. Il nome del locale deriva dal fatto che Nicola della Maddalena, il caffettiere che lo ha fondato nel 1760, era greco. Il locale conserva tuttora il suo aspetto ottocentesco e nella celebre sala Omnibus ospitava periodicamente studiosi e accademici, cultori in particolare della città di Roma.

FRANCESCA SPINOLA

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I 7 CASTELLI più BELLI dell’Emilia Romagna

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Credits: @italiait Rocchetta Mattei

L’Emilia Romagna è ricca di castelli, fortezze, rocche che testimoniano la storia della regione. Si trovano sia in pianura che in collina e sono stati costruiti principalmente tra il Medioevo e il Rinascimento. Ognuno ha una storia da raccontare che siano battaglie, la dolce vita di corte o amori leggendari. Ecco la top 7 dei castelli più belli.

I 7 CASTELLI più BELLI dell’Emilia Romagna

#1 Rocchetta Mattei

Credits: @italiait
Rocchetta Mattei

Uno dei luoghi più straordinari in Emilia Romagna, Rocchetta Mattei fu costruita nel XIX secolo dal Conte Cesare Mattei sui resti di un antico castello medievale. È un misto di stili dal gotico al liberty, dal moresco al medievale. Si trova nella città metropolitana di Bologna, più precisamente a Riola Savignano, sull’Appennino tosco-emiliano, e sembra un castello fiabesco, dalle alte torri esotiche ed archi dipinti.

#2 Castello di Torrechiara

Credits: @castles_and_palaces
castello di torrechiara

Dal Castello di Torrechiara, costruito sulla cima di una collina intorno al XV secolo, si gode di una vista particolarmente suggestiva. Viene considerato come uno dei castelli più belli d’Italia e fu testimone dell’amore cavalleresco di Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini. Set anche di Ladyhawke, domina la Val Parma, trovandosi precisamente a Langhirano. È una fortezza che mantiene ancora l’eleganza di un’abitazione nobiliare ma allo stesso tempo esprime potenza. Inoltre, si dice che nelle notti di plenilunio, il fantasma del condottiero Pier Maria Rossi passa ancora sul Rio delle Favole, la strada che conduce al castello.

#3 Castello di Rossena

Credits: siviaggia.it
castello di rossena

La sua costruzione fu voluta dal bisnonno di Matilde di Canossa, come la maggior parte dei castelli legati al nome della donna, e si affaccia sui paesaggi collinari circostanti. In provincia di Reggio Emilia, è un gioiello architettonico soprattutto se si considera che fu edificato nel 960 ed è ancora perfettamente intatto. Oggi il castello è diventato un ostello dove poter soggiornare.

#4 Castello di Montebello

Credits: @italyiana
castello di montebello

Il castello di Montebello si trova in una posizione strategica tra le colline del Montefeltro e la Toscana. Noto anche come castello di Guidi di Bagno, apparteneva ai Malatesta. Il Castello è posizionato in cima ad un colle e domina il borgo sottostante di Montebello di Torriana, in provincia di Rimini. Attorno al castello viene tramandata una leggenda abbastanza macabra. Ai tempi, la figlia albina di Ugolinuccio o Uguccione, di nome Azzurrina, scomparve misteriosamente e da allora la sua voce risuona nelle stanze del castello.

#5 Castello di Ferrara

Credits: @andreabertelli_
castello estense

Sicuramente tra i più conosciuti e forse anche tra i più visitati, il Castello Estense si trova nella città di Ferrara. È il monumento per eccellenza della città con le sue 4 torri circondate dal fossato, i suoi mattoni rossi e le sue balaustre bianche.

#6 Rocca di Brisighella

Credits: siviaggia.it
rocca di brisighellaBrisighella è un borgo sopra il quale svetta la rocca dallo stesso nome. Si tratta di una rocca che è stata restaurata e ad oggi ben conservata. Arrivati lì si è catapultati ai tempi del Medioevo con ponti levatoi, camminamenti e merli.

#7 Castello Due Torri di Scorticata

Credits: @inemiliaromagna
castello due torri di scorticata

Anche questo castello, posto su uno sperone roccioso, è una delle fortezze dei Malatesta che dominano la Valmarecchia e il paese sottostante di Torriana. Dal castello è possibile avere una vista a 360° del panorama circostante.

Continua la lettura con: Il CASTELLO sul LAGO a forma di CUORE a due ore da Milano

BEATRICE BARAZZETTI

 

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SCUOLE CHIUSE: per chi suonerà la campanella?

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Credit: vanityfair.it

Le scuole di ogni ordine e grado, hanno chiuso i battenti da venerdì 5 marzo 2021 per la maggior parte dei suoi abituali frequentatori.
Motivazione ufficiale: la variante inglese del Covid 19 pare stia iniziando a infettare anche la popolazione più giovane, sin ora poco colpita dalla variante vintage del Covid 19.
Inutile parlare della reazione dei genitori: i più la possono immaginare.

SCUOLE CHIUSE: per chi suonerà la campanella?

# Un campanello d’allarme per il futuro delle nostre comunità

Credit: quifinanza.it

Quello che invece, a mio avviso, necessita di una riflessione è il fatto che stiamo profondamente e, temo, irrimediabilmente cambiando la nostra natura e la nostra società e la questione scuola non è che una delle mille sfaccettature di questo mutamento disagiante.
Secondo il mio immaginario l’Italia e gli italiani sono sempre stati un popolo, per dirla alla romana, ‘de core’. Certo, le nostre imperfezioni sono famose in tutto il mondo, ma nessun paese unisce l’anima, il sangue e il cuore come l’Italia.

Ecco spiegata quindi la prima reazione che abbiamo avuto tutti davanti a questo temibile mostro che ci si è parato davanti dall’anno scorso: gli striscioni con ‘andrà tutto bene’, le scritte alle finestre ‘i medici sono tutti eroi’ ed altri esempi ancora.

Gli italiani sanno sempre condire tutto ciò che succede con il sentimentalismo, con il coinvolgimento emotivo.
Poi però, qualcosa è successo. Il tempo si è dilatato come il lievito nelle nostre tavole e la pazienza è finita. Il sacrificio ha iniziato a pesare sempre sulle stesse spalle.

In quel momento ha iniziato a formarsi una spaccatura che giorno dopo giorno sta diventando sempre più grande e snervante.
Anche per la questione scuola si sono aperti quindi due orizzonti.

# Si può sacrificare una parte di vita dei ragazzi, per la salute di tutti gli altri?

Credit: milanotoday.it

C’è chi crede che la scuola non sia un parcheggio, ma un momento fondamentale della vita di un ragazzo che lo accompagna dai 3 ai 25 (per dirla con ottimismo) anni. É qualcosa che cambia con il crescere del ragazzo ed è difficilmente sintetizzabile.
La scuola non è solo contenuti, spiegazioni, interrogazioni e verifiche; è socialità, i compagni, le bigiate in compagnia, i viaggi in autobus con i libri in mano pregando per non essere interrogati.

Poi si è affacciato un nuovo orizzonte, quello permeato da persone che ribattono con cipiglio continuando a dire una frase che mi fa rabbrividire: “ si ma la salute viene prima”.
No, la salute non viene prima per il semplice motivo che tutto questo rientra nella salute.
La scuola e tutti i suoi annessi e connessi rientrano nel benessere psicofisico di cui un ragazzo e un bambino ha bisogno.
Trovo agghiacciante e molto più temibile questo concetto di salute che ha pervaso la nostra società ed è significativo di quanta scuola in presenza ci sia bisogno!

# Cosa si può fare per la scuola?

Credit: metadidattica.it

Premettendo che non sono un’esperta in materia, ma solo un’umile mamma e insegnante io avrei pensato ad alcune possibili soluzioni.

# Più libertà di scelta ai presidi

Ogni preside conosce la struttura di cui è a capo e conosce la grandezza delle aule così come il numero di locali di cui la scuola dispone.
In base quindi al suo organico e al numero di alunni potrebbe organizzare un’affluenza misurata secondo le reali possibilità della scuola.

# Condividere? A volte si!

Per le classi della primaria, se le lezioni fossero in presenza, a banchi distanziati, si potrebbe pensare ad una condivisione di tavolozze di colori o tempere dove i bambini potrebbero intingere i pennelli.

# Lezioni di arte e più lezioni all’aperto

Credit: fanpage.it

Per i ragazzi più grandi sarebbe bello pensare ad attività di critica e commento, come per esempio esecuzioni di foto da parte di alcuni alunni con annesso commento critico oppure visioni di film specialmente ora che la presenza di LIM (lavagne interattive), presenti in ogni aula, può permettere la visione di film senza far spostare gli alunni dalla propria classe.

Poiché è stato provato che i contagi sono altamente più probabili nei luoghi chiusi, con la bella stagione si potrebbe pensare ad utilizzare i giardini delle scuole per effettuare le lezioni.
Sarebbe anche molto bello fare attività fisica o manuale, come coltivare un orto o travasare fiori, tutte attività che avrebbero il vantaggio di favorire l’inclusione di tutti i bambini e ragazzi, compresi DVA, DSA, BES.

# Ripristino dei medici nelle scuole con esecuzione immediata di tamponi

Per ultimo, se ogni scuola avesse, come era in passato, la figura del medico scolastico,
potrebbe effettuare un primo screening ed eventualmente anche il tampone.

Continua la lettura: “DAD è solo mio papà”: la PROTESTA A COLORI dei bambini di Milano

GIULIA PICCININI, LAURA LIONTI

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🔴 “Illegale ed illusorio”: così Lagarde boccia la proposta di cancellare il DEBITO PUBBLICO causato dal Covid

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Christine Lagarde. Credits: @notizieoggi24 (INSTG)

Christine Lagarde, presidente della BCE, ha ribadito ieri, in risposta ad un Eurodeputato, che non si può in assoluto cancellare il debito pubblico contratto dagli Stati per far fronte alla pandemia. La proposta era stata avanzata qualche mese fa David Sassoli, presidente dell’Europarlamento, ma fin da subito aveva incontrato il no della numero uno della Banca Centrale Europea. Perché, come afferma Lagarde, eliminare il debito pubblico sarebbe illegale?

🔴 “Illegale ed illusorio”: così Lagarde boccia la proposta di cancellare il DEBITO PUBBLICO causato dal Covid

# Eliminare il debito pubblico causato dal Covid: la proposta di Sassoli

credits: ilfattoquotidiano.it

Qualche mese fa, in piena emergenza sanitaria ed economica, il presidente dell’Europarlamento David Sassoli, in un’intervista per il quotidiano Repubblica, aveva dichiarato la sua “ricetta” per far uscire l’Europa dalla crisi economica causata dalla pandemia.

Aveva suggerito alcune proposte, tra cui: riformare il Mes, rivedere i trattati per eliminare il diritto di veto in tema di politiche europee e l’eliminazione del debito contratto dagli Stati per far fronte alla crisi Covid. “È un’ipotesi di lavoro interessante, da conciliare con il principio cardine della sostenibilità del debito” aveva affermato.

# Il NO di Christine Lagarde: “sarebbe illegale ed illusorio”

credits: soldionline.it

L’ipotesi è stata però scartata fin da subito, incontrando il disappunto di diverse parti, prima tra tutte la Banca Centrale Europea. Christine Lagarde ha sostenuto fin dal primo momento che l’eliminazione del debito contratto dagli Stati dell’Eurozona sarebbe illegale e persino controproducente.

La presidente della BCE è tornata ieri sull’argomento ed è rimasta categorica nel bocciare la proposta: “la cancellazione del debito governativo è illegale, un’illusione contabile e minaccerebbe la credibilità della Banca Centrale e dell’Unione Europea”. L’eliminazione del debito sarebbe la violazione di una regola, pilastro fondamentale dell’Euro: il Trattato Europeo infatti vieta il finanziamento monetario agli Stati.

Lagarde ha poi specificato che una misura del genere non avrebbe senso a livello economico poiché, date le condizioni finanziarie, al momento favorevoli, rischierebbe solo di aumentare i costi di finanziamento e minare la credibilità della Banca Europea e dell’Unione.

# Le prospettive economiche sembrano favorevoli, ma rimangono circondate dall’incertezza

credits: startmag.it

La presidente ha sostenuto che si dovrebbe discutere piuttosto circa i settori su cui investire e su come incidere sulla spesa pubblica. Non tanto quindi sull’eliminazione del debito, ma sull’utilizzo di esso, in quanto la BCE continuerà a sostenere l’economia con tutte le misure appropriate.

Lagarde ha affermato che la situazione economica sembra essere migliore rispetto ad un anno fa e che potrebbero esserci ulteriori miglioramenti nel 2021, ciononostante le prospettive economiche rimangono circondate dall’incertezza.

L’attività dell’area Euro sembra sostenuta dalla lenta ripresa della domanda a livello globale e dalle misure fiscali aggiuntive, inoltre i rischi sulle prospettive di crescita si sono abbassati grazie alle migliori condizioni globali e ai progressi nelle campagne vaccinali.

Fonte: wallstreetitalia.com

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CHIARA BARONE

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Questo è il GRATTACIELO più BRUTTO d’Europa?

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Credits: daniela___.12 - Grattacielo Intesa San Paolo

Progettato da uno degli archistar italiani più famosi al mondo non ha riscosso molto successo e sta guadagnando le cronache sui social di settore perchè considerato “il più brutto d’Europa”. Ecco dove si trova e quali sono le altre brutture architettoniche del nostro Paese.

Questo è il GRATTACIELO più BRUTTO d’Europa?

# Il terzo edificio più alto di Torino, il grattacielo di Intesa San Paolo, è considerato da molti tra i più brutti d’Europa

Credits: Davide Bosco

Il grattacielo di Intesa San Paolo è alto 167,25 metri, nelle intenzioni iniziali l’altezza prevista doveva essere di circa 200 metri, ma ci si è fermati 25 centimetri più in basso dell’edificio simbolo della città, la Mole Antonelliana che misura 167,50 metri. L’edificio progettato da Renzo Piano conta 38 piani fuori terra e 6 interrati, per una superficie complessiva di 68.000 metri quadri, comprende anche un auditorium e all’ultimo piano una serra bioclimatica.

Realizzato con le massima accortezze riguardo la sostenibilità, dall’utilizzo dell’acqua di falda per il raffreddamento estivo ai pannelli solari per l’illuminazione, non altrettanto a livello estetico. Nonostante sia stato inaugurato solo qualche anno fa e disegnato da una firma di fama internazionale, il grattacielo torinese ha l’aspetto di una costruzione anonima, già vecchia, mal assemblata, dalla forma anonima e con un’orrenda grata metallica su una delle facciate. 

In Italia però non mancano altre brutture, vediamone alcune.

#1 La Torre Velasca, odio e amore dei milanesi

Torre Velasca, Studio BBPR
Torre Velasca, Studio BBPR

Progettata dallo Studio BBPR e realizzata tra il 1956 e il 1957, ospita negozi, uffici e appartamenti privati ed è uno dei simboli della città. Ora in fase di ristrutturazione, da sempre la sua caratteristica forma “a fungo” è oggetto di critiche anche se non mancano gli ammiratori.

Leggi anche: La TORRE VELASCA si rifà il TRUCCO

#2 La Torre Eurosky al Torrino di Roma, nonostante il recente restauro richiama la peggiore architettura sovietica

Credits: alessandro.delia.82 – Torre Eurosky

La Torre Eurosky è un grattacielo di Roma, con i suoi 120 metri il più alto edificio civile della città e una delle torri residenziali più alte d’Italia. Realizzato su progetto dell’architetto Franco Purini, la costruzione sorge nel Business Park dell’Europarco: articolata in due prismi verticali ha le facciate scandite dalle bucature regolari dei balconi che ricordano una costruzione sovietica. In cima l’edificio è coronato da una struttura che sostiene una parete di pannelli fotovoltaici e lo rende nel complesso ancora più sgraziato.

#3 Torre San Vincenzo a Genova, costruita negli anni ’60, risente del peso degli anni

Credits: dindanden IG – Torre San Vincenzo Genova

Costruito negli anni sessanta su disegno di Melchiorre Bega, Piero Gambacciani e Attilio Viziano, la Torre di San Vincenzo si trova di fronte alla stazione di Genova Brignole. Raggiunge l’altezza di 105 metri e si innalza per 26 piani, ma nonostante il restauro nei primi anni 2000 risente di un design vecchio e un’estetica di dubbio gusto.

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FABIO MARCOMIN

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