Lo scenario è questo: avete sei 6 ore di scalo in aeroporto, avete già fatto due volte il giro di tutti i negozi di souvenir che non comprerete, mangiato un panino con ingredienti sconosciuti che probabilmente rimpiangerete e comprato un tascabile in offerta che non leggerete.
Cosa fare adesso? La soluzione ideale sarebbe quella di dormireper un paio di ore in un letto comodo, lontano da tutto il trambusto che è meraviglioso per i primi 10 minuti e snervante per le successive cinque ore.
Sembra un sogno ma si può fare: negli aeroporti italiani arrivano le capsule del sonno, dove si potrebbero fare a Milano?
Le CAPSULE DEL SONNO arrivano in Italia
#Le capsule del sonno in aeroporto
Credit: booking.com
Negli aeroporti italiani arriva il servizio di ZZZleepandGo, l’area riservata al riposo e alla
privacy in un ambiente comodo e tranquillo.
Le capsule del sonno sono delle vere e proprie cabine di nuova generazione, dotate di ogni confort necessario per riprendersi dalla stanchezza.
Dentro ogni cabina c’è una rete Wifi, un televisore di ultima generazione e un cavo per ricaricare i propri dispositivi.
Grazie ad un sistema di check-in/check-out virtuale, l’accesso al locale in cui si trovano le
capsule è permesso alle sole persone ospiti delle capsule, garantendo quindi ai clienti
privacy e soprattutto sicurezza.
E il costo? La tariffa notturna, dalle 23 alle 6 del mattino, è di 39 euro. Nelle altre ore della giornata è previsto l’accesso diretto sul posto, al costo di 9 euro per ogni ora di permanenza in cabina.
#Un’oasi per rigenerarsi
Credit: booking.com
Quello che può sembrare solo un “vizio” da concedersi in vacanza, una cosa in più per chi
non ha voglia di aspettare su una sedia in mezzo al trambusto dell’aeroporto, è in realtà una soluzione molto comoda ma soprattutto, molto utile.
Oltre a fornire un posto dove rilassarsi per qualche ora se c’è uno scalo molto lungo o un
ritardo di un volo, queste capsule del sonno sono un buon modo per evitare di trovarsi su un taxi, alle tre di notte, con la faccia disperata appoggiata al finestrino, alla ricerca di un
albergo.
Capita spesso che un volo arrivi tardi e si può essere molto lontani dalla città che si vuole
raggiungere. Quale soluzione migliore di dormire direttamente in aeroporto, ad un costo inferiore rispetto a quello di un hotel, per ripartire rigenerati il giorno dopo?
#Dove si potrebbero fare a Milano?
Per ore le capsule del sonno sono state realizzate solo all’interno degli aeroporti ma perché
fermarsi solo a questo?
In quanto pendolare, per me e per molti altri malcapitati, è all’ordine del giorno stare due o
tre ore in stazione in piedi aspettando che finalmente passi un treno. Essendoci la possibilità di pagare all’ora, perché non portare le capsule anche nelle stazioni più grandi di Milano?
Io sarei ben felice di pagare 10 euro per stare su un comodo letto al caldo e vedermi un film piuttosto che stare sulla banchina cercando di evitare i mozziconi dei miei amati compagni di avventura.
E voi dove vorreste le capsule del sonno a Milano?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Credits: erlebnis.portugal
IG - Quinta da Regaleira
Più ti immergi nel pozzo della conoscenza e meno vedi la luce.
La conoscenza ha due facce. Da un lato aumenta le capacità di interpretare il mondo, dall’altro limita le possibilità di inventare nuove soluzioni.
Spesso sono i giovani che sono meno immersi nel pozzo ad avere le idee più brillanti e innovative. Certo non sono i dinosauri della cultura a esprimere qualcosa di nuovo.
Dal punto di vista delle tecniche di pensiero l’uso del pensiero laterale e della trasposizione di concetti da un campo all’altro è uno dei processi più creativi.
La soluzione è la capacità di equilibrio che si può instaurare tra la conoscenza fine a se stessa e la creatività dell’ignoranza: acquisire la conoscenza senza farsi inghiottire dal pozzo, altrimenti il pozzo diventa una prigione mentale che ti impedisce di vedere la realtà.
Metabolizzare la conoscenza mantenendosi ignoranti e lasciandosi guidare dalla fame del sapere. Perché la stessa conoscenza che ti può portare a sprofondare nel pozzo è la stessa che può diventare la strade per la luce.
“Certo sono più sapiente io di quest’uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio un bel niente; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, se non so niente, ne sono per lo meno convinto, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmeno credo di saperlo.” (Socrate da Platone)
Nella serata finale del Festival di Sanremo i campioni Olimpici Federica Pellegrini e Alberto Tomba hanno presentato i due possibili loghi delle prossime Olimpiadi di Milano Cortina 2026 che da ieri 7 marzo sono sottoposti a voto popolare e che saranno i primi nella storia a essere scelti dai cittadini. Scopri il loro significato e vota il tuo preferito.
Dado contro Futura. Il LOGO delle OLIMPIADI: Milano quale sceglie? (vota e vedi i risultati)
#1 Dado: “Un mondo in cui tutti possono giocare e vincere”
Dado
La presentazione del logo “Dado”: “Servono determinazione e lealtà per affrontare ogni sfida, per raggiungere i nostri obiettivi. Tutti possiamo imparare dal coraggio degli atleti Olimpici e Paralimpici. Insieme possiamo costruire un mondo migliore attraverso lo sport. Un mondo in cui tutti possono giocare e vincere. Milano Cortina 2026: entra nei giochi!”.
#2 Futura: “I gesti più semplici e naturali possono cambiare il mondo”
Futura
La presentazione del logo “Futura”: “I gesti più semplici e naturali possono cambiare il mondo. Nello sport e nella vita le grandi vittorie si conquistano giorno per giorno, gesto dopo gesto. Le Olimpiadi e le Paralimpiadi sono un’occasione unica per lasciare un segno leggero e bellissimo. Milano Cortina 2026: il futuro è una vittoria di tutti”.
Quale logo preferisci? Rispondi al nostro sondaggio.
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Per scegliere quale Emblema Olimpico dovrà rappresentare le Olimpiadi Invernali di Milano Cortina 2026 la votazione resterà aperta per due settimane sul sito www.milanocortina2026.org e sull’app Milano Cortina 2026.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Un progetto artistico e di riqualificazione urbana, “collaterale” alle Olimpiadi del 2026 Milano-Cortina, coinvolgerà un intero quartiere con l’intento di creare una galleria d’arte moderna a cielo aperto. L’idea è stata proposta dal Stradedarts Urban Gallery Milano e prevede la realizzazione di 38 murales nel quartiere del Villaggio dei Fiori, nella zona di Lorenteggio. Scopriamo insieme questa proposta!
🛑 38 MURALES nel VILLAGGIO dei FIORI: così MILANO cambierà volto per le OLIMPIADI
# Stradedarts e il progetto dei 38 murales
credits: stradedarts IG
La proposta prevede di realizzare 38 grandi murales a tema olimpico sulle facciate libere delle case di via Oleandri, via Ortensie e via Gigli, la zona vicino a Lorenteggio chiamata Villaggio dei Fiori proprio per i nomi di queste vie. Le abitazioni del quartiere si prestano bene come “tele” perché sono basse ed hanno facciate cieche.
Il luogo non è stato scelto a caso: in via dei Ciclamini sorge infatti il Pala Agorà, il palazzetto del ghiaccio che nel 2026 sarà utilizzato come pista di allenamento per gli atleti che dovranno gareggiare. L’idea, inoltre, è stata lanciata da Stradedarts, un’associazione nata nel 1988 che ha sede proprio in questo quartiere. L’organizzazione si occupa di rigenerazione urbana attraverso il writing, la street art e la creazione di musei urbani a cielo aperto. Tra i loro ultimi progetti realizzati possiamo per esempio citare il murales che rappresenta la recente lite tra Ibrahimovic e Lukaku.
# Una galleria d’arte a cielo aperto: arte e riqualificazione urbana si intrecciano
credits: ilgiorno.it
Le prime dieci facciate dovrebbero essere realizzate tra luglio e agosto 2021 e il progetto coinvolge numerosi artisti milanesi, italiani e persino internazionali, tra questi l’americano Kool Koor, attivo nella street art dal 1979. L’obiettivo è quello di riuscire a completare tutte le 38 facciate entro l’inizio delle Olimpiadi Invernali 2026, così da creare una mostra d’arte contemporanea a cielo aperto. Il progetto nasce per essere, da un lato, un elemento decorativo in occasione dell’evento e dall’altro, uno strumento di riqualificazione urbana. Proprio il presidente del Municipio 6, Santo Minniti, ha affermato che “il progetto ci piace e si inserisce in un quartiere che ha bisogno di riqualificazione dello spazio pubblico”.
È così che, dopo aver ricevuto l’approvazione dei residenti e del palazzetto, il progetto è stato presentato qualche giorno fa alla Commissione Olimpiadi e parteciperà ad un bando del Ministero dei Beni Culturali, in modo da non pesare economicamente sul Comune di Milano.
# Il progetto che unisce anche la politica
credits: milano.today.it
La proposta sembra raccogliere il consenso favorevole di tutte le forze politiche. Enrico Marcora di Fratelli d’Italia ha proposto di coinvolgere nella realizzazione anche il carcere minorile Beccaria, sia come spazio da decorare che facendo partecipare i giovani detenuti. Alcuni esponenti di Forza Italia hanno suggerito l’utilizzo di vernici che assorbono lo smog e incoraggiato il coinvolgimento di writers milanesi, prevedendo però che chi ha realizzato graffiti abusivi in città non possa partecipare. Il PD, infine, ha affermato che il progetto è un bel modo per accompagnare i cittadini verso l’evento che “non deve essere legato solo al mese in cui si realizzerà”.
Se tutto andrà liscio quindi gli edifici del Villaggio dei Fiori si coloreranno di graffiti in onore delle Olimpiadi, un’importantissima occasione che vedrà gli occhi di tutto il mondo puntati su Milano.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Dalla forma particolare, dalle case colorate o dal significato storico, alcune strade si distinguono come non mai da tutte le altre. Diventano quelle per forza da percorrere e dove fare una foto è d’obbligo. Basti pensare ad Abbey Road, a Camden a nord di Londra, per farci capire quella attraversata dai Beatles. La stessa strada è diventata un simbolo, un posto in cui, se si è in zona, bisogna andare. Tra le strade più iconiche del mondo, nonché tra le più fotografate d’America (dopo Acorn Street, la strada più fotografata degli Stati Uniti con le case a schiera in mattoni e le lanterne a gas) c’è Lombard Street a San Francisco.
LOMBARD STREET: la VIA a forma di SERPENTE più famosa del mondo
# La strada più tortuosa del mondo
Credits: @sanfranciscoworld Lombard street San Francisco
La strada è lunga circa 5 chilometri e va dal “Presidio Boulevard”, all’interno del parco Presidio, fino a Pioneer Park, ma il tratto più interessante non è lungo più di 8 tornanti. La particolarità di questa via è la sua forma a serpentone, si aggiudica infatti il premio di “strada più tortuosa del mondo”.
Eppure la strada non è stata costruita così per dare quell’effetto scenico, per creare, o sperare che diventasse, una sorta di attrazione turistica, ma è stata fatta per esigenze strutturali. Il particolare design deve infatti ridurre la pendenza della collina del 27%, altrimenti troppo ripida da scendere in macchina. La via dai tornanti stretti, con la sua pavimentazione in mattoncini rossi e le aiuole sempre ricche di fiori, è diventata ormai una delle più iconiche al mondo.
# Un nome a noi familiare
Il nome non ha niente a che fare con la storia di San Francisco, anzi viene dall’omonima via di Philadelphia, dato che l’ingegnere che progettò gran parte del layout delle strade della città californiana aveva vissuto lì. Ma allora perché Lombard Street a Philadelphia si chiama in questo modo? Difficile stabilirlo chiaramente. Sembrerebbe derivi dalla Lombard Street di Londra, storicamente nota per i suoi legami con i mercanti, i banchieri e gli assicuratori della città. Le lombard street sono, infatti, le vie dei banchieri soprannominate così per il “tasso lombard”, il tasso di anticipazione sui titoli di credito nato dai banchieri italiani del rinascimento. Banchieri in realtà toscani, ma, visto che furono i lombardi a renderlo noto, sono loro ad aver dato i nomi alle vie. La via più tortuosa del mondo di San Francisco è infatti una zona ricca e probabilmente è per questo che ha preso il nome di quella di Philadelphia. Allo stesso tempo però, considerando che a Philadelphia su 14 strade 8 prendono il nome di piante, Lombard Street potrebbe derivare anche dal “Poplar Lombardo”, il pioppo nero.
# Una vera attrazione turistica
Credits: siviaggia.it Lombard-Street
Se la si vuole percorrere in macchina, la strada è a senso unico e si può fare solo in discesa partendo dalla cima di Russian Hill, dove si gode anche di una vista mozzafiato. Immaginatevi un inseguimento poliziesco su queste curve, sarebbe forse comico visto che non si può andare più veloce di 8 km/h. Non l’ho pensato di certo solo io, anche alcuni registri hanno visto nella strada un potenziale set per film polizieschi e così è stato. Gli 8 tornanti possono essere fatti anche a piedi e in questo caso persino in salita. La via è abbastanza ripida e probabilmente bisogna fermarsi più di una volta mentre si sale, ma l’esperienza ne vale la pena. Diventata ormai attrazione turistica, inoltre, sulla via vengono organizzati tour guidati con simpatici GoCar o Segway.
# Non solo curve
Credits: viaggi-usa.it Cable car
Prima della visita alla strada più tortuosa del mondo, si può fare un giro in Cable Car. Partendo dal capolinea di Market Street, si potrà raggiungere la parte alta di Lombard Street vivendo l’esperienza del Cable Car e una volta scesi si può ammirare la vista suggestiva su San Francisco e la Baia. Il vero problema della strada dagli 8 tornanti è che è troppo trafficata e questo porta ad un inquinamento dell’aria eccessivo.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La prima città moderna d’Europa, una delle città-stato del Rinascimento dal passato più glorioso, ha stregato anche la rete televisiva americana CNN. Scopriamo quali sono le sue eccellenze.
La CNN incorona FERRARA
# La “città degli Estensi” Patrimonio dell’Unesco, tra Medioevo e Rinascimento
Cred. velvetescape IG – Duomo di Ferrara
Ferrara, città degli Estensi, tra le città-stato del Rinascimento con il passato più glorioso, fu la prima città moderna europea grazie alla trasformazione urbanistica denominata Addizione Erculea. Qui Ludovico Ariosto scrisse l’Orlando Furioso, ma oltre a lui passarono anche Boiardo, Torquato Tasso, Bellini, Mantegna e Piero della Francesca, alcuni dei migliori scrittori e artisti del periodo.
Il centro storico è stato iscritto dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità ed è dominato dal Castello Estense tuttora circondato dal fossato colmo d’acqua che dal 1300 protegge la fortezza a pianta quadrata con le quattro torri. Simbolo della città e gioiello dell’architettura castellana italiana, caratterizzato da mattoni rossi e eleganti balaustre bianche, dopo 120 gradini offre un panorama mozzafiato sull’abitato urbano e sul territorio circostante.
Cred. maark_q IG – Via delle Volte
Ma oltre a questo ci sono da ammirare perle di arte religiosa come il Duomo, la Chiesa di Santa Maria in Vado o il Monastero di Sant’Antonio in Polesine, e numerosi musei con la grande pittura del Quattrocento e Cinquecento, testimonianze del mondo etrusco e greco, ancora Palazzo dei Diamanti e il Palazzo Schifanoia. Per non parlare delle viuzze medievali come la suggestiva Via delle Volte.
# La città delle biciclette: 1,14 metri di pista ciclabile ogni abitante
Cred. mavri_z IG – Pista ciclabile lungo le mura di Ferrara
Soprannominata la città delle biciclette per via del diffuso utilizzo del mezzo a due ruote, Ferrara è famosa per i suoi nove chilometri di mura che abbracciano il centro storico a cui si affianca una pista ciclabile. Inoltre, in rapporto alla popolazione, è la città con il maggior numero di piste ciclabili: sono 150 i km di ciclovie, pari a 1,14 m per abitante.
# La gastronomia di qualità della “Corte Estense”: dalla salama da sugo ai cappellacci alla zucca
Cred. casonaaccursio_ristorante IG – Cappellacci alla zucca
Alla Corte Estense non c’era solo arte e architettura, ma anche gastronomia di qualità: il “pasticcio”, una torta ripiena di maccheroni, ragù di carne e besciamella, i cappellacci di zucca, la salama da sugo, un secolare tipo di salsiccia e purè, la “coppia ferrarese” di pane, due crostini ritorti oggi prodotto IGP. A Ferrara venne scritto anche uno dei primi libri di cucina del mondo: “Banchetti composizioni di vivande e apparecchio generale“, edito nel 1549, ad opera di Cristoforo di Messinburgo, chef e cerimoniere, tra i più famosi del Rinascimento.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La seconda ondata dell’influenza spagnola arrivò sul finire della Prima guerra mondiale quando i diversi Paesi stavano cercando di ricostruirsi, dimenticando le sofferenze e gli orrori appena trascorsi. E così trovò terreno fertile, oltre alla poca voglia di combattere nuovamente contro un nemico, questa volta invisibile, ma altrettanto letale. Ma cosa accadde a Milano?
La SPAGNOLA a MILANO: come si comportò la città contro il “nemico invisibile” cento anni fa
# Una normale influenza: ecco come Milano affrontava la Spagnola
Credits: www.wired.it
Gli approcci del Governo e del Sindaco di Milano furono alquanto blandi. Considerando la Spagnola come una normale influenza, forti dei dati della prima ondata passata quasi in sordina, le autorità invitarono i cittadini semplicemente a rispettare le norme igienico sanitarie già seguite per altre pandemie.
Igiene personale, evitare contatti con altre persone se non strettamente necessari, avere un comportamento alimentare sano e, nel caso ci si senta male, mettersi a letto e chiamare il medico.
Sia il Primo Ministro Vittorio Emanuele Orlando che l’allora Sindaco di Milano Emilio Caldara tesero a non spaventare la popolazione, certi che la cosa si risolvesse con danni minimi. Infatti, a metà Ottobre del 1919, la tendenza era ancora quella di minimizzare, usando il pugno di ferro contro colori i quali alimentavano falsi allarmismi.
# Si adottarono rimedi del tempo e non si volle allarmare la popolazione, ma alla fine del 1919 i morti furono 8.000
Credits: www.arcipelagomilano.org
I vari rimedi consigliati, andando nello specifico, riguardavano usi e costumi dei tempi. Si raccomandavano gargarismi con liquidi disinfettanti, si consigliava di non sputare, di non frequentare bar e luoghi pubblici, specie osterie e chiese, e, nell’attesa del medico, di purgarsi per ripulire l’intestino.
A Milano veniva redatto e pubblicato un bollettino giornaliero. Ma questo contrastava con quanto divulgato dalle autorità. Dunque, verso la fine di dicembre, con pareri contrastanti tra Comune e Provincia, si iniziarono a chiudere Teatri e Cinematografi, salvo poi riaprirli con una semplice limitazione nel numero degli spettacoli. E, per evitare che si propagasse la paura tra i cittadini, furono vietati anche i rintocchi delle campane per i morti. Insolitamente, rispetto alle altre pandemie, la Spagnola segnava un alto tasso di mortalità tra i giovani e sani.
Si denunciarono comportamenti poco virtuosi da parte della cittadinanza e il conto di fine anno sarà di oltre 8.000 morti. Ma le restrizioni e i controlli non eviteranno altri decessi: verso l’Aprile del 1920 i morti saliranno a 10.000, un tributo pari a quello dei soldati morti in combattimento.
# I primi rimedi moderni: ecco l’antenata della mascherina
Credits: www.ilrestodelcarlino.it
In tutto questo, venne anche sperimentato l’uso dell’antenata della mascherina. In genere, si trattava di uno straccio, a volte imbevuto in sostanze alcoliche che, in qualche modo, avrebbero disinfettato e tenuto al riparo dal virus chi le indossava. A chi si voleva astenere dall’indossare un panno sulle vie respiratorie, fu spiegato che già in America stavano adottando la stessa misura cautelare senza che vi fossero problemi.
Al Sieroterapico di Milano, dove oggi sorgono l’Istituto Giorgi e il Parco Segantini, si produsse un vaccino distribuito alla popolazione in forma gratuita. Eppure, servì solo in parte a contenere la propagazione e le relative conseguenze della pandemia.
Certamente un ruolo fondamentale fu giocato dallo stato di denutrizione conseguente al conflitto, oltre che dagli ospedali strapieni e dalla scarsa igiene piuttosto generalizzata sia tra la popolazione che nei luoghi solitamente frequentati.
# Concentrarsi più sul ricostruire che sul combattere comportò un costo altissimo in termini di vite
Credits: www.linkiesta.it
L’Italia contò lo stesso numero di decessi sia per la guerra che per la pandemia: oltre 1.200.000 di individui nel totale. Ma nel mondo la Spagnola si portò via oltre 50 milioni di persone su circa 500 milioni di contagiati. Da notare che la Guerra ne aveva portati via 10 milioni, un quinto di quelli che persero la vita per colpa dell’epidemia.
In Italia, come nel mondo, i vari governanti lasciarono che la popolazione si concentrasse nel ricostruire una vita dopo il conflitto piuttosto che creare un’ulteriore sofferenza dovuta a una epidemia. E il costo fu altissimo.
Ma qualcuno trasse guadagno da questa situazione. Un giovane giornalista, che stava iniziando a mettersi in mostra, incitava ad evitare di salutarsi con la stretta di mano, utilizzando il più sicuro “saluto romano”. Un giovane che avrebbe portato l’Italia in un altro baratro. Ma questa è un’altra storia.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La strada per tornare a viaggiare è ancora lunga e potrebbe avere come tappa quella dei Travel pass, dei passaporti sanitari e/o vaccinali che verranno richiesti ai passeggeri.
Il vaccino potrebbe quindi diventare una condizione necessaria per viaggiare, ma cosa
succede per quelle persone che non hanno ancora ricevuto il vaccino anche se vorrebbero?
Ci possono essere queste limitazioni anche se il vaccino non è obbligatorio? La risposta è ancora incerta. Contro tutte le compagnie aeree che pensano alla propria versione del Travel Pass, a guidare la fila dei ribelli è Ryanair, la compagnia irlandese non chiederà infatti ai suoi clienti nessun passaporto sanitario.
Ryanair dice NO ai passaporti vaccinali
#Le nuove discussioni riguardo ai viaggi
Il 17 marzo la commissione europea presenterà un pacchetto con il Pass Verde Covid, che avrà come tema principale i viaggi e la possibilità di una riapertura sicura.
Lo scopo di questo Digital Green Pass è fornire la prova che una persona sia stata
vaccinata, dare i risultati dei test per coloro che ancora non hanno ricevuto il vaccino o
assicurare tutte informazioni necessarie su un’ipotetica guarigione dal Covid-19.
Lo scopo finale è consentire gradualmente ai cittadini di tornare alla normalità, dando la
possibilità di muoversi in sicurezza nell’Ue o all’estero ma c’è un problema.
Rimane ancora sul tavolo l’ipotesi di un passaporto vaccinale destinato a facilitare l’attività di viaggio per chi sia già immunizzato dal Covid.
Ci sarebbero quindi due tipi di passaporti sanitari: uno standard che attesta il tampone
negativo prima di partire, mentre il secondo sarebbe dedicato esclusivamente al vaccino.
Ma si può vietare di viaggiare e mettere come condizione necessaria il vaccino se il fatto di
averlo già ricevuto o meno non dipende totalmente dalle persone?
#Le compagnie aeree a favore
Credit: @qantas
La prima delle compagnie aeree a muoversi verso un passaporto sanitario, già da qualche
mese, è la compagnia l’australiana Qantas.
Il CEO Alan Joyce ha infatti dichiarato che ai passeggeri della linea aerea potrebbe essere
richiesto il certificato di vaccinazione anti COVID-19 prima di salire a bordo.
Non si tratta ancora di una comunicazione ufficiale ma, dato le condizioni sanitarie
nettamente migliori rispetto all’Europa, non è difficile capire perchè vogliano richiedere un
attestato del vaccino prima che i passeggieri salgano a bordo.
A quanto pare saranno molte le compagnie aree ad agire in questo modo.
Alla Qantas si aggiungono infatti la compagnia statunitense Delta, Korean Air e Air New Zealand, che sembrano volersi muovere nella stessa direzione.
Il problema urgente che vogliono risolvere non è come far avere il vaccino alle persone che
devono o vogliono viaggiare (mi appello al diritto del turismo), ma come organizzarsi per fare il formato digitale di questo passaporto cosa che, a parer mio, è a dir poco marginale.
#Ryanair dice no
Credit: @ryanair
La compagnia aerea low cost irlandese si schiera senza mezzi termini contro il passaporto sanitario che l’Unione europea sta varando in queste settimane.
Ryanair non chiederà ai propri passeggeri il passaporto vaccinale perché ciò lederebbe il principio del libero mercato.
Sui voli a corto raggio in Europa della compagnia blu e gialla non verrà quindi richiesta
nessuna certificazione di vaccinazione e sembra che la compagnia si stia impegnando a ridurre o eliminare del tutto le misure di quarantena una volta in cui i vaccini saranno
disponibili in quantità sufficienti a proteggere le persone ad alto rischio.
D’altronde, chi va per un week end in Spagna se deve fare 10 giorni di quarantena?
#Pronti a viaggiare
In attesa di vedere come la decisione di Ryanair andrà a influire sulle scelte dei viaggiatori,
la compagnia ha dato il via a moltissimi nuovi voli per il 2021.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Roberto Bolle, per rispondere all’accaduto, esordisce sui social con un bellissimo “Boh”. Lo scorso 5 marzo, il teatro alla Scala di Milano aveva annunciato che durante i tamponi di controllo quasi 50 persone tra ballerini e membri dello staff erano risultate positive. Oggi, dopo un secondo test Covid, sembrerebbe che per 34 dei 35 ballerini positivi il tampone sia stato negativo. Solo a distanza di 3 giorni!
🛑Il MISTERIOSO FOCOLAIO della SCALA: virus sparito in tre giorni
# Il caso
Credits: @teatroallascala teatro alla Scala
Venerdì 5 marzoil teatro alla Scala di Milano aveva diffuso la notizia che 35 ballerini, 3 membri della direzione del ballo, 3 membri del cast del dittico Kurt Weill (programmato per la diretta streaming su Rai 5 il 18 marzo), 2 sarte e 2 addetti del settore parrucco erano risultati positivi dopo il tampone di controllo settimanale. Tutti asintomatici tranne uno.
La diffusione del virus era stata repentina, tanto che si pensava si trattasse di una variante. Il teatro aveva agito prontamente comunicando la sospensione delle prove di tutti gli spettacoli, ad eccezione dello Stabat Mater di Rossini perché tutti i professori d’orchestra erano negativi, e aveva mandato l’intero corpo di ballo in quarantena. Dopo 3 giorni, la Scala ha fatto fare nuovamente il tampone al suo staff e mistero, 34 dei 35 positivi che hanno rifatto il tampone erano già “guariti”.
# Presunto contagio svanito nel nulla
Credits: @teatroallascala teatro alla Scala
Come può essere successo? Errore umano? Ci sono ancora i tamponi falsi positivi? O è tutta colpa delle varianti? Domande che potrebbero andare avanti fino a non finire, aggiungendosi alle mille che tutti noi ci facciamo da qua ad un anno. Fatto sta che nel giro di 3 giorni il Teatro alla Scala si è trovato da avere l’intero corpo di ballo e l’intero staff ad averne la metà, per poi ritornare ad averli quasi tutti. Ovviamente l’unico risultato positivo è ancora in quarantena e così chi ha avuto contatti stretti con lui, ma la compagnia ha registrato comunque un danno concreto, causato principalmente dall’aver rimandato gli spettacoli.
Dovremo aggiungere anche questo avvenimento agli “strani casi” a cui il Covid ci fa assistere.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Anche in tempo di pandemia, l’appuntamento è fisso: ogni domenica in Viale Molise, tra i civici 62 e 46, spuntano bancarelle con oggetti e mercanzia di cui non si sa quale sia la fattura e la provenienza. Il mercatino dell’illegalità.
Il mercatino dell’ILLEGALITÀ: in vendita la MERCE RUBATA di Milano
Ogni strada, un’etnia. E così, ogni domenica, nonostante l’emergenza sanitaria, i cittadini del quartiere Molise, sono “prigionieri” di un enorme Suk: un mercatino “del rubato” che, dalle 7 alle 15, vede le strade invase da bancarelle improvvisate su pezzi di cartone, sporcizia e degrado.
La maggior parte degli oggetti in vendita pare arrivino da furti in appartamenti o borseggi, recuperati dalle discariche e ancora, oggetti falsi, contraffatti, pericolosi, venduti senza preoccuparsi del cliente finale. Oggetti, che se venduti su una bancarella regolare, il proprietario rischierebbe sequestro e chiusura della sua attività.
# Il mercatino itinerante: l’ultima tappa
Il Suk dell’illegalità già noto alle cronache, per eludere i continui sgomberi, si è spostato più volte: da San Donato M.se a Piazzale Cuoco/Viale Puglie e in Viale Molise. Come già detto, tanti sono stati gli interventi delle forze dell’ordine per allontanare gli abusivi dal quartiere e nonostante questo, sono sempre tornati.
La situazione durante il lockdown era molto migliorata, ma con l’arrivo della zona gialla gli ambulanti si erano riappropriati delle strade del quartiere e, ancora peggio, nonostante ora la Lombardia sia ora in zona arancione rinforzato, la situazione è tornata quella di prima: assembramenti, nessun presidio e zero tutela degli abitanti regolari della zona.
# La denuncia dello “sceriffo” De Corato
Domenica 7 marzo, il consigliere comunicale De Corato, ha documentato personalmente quanto succede in questa realtà e ha dichiarato: “Dopo la tregua di domenica scorsa, questa mattina gli ambulanti abusivi sono tornati nella zona dei mercatini di viale Puglie-Piazzale Cuoco – viale Molise. Le forze dell’ordine sono intervenute, ma il risultato è stato soltanto di allontanare gli ambulanti temporaneamente che sono poi ritornati o si sono posizionati più in là con la loro mercanzia di dubbia provenienza. Ribadisco che c’è un unico modo per impedire questo scempio: le forze dell’ordine devono presidiare gli ingressi alla zona impedendo l’accesso agli ambulanti fin dal primo mattino, come stiamo chiedendo da mesi e come ho ribadito nel mio intervento in consiglio comunale a fine gennaio. Domenica scorsa è stato fatto, perché oggi no? Bisogna inoltre sequestrare la merce di questi ambulanti, non semplicemente invitarli ad allontanarsi!”.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Continua la rubrica dei posti più belli da vedere fuoriporta per quando si potrà andare a vedere qualcosa fuori dalla porta. Continuate a leggere per scoprire 10 magnifici posti nelle Dolomiti che non potete lasciarvi sfuggire.
I 10 PANORAMI delle Dolomiti che non si possono perdere
Chiunque conosce le Dolomiti. Per sentito dire, per esperienza diretta, per aver visto delle foto, disegni, o anche solo per averle studiate a scuola come “un insieme di gruppi montuosi delle Alpi Orientali italiane, a sud della catena principale alpina, quasi interamente comprese nelle regioni di Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia” (fonte: Wikipedia—ma sul mio sussidiario delle medie avrei trovato la stessa definizione).
Forse però, non tutti sanno che sono ben 141.903 gli ettari di territorio iscritti nella World Heritage List dell’UNESCO, e che, sparse per le cinque province che toccano (Bolzano, Trento, Belluno, Pordenone, e Udine) si ergono 18 vette alte più di 3000 metri. Non a caso, il famoso architetto Le Corbusier le definì “la più bella opera architettonica del mondo”.
Se avete letto qualche altro mio articolo, avrete notato che mi piace stilare elenchi di posti che non posso andare a vedere. Non per il momento, perlomeno. E così, tra labirinti e monasteri, vi ho guidato tra i panorami del Nordest. In questo articolo non cambierò rotta: oggi vi porto a scoprire un paradiso pallido, dove i tramonti sono più rossi che in ogni altro posto. 10 posti delle Dolomiti da vedere assolutamente.
#1 Monte Seceda
In Val Gardena, sopra il comune di Ortisei, si trova il Monte Seceda. Alto ben 2500 metri, dalla cima si gode di una spettacolare vista su tutta la valle e sulle formazioni rocciose dei dintorni. Per raggiungere la vetta ci sono due modi: utilizzando l’impianto di risalita direttamente da Ortisei o, per i più avventurosi, a piedi, percorrendo i sentieri che da Selva di Val Gardena conducono direttamente alla cima del Monte Seceda, passando per rifugi e piccole località montane.
#2 Lago di Braies
Credits: @lago_di_braies (IG)
Si, lo so. Ne abbiamo già parlato, ma il lago di Braies merita davvero di esser visto. Ricapitolando, il lago si trova incorniciato dallo splendido sottogruppo delle Dolomiti di Braies, di cui è possibile ammirarne il riflesso nelle acque verdi del lago. Uno spettacolo che vale la pena vedere. Una curiosità: sapevate che il lago di Braies è stato il magnifico set naturale della serie “Un passo dal cielo“ con Terence Hill? Nella serie televisiva il lago si chiama Lago di San Candido, che però nella realtà, non esiste.
#3 Tre cime di Lavaredo
Se cercate foto online delle Dolomiti, sappiate che più della metà raffigura loro, le tre cime di Lavaredo. Simbolo infatti del complesso dolomitico, si trovano al confine tra le province di Belluno e Bolzano, seguendo la stessa linea di confine tracciata nel 1752 tra il Sacro Romani Impero e la Serenissima. Per raggiungerle, ci sono moltissimi percorsi disponibili, e lungo il cammino potrete ammirare la magia di queste incredibili formazioni rocciose, che assumono tonalità che vanno dal grigio pallido fino al rosso infuocato in tutte le loro sfumature.
#4 Massiccio del Sassolungo
Il massiccio del Sassolungo si chiama così per via del profilo della montagna, leggermente allungata. Quando ve lo troverete di fronte, sappiate che una volta era una barriera corallina. Partendo dal passo Sella si cammina—o si prende la funivia—fino alla forcella Sassolungo da cui si diramano tanti sentieri escursionistici. Camminando per il massiccio, i colori che vanno dal bianco ghiaccio al rosso fuoco del tramonto riflesso sulle rocce vi conquisteranno. Ma attenzione a non disturbare il gigante che si dice sia seppellito lì sotto: i pinnacoli delle “Cinque Dita” sembrano essere l’unica parte del suo corpo ancora visibile!
#5 Alpe di Siusi
Nel comune di Castelrotto in Trentino Alto Adige, l’Alpe di Siusi è un altopiano dolomitico che si estende per 52 km² tra Val Gardena, Sassolungo, e massiccio dello Scillar. Dall’alpe si può godere di una vista panoramica a 360°, e attraverso uno scenario morbido fatto di ruscelli, boschetti e piccole valli, si possono ammirare praticamente i più importanti complessi montuosi delle Dolomiti. Lo spettacolo è davvero imperdibile.
#6 Passo Gardena
Se siete amanti degli sport montani, non potete non fare tappa a Passo Gardena. Questo passaggio montano è infatti l’ideale per chi ama arrampicarsi, ma non solo: ciclismo, motociclismo, trekking, o sci alpino sono solo alcune delle attività possibili in questo valico tra la Val Gardena e Val Badia. E se vi piace la storia, eccovi un altro motivo per inserire Passo Gardena nella vostra lista di posti da vedere: pare che la zona infatti fosse abitata già in epoca preistorica. Tra le terre del valico sono infatti stati rinvenuti attrezzi da caccia e reperti risalenti al Neolitico, i più antichi di tutte le Dolomiti.
#7 Val di Funes
Dolci colline profumate, verdi pendii adorni di vigneti, e pascoli incantati: non è l’inizio di una favola bensì quello che vedreste se andaste in Val di Funes, una delle più belle delle Dolomiti. La valle si dirama tra Bressanone e Chiusa, e da Chiusa fino all’ultimo centro abitato più a est, Santa Maddalena. Per arrivare nella valle si attraversano magnifici tratti di pareti di porfido e filati quarzifere. Anche qui, sono stati rinvenuti reperti direttamente dall’età della pietra.
#8 Chiesetta di San Giovanni in Ranui
Se andrete a visitare la Val di Funes e scatterete delle foto, molto probabilmente vi ritroverete con più di una fotografia di una piccola e deliziosa chiesetta che spicca deliziosamente trai prati della verdissima valle circostante. Si tratta della chiesetta di San Giovanni in Ranui, nel cuore dello splendido paesaggio alpino dolomitico, che sembra essere senza dubbio uno dei soggetti più fotografati delle Dolomiti. Non è difficile innamorarsi della piccola cappella barocca—dedicata a San Giovanni—che, con il suo campanile con una cupola a forma di cipolla fatta tutta in rame, si protende fiero verso le cime del Gruppo delle Odle.
#9 Lago di Sorapis
Credits: @umbertoaiti
Se non si fosse ancora capito, mi piacciono i laghi. E quindi ne ho ancora due da suggerirvi per le prossime due tappe di questo viaggio. Questa ci porta al lago di Sorapis che, con le sue acque turchesi sembra l’illustrazione di una fiaba, si trova tra Misurina e Cortina d’Ampezzo. Raggiungerlo vi porterà lungo una camminata di due ore che va da Passo Tre Croci, punto di partenza, al lago, 1923 metri di quota. Una leggenda narra che il lago nacque dalle lacrime del Re Sorapis—trasformatosi in montagna—alla vista della morte della figlia Misurina, caduta giù dalla vetta.
#10 Lago di Carezza
L’ultima tappa di questo itinerario si trova tra le Dolomiti occidentali, ed è chiamato “Lago Arcobaleno” per i fenomenali e unici colori che assume, il lago di Carezza è un gioiello della natura da non perdere. Le acque del lago acquistano un colore che va dal verde intenso al blu cobalto, passando per giallo, rosso, azzurro, viola. I colori dell’arcobaleno, appunto. Un’altra particolarità del lago riguarda la sua natura. Il lago di Carezza, infatti, non ha fiumi emissari che lo alimentino, e l’acqua arriva da fonti sotterranee, che hanno origine dal vicino massiccio del Latemar.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A nord si allunga fino alle Terme di Caracalla, nei pressi delle Mure Aureliane, mentre a sud si spinge fino ai Colli Albani e ai Castelli Romani. Ecco quanto è esteso e quali meraviglie naturali e archeologiche sono conservate al suo interno.
Il PARCO URBANO più GRANDE d’Europa è a Roma
# Il Parco Regionale dell’Appia Antica si estende per 4.850 ettari, oltre 7,5 volte il Parco Nord di Milano
Il Parco Regionale dell’Appia Antica, istituito dalla Regione Lazio nel 1988 tra i comuni di Roma, Ciampino e Marino, è il più grande parco urbano d’Europa. Con l’ultimo ampliamento del 2018 la sua superficie si è estesa fino a 4.850 ettari. Per fare un raffronto il Parco Nord di Milano, il più grande del capoluogo lombardo, misura 640 ettari quindi oltre 7,5 volte di meno.
È un‘area naturale protetta che dal centro città si spinge fino ai Colli Albani e dal punto di vista storico, archeologico e paesaggistico è il più rilevante residuo rimasto dell’Agro Romano.
# I suoi confini spaziano dalle Terme di Caracalla ai Castelli Romani
Il confine nord del parco è delimitato dalle Mura aureliane, allungandosi nelle immediate vicinanze delle Terme di Caracalla, quello est dai quartieri Appio-Latino e Appio Claudio e la via Appia Nuova.
Credits: stefano_savioli_photographer IG – Mura aureliane Porta di San Sebastiano
A sud il parco arriva ai confini delle frazioni del Comune di Marino, Frattocchie e Santa Maria delle Mole nei pressi dei Colli Albani e dei Castelli Romani, mentre a ovest il limite è stabilito dalla via Ardeatina e dalla linea ferroviaria Roma-Cassino-Napoli.
# Una meraviglia tra natura e archeologia dell’Impero Romano
Credits: william_frezzotti IG – Parco degli Acquedotti
Al suo interno transita la via Appia antica per oltre 16 km e sono presenti parchi e aree archeologiche di valore inestimabile: la valle della Caffarella, l’area archeologica della via Latina e quella degli Acquedotti, il cui nome deriva dalla presenza in elevato e nel sottosuolo di 7 acquedotti romani e papali, la tenuta di Tormarancia, la tenuta Farnesiana e verso sud le aree del Divino Amore, Falcognana e Mugilla.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Sempre che si voglia catalogare come Governo Tecnico quello presieduto da Mario Draghi, andiamo a scoprire quali altri precedenti governi furono formati prevalentemente da professionisti anziché politici.
Il POKER di GOVERNI tecnici che hanno preceduto Draghi
# Il primo Governo a matrice tecnica
Credit: it.wikipedia.org Pella
Il primo Governo ad essere definito tale anche se, in realtà, annoverava tutte persone che avevano fatto della politica un mestiere, fu il Governo Pella nel 1953.
Instauratosi a Palazzo Chigi su proposta dell’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, ha lo scopo di fare approvare la legge di Bilancio. Dopo soli 155 giorni Pella rassegnerà le dimissioni al Capo dello Stato cedendo il posto ad Amintore Fanfani che formerà una compagine totalmente democristiana.
Pella sarà comunque il precursore dei tre governi tecnici che avranno vita nella storia repubblicana in quanto i vari ministri saranno tutte persone che, pur appartenendo a schieramenti politici, avranno una chiara estrazione tecnica.
# Un economista per uscire dal pantano di Tangentopoli
Credits: ilsole24ore.com Ciampi
Dobbiamo arrivare al 1993 quando il Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, sarà chiamato da Oscar Luigi Scalfaro a sostituire Giuliano Amato (soprannominato Dottor Sottile o Topolino dalle varie fazioni politiche) in quanto reggeva una squadra di governo che con Tangentopoli subirà numerose defezioni.
In un momento di grande difficoltà serve una persona carismatica, credibile e al di sopra dei colori politici, che possa sedere a Palazzo Chigi e navigare nelle tempestose acque di quel periodo.
Da fine Aprile 1993 al 13 Gennaio 1994, appena dopo aver approvato la nuova legge elettorale che per tutti sarà la Mattarellum, Ciampi impone il suo passo grazie a una compagine mista di politici e tecnici tra i quali ricordiamo Spaventa e Gallo.
# Un tecnico che cederà alle lusinghe della politica
Credit: @sergiobinelli Dini
Sempre Scalfaro, nel 1995, chiamerà Lamberto Dini che dovrà prendere il posto di Silvio Berlusconi. Dal Gennaio del 1995 al Maggio del ’96 Dini terrà insieme un governo a chiaro indirizzo tecnico nel quale si incaricherà di dirigere anche il ministero del Tesoro.
Franco Frattini e Susanna Agnelli, ufficialmente parlamentare di professione ma donna di grande credibilità all’estero al punto di essere investita proprio nel ministero degli Affari Esteri, saranno gli unici due di chiara matrice politica presenti nell’esecutivo. Tutti gli altri arriveranno invece dal mondo accademico e lavorativo.
Con le dimissioni di Dini arriverà a Palazzo Chigi il Professor Prodi. Dini finita l’esperienza di Presidente del Consiglio fonderà un suo movimento politico.
# Un professionista ex Rettore della Bocconi per salvare l’economia italiana
Credit: fanpage.it Monti
Si arriva quindi al 2011, quando sotto la presidenza di Giorgio Napolitano, viene incaricato il neo Senatore a vita Mario Monti a tornare in governo dopo l’ennesima caduta di un governo guidato da Berlusconi.
Sotto la sua guida si avranno numerosi cambi di passo, tra tutti la Riforma Fornero fermamente voluta dalla accademica Elsa Maria Fornero, tutt’oggi in grande discussione e fortemente criticata da molte forze politiche.
Il 28 Aprile 2013 con la fine del Governo Monti non si avranno più esecutivi tecnici. Il chiaro indirizzo verso una politica di austerità rimarrà sempre a etichettare questo governo.
Tutt’oggi alcune soluzioni trovano una vasta platea di contestatori mentre hanno ricevuto grandi elogi dagli allora poteri esteri.
Con Monti ci si trova davanti ad una squadra prettamente politica ma guidata da un grandissimo professionista che con il suo contributo e il suo carisma, oltre alla indiscussa credibilità ricevuta dall’estero, dà una connotazione tecnica di prim’ordine.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
In Italia c’è una élite culturale che dice di essere aperta e tollerante, in realtà odia il popolo, non vuole lasciare alcuna autonomia di pensiero alle persone perché le considera inferiori.
Processo all’élite
C’è un razzismo classista fortissimo, mascherato di ipocrisia. L’élite considera il popolo come dei bambini incapaci di intendere e di volere. In realtà l’appartenenza a una classe elitaria non è il passaporto per gli eletti che decidono sul bene e il male di una nazione. E non lo è neanche il fatto di essere degli intellettuali o delle persone di cultura cosiddetta superiore.
Avere cultura non è dimostrazione di intelligenza. Spesso le persone erudite sono le più dogmatiche, settarie e conformiste. Mentre la gente apparentemente più umile ha spesso un atteggiamento più socratico verso gli altri e spesso è più intelligente e più tollerante nei confronti della vita. Ed è quindi sbagliato considerarla volgo ignorante.
L’élite che si autoproclama guida del paese è in realtà il principale ostacolo allo sviluppo di una società più adulta, più libera e più equa.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Credits: JHU CSSE COVID-19 Data - Decessi Italia al 7 febbraio
L’indice di mortalità di fine Febbraio è inferiore di 1 punto rispetto alla media annuale per il periodo, fatto che non si verifica da 4 anni. Buoni anche i dati sul trend dei morti Covid: in costante calo da novembre, si sono ridotti di 5 volte rispetto al picco dello scorso autunno. Perché quindi si ipotizza un nuovo lockdown nazionale?
Mai così POCHI MORTI in FEBBRAIO DA ANNI. Ma l’ITALIA CHIUDE lo stesso
# A fine Febbraio 2021 l’indice di mortalità eccessiva è quasi 1 punto sotto la media annuale del periodo. Una situazione che non si verificava da anni
Credits: affaritaliani.it
Nel mese di febbraioil nostro Paese ha registrato il numero di decessi più basso degli ultimi 4 anni. Non si parla di decessi riferibili solo al Covid, ma di mortalità complessiva, che risulta a livelli bassi sia Europa che in Italia. Come scrivono Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su affaritaliani.it, i dati settimanali dell’Osservatorio Europeo sulla Mortalità riportano che “i valori dell’indice di mortalità eccessiva per l’ultima settimana di Febbraio è sceso a -0,9, in un mese in cui a causa delle polmoniti invernali non è mai successo che fosse sotto la media annuale.”
Tralasciando il fatto che è improbabile che siano spariti i decessi per tumori, ictus, infarti o altre malattie e che quindi quasi tutti siano stati “indirettamente catalogati ora come Covid decessi avvenuti in realtà per altre patologie”, in Italia si sta assistendo a un calo del numero dei morti in un periodo in cui solitamente l’indice di mortalità è superiore alla media annuale.
# I decessi riconducibili al Covid in calo costante in Italia, dai quasi 1.000 del 3 dicembre ai 207 del 7 marzo. In Lombardia situazione speculare, nel mondo calo del 50% in un mese
Curva decessi Italia
Dall’ultimo picco di 993 decessi il 3 dicembre 2020 la curva è in calo costante e sta proseguendo la discesa, ieri 7 marzo sono stati 207 i morti registrati, quindi quasi 5 volte di meno dell’ultimo mese dello scorso anno.
Decessi Lombardia Covid
Osservando i dati della Lombardia la situazione è speculare. Infatti il 3 dicembre si è registrata la punta più alta di decessi con 347 e una media settimanale di 202, ieri 7 marzo33 decessi con una media settimanale scesa di quattro volte a 54. Questi dati non sono serviti a evitare le restrizioni da zona “arancione rinforzato”.
Credits: worldometers.info – Decessi mondo Covid
A livello globale invece, dal picco di 14.411 decessi del 28 gennaio si è arrivati a 8.715 di ieri 7 marzo, un calo netto di quasi il 50% in un solo mese.
Ritornando al contesto italiano, certificato quindi che i decessi riconducibili al Covid sono in calo costante da tre mesi e quelli complessivi sono ugualmente in calo da settimane, in un periodo in cui dovrebbero aumentare, risulta di difficile comprensione il motivo che starebbe spingendo il governo verso un nuovo lockdown su tutto il territorio nazionale.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Se in Italia i no-mask sono considerati complottisti e cospiratori, in Svezia accade esattamente il contrario. Nella terra nordica, conosciuta ormai per la sua politica liberale e anti-restrizioni, sono i pro-mask ad essere etichettati come un pericolo per la democrazia. Una realtà rovesciata rispetto alle nostre politiche precauzionali e restrittive. Non solo la Svezia: anche in altri paesi cresce chi contesta le mascherine e il loro “effetto depressivo”. Vediamo cosa sta succedendo.
Il mondo alla rovescia: in SVEZIA, pro-mask considerati anti-democratici
# I paesi nordici: una realtà diversa senza mascherine e poche limitazioni
credits. europa.today.it
La Svezia fin dall’inizio della Pandemia è stata esempio di una politica diversa e controcorrente. Senza mai ricorrere al lockdown e a nessuna restrizione estrema, il Paese scandinavo ha preso una via diversa anche nei confronti delle mascherine, indossarle è infatti facoltativo.
La Svezia non è però stata l’unica ad adottare politiche “blande”, anche Norvegia, Finlandia e Danimarca fanno parte di quel gruppo di Stati che hanno evitato le restrizioni più severe. In questi Paesi, un controllo capillare dei contagi e isolamenti mirati hanno permesso di vivere una vita quasi normale limitandosi a restrizioni molto soft. La Norvegia, per esempio, limita l’obbligo di mascherina nei luoghi pubblici chiusi dove non è possibile adottare il distanziamento.
# In Svizzera si sollevano proteste contro le mascherine: “non servono e deprimono”
Anche in Svizzera, nostra vicina di casa, le mascherine non sono ben accolte, uno dei dirigenti di una catena di supermercati ha annunciato che a partire dall’estate 2021 sarà sconsigliato ai clienti di indossare la mascherina sostenendo che la libertà non debba essere sacrificata in favore della salute. Questo perchè tra i dipendenti sembrerebbero essere aumentate le malattie psicologiche e depressive, hanno perciò bisogno che “i clienti mostrino la propria faccia e il proprio sorriso”.
Questa differente percezione può essere collegata al distinto racconto che i media e i Governi dei diversi Paesi hanno seguito. Nei Paesi del Nord Europa non c’è mai stato quel clima emergenziale che, al contrario, ha caratterizzato l’Italia.
# Il gruppo pro-mask che critica le scelte del Governo
credits. europa.today.it
La realtà nordica è talmente diversa dalla nostra che chi supporta l’uso della mascherina viene additato come rivoluzionario e percepito come un pericolo per la democrazia e la libertà.
Infatti, il Mewas, un gruppo Facebook fino a qualche mese fa sconosciuto, è diventato il protagonista di un’inchiesta di Radio Sweden ed ora è al centro di un grande dibattito che ha oltrepassato i confini nazionali. Tutto comincia con la sua creazione all’inizio della pandemia, nell’aprile 2020, in Svezia ed è composto da circa 200 persone tra cui ricercatori e accademici, per lo più stranieri che vivono nel Paese. Il Mewas, Media Watchdogs of Swedencioè i Cani da guardia dei Media Svedesi,come si può facilmente intuire, ha lo scopo di verificare le notizie legate al Virus che circolano sui media nazionali e commentare le scelte politiche svedesi volte a combattere il Covid-19.
Il gruppo critica la strategia dell’immunità di gregge, il provvedimento che obbliga gli studenti sotto i 16 anni ad andare fisicamente a scuola, contesta al governo di non aver imposto l’obbligo delle mascherine e fa notare come sul sito dell’Agenzia per la Salute Pubblica, si affermi che il Virus non si trasmette per via aerea. Insomma, critica tutti quei temi che siamo abituati ad associare ai negazionisti.
# L’inchiesta: il gruppo è un pericolo e una minaccia alla democrazia?
credits: corriere.it
Un’inviata dell’emittente svedese si è infiltrata nel gruppo con l’intento di dimostrare come questo fosse pericoloso e diffondesse un’immagine errata della Svezia. Entrando nel merito dei contenuti condivisi non sembra esserci nessun complottismo, al massimo qualche tono un po’ acceso. Ciò che ha richiamato di più l’attenzione è stato un commento scritto dal fondatore del Mewas, Keith Begg, sul proprio profilo Twitter, che paragonava la strategia svedese all’eugenetica nazista. L’epidemiologa Emma Frans, chiamata a commentare l’inchiesta, ha scritto riguardo al Mewas che “Gruppi come questo sono una minaccia per la democrazia”. Il suo commento è tra l’altro stato poi ripostato dall’account ufficiale della Sanità Pubblica.
Dopo questa gogna mediatica, molti membri del gruppo Facebook si sentono in pericolo e affermano di ricevere diverse minacce, tanto che il fondatore ha deciso di lasciare il Paese e tornare in Irlanda. Il Mewas viene infatti scambiato da molti per un partito di “altri europei” che abitano in Svezia e che si oppongono alle politiche del governo, una minaccia quindi alla libertà individuale e al Paese.
# Dati e politiche a confronto
Oggi non si può ancora dire quale strategia d’azione sia davvero efficace e vincente contro il Virus, ci limiteremo quindi a riportare qualche dato. La Svezia conta circa 13mila morti, 127 ogni 100mila abitanti, la Danimarca 40,97 morti per 100mila abitanti, la Norvegia 12 morti per 100mila abitanti, mentre l’Italia ne ha 163,78 ogni 100mila abitanti.
Che sia quindi possibile una linea politica diversa da quella restrittiva che paesi come l’Italia stanno adottando?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La “crisi della casa” a Milano prosegue da anni ed è stata ulteriormente accentuata dalla pandemia. La buona notizia? Potrebbe essere risolta in modo relativamente semplice.
La “CRISI della CASA” può essere RISOLTA? Oltre 10.000 case POPOLARI VUOTE a MILANO
Nel territorio milanese sono circa 16.000 le famiglie in attesa di un appartamento, di cui sono ben 10/12 mila quelle davvero in crisi. La cifra fa rabbrividire e la situazione diventa ancor più raccapricciante se si considera che al momento sono circa 10.000 gli alloggi Aler e Mm totalmente vuoti. La “crisi della casa” milanese sarebbe dunque risolta se questi appartamenti venissero utilizzati, perché ciò non avviene?
# 10.000 appartamenti vuoti tra sfitti e inagibili
credit: milano.corriere.it
Prima di capire il perché gli alloggi non vengano utilizzati occorre specificare che non sono tutti pronti all’uso: di questi 10.000, ben 3.000 sono ad oggi inagibili ma restano comunque oltre 7.000 le case sfitte. Considerando che il patrimonio di edilizia pubblica milanese è il più esteso d’Italia e conta circa 58.000 case di proprietà dell’Aler e di Mm, che gestisce le case per conto del Comune, 10.000 abitazioni vuote non sono poche.
# Ma non solo: sono oltre 5.000 gli alloggi che andrebbero liberati
credit: masterx.iulm.it
E se già con questi 10.000 appartamenti si potrebbe quasi annullare la “crisi della casa” in città, non è finita qui. Si aggiungono a questa cifra anche 400 abitazioni su cui pende ad oggi un “decreto di rilascio” che è esecutivo sin dal momento della firma. Cosa significa? Che sono case da liberare. Non per abusivismo come si potrebbe pensare. Gli inquilini, inizialmente regolari, hanno perso il diritto ad abitarci per varie illegalità: subaffitti, alloggi lasciati vuoti per oltre 6 mesi (magari perché si ha una casa altrove), subentri o ospitalità non dichiarati, abitazioni utilizzate per spaccio o prostituzione. Inoltre sono circa 5.000 gli alloggi che dovrebbero essere liberati per “decadenza economica”, poiché i proprietari nel tempo hanno aumentato di molto il loro reddito e in parole povere: non ne hanno più bisogno né diritto (la soglia Isee per poter accedere all’edilizia popolare è di 35 mila euro). Nonostante i decreti siano chiari a livello teorico, spesso a livello pratico vengono ignorati e non rispettati.
# L’abusivismo è un capro espiatorio? Assegnazioni rallentate per problemi amministrativi ed economici… ma non solo
credit: difesapopolo.it
Dunque non esiste solo il problema dell’occupazione abusiva? Assolutamente no. In confronto alle casistiche elencate sopra, gli alloggi abusivi appaiono davvero come un problema marginale. La politica ha influenzato per anni l’opinione pubblica, affermando che la lenta assegnazione delle case popolari era fortemente influenzata dall’abusivismo, quando ad oggi sappiamo che sono circa 3.000 gli alloggi abusivi e nonostante sia di fondamentale importanza far rispettare le leggi, gli oltre 15.000 appartamenti fantasma risolverebbero di gran lunga l’emergenza abitativa. Un dirigente pubblico che segue da anni la questione case infatti è dubbioso, si chiede: “Perché si guarda così tanto agli abusivi? Case vuote da ristrutturare e assegnare ne abbiamo migliaia. […] Da anni stiamo insinuando nelle famiglie il dubbio che le case mancano perché sono occupate da abusivi. Non è vero. Migliaia di alloggi restano sfitti. Affondano nelle sabbie mobili“.
Nel biennio 2018/2019 le abitazioni assegnate dal Comune sono state 1.344 e ancor meno sono quelle assegnate dall’Aler: solo 1.160. Indubbiamente ci sono dei problemi amministrativi e gestionali che rallentano le assegnazioni ma è lo stesso dirigente di Aler a sottolineare come non siano questi gli unici ostacoli: “Sono le sabbie mobili amministrative, mescolate alle difficoltà economiche, gravate da problemi antichi, impastate da interessi politici“, interessi politici che da anni utilizzano l’abusivismo come capro espiatorio per affossare i loro interessi. Infatti, i quartieri popolari assicurano moltissimi voti durante le elezioni e alterarne gli equilibri può essere una mossa azzardata e sconveniente.
Il problema ad oggi persiste e riutilizzare le case ancora vuote o da liberare permetterebbe di risolvere due questioni: la crisi abitativa ulteriormente peggiorata dalla pandemia, e la continua costruzione di nuovi edifici quando moltissimi risultano inutilizzati. In Giappone è molto diffusa la pratica del Kintsugi – letteralmente “riparare con l’oro” in cui oggetti di ceramica rotti vengono riparati e impreziositi da oro e argento liquido. Dovremmo prendere esempio da questa concezione orientale secondo cui tutto può essere riutilizzato, e dare nuova vita alle vecchie e inutilizzate abitazioni popolari.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
L’integrazione della comunità dei filippini a Roma passa attraverso il comune amore per il ciclismo
Sotto al caschetto da ciclista non conta più di che colore hai la pelle o che forma hanno i tuoi occhi. Quando sei in strada e il vento rema contro i muscoli gonfi di sangue e sudore, mentre a ogni pedalata senti che il corpo diventa un tutt’uno con la bicicletta, non ci sono lingue, fedi, colori che tengano. Sei un ciclista che sfida se stesso!
Con il ciclismo Roma abbatte le distanze fra filippini e italiani
Nilo al centro con il suo gruppo di ciclisti filippini
#I filippini appassionati di ciclismo
Oggi a Roma la comunità degli appassionati di ciclismo e cicloturismo si è arricchita di un numero notevole di sportivi originari delle Filippine. Sempre più spesso capita di vederli sfrecciare la domenica in piccoli gruppi lungo le piste ciclabili o sulle consolari che fanno il giro dei castelli romani o del litorale. Colorati, sorridenti, quando si fermano ai chioschi lungo le ciclabili per un caffè, li senti ridere e scherzare nella loro lingua o in inglese e a volte in quell’italiano diventato oggetto di gag umoristiche da parte di comici che fanno su questa comunità una satira affettuosa.
#La storia di Nilo, marito, padre, ciclista felice
Nilo è uno di loro e questa domenica piovosa non lo ha fermato dall’infocare la bici e dal percorrere la strada che dall’Eur porta a Ostia, in attesa che il sindaco realizzi la tanto promessa pista ciclabile. Nella sua maglia giallo neon, Nilo, un uomo dall’aspetto gentile e forte, ci racconta di essere arrivato in Italia 20 anni fa per raggiungere la moglie, partita prima di lui. Ora lavora in Prati, ha mandato un figlio a studiare in America e ha fondato un gruppo di amanti del ciclismo che riunisce un centinaio di filippini a Roma.
#Dal basket alla bicicletta
“All’inizio praticavamo la pallacanestro – racconta – negli oratori delle Chiese, ma quando abbiamo dovuto iniziare ad affittare i campi, questo sport è diventato costoso e così piano piano e a malincuore abbiamo cercato delle alternative”. Il basket è considerato dai Filippini il loro sport nazionale, un po’ come il calcio per gli italiani. Ma di necessità virtù e così una decina di anni fa Nilo e alcuni suoi conoscenti si sono comprati la bicicletta. “Un investimento iniziale – spiega – ma una volta che c’è, resta con te per sempre”. Da allora fra i filippini di Roma, circa 38.000 secondo i dati Istat del 2019, è stato tutto un passaparola e oggi a inforcare la bici il giovedì pomeriggio e la domenica sono in più di qualche migliaio.
#La bicicletta ci aiuta ad integrarci
“Questo sport ci ricarica le batterie – spiega un ragazzo che è nel gruppo di Nilo”. Ma non solo, “la bicicletta – ammette Nilo – ci fa sentire parte di una comunità più vasta della nostra, ci sta aiutando ad integrarci”.
#Se i pedoni si ignorano, gli automibilisti si insultano, i ciclisti…..
Non c’è tempo per altre risposte, il gruppo di ciclisti filippini in sosta al chiosco sulla Via del Mare di Ostia si sta facendo sempre più numeroso e sotto un cielo plumbeo e gonfio di pioggia è già tempo per loro di rimontare in sella e sfrecciare verso la capitale, che domani è lunedì e si torna al lavoro. E per dirla con le parole di Jacques Goddet, fu patron del Tour de France, “Se i pedoni si ignorano, se gli automobilisti si insultano, i ciclisti si sorridono, si salutano e si uniscono”.
FRANCESCA SPINOLA
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Ci stiamo già lasciando alle spalle una penosa stagione sciistica che, per cause che tutti conosciamo, non è mai partita, e ormai non partirà più. Nonostante ciò, da qualche settimana è partita una rivoluzione che riguarda la mobilità ecosostenibile in montagna: è entrato infatti in funzione a fine dicembre 2020, accanto alla pista Gran Risa dove si sono tenute le due gare di Coppa del mondo di sci, il primo gatto delle nevi alimentato a idrogeno, 100% green.
Sulle montagne dell’Alto Adige il primo GATTO delle nevi a IDROGENO del mondo
Ci troviamo nelle piste dell’Alto Adige, più precisamente in Val Badia: a sviluppare il progetto è stata la Prinoth, azienda di Vipiteno specializzata nella produzione di gatti delle nevi.
Credits: @valbadiachepassione Scorcio dell’Alta Val Badia
# Lo spirito pionieristico di PRINOTH
Dal lavoro degli ingegneri di Prinoth è infatti nato il Leitwolf h2Motion, primo gatto delle nevi al mondo con motore 100% ecologico alimentato a idrogeno, insieme con l’Husky eMotion interamente elettrico: due soluzioni che guardano alla eco-sostenibilità dei comprensori sciistici.
# Leitwolf: la scheda tecnica
Credits: prinoth.com Il LEITWOLF h2MOTION
Motore: Il Leitwolf h2M ha una potenza di 544 cavalli (400 kW): offre prestazioni superiori a quelle dei seppur moderni motori a gasolio usati dalle versioni “classiche” di questo macchinario
Alimentazione: Il motore elettrico è alimentato a celle a combustibile a idrogeno
Autonomia: fino a 4 ore
Tempi di rifornimento: 20 minuti, con idrogeno a pressione di 700 bar
Il progetto Leitwolf è stato concepito in poco più di dieci mesi. Un gruppo di tecnici e ingegneri ha sviluppato e costruito il prototipo di gatto delle nevi a idrogeno che sarà sulle piste fra tre o quattro anni. Lo sviluppo gode però di fondamenta profonde e solide: già tra il 2003 e 2006, con una piccola turbina eolica, Prinoth ha iniziato a sperimentare la produzione di idrogeno per elettrolisi (scindendo per cui l’acqua nei suoi due elementi). L’obiettivo è quello di produrre con energie rinnovabili e con l’idroelettrico. D’altronde sono molte le stazioni sciistiche che hanno piccole centrali idroelettriche: potrebbero sfruttare l’energia prodotta di notte per ottenere idrogeno.
# Husky eMotion: La Scheda Tecnica
Credits: prinoth.com Husk eMotion, completamente elettrico
Motore: Husky eMotion ha un motore elettrico con 270 CV (200 kW)
Alimentazione: Il motore elettrico è alimentato da una batteria da 190 KwH
Autonomia: fino a 3 ore
# Emissioni zero, piste perfette
E’ questo lo slogan dell’azienda Prinoth. E così parla Anton Seeber, presidente del consiglio di amministrazione del Gruppo Hti, a cui fa capo l’azienda, in merito a un progetto che promette di rivoluzionare il modo di muoversi e la manutenzione delle piste da sci:
“Riteniamo che possa anche essere una questione di immagine per i comprensori sciistici che useranno i nostri gatti ecologici: la coscienza ambientale si sta per fortuna sempre più risvegliando e la sostenibilità sta iniziando a diventare una discriminante nelle scelte di consumo. Il problema principale per la diffusione di mezzi di questo genere sono le infrastrutture: in Italia, nonostante le promesse, l’ascesa dell’idrogeno è in salita proprio per questo”. Il progetto si basa inoltre su due questioni cruciali: “ci saranno presumibilmente contributi statali, come avverrà per le auto, e poi questa pandemia dovrebbe aver chiarito una volta per tutte che il concetto di costo non può prescindere dai costi ambientali e per la nostra salute. Stiamo investendo a lungo termine, che è poi il concetto stesso di sostenibilità”.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A un anno dalla pandemia la domanda è sempre la stessa: quando finirà tutto questo?
A dare una risposta è stata Science, una delle riviste più prestigiose in campo scientifico, ma la risposta che ha dato potrebbe non piacere a molti. Il dato si ricava dal confronto con
quanto è successo ai quattro Coronavirus che hanno preceduto il Covid-19.
L’allarme di SCIENCE: se non apriamo tutto il Covid finirà tra 10-20 ANNI
# Lo studio di Science cambia le carte in tavola: per fargli perdere forza (e non favorire le varianti più aggressive) il virus va fatto circolare
La rivista americana ha pubblicato di recente uno studio che rivoluziona il nostro modo di
vedere e affrontare la pandemia Sarc-Cov-2. Secondo questo studio più il virus circolerà velocemente e più in fretta riusciremo ad eliminarlo, pur proteggendo anziani e categorie protette che sono a rischio con cure e
vaccini. Jennie S. Lavine e Ottar N. Bjornstad, scienziati della Emory e della Penn State University, Stati Uniti d’America, rilanciano l’idea che dovremo imparare a convivere con il virus Sars- Cov-2 senza esagerare con le chiusure.
Nel loro studio si sono basati sull’evoluzione degli altri coronavirus, sostenendo che il Sars- Cov-2 è diventato così diffuso da esserci poche possibilità di eliminazione diretta.
Quello che spesso ci dimentichiamo è che siamo già in contatto con altri coronavirus
endemici, che causano quindi reinfezioni ma che hanno ormai generato l’immunità di gregge sufficiente ad eliminare il rischio di gravi malattie.
Secondo gli studiosi questo potrebbe essere un possibile futuro anche del Covid che stiamo
affrontando in questo momento.
# Abbiamo già sconfitto in passato altri Coronavirus facendoli circolare e raggiungendo l’immunità di gregge
Credit: science.sciencemag.or
Quando parliamo degli altri coronavirus con cui siamo già in contatto, parliamo di virus non
molto lontani da quelli influenzali, con un rapporto di mortalità per infezione (IFR) pari allo
0,001.
Quindi più il virus circolerà velocemente (R0=6), più in fretta ce lo toglieremo di torno.
Se però continuiamo a limitarne la diffusione con tutte le misure di lockdown e
distanziamento, secondo gli scienziati potrebbero volerci fino a 20 anni per uscire da questa situazione.
# Il Covid potrebbe diventare come un’influenza
Limitare le misure di distanziamento sociale e di protezione può essere la chiave per diffondere il virus il più velocemente possibile così da ridurne l’aggressività, portandolo manifestarsi come una normale influenza. Il suo destino potrebbe infatti essere quello di unirsi agli altri quattro coronavirus del raffreddore che si ritiene siano diventati pressoché innocui per l’uomo.
Questo processo abbasserebbe la virulenza del virus e ridurrebbe anche l’età di diffusione,
interessando principalmente i bambini che hanno un sistema immunitario più forte e reattivo.
L’impatto della vaccinazione e le informazioni che per ora possediamo sull’immunità non promettono un futuro roseo.
Gli anticorpi tendono a decadere rapidamente, soprattutto tra le persone in cui l’infezione è
rimasta in forma asintomatica, i vaccini sembrano proteggere ma non del tutto, per non
considerare anche la parte di popolazione che non si farà vaccinare.
Per evitare che la situazione attuale duri qualche decennio occorre quindi agire con strategie diverse.
Limitare le misure di distanziamento sociale e di protezione può velocizzare la trasformazione del Covid in una normale influenza.
# Come sconfiggere il Covid e tornare alla normalità
La trasformazione del Covid in un virus più debole, quasi innocuo ed endemico può
richiedere decenni, a seconda della velocità con cui si diffonde l’agente patogeno. In sostanza per eliminare gli effetti più gravi della Sars-Cov 2, il virus va fatto circolare.
In questo modo saremmo anche più in grado di trovare un vaccino sempre più efficace.
Grazie a loro studi infatti, Jennie S. Lavine e Ottar N. Bjornstad hanno scoperto che il
vaccino a base di adenovirus è migliore nel prevenire infezioni gravi rispetto a quelle lievi o
asintomatiche.
Nel sistema con adenovirus infatti, dopo la vaccinazione, viene prodotta la proteina spike
superficiale che attiva il nostro sistema immunitario affinché attacchi il virus e lo debelli.
# Un messaggio che può essere travisato
Questo messaggio potrebbe essere travisato in un “liberi tutti” ma un fondo di verità c’è.
In questo momento, ormai da un anno, stiamo prendendo tempo. Prendendo tempo per
trovare una cura, per trovare una soluzione e per cercare di non far crollare il sistema
sanitario, cosa che accadrebbe, per lo meno all’inizio, se non mantenessimo le distanze.
La domanda però rimane questa: vogliamo aspettare 20 anni per tornare alla normalità?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.