In tutto il mondo si sono avute manifestazioni di protesta contro lockdown, misure restrittive e, in generale, contro la perdita delle libertà fondamentali.
L’effetto di tutte queste manifestazioni è stato di rafforzare la politica delle restrizioni. L’esempio più evidente in Italia è stata la manifestazione dei gilet arancioni guidati da Pappalardo che ha avuto come seguito la denigrazione e la squalifica di qualsiasi pensiero non allineato.
Sul fronte opposto non si registra in nessun paese al mondo una manifestazione pro lockdown o per inasprire le misure di restrizione.
A questo punto l’idea vincente per esorcizzare questa paura e per mettere in evidenza i veri estremismi potrebbe essere proprio questa: di indire una manifestazione di pandemisti, ossia di terrorizzati dal virus che sostengono le politiche più restrittive.
Proviamo a immaginare, migliaia di manifestanti che si tengono a grandissima distanza, sospettosi gli uni verso gli altri, tutti bardati di più strati di guanti e mascherine, separati da plexiglass, immersi in nuvole di disinfettanti, procedere a cadenza di slogan tipo: “We want lockdown!”, “Zone rosse per tutti!”, “Isolamento totale!”, “Passaporti sanitari!”, “Morte agli untori!”. Che inveiscono contro chi vedono in giro e appongono scritte o adesivi sulle auto e sui negozi per denunciare chi vuole circolare o lavorare.
Come in una dimostrazione ab absurdum, vedere manifestare l’estremismo pandemico potrebbe fare ragionare le persone e indurle a un atteggiamento più moderato e tollerante verso chi non la pensa come loro.
Non hai ancora abbandonato il sogno di soggiornare sugli alberi come Tarzan? Questo è esattamente il villaggio che fa per te.
VIVERE come TARZAN nel VILLAGGIO sugli ALBERI
Il sogno di ogni bambino è avere una casetta sull’albero, poi crescendo questo desiderio viene chiuso in un cassetto che difficilmente viene riaperto. “Vorrei vivere come Tarzan, con una casa sospesa e spostarmi tra gli alberi con le liane”. Ecco, magari spostarsi con le liane richiederebbe lunghi periodi di pratica, ma soggiornare in un villaggio sospeso tra gli alberi è possibile. Quale luogo offre questa insolita opportunità?
# Un’esperienza selvaggia su un’isola tutt’altro che disabitata
credit: ivanbustor.com
Questa piccola gemma si trova nascosta tra la fitta natura del Cile, nell’archipelago di Chiloé. La più grande di queste isole, Chiloé appunto, è lunga 180 chilometri, larga 50 e non è affatto un’isola disabitata come si può pensare. Ci sono due grandi città, Castro e Ancud, e nel 2000 le sue chiese lignee sono state dichiarate Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
Eppure, nonostante l’isola vanti quasi 160.000 abitanti, nelle sue foreste si trova un piccolo villaggio in cui è possibile vivere un’esperienza che farebbe invidia persino a Tarzan.
# Edilizia improvvisata? Assolutamente no. E’ un curato progetto architettonico
credit: inhabitat.com
Situata nel comune di Queilén, la comunità prende il nome di Tiny HousesComarca Contuy ed è costituita da una palafitta e da quattro casette sugli alberi. Queste case non sono però un esempio di edilizia improvvisata, tutt’altro. Sono state progettate dagli architetti cileni dello studio Utreras Arquitectos, che ha completato la realizzazione del villaggio le 2016. Il progetto è stato commissionato dall’associazione Comarca Contuy, che si occupa di promuovere il turismo locale attraverso iniziative artistiche, culturali e soprattutto naturali. Gli architetti hanno dichiarato che “L’idea è nata dalla creazione di quattro rifugi in stile ‘glamping‘ tra gli alberi”. L’aspetto estetico delle case non è casuale, gli architetti hanno voluto riprodurre l’ecosistema circostante, facendo sembrare le costruzioni “come i nidi degli uccelli, attraverso le finestre circolari”.
# Vivere come tarzan (o quasi) non è mai stato così semplice
credit: booking.com
Dire che si vive a contatto con la natura è riduttivo, qui la natura diventa la vera e propria casa. La progettazione del villaggio è avvenuta tenendo in considerazione la topografia irregolare della zona e per questo motivo le case sono rialzate e situate a diverse altezze, costruite sui coigüe, alberi sempreverdi tipici di quest’area. Grandi finestre lasciano che la vista si perda nel paesaggio ed essendo tutte in legno, i suoni della natura entrano a far parte degli spazi abitativi senza alcun impedimento. Ciascuna delle casette è collegata alle altre attraverso delle passerelle di legno, anche se ogni unità è autonoma e possiede un proprio patio privato, cucina con forno e bagno in comune con doccia, oltre alla zona notte.
Se avete chiuso nel cassetto il sogno di una casa sull’albero ma non avete intenzione di lasciarlo rinchiuso ancora per molto, probabilmente farete meglio a segnare questo villaggio cileno sulla mappa. Fortunatamente le case sono collegate da una passerella, non c’è bisogno di imparare ad usare le liane…
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
I casi di influenza sono calati del 98% in tutto il mondo. Questo è quello che dicono le ultime stime dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità. Pare che da marzo 2020, in tutti i paesi del mondo l’influenza stagionale sia praticamente scomparsa. Fatto unico nella storia. Cosa sta succedendo alla cara vecchia influenza?
Che fine ha fatto l’INFLUENZA? Anche in Svezia, senza mascherine, l’influenza è scomparsa
# Dall’Italia al resto del mondo: l’influenza scomparsa ovunque
Influenza in Svezia. credits: karolinska.se
Partiamo dall’Italia. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, i dati della seconda settimana di gennaio 2021 confermano che l’incidenza delle sindromi simil-influenzali è nettamente e stabilmente sotto la media, con un valore di 1,4 casi su mille assistiti, contro i 4,9 della scorsa stagione. Insomma, oltre due terzi di casi in meno, i dati parlano chiaro: in Italia l’influenza non si sta facendo vedere.
Questo insolito fenomeno però non è solo italiano, in tutto il mondo infatti si registra un netto calo dei casi simil-influenzali. In Gran Bretagna, per esempio, nel 2019 i casi di influenza erano aumentati del 10% tra settembre e ottobre, quest’anno invece solo dello 0,7%. Dati simili arrivano da tutti i paesi, anche da quelli dove le limitazioni sono state meno restrittive come l’America Latina, alcuni stati americani e la Svezia, che registra, già da diverse settimane, un numero di casi rasente lo zero.
# Mascherine e lockdown sembrano non c’entrare: anche nei paesi con zero restrizioni l’influenza non circola
credits: corriere.it
Ma quali sono le ragioni dietro questa improvvisa sparizione? Gli esperti non ne sono ancora sicuri e certamente ci sono molti fattori che possono aver contribuito alla scomparsa del virus influenzale.
La risposta più gettonata è quella che le precauzioni prese, tra cui mascherine, distanziamento e chiusure, abbiano fatto da barriera non solo contro il Covid, ma anche per il virus influenzale. Questa spiegazione però regge poco se consideriamo che il calo dell’influenza si registra anche negli stati che non hanno adottato particolari restrizioni. Inoltre, se nonostante tutte le note precauzioni il virus continua a viaggiare, perché non accade lo stesso per l’influenza? Il Covid-19 e i virus influenzali hanno infatti la comune caratteristica di diffondersi per via aerea, per cui se le mascherine e il lockdown ne fanno sparire uno, l’influenza, allora non si spiega come l’altro continui a circolare.
# Covid-19 vs influenza: 1-0
credits: greenme.it
Nel frattempo, molte teorie si fanno strada e tra queste ce ne sono di bizzarre e infondate. I più scettici sostengono che i tamponi non siano in realtà in grado di riconoscere e differenziare il Covid dall’influenza, ma su questo punto tutti gli esperti sono concordi: non è possibile. I due virus sono infatti molto diversi ed è impossibile confonderli.
Un’altra spiegazione sembra poter essere che il Coronavirus, diffusosi in tutto il mondo, abbia in qualche modo annientato e spiazzato i virus influenzali.
In attesa di risposte più precise, l’OMS rimane comunque cauta, sostenendo che i dati potrebbero non essere totalmente accurati, in quanto il sistema sanitario di molti paesi è “saltato” a causa della crisi pandemica.
Insomma, la vecchia influenza, compagna di molti inverni, quest’anno non si è fatta vedere. Non che ci manchi particolarmente, ma rispetto al Covid, io, personalmente, un po’ la rimpiango.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Considerando l’anno appena trascorso, è comprensibile che le varianti del coronavirus richiedano attenzione. Una in particolare, quella inglese, sembra diffondersi senza controllo.
Nelle ultime ore è emersa la grande preoccupazione del professor Galli sui reparti invasi dalle varianti. Un’affermazione che ha subito messo Milano in pericolo di una nuova zona rossa. Ma, nel giro di poco, è arrivata la smentita da parte dello stesso ospedale.
Cerchiamo di capire cosa sta succedendo.
Allarme VARIANTE INGLESE a Milano? Sì, no, forse. La CONFUSIONE dei VIROLOGI
# Per Galli la situazione è grave: “ho il reparto invaso di varianti”
Credits: www.ecodibergamo.it
È soprattutto la variante inglese a preoccupare. Infatti, si tratta di una mutazione più contagiosa rispetto allo stesso virus e, se riuscisse effettivamente a provocare un incremento dei contagi, di conseguenza aumenterebbe la percentuale di malati gravi.
La grande preoccupazione del professor Massimo Galli, infettivologo e primario dell’Ospedale Sacco di Milano, ha fatto fin da subito pensare al peggio. Infatti, le sue parole erano di totale perdita di controllo nei confronti delle varianti: “ho il reparto invaso da nuove varianti e questo, a breve, potrebbe portarci problemi più seri; non ho ancora dati precisi, ma possiamo ipotizzare si tratti della variante inglese”.
Dunque, per Galli la situazione è piuttosto grave, con almeno una persona su tre contagiata da una variante. Ed è in base a questa proporzione che mette in guardia il Governo Draghi perché la sua sensazione è che questa condizione si rispecchi in tutta Italia.
# Secondo Bassetti, se la dichiarazione di Galli è reale, a Milano deve essere subito istituita la zona rossa
Dopo l’allarme lanciato dal professor Galli, già da ieri quattro comuni della Lombardia, Bollate, Viggiù, Castrezzato e Mede, sono entrati nuovamente nella rigida “zona rossa”. Non si nasconde l’ipotesi di un lockdown totale per una regione che sembra essere la più colpita dalle varianti.
A questo riguardo, non potevano di certo mancare i commenti di altri infettivologhi.
Tra tutti, Matteo Bassetti, infettivologo genovese, ha sottolineato come, se effettivamente i numeri di Galli sono reali e in città c’è un reparto pieno di varianti del Covid-19, vi sia la necessità di un’immediata zona rossa a Milano.
Ma Bassetti sembra più “ottimista”, confidando nello studio delle varianti che sta proseguendo già da diverso tempo e che ha evidenziato come esse esistessero già da mesi.
# Poche ore e arriva la smentita dell’ospedale Sacco: “Non è vero che i reparti siano pieni di varianti”: sono solo 6 su 50
Credits: www.salute.gov.it
Il problema, però, risiede nei numeri di contagiati da varianti Covid: quelli comunicati da Galli sono reali?
Neanche un giorno dopo le sue dichiarazioni, è arrivata la smentita dall’ospedale Sacco. Infatti, con dati alla mano, l’ospedale di Milano ha ridimensionato l’allarme ricoveri. Ed è proprio una nota del presidio ASST Fatebenefratelli Sacco a precisare come le affermazioni sui “reparti pieni di varianti”, ad ora, non rappresentino la situazione reale all’interno del Presidio.
Nello specifico, la nota dell’ospedale Sacco sottolinea che “nel periodo dal 23 dicembre 2020 al 4 febbraio 2021, sono stati ricoverati 314 pazienti positivi a Covid. I dati raccolti hanno rilevato la presenza di 6 pazienti positivi alla variante inglese su un totale di 50 casi che, in ragione delle loro caratteristiche, sono stati sottoposti a sequenziamento. Attualmente, le percentuali di varianti identificate (verificate secondo le indicazioni del Ministero della Salute e dall’Iss o su controlli a campione) sono in linea con la media nazionale ed inferiori alla media regionale“.
Ma non solo. Il Sacco precisa di essere parte attiva del sistema di sorveglianza sulle varianti già dalla fine di dicembre 2020. In più, presso il suo laboratorio di Microbiologia Clinica, Virologia e diagnostica delle Bioemergenze, si prevede l’utilizzo di un nuovo test diagnostico che permetterà di individuare “in via preliminare l’eventuale positività ad una delle tre varianti”.
# Milano sta andando verso la zona rossa senza motivo?
Credits: www.ogginotizie.it
Resta il fatto che bisogna essere prudenti perché la presenza delle varianti del virus preoccupano molto il mondo sanitario.
Questo deve stimolare sia gli operatori sanitari ad individuarne la presenza a scopo preventivo, ma anche tutta la popolazione ad attenersi alle ormai molto conosciute misure di sicurezza per evitarne la diffusione.
Ma i dubbi aleggiano nella nostra testa. Milano stava davvero andando incontro ad un lockdown totale sulla base di una esternazione smentita nel giro di 24 ore dallo stesso ospedale?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Da quando ero piccola ho sempre cercato il posto perfetto dove leggere.
Potrei leggere anche a casa ma, come libri e film ci hanno insegnato, ma in ogni storia che si rispetti c’è sempre una ragazza che legge su una panchina e quindi io, figlia dei clichè di tutti i tempi, sto cercando la mia.
Nate a Londra e arrivate anche in Italia, le panchine a forma di libro sono il modo perfetto per unire cultura e arte. Vediamole insieme!
Le PANCHINE LETTERARIE si diffondono in Italia: le realizziamo anche a Milano?
# L’idea londinese
Credit: @greenme_it
Il progetto è stato creato dalla National Literary Trust, un’associazione culturale no profit fondata nel 1993 con lo scopo di migliorare il livello culturale nelle zone più svantaggiate del Regno Unito e prende il nome di “Books About Town”.
Nell’estate del 2014, in collaborazione con Wild in Art, sono state realizzate e successivamente installate a Londra 50 panchine a forma di libro aperto decorate da illustratori professionisti e artisti locali, diventate poi famose come “panchine letterarie”.
Le panchine sono state dislocate in diversi quartieri londinesi: Greenwich, Bloomsbury, Riverside e la City.
# Vere e proprie opere d’arte
Credit: @theartfullondoner
Ogni panchina è una vera e propria opera d’arte che raffigura un libro famoso e rappresenta la sua storia e i suoi protagonisti.
Grazie a queste panchine ci si può immergere in moltissime opere letterarie mondiali: da 1894 di George Orwell alla storia di Peter Pan, queste panchine sono il modo perfetto per promuovere la lettura abbellendo la città.
# Le panchine letterarie in Italia
Credit: @manufattiviscio_urbandesign
Le panchine letterarie sono già arrivate anche in Italia.
La prima città italiana a cogliere la bellezza di questo progetto è stata Foggia, che ha subito creato la sua versione delle panchine ispirate ai libri più belli della storia.
Il progetto a Foggia deve la realizzazione alla sua università che, con il contributo della Fondazione dei Monti Uniti di Foggia e dell’Accademia di Belle Arti, ha inaugurato ormai due anni fa le sue sedute a forma di libro.
Le Panchine Letterarie di questo progetto di UniFg Foggia sono opere d’arte che hanno arricchito gli esterni dei Dipartimenti dell’Ateneo foggiano e hanno il marchio degli studenti dell’Accademia di Belle Arti della città pugliese.
Oggi le panchine letterarie sono arrivate anche a Macchiagodena, in Molise, paese diventato sede nazionale dei Borghi della lettura.
Rimane solo una domanda: quando le facciamo a Milano?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Per individuare la variante inglese si studia il genoma rilevato solo sullo 0,5% dei tamponi positivi. Il dato che emerge non può quindi essere significativo: perché allora si vuole utilizzare per imporre un altro lockdown nonostante il costante calo dei contagi?
La PATATA BOLLENTE delle VARIANTI: solo analisi a campione per individuarle
# Solo sullo 0,5% di tamponi positivi viene sequenziato il genoma per individuare la variante inglese
Come ha scoperto Luca Pacioli sulle FAQ dell’Istituto Superiore di Sanità, per misurare la diffusione della variane inglese del Covid-19 viene eseguito un sequenziamento del genoma nei laboratori su 500 campioni settimanali presi a livello nazionale, che corrispondono allo 0,5% del totale basandoci sui casi dell’ultima settimana. Un campione per nulla significativo per giustificare l’istituzione di un nuovo lockdown.
# Il “test inverso” usato per come prima fase di screening sulla variante inglese in Emilia-Romagna
Credits: Luca Pacioli Fb – Fonte: Regione Emilia-Romagna
L’Emilia-Romagna come prima fase di screening ha scelto di effettuare “un’indagine molecolare che NON riconosce la variante inglese.” Non essendoci un test che identifica direttamente la positività alla variante vengono analizzati a campione dei tamponi positivi con il metodo del “test inverso”: quelli che risultano negativi alla presenza della versione “originale” del virus, allora con buona probabilità sono positivi alla variante britannica. A questo punto si procede con l’eventuale sequenziamento del genoma.
# In Lombardia istituite zone rosse in 4 comuni per la varianti del virus. Ma a Bollate solo lo 0,01% è stato trovato positivo alla mutazione
Il governatore della Regione LombardiaAttilio Fontana ha deciso di istituire la zona rossa nei comuni di Viggiù, Mede, Castezzato e Bollate fino al 24 di febbraio in accordo con il Ministro della Salute Speranza. Non sono però molto chiare le motivazioni di questa scelta osservando i dati che l’hanno giustificata. Se si guarda infatti il focolaio individuato nei plessi scolastici del comune di Bollate qualcosa non torna. Su 500 tamponi antigenici effettuati nel drive trhough di via Novara, 53 sono risultati positivi al test rapido. In seguito al tampone molecolare però sono stati solo 8 i positivi confermati e di questi solo 4 alla variante inglese. Questo significa che su oltre 36.000 abitanti del comune dell’hinterland milanese al momentosolamente lo 0,01% è risultato positivo alla variante che si è sviluppata nel Regno Unito.
# Nel mondo le varianti sono oltre 4.000. Anche tra quelle più preoccupanti non se ne conosce il tasso di letalità
Credits: Sergio Albarelli FB
Il ministro britannico Nadhim Zahawi, messo a capo di un team governativo ad hoc per il coordinamento della campagna vaccinale nazionale dal premier Boris Johnson ha sottolineato come le varianti del coronavirus individuate in tutto il mondo dall’inizio della pandemia di Covid-19 sono circa 4000. Tra queste solo le più note “inglese”, “sudafricana” e “brasiliana” destano un po’ di preoccupazione, anche se di nessuna si conosce ancora se siano causa di una maggiore letalità.
Visto quindi il caso di Bollate, la mancanza di un tampone che indentifichi con certezza le variante inglese, al momento analizzata tramite sequenziamento di pochissimi campioni, l’incertezza sul maggiore tasso di letalità della stessa e il costante calo della curva dei contagi da oltre mese: ha senso definire zone rosse o chiudere impianti da sci con ulteriore aggravio all’economia italiana?
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Le arti marziali insegnano che per sconfiggere l’avversario bisogna usare la sua forza non la tua. Che è poi è quello che fa il virus: non ha una sua proprietà riproduttiva ma usa le cellule per potersi moltiplicare.
In un periodo in cui è il sistema stesso che ha potere nel mondo e, nello specifico nel nostro paese, a essere messo sotto discussione. La domanda che ci possiamo fare è: se il sistema è sbagliato, come si può abbatterlo per farne nascere uno nuovo o anche per ipotizzare un mondo privo di sovrastrutture di potere?
Riprendendo le arti marziali, quali sono queste forze del sistema che potrebbero essere usate contro il sistema?
La prima forza è l’informazione. Da sempre chi governa l’informazione esercita il potere. Oggi l’informazione è diffusa e il potere sta escogitando modi per impedire la gente di essere informata da fonti di informazione non controllate. Ma le fonti di informazione non controllate sono proprio la forma che consente di liberarsi dal potere.
La stessa legge che è strumento di esercizio del potere ha al suo interno gli anticorpi contro l’esercizio del potere. Infatti si stanno moltiplicando casi di tribunali sollecitati dall’azione popolare che nei diversi paesi stanno annullando le decisioni dei governi più restrittive nei confronti dei cittadini.
Riprendendo Marx quando sosteneva che solo l’economia è struttura mentre tutto il resto è sovrastruttura quindi superfluo, forse la vera rivoluzione sarà compiuta quando la forza economica del sistema sarà rivolta contro il sistema stesso. Si è avuta l’avvisaglia con i piccoli trader contro gli Hedge Funds, si sta diffondendo la finanza delle criptovalute che è dissociata dal controllo delle banche centrali.
Forse l’ultimo fronte che farà crollare il sistema sarà quello fiscale, quando si troveranno forme alternative alo Stato di impiego di risorse private per fini di pubblica utilità.
Forse sarà proprio l’eccesso di controllo la soluzione contro l’eccesso di controllo.
A Triora, in provincia di Imperia, il tempo sembra essersi fermato. Le mura di cinta circondano ancora la cittadella, i resti delle torri difensive e dell’antico castello costruito nella roccia sono ben visibili e le voci di una storia tragica riecheggiano tuttora nell’aria.
Il mistero di TRIORA, il PAESE DELLE STREGHE a 3 ore da Milano
# Il borgo medievale teatro del processo alle streghe più atroce d’Italia
Credits: @pinkmagazineitalia IG
Triora è un piccolo borgo medievale con circa 355 abitanti, accastellato sulle Alpi Marittime, nella valle Argentina. Il suo nome deriva da Tria-Ora, tre bocche, ed indica i tre principali prodotti locali: il grano, la vite e il castagno.
Infatti, annoverato tra i Borghi più Belli di Italia, Triora è famoso per il tipico pane di grano saraceno. Ma non solo.
Con l’alone di mistero che lo circonda, non è facile ignorare la tragica storia compiutasi tra i suoi vicoletti acciottolati: Triora è stato teatro del processo alle streghe più feroce d’Italia.
# La Salem d’Italia dove si narrano tuttora leggende spaventose
Credits: @captursphoto IG
Non è un caso se Triora è soprannominato “Paese delle Streghe”. Tra il 1587 e il 1589, venti donne del posto furono ritenute colpevoli della carestia che aveva flagellato la zona, delle pestilenze, delle piogge acide e, addirittura, di cannibalismo verso i neonati.
Dopo innumerevoli supplizi, tredici di loro confessarono e furono accusate di stregoneria, subendo uno dei più noti, e sanguinosi, processi che affibbiò un altro soprannome al paese: la Salem d’Italia.
Inizialmente condannate a morire sul rogo, vennero graziate e rinchiuse in carcere. Qui, alcune morirono di fame e di stenti, ma non si ebbero più notizie sulla sorte delle altre. Ancora oggi, tra i vicoli stretti e le stradine buie del centro, aleggia un’atmosfera tetra e triste e si bisbigliano leggende spaventose.
# I veri documenti del processo alle streghe sono conservati nel Museo della Stregoneria
Credits: www.lamialiguria.it
Non sono storie di fantasia, ma leggende documentate. Infatti, la storia di Triora rivive nel Museo Etnografico e della Stregoneria che, oltre a mostrare uno stralcio della vita di campagna dei cittadini del passato, dedica ben quattro sale a quel tragico capitolo della storia locale.
In due di queste sono ricostruite le scene degli interrogatori e della prigionia delle donne accusate di stregoneria. Invece, nelle altre, sono conservati i documenti del processo e riprodotte “streghe artigianali” nelle loro azioni quotidiane.
# La festa della stregoneria
Credits: dovetiportooggi.it
Ora, almeno in apparenza, di streghe non ce ne sono più. Ma Triora continua a regalare suggestioni che rimandano a tempi lontani e, ogni angolo del borgo, racconta ancora storie di streghe e di magia con le case di ardesia decorate con scope, gatti neri, buoi, teste di pietra e personaggi misteriosi.
Per rendere omaggio alle vicende del passato, è stata istituita una vera e propria festa dedicata alla stregoneria, “Strigoria”. Si svolge ogni anno la domenica dopo Ferragosto e i visitatori vengono proiettati nel passato, con tanto di effetti speciali.
# I visitatori possono scoprire i luoghi simbolo delle streghe, ma anche la cultura e le tradizioni locali
Credits: In Medio Aevo FB
Ma non solo. A Triora sono anche stati creati tre diversi itinerari per scoprire i luoghi simbolo delle streghe.
Uno è quello artistico, che parte dal Museo della Stregoneria e attraversa le mura cittadine fino ad arrivare all’antico forno. Il secondo, “curiosity”, inizia dal punto più alto del borgo, in prossimità del castello, e prosegue verso il rudere della Chiesa di Santa Caterina, raggiungendo la Cabotina, “la grotta delle streghe”. L’ultimo è l’itinerario “kids”, che ripercorre luoghi adatti anche ai più piccoli.
Un luogo unico e magico, impossibile da dimenticare.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il pessimo design delle uscite della nuova linea blu è ormai noto da tempo. Ora arriva la “denuncia” pubblicata sul Post della portavoce del Comitato Foppa Dezza Solari della M4, dopo aver visto la conclusione dei lavori alla fermata Repetti. Ma non è questa l’unica pecca della quinta linea di Milano.
M4: la GRANDE BRUTTEZZA? La DENUNCIA di Orietta Colacicco al Post
# “La grande bruttezza o l’elogio della banalità?”
Credits: milanopost.info
Orietta Colacicco portavoce del Comitato Foppa Dezza Solari, che ha raggiunto l’obiettivo di ridurre i disagi dei lavori di scavo della M4 nel quadrante ovest della città, denuncia la scarsa qualità estetica delle uscite delle fermate della nuova linea metropolitana. Ecco un estratto della lettera su Milano Post:
“Quando finalmente sarà finita, come chiameremo la tanto attesa Linea Blu della Metropolitana? La grande bruttezza, o, per essere più gentili, l’elogio della banalità? Per le sistemazioni superficiali hanno pensato a una passeggiata lunga quindici chilometri a piedi o in bici: larghi marciapiedi, bersò, piste ciclabili, alberi. Con buona pace per gli automobilisti che si impegneranno in lunghe code, causa restringimenti di carreggiata. In questo scenario di città lenta e godibile (tutti a spasso, nessuno ha fretta, mah!) spiccano le immagini di pensiline e ascensori qualunque, cosa che nella capitale del design fa storcere il naso.” […]
“Dopo otto anni di gestazione, perché si è iniziato a parlare di M4 nel 2013, indire un bando, raccogliere le migliori proposte, fossero di archistar o di giovani designer, no? C’era tutto il tempo! Se poi guardando il progetto si nota che in Piazza Vetra sono riusciti a piazzare l’ascensore sarcofago davanti alla basilica di San Lorenzo di epoca romana tardo imperiale c’è da disperare. [..] In Municipio 1 il dissenso di maggioranza e opposizione e mio si è fatto univoco […] Ma è solo un passo per una stazione e le altre venti? La stazione Repetti a servizio del quartiere Forlanini è pronta. Bene ricorderà chi ha fatto questa bella scelta e l’inutile corsa per aprire tre stazioni entro il 2021, comunque in ritardo di sei anni, visto che dovevano essere pronte per l’Expo, nel 2015!! Le altre ci saranno nel 2023, e nel 2024, se va bene. C’è tutto il tempo per correggere.”
# L’illusione dei primi rendering poi non confermati
Ipotesi alternative di uscite M4
I primi rendering avevano fatto ben sperare di avere uscite delle metropolitana di design, ma già con i successivi si era capito che sarebbero state fatte scelte al ribasso, come si vede nell’immagine sopra. Da quando Urbanfile ha mostrato l’avanzamento delle prime stazioni, quella di Repetti in particolare che serve il quartiere Forlanini e Monluè, abbiamo avuto la conferma di quanto ancora una volta il Comune di Milano trascuri l’estetica delle infrastrutture.
L’unica azione al momento portata avanti dall’amministrazione milanese è un bando pubblicato da parte di M4 S.p.a., concessionaria del Comune di Milano per la progettazione, realizzazione e gestione della Linea 4 della metropolitana, che ha l’obiettivo di realizzare delle stazioni artistiche sulla nuova linea metropolitana. Questo però riguarda solo l’interno delle stazioni e non le uscite in superficie, che se non ci saranno novità verranno realizzate tutte nello stile della stazione “Repetti” nel quartiere Forlanini.
Via Pantano, il tratto in superficie per raggiungere la M3 dalla M4
Un’altra pecca della nuova linea M4 è l’assenza di interscambi diretti: si dovrà infatti uscire e rientrare dai tornelli. Nell’incrocio con la linea 2 a Sant’Ambrogio i passeggeri dovranno uscire all’aperto nella piazza sotto la Pusterla, in quello con la linea M1 a San Babila potranno almeno uscire da una stazione e entrare nell’altra rimanendo sotto la superficie, ma sempre timbrando due volte il biglietto.
La situazione peggiore si verifica però nell’interscambio tra la linea M4 e linea M3. In questo caso è stato sin da subito escluso un collegamento diretto, con l’ipotesi migliore di allungare un corridoio sotterraneo con tapis roulant fino a metà di Via Pantano per poi fare proseguire gli utenti a piedi. Niente di tutto ciò.
Nel progetto presentato dall’Assessore ai trasporti Granelli è prevista solo un’altra uscita della fermata M3 Missori all’inizio di Via Pantano, pertanto per andare a prendere la M4 alla fermata Sforza-Policlinico si dovrà camminare in superficie per 10 minuti, magari sotto la pioggia e carichi di valige visto che questa linea porterà all’aeroporto di Linate.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Se pensavate che l’originalità delle strade di Venezia fosse solo nel loro nome, preparatevi a essere sorpresi. E se pensavate poi che orientarsi tra i numeri civici di Milano o di qualche altra grande città fosse complicato, lasciate perdere quest’articolo.
Perdersi a VENEZIA: la strana caratteristica dei NUMERI CIVICI
Quando nel 2014 mi trasferii a Venezia, decisi che avrei esplorato quella che per me era un’opera d’arte, una città senza eguali, ricca di storia, sfarzo e leggende. Ricordo di aver lasciato le valige nella mia camera in S. Polo 2466 e di aver aperto il navigatore con la Gmaiuscola per farmi guidare verso la sede centrale dell’Università Ca’ Foscari, dove avrei dovuto presentarmi il pomeriggio seguente. Fu un fallimento epocale.
Se siete stati a Venezia almeno una volta, sapete di cosa sto parlando. Le strade—calli, per favore—sono così piccine e labirintiche che nemmeno i satelliti migliori erano in grado di trovarmi, e dopo un’ora mi resi conto di aver soltanto girato in tondo intorno a una chiesa dietro casa. Per rientrare, mi ci volle un’altra ora.
@artemisiadt
# La città
Sono 436 i ponti che collegano Venezia tra le sue 416 isole divise in sei sestieri—i suoi quartieri. Questi, sono tre per ogni sponda del Canal Grande: da una parte Castello, S. Marco e Cannaregio, dall’altra S. Croce, S. Polo, e Dorsoduro, che comprende anche le isole della Giudecca e di San Giorgio Maggiore.
Fino all’epoca della Repubblica della Serenissima, non c’erano indicazioni stradali o numerazioni che individuassero edifici o strade: le denominazioni stradali così come delle abitazioni erano appannaggio della gente che abitava in quel dato sestiere. Questo spiega il doppio nome di alcuni campi e calli, solitamente legati alla presenza di una particolare famiglia o attività lavorativa, rimaste poi in uso anche in epoca successiva, quando si decise di dipingere quel nome direttamente sugli intonaci degli edifici.
@artemisiadt
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L’introduzione dei nisioeti (veneziano per lenzuolino) le tipiche targhe stradali dipinte e rintracciabili in città, risale alla dominazione napoleonica di ciò che rimaneva della Serenissima prima che questa fosse “ceduta” all’impero asburgico col trattato di Campoformio nel 1797. In questo periodo, i nuovi dominatori introdussero la stessa numerazione civica “teresiana” già introdotta a Milano e nelle altre città dell’Impero. Il regolamento del 24 settembre 1801 poi, prevedeva che i numeri fossero in nero, con il colore prodotto da ossa carbonizzate e petrolio, tracciate su un rettangolo dipinto di bianco e posizionati vicino a ogni ingresso di casa. Successivamente, la numerazione fu incisa su targhe di pietra, per poi tornare a essere pitturata—questa volta in rosso—tramite mascherine e stencil, su sfondo bianco dapprima ovale e poi di nuovo rettangolare.
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# I numeri (civici)
Ma in cosa consiste la numerazione “teresiana”, in realtà? Contrariamente alla più recente numerazione “a stradario”, a Venezia, i numeri civici sono assegnati progressivamente in ciascuno dei sestieri che la compongono, senza nessuna distinzione tra lati e numeri pari o dispari. Le abitazioni di ogni sestiere sono numerate iniziando dal n.1, e proseguono crescendo tra calli, campi, e campielli fino al confine del sestiere, per poi ripercorrere la strada a ritroso fino al punto di partenza: non a caso, infatti, nei pressi del numero 1 del sestiere di S. Marco c’è anche l’ultimo, il numero 5562. Ogni numero finale del sestiere, infine, viene sempre segnalato come ultimo del sestiere stesso, attraverso un nisioeto.
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Il sestiere di Castello arriva al numero 6828, S, Marco al 5562, Cannaregio 6419, S. Croce, il più piccolo dei sestieri, al 2359, S. Polo al 3144, e Dorsoduro al 3964, ai quali vanno aggiunti i 971 numeri civici della Giudecca, che ha una sua propria numerazione. Non è abbastanza? Dato che i sestieri si fondono l’uno con l’altro tra ponti, rii, e rami, capita di seguire una calle fin oltre un ponte e vedere che i civici cambiano da qualche centinaio a qualche migliaio: stessa strada, sestiere diverso, numerazione diversa! Con buona grazia dei postini veneziani.
@artemisiadt
# Perdersi per sentirsi a casa
Il mio discutibile senso dell’orientamento ha probabilmente avuto un ruolo essenziale nelle mie disavventure veneziane, ma a far da complice c’era sicuramente l’intricato disegno della città reso impenetrabile dall’insolita numerazione civica veneziana. Quel pomeriggio di sei anni fa, chiesi al mio coinquilino più esperto di accompagnarmi, per poi scoprire di avere la mia agognata destinazione proprio a cinque minuti di strada.
Che si tratti di una calle, un sottoportego, o unafondamenta, senza un punto di riferimento specifico, rintracciare un luogo a Venezia conoscendone il solo nome è possibile solo a patto che si conosca il sestiere.
@artemisiadt
Certo, ci sono numerose indicazioni per i punti di attrazione principali e, a meno che non siate un caso disperato come me, raggiungere Piazza San Marco o il Ponte di Rialto e tornare indietro verso la Stazione di Santa Lucia è abbastanza intuitivo e sicuro. Ma se avete intenzione di uscire dai percorsi turistici, le cose si complicano.
Per orientarsi a Venezia si usano elementi insoliti come le chiese—sebbene, con circa 180 campanili, non sia semplice nemmeno quello—o i ponti. Per raggiungere una destinazione, si individua la direzione da intraprendere, provando e riprovando le prime volte, e si fa affidamento alla propria bussola interiore. I veneziani spesso danno indicazioni contando i ponti, che il visitatore si ripeterà come un mantra nella speranza di non perdere la direzione.
@artemisiadt
Una volta mi dissero che, mentre tutte le città si adattano all’uomo, l’uomo si adatta a Venezia. Solo dopo essermi volutamente persa nelle sue strade, assaporato quel vago senso di smarrimento nel posto tra i più visitati del mondo, e aver imparato a conoscerla, posso capire il senso di quella rivelazione.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Continua il calo di nuovi casi di positività accertati nel mondo ormai da 5 settimane consecutive. Questo sta avvenendo in modo indifferenziato tra i diversi paesi del mondo a prescindere dalle dosi di vaccino somministrate. Dall’inizio della pandemia non era mai accaduto di vedere un trend discendente come quello attuale. Ecco la situazione con uno speciale focus su alcuni paesi.
OMS: da inizio anno nel mondo i CONTAGI si sono DIMEZZATI
# Dal picco di 845.696 casi dell’8 gennaio si è scesi ai 265.000 il 15 febbraio
Dopo la comunicazione della scorsa settimana in cui l’OMS certificava che rispetto alla settimana precedente si erano registrati 3,1 milioni di casi con una riduzione del 17%, un livello così basso non si registrava dal mese di Ottobre, ieri 16 febbraio è arrivata un’ulteriore conferma del calo globale di nuovi positivi. Per la quinta settimana consecutiva e dall’inizio dell’annoil bilancio settimanale delle infezioni si è dimezzato: i casi settimanali sono passati da oltre cinque milioni nel periodo 4-10 gennaio a 2,6 milioni nel periodo 8-14 febbraio. Dal picco di 845.696 casi dell’8 gennaio si è scesi ai 265.000 il 15 febbraio.
Soprattutto dall’inizio della pandemia non era mai accaduto di vedere un trend discendente come quello attuale.
Il commento via Twitter di Tedros Adhanom Ghebreyesus direttore generale dell’Oms: “Questo dimostra che semplici misure di salute pubblica funzionano contro il #COVID19, anche in presenza delle varianti “.
# La curva dei contagi è in calo a prescindere dalle dosi di vaccino somministrate
Credits: ourworldindata.org – Campagna vaccinale mondiale al 15 Febbraio
Nel mondo prosegue la campagna vaccinale contro il Covid-19 con Israele e Emirati Arabi Uniti in testa per dosi somministrate in proporzione agli abitanti, rispettivamente al 78,09% e 52,56%, seguite da Regno Unito con il 23,75% e Stati Uniti al 16,68%. Ad eccezione degli Emirati Arabi Uniti, che presenta un trend in crescita di contagi nonostante l’elevato livello di vaccinazioni effettuate, le altre tre Nazioni stanno registrando un calo dei contagi dall’inizio dell’anno.
La stessa situazionedi calo progressivo dei contagi però si verifica anche nei Paesi in cui le dosi somministrate in rapporto agli abitanti sono ad una quota molto inferiore, tra lo 0,6% e il 6%.
# Anche in Messico e Argentina prosegue la riduzione del numero di positivi
Nello stato del Centro Americale dosi di vaccino somministrate agli abitanti sono ferme allo 0,71% della popolazione, ma la curva è in calo dal picco del 22 gennaio di circa 22.000 casi di positività ai 3.000 del 15 Febbraio.
Credits: ourworldindata.org – Curva contagi Argentina
In Argentinala campagna vaccinale ha coperto ad oggi solo l’1,35% della popolazione, ogni 100 abitanti, i contagi però si sono ridotti di quasi il 70% dalla prima settimana di gennaio.
# In Asia, l’India da settembre registra un calo del 90% dei contagi, senza restrizioni e con pochi vaccini
Credits: worldometers.info – Curva contagi India
L’India è tra le Nazioni con il più basso tasso di dosi somministrate ogni 100 abitanti, appena lo 0,65%, ma nonostante questo la riduzione costante del numero di nuovi positivi è in atto da Settembre: un crollo drastico del 90%.
# In Europa il trend è identico
Credits: ourworldindata.org – Curva contagi Romania
La Romania è uno dei Paesi in Unione Europea con il più alto tasso di dosi somministrate e comunque supera appena il 6% ogni 100 abitanti. Qui la riduzione dei contagiati è in atto dall’inizio di novembre e non sono più saliti sopra la quota di 2.500 al giorno.
Credits: ourwoorldindata.org
Lo stesso vale per la Grecia che continua a registrare un calo dei nuovi positivi da novembre, con solo una piccola risalita la scorsa settimana, con poco più del 5,5% di vaccini eseguiti ogni 100 cittadini.
Credits: ourworldindata.org
Con un tasso di vaccinazione appena inferiore,la Svezia ha dimezzato i contagi: dall’inizio del 2021 è stata registrata la metà dei contagi rispetto al picco di metà dicembre 2020 e da allora non ha più toccato la quota di 5.000 casi giornalieri. A questo si aggiunge che si tratta di uno dei paesi che non ha adottato misure particolarmente restrittive: non c’è obbligo di mascherina e non ha mai fatto lockdown.
Credits: worldometers.info – Curva contagi Olanda
L’Olanda è un caso ancora più eclatante. Ad oggi le dosi somministrate ogni 100 abitanti non raggiungono il 3,7%, ma il numero di contagiati è precipitato di quasi il 70% da metà dicembre.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Qual è il ristorante più economico di Milano? Questo il risultato della ricerca. Il livello della cucina è nella media, ma i prezzi sono davvero imbattibili. Ecco dove si trova.
Il RISTORANTE più ECONOMICO di Milano: MENU completo a soli 8 EURO
# La trattoria con cucina italo-cinese “La Pergola” è il ristorante più economico in città
Credits: tripadvisor – Trattoria La Pergola
Il livello della cucina di questa trattoria italo-cinese “La Pergola” è nella media, da quanto si può evincere dalle recensioni su tripadvisor. La filosofia del locale è quella di tenere i prezzi più bassi possibili per avere il locale sempre pieno e sfruttare quindi il ricambio rapido dei clienti. Ecco i prezzi da record.
# Il menu tutto compreso costa solo 8 euro, sia a pranzo che a cena
Trattoria La Pergola
Il menu completo con coperto, primo, secondo, contorno e 1/2 litro d’acqua o 1/4 di vino costa soli 8 euro sia a pranzo che a cena, e fino a qualche anno fa di euro ne bastavano 6,80. Aggiungendo pochi centesimi poi si possono ordinare i piatti speciali e con soli 2 euro in più si può avere il dolce. Secondo molte recensioni il cestino del pane è sempre pieno e i primi sono abbondanti.
Credits: tripadvisor – Menu La Pergola
Nel listino della cucina cinese, il piatto più costoso supera di poco i 5 euro, per un piatto di pasta non si arriva a 4. Il ristorante si trova nella periferia nord-ovest della città, nel Gallaratese, nelle vicinanze della metro M1 di San Leonardo e del nuovo quartiere di Cascina Merlata.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
La Bicocca da anni si è trasferita alle Maldive, all’insaputa di molti. A breve però avverrà un importante accordo: aumenterà la fama del Centro?
La BICOCCA va alle MALDIVE
Non tutti sanno che nel 2009 è stato inaugurato un importante centro di ricerca marina e alta formazione dell’Università Milano-Bicocca alle Maldive. Oggi, a 12 anni dall’inaugurazione ufficiale, l’Ateneo è pronto a diventare partner del Governo Maldivianoper la salvaguardia della barriera corallina. Nonostante il MaRHE Center proponga workshop e attività di fama internazionale, moltissimi milanesi non sanno neppure della sua esistenza.
# Perché costruire un centro alle Maldive?
credit: marhe.unimib.it
Perché proprio alle Maldive? Perché costruire un intero centro di ricerca che può ospitare fino a 40 persone, proprio qui? La frase “il fine giustifica i mezzi” può essere utilizzata per spiegare la creazione del MaRHE. Lo scopo del centro, infatti, è quello di svolgere attività di ricerca e didattiche nel campo delle scienze ambientali e biologia marina, scienze del turismo e della geografia umana; e dove costruire un centro con questo scopo se non in un ambiente come quello maldiviano, fragile e in costante cambiamento a causa dei cambiamenti climatici e del turismo di massa?
# Ricerca high-tech nel paradiso maldiviano
credit: marhe.unimib.it
L’Università ha saputo creare un centro che unisce la ricerca universitaria all’amore per il mare, offrendo opportunità altrimenti impensabili restando a Milano: progetti di ricerca che includono barriere coralline e immersioni subacquee nelle acque maldiviane, per non parlare degli studi di geografia umana e scienze del turismo a contatto diretto con le popolazioni locali. Tutto questo, che può sembrare apparentemente come una vacanza in un resort esclusivo, è solo una faccia della medaglia. L’altra faccia è costituita dagli avanzatissimi laboratori high-tech per svolgere la migliore attività di ricerca possibile. Già questo dovrebbe essere motivo di vanto a livello nazionale e non solo cittadino, ma a breve il centro diventerà molto di più.
# CorallaMIB: la Bicocca parteciperà alla salvaguardia della barriera corallina
credit: marhe.unimib.it
Il 24 febbraio verrà sottoscritto un accordo tra il Governo Maldiviano e l’Ateneo milanese che ci rende tutti indirettamente partecipi della salvaguardia della barriera corallina. Il progetto di ricerca, chiamato CorallaMIB, si svolgerà interamente nel centro sotto la supervisione del team di ricerca del centro, costituito principalmente da professori, ricercatori e studenti dell’Università Bicocca, pur essendo aperto a partecipanti internazionali.
Anziché essere motivo di orgoglio, all’insaputa di molti da anni l’Ateneo statale milanese contribuisce allo studio della barriera corallina (e non solo), e a breve diventerà ufficialmente parte del suo restauro. Si spera che questo nuovo accordo dia al Centro e all’ottimo lavoro svolto dall’Ateneo la giusta visibilità, aumentando anche il senso di responsabilità ambientale cittadino e nazionale.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il 2019 era iniziato come l’anno della consapevolezza ambientale: dai fridays for future alla dichiarazione di 1288 amministrazioni dello stato di “emergenza climatica”.
Il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno delle decisioni da prendere ma poi la pandemia Covid-19 ha cambiato le carte in tavola e ancora una volta il problema ambientale ritorna all’ultimo posto. Cerchiamo di fare chiarezza sulle conseguenze ambientali di questa pandemia.
Aiuto, ci siamo dimenticati l’AMBIENTE: 1 miliardo di mascherine da smaltire in Italia ogni mese
# L’unica buona notizia
Credit: it.euronews.com – inquinamento Cina 2020
Per il momento rimane stabile la diminuzione delle emissioni di CO2 dovuta ai continui lockdown nel mondo.
La media per il 2020 è attorno al 7 per cento, una percentuale di decrescita mai vista dai tempi della Seconda guerra mondiale. Anche per il 2021 si prevede una diminuzione altrettanto sensibile.
Nei mesi di lockdown le persone sono rimaste più a casa del solito riducendo così gli spostamenti, per non parlare della riduzione del traffico aereo che è uno dei problemi più grandi a livello ambientale.
Tuttavia, per quanto le emissioni di alcuni gas serra siano diminuite, questa riduzione è solo una piccola parte di tutto quello che influisce sul nostro ambiente.
Non sarà infatti un anno di lockdown a bilanciare decenni di danni ambientali accumulati.
Per verificarsi un calo permanente del gas serra ci vorrebbe un vero e proprio cambiamento nella struttura economica e produttiva e non penso che questo sia nei piani del mondo.
L’obiettivo di tutti sembra essere infatti quello di tornare allo stato originale il prima possibile senza pensare che, lo stato originale che tanto rincorrono, fosse a livello ambientale una vera e propria catastrofe.
# L’impatto della pandemia sull’ambiente: il ritorno della plastica
Dai menù usa e getta ai guanti di plastica, dai packaging dei take away alla vendita online, la pandemia ha fatto tornare prepotentemente la plastica usa-e-getta che tanto volevamo togliere nel 2019.
A dimostrarlo i dati del mercato dei packaging: dai 909 miliardi di dollari del 2019 agli oltre 1.000 miliardi di dollari del 2021, in crescita di oltre il 10% in un solo anno.
# Mascherine e guanti
Credit: @emanuela_bognanni
Le mascherine e i guanti stanno diventando una fonte di inquinamento molto grave.
Il consumo mensile nel mondo è di 129 miliardi di mascherine e 65 miliardi di guanti, in Italia siamo a un miliardo di mascherine e 500 milioni di guanti.
Cifre enormi che però non stupiscono, basta infatti camminare per strada per rendersi conto di quante mascherina e guanti vengano gettati per terra.
In Italia il consumo mensile di mascherine tocca il miliardo.
Partendo dal presupposto che le mascherine vanno usate, ci sono dei provvedimenti che potrebbero almeno ridurre l’inquinamento di questi dispositivi, ahimè, necessari.
Il primo passo è appellarsi al buon senso delle persone nello smaltimento delle mascherine.
Camminando per strada è facile rendersi conto di quanti siano i dispositivi di protezione che non vengono smaltiti nel mondo corretto dai cittadini ma questo non basta.
Se solo l’1 per cento delle mascherine venisse smaltito in modo non corretto (percentuale molto bassa rispetto alla realtà), avremmo comunque 10 milioni di mascherine al mese disperse nell’ambiente.
Dividendo la colpa tra cittadini incivili e chi non si è preoccupato di trovare un modo per gestirle e smaltirle, il problema rimane.
Le mascherine usa e getta sono una grande parte delle mascherine vendute in Italia.
Che sia un modo intelligente e consapevole di smaltire un quantitativo così grande di dispositivi di sicurezza o la distribuzione di mascherine riutilizzabili, una soluzione va trovata.
La pandemia prima o poi finirà, ma il rischio è che ceda il posto a un’emergenza ambientale impossibile da risolvere.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il 2020 è stato un anno terribile, anche dal punto di vista economico. L’Italia ha chiuso con un debito pubblico di 2.569 miliardi di euro, 159 miliardi in più rispetto al 2019. Pur non trattandosi di un nuovo record, è una cifra che preoccupa molti. Che cosa accadrà ora con i fondi europei per la ripartenza?
In un anno il DEBITO PUBBLICO è aumentato di 159 miliardi di euro: il doppio del finanziamento a fondo perduto del Recovery
# Nel corso di un anno, il debito pubblico italiano è aumentato di ben 159 miliardi di euro, ma il FMI non è preoccupato
Credits: Bankitalia
Dicembre è un mese di calo per il debito pubblico. Il primato storico italiano resta ad ottobre 2020, dove il debito ha raggiunto quota 2.587 miliardi di euro. Non che la chiusura sia stata delle migliori: è stato dichiarato un aumento di 159 miliardi di euro rispetto al 2019.
Dunque, in Italia il debito è salito al 157,5% del PIL nel 2020 e le previsioni che, come tali, restano pur sempre delle stime, dicono che quest’anno crescerà ancora, arrivando al 159,7% del PIL.
Ma, nonostante tutto, il Fondo Monetario Internazionale non è preoccupato della situazione, definendo il debito “sostenibile”.
# Seppur il debito sia “sostenibile”, l’Italia deve mettersi alla prova con investimenti produttivi che accelerino la riduzione del debito
Per il FMI l’aumento del debito pubblico nel 2021 è “sostenibile” grazie ai tassi di interesse bassi e alla ripresa della crescita economica che si spera avverrà. Infatti, è ovvio che ci sia un aumento generalizzato del debito pubblico a livello mondiale, soprattutto in seguito ai 14.000 miliardi di euro stanziati per far fronte alla pandemia.
Ma ci vuole prudenza. Lo stesso responsabile di Fiscal Monitor, Vitor Gaspar, afferma sia essenziale che l’Italia utilizzi “le risorse del Recovery Fund per finanziare progetti di alta qualità che rafforzino le prospettive di crescita, facilitino una transizione verso un futuro verde e digitale e accelerino la riduzione del debito”.
Parole che, ovviamente, fanno eco a quelle della BCE, per la quale i fondi del Next Generation European Union devono essere impiegati ottimamente in investimenti pubblici produttivi che aumentino anche il prodotto reale dell’Eurozona nel medio termine. Un modo per mettere alla prova la capacità istituzionale di alcuni paesi di selezionare e realizzare progetti fattibili.
# I vincoli di bilancio sono già stati definiti, ma la questione è stata riaperta
Tutti sappiamo che il Recovery Plan è il piano per la ripresa che spiegherà all’Europa come utilizzeremo i 200 miliardi di finanziamento, di cui 80 miliardi a fondo perduto.
Ma quali sono i vincoli di bilancio?
Governo e parlamento li avevano già definiti nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza fissando, di fatto, il sentiero del debito pubblico dal 2021 al 2023.
Quello che ci si aspetta è una lenta discesa del debito da un livello record del 2020 al 152% del PIL nel 2023.
Ma, nonostante l’approvazione, la questione è stata riaperta.
# Gli effetti del Recovery Fund sul debito pubblico: ce lo possiamo permettere?
C’è chi ritiene che tutti i 200 miliardi del fondo debbano aggiungersi al sentiero del debito pubblico fissato dalla Nota di Aggiornamento. Questo comporterebbe una crescita del debito che grava sulla nostra testa di altri 120 miliardi nel corso degli anni.
È ovvio chiedersi: ce lo possiamo permettere?
È vero che ci stiamo indebitando a tassi di interesse bassi o nulli, ma resteranno stabili nel tempo? Non è di certo semplice prevederli con esattezza nel medio-lungo periodo.
Anche lo spread dell’Italia rispetto ai tassi di paesi a zero rischio è ora moderato dagli interventi delle istituzioni europeee dall’acquisto della Banca d’Italia, per conto della BCE, di più di 150 miliardi di euro di titoli pubblici italiani. Ma per quanto andranno avanti gli acquisti di titoli di stato da parte della BCE e per quanto tempo prevarrà questo clima solidale?
# Gli errori di previsione potrebbero essere fatali soprattutto per le generazioni future
L’unica cosa certa è che i vincoli macroeconomici esistono e, con un debito pubblico vicino al 160% del PIL, gli errori di previsione sui tassi di interesse possono essere fatali.
Già quest’anno il nostro debito sarà molto probabilmente superiore rispetto a quello previsto. Ma, anche se così non fosse, la Nota di Aggiornamento dichiara comunque un debito superiore al 150% del PIL fino al 2023. Quindi per 5 anni di fila, qualcosa che, in Italia, non succedeva dagli effetti delle due guerre mondiali.
Aggiungere 120 miliardi di debito con progetti che, ex-ante, saranno pro crescita, verdi, digitalizzati, ma di cui non si possono conoscere fin da ora le conseguenze, fa la differenza per la prossima generazione, per l’appunto la Next Generation, che, quel debito, dovrà ripagarlo.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Tre comuni pugliesi hanno vietato le attività in campagna perché è stata avvistata una pantera nera.
La notizia non è che ci sia la pantera ma che sia ritenuto normale vietare alla gente di andare in campagna perché è stata vista una pantera.
Se i comuni sono responsabili della vita delle persone allora lo devono essere sempre, non possono esserlo solo quando vogliono loro. Il Comune è responsabile della salute delle persone? Se è così allora deve indagare su tutti i pericoli che ci sono anche a livello individuale e rispondere di qualunque cosa avvenga.
Ma non è solo questo. La gente dovrebbe essere sconvolta da questa notizia. Anche perché se applicassero la stessa logica in Svezia o in Canada non si dovrebbe più uscire di casa perché ci sono gli orsi, lo stesso per gli stati africani per le bestie feroci o l’Australia dove ci sono i serpenti più velenosi del mondo. Per non parlare dell’Himalaya dove si può perfino incontrare lo yeti.
Ormai in Italia qualunque motivo va bene. Basta che stai chiuso in casa.
Nel sud est dell’Islanda, in prossimità della laguna glaciale, esiste un luogo surreale che ha reso i film di fantascienza realtà.
Sto parlando della spiaggia dei diamanti, uno tra i più suggestivi spettacoli naturali del mondo.
La SPIAGGIA dei DIAMANTI
# Il viaggio dei diamanti
Credits: @blondrienne
Il viaggio di questi diamanti di ghiaccio inizia quando si staccano dal ghiacciaio Breiðamerkurjökull per poi finire nella laguna Jökulsárlón.
Qui vengono levigati dalle onde del Nord Atlantico prima di essere portati a riva sulla spiaggia nera Breidamerkursandur.
Questa distesa di sabbia nera è invasa da traslucide sculture di ghiaccio che scintillano al sole come se fossero diamanti.
Non a caso, questa spiaggia prende il nome di “Diamond Beach”, la spiaggia dei diamanti.
# Uno spettacolo unico
Credit: @icelandincredible
La sabbia nera, di origine vulcanica, grazie alla sua caratteristica colorazione scura accentua ancora di più i colori e i riflessi dei blocchi di ghiaccio.
Così la sensazione che ha chi si trova davanti a questo spettacolo naturale è quella di essere davanti ad una distesa di pietre preziose.
Molti blocchi hanno colori accessi che vanno dal blu al turchese e questo ha reso questa spiaggia una meta molto ambita per tutti gli amanti della fotografia che si appostano dalla prima ore dell’alba per vedere i diamanti di ghiaccio prendere vita di tutte le loro tonalità.
# Sede del mondo del futuro
Credits: @interstellarmovie
Il film pluripremiato Interstellar è stato filmato vicino al ghiacciaio Svínafellsjökull e alla spiaggia dei diamanti.
Uscito nel 2014, interpretato da Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain e Michael Caine, il film diretto da Christopher Nolan, narra di un gruppo di astronauti che viaggiano attraverso un buco spazio-temporale in cerca di una nuova casa per l’umanità.
Quale paesaggio se non questa spiaggia futuristica e surreale poteva creare l’ambientazione perfetta per lo spazio?
# Consigli di viaggio
Credits: @officinetravelbari
La Jökulsárlón è in genere accessibile tutto l’anno, ma d’inverno potrebbe esserci qualche disagio legato al maltempo soprattutto per le bufere di neve.
La spiaggia di diamanti e la laguna glaciale di Jökulsárlón si trovano a circa 380 km da Reykjavík, in macchina ci vogliono almeno 5 ore di viaggio.
Si può anche visitare la laguna e la spiaggia dei diamanti prenotando un tour organizzato in autobus.
Quello che è certo è che se ci si trova in Islanda non si può non fare tappa nella spiaggia dei diamanti, il luogo che rende il confine tra realtà e finzione quasi invisibile.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Al confine tra Veneto e Trentino Alto Adige, nel cuore delle Prealpi Vicentine, sorge l’Altopiano di Asiago, conosciuto anche come l’Altopiano dei Sette Comuni, una delle zone di montagna più famose in Veneto. Pochi sanno che qui è nata la prima Federazione di Comuni della storia.
L’altopiano di Asiago e la prima Federazione di Comuni della storia
Devo per forza essere di parte, parlando di Asiago e in generale dell’Altopiano, in quanto mia mamma è nata proprio lì 80 anni fa, precisamente a Cesuna (nel comune di Roana). Per me Asiago è sempre stato sinonimo di “andiamo in montagna”, da quando avevo un mese di vita, fino a quando ho potuto scegliere in autonomia dove trascorrere le mie vacanze. Dalla pianura padana, lato veneto, l’altopiano è forse una delle località di vacanza montane più comode in assoluto: mezz’ora di autostrada, mezz’ora di tornanti, fine. E’ infatti sufficiente imboccare la A31 “Valdastico” da Vicenza, raggiungere il suo “capolinea” nord a Piovene Rocchette, e poi salire il “costo”, nome con cui è nota la strada dai 10 tornanti che accompagna all’Altopiano. Strada molto, ma molto conosciuta e apprezzata dai motociclisti della zona. Se da piccolo era una meta fissa di ferie (rimanevo lì tutto il mese di agosto), più tardi l’Altopiano è diventato un classicone per trascorrere un week-end con gli amici o per i numerosi percorsi escursionistici che offre.
Credits: @MatteoPalma (INSTG) Vista dell’Altopiano innevato
# Due righe di storia: la Spettabile Reggenza dei Sette Comuni
I sette comuni che compongono l’Altopiano di Asiago (Enego, Rotzo, Lusiana Conco, Foza, Asiago, Gallio, Roana), nel 1310 si unirono in una federazione denominata Spettabile Reggenza dei Sette Comuni che costituiva uno Stato autonomo: si tratta della prima Federazione al mondo paragonabile ad un moderno Stato federale. La Federazione nacque con due scopi principali: 1. Governarsi con la maggiore autonomia possibile 2. La difesa del territorio.
La storia della reggenza si è affiancata col tempo, alle vicissitudini della Repubblica Serenissima, e cadde ufficialmente, nel 1807, a causa della Campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte.
In tempi più vicini, durante le due guerre mondiali, tutto l’Altopiano è stato colpito da tremendi avvenimenti. Durante la prima guerra mondiale è stato quasi tutto raso al suolo. Durante la seconda, la zona fu altrettanto teatro di gravi scontri tra partigiani e nazifascisti: eccidi, incendi, fucilazioni, devastazioni di varia gravità ne hanno scritto le più tristi pagine di storia.
# Due righe di geografia: il 90% del territorio è di “proprietà collettiva”
Il territorio dell’altopiano è formato da una conca centrale con altitudine media che si aggira intorno ai 1.000 metri. A nord si trova un secondo altopiano racchiuso da una serie di cime che gli fanno da corona e si elevano oltre i 2.300 metri di altezza, mentre verso Sud la conca è racchiusa da una serie di colli che scendono man mano verso la pianura Padana.
Nell’Altopiano si parlano ovviamente l’italiano e il dialetto veneto (con accento che al mio orecchio è particolarmente inconfondibile). In passato il territorio è stato inoltre abitato dalla minoranza etnica dei cimbri, motivo per cui, ancora oggi, si trovano delle reminescenze della lingua cimbra nel linguaggio colloquiale e nella toponomastica di tutta la zona. Infatti, tutte le località hanno il nome in italiano, a cui è affiancata la traduzione cimbra (Asiago diventa Slege, Gallio diventa Gèl, Roana Robaan e via dicendo).
Circa il 90% del territorio dell’Altopiano non è proprietà privata e nemmeno proprietà pubblica demaniale, ma è di proprietà collettiva, appartiene cioè agli antichi abitanti del luogo, ed è soggetto a regolamento degli usi civici ancor oggi riconosciuti dallo Stato.
# Ognuno dei Comuni è geloso della sua indipendenza
La salubrità dell’aria di cui gode, la sua gente, i suoi paesaggi, la sua storia, il suo cibo, rendono l’Altopiano di Asiago una meta turistica visitabile tutti i mesi dell’anno, e difficilmente può deludere chi la visita.
Come già detto, per una buona fetta di veneti (diciamo per tutti coloro che vivono nella zona compresa tra Padova, Vicenza e Rovigo) Asiago è sicuramente il primo luogo che viene in mente quando si parla di montagna. Asiago è comoda da raggiungere e l’offerta turistica è molto varia. Ognuno dei comuni dell’Altopiano vanta una storia indipendente e ancora oggi conserva tesori culturali e folcloristici del tutto caratteristici. E’ per questo che chi “sale” sull’altopiano, può farlo per un semplice tour eno-gastronomico, per andare a sciare (quando permesso), per camminare tra i campi della Grande Guerra, per ammirare le sue bellezze naturalistiche.
Credits: @asiago.it (INSTG) Piazza Carli Asiago
# Cosa fare ad Asiago: la Grande Guerra
Come ho già scritto, l’Altopiano di Asiago è stato uno dei territori maggiormente segnati durante le guerre mondiali. Hemingway, Musil e Kafka hanno scritto pagine su Asiago, e ancora oggi si possono ripercorrere, immersi nella natura, le strade che hanno scritto la storia di Asiago. Le guide turistiche per escursionisti offrono infatti parecchi itinerari, molto facili ma altrettanto suggestivi, che permettono di vedere e toccare con mano intere pagine di storia (triste) del nostro passato. Oltre a seguire i numerosi itinerari lungo il fronte, è possibile visitare musei e luoghi della memoria, come i sacrari di Asiago, Pasubio e Tonezza del Cimone.
Credits: @asiago.it (INSTG) il Sacrario di AsiagoCredits: @asiago.it (INSTG): il Monte Cengio
# Dove sciare ad Asiago, ma non solo
500 chilometri di piste da fondo, 80 chilometri di piste da discesa e oltre 40 impianti di risalita. E’ questo il biglietto da visita di Asiago per quanto riguarda lo sport invernale. Anche se quest’anno non sembra proprio quello giusto per poter visitare l’Altopiano per sciare, l’offerta è, normalmente, molto buona e soprattutto comoda. Infatti, in soli 5 minuti di macchina dai centri di Asiago o di Gallio, si riescono a raggiungere le aree sciistiche più performanti della zona: Kaberlaba, Melette 2000, Monte Verena 2000, Val Formica-Cima Larici, Sciovie Biancoia di Conco. Gli impianti permettono di andare ben oltre i 2000 metri di altitudine.
Gli amanti dello sci di fondo possono invece trovare ben 500 chilometri di piste a cavallo dei sette comuni per potersi finalmente rilassare lontano dallo stress della città.
A chi non scia, Asiago offre molte altre opportunità: sci d’alpinismo, passeggiate con le ciaspole, equitazione invernale, pattinaggio sul ghiaccio, pittoresche gare con cani da slitta, visite guidate (vi invito a spiare il sito www.guidealtopiano.com) all’Osservatorio Astronomico e Astrofisico di Asiago, nei musei o nella natura. Quando sarà nuovamente possibile, vi invito a passare due ore al Palaghiaccio per assistere dal vivo a una partita di hockey su ghiaccio: la squadra dell’Asiago è molto famosa e lo sport da queste parti è considerato molto importante!
Credits: @Venetosegreto (INSTG): L’Osservatorio astronomico di AsiagoCredits: @verena2000 (INSTG): Le piste del Monte Verena
# Cosa mangiare: L’ “Asiago”
Credits: @formaggioasiagodop (INSTG)
Di certo, chi non ha mai potuto visitare Asiago, conosce comunque questa parola per il delizioso formaggio che ha origine e viene prodotto proprio, fin dall’anno Mille, nell’Altopiano.
L’Altopiano di Asiago è caratterizzato da clima mite, aria e acqua pulite e una vegetazione ricca che fornisce il giusto nutrimento per i pascoli. Vicenza, Trento, una parte di Padova e Treviso. Solo il formaggio prodotto in questo territorio delimitato può fregiarsi del nome di Asiago DOP. Lo si può trovare in più varianti, da quello più fresco (almeno 20 giorni di stagionatura) a quello più stagionato (lo stravecchio, oltre 15 mesi di stagionatura). Il “Prodotto della Montagna”, qualità pregiata di formaggio Asiago, per fregiarsi di questa menzione, deve essere prodotto solo con latte di aziende agricole montane e trasformato interamente al di sopra dei 600 metri.
# Cosa mangiare: La tosella
Credits: @Tosella (INSTG)
E’ molto facile entrare in qualsiasi ristorante o agriturismo dell’Altopiano e farsi conquistare da un semplice piatto a base di formaggi dell’Altopiano. Se potete, vi consiglio di non resistere alla tentazione di un piatto a base di tosella. E’ un formaggio freschissimo tipico della zona, ancora pieno di siero, che deve essere consumato al massimo tre giorni dopo la sua produzione. Ha una consistenza molto particolare, quasi gommosa, viene tagliato a fette (tonde, rettangolari, quadrate, a seconda del casaro che la produce) e viene solitamente cotto alla piastra. La cottura crea attorno al formaggio una crosticina che lo rende unico. Accompagnato solitamente da funghi e polenta, è un piatto irresistibile. Ripeto: non le resistete!
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
A meno di rinvii causa Covid, questa tarda primavera si terranno le elezioni amministrative a Milano. Ma cosa dovrebbe fare un candidato sindaco per conquistare i suoi cittadini? Ecco 10 idee che non dovrebbe lasciarsi sfuggire.
10 cose che ogni CANDIDATO SINDACO di Milano farà per conquistare voti
#1 Andare allo stadio
Credits: @milan.news.central IG
Considerando che deve ovviamente essere un supporter di una delle due squadre meneghine, il futuro sindaco dovrà farsi immortalare con sciarpa della propria squadra e, possibilmente, con vicino un bambino avvolto nella bandiera dei suoi beniamini. Sindaco tifoso ma con classe.
#2 Uscire con i City Angels
Credits: @mariofurlanofficial IG
In realtà, la vera chicca è una foto con Stone, al secolo Mario Furlan, giornalista e formatore nonché vero angelo di Milano e fondatore dei City Angels con i quali aiuta bisognosi e senza tetto, oltre che svolgere servizi di ordine pubblico per grandi aree di interesse. Immancabile nella collezione di immagini che lo proiettano verso l’elezione. Sindaco degli ultimi.
#3 Girare nelle periferie promettendo che saranno il nuovo centro
Credits: @navigliomartesana IG
Circondato da un capannello di persone e intento a raccogliere pareri dei cittadini, il futuro sindaco potrà dimostrare che, finalmente, sarà un primo cittadino diverso dai suoi predecessori (nel caso anche da se stesso). Non avrà a cuore solo le classi che possono assicurare introiti finanziari. Sindaco di periferia.
#4 Distribuire cibo ai bisognosi
Credits: www.ilgiorno.it
Il sociale è un argomento troppo importante e la più ghiotta delle immagini è farsi immortalare mentre si regala un pacco con degli alimenti ai più bisognosi. Anche servire a qualche mensa dei poveri è una fotografia che non può mancare. Certo, sarebbe meglio esibirne anche di più datate dove dimostra che è un’attività che ha già svolto in tempi non sospetti, ma non tutti sono San Francesco. Sindaco del bisogno.
#5 Girare con le forze di polizia
Credits: www.ilprimatonazionale.it
Vicino ai bisognosi sì, ma senza fare sconti alla sicurezza. Un punto nevralgico di Milano è la Stazione Centrale. Combatterne il degrado è un punto di forza. Indossando una giubba delle Forze dell’Ordine e felicemente armato di buona volontà, il nostro eroe si farà immortalare mentre dialoga con chi bivacca in zona e invita, con faccia autorevole ma compiacente, qualche spacciatore a redimersi. Sindaco della sicurezza.
#6 Prendere la metropolitana
Credits: www.milanotoday.it
Un film già visto altrove, con Primi Ministri intenti a leggere un quotidiano mentre si appoggiano a un paletto della metro o con attori holliwoodiani che cedono il proprio posto a chi ha bisogno di sedersi. Anche a Milano, il futuro primo cittadino non potrà esimersi dall’emulare gli illustri personaggi, dimostrando che preferisce il trasporto pubblico al posto delle auto blu. Sperando di non capitolare facendosi scorrazzare con un cingolato in una ZTL, magari in contromano. Sindaco metropolitano.
#7 Fare la spesa al supermercato
Credits: www.blogsicilia.it
Il milanese, per antonomasia, va all’Esselunga. Ma, per essere più politicamente corretto, il nostro eroe farà del proprio meglio per farsi ritrarre mentre adagia nel carrello di qualche discount una confezione formato famiglia di tenera lattuga di coltivazione biologica, possibilmente con i richiesti guanti monouso. È molto gettonato anche il possibile scatto mentre preleva dall’alto di uno scaffale una confezione di caffè gran risparmio per una tenera vecchietta troppo bassa per potersela prendere da sola. Sindaco del quotidiano.
#8 Piantare un albero
Credits: www.nonsprecare.it
Maniche rimboccate e pala piantata saldamente nel terreno come un consumato agricoltore dell’inizio del ‘900, l’impavido candidato si mostrerà orgoglioso di dare una svolta green alla città. Arrivato in pompa magna in bicicletta, sfidando i pericoli del caotico traffico meneghino reso quasi ingestibile grazie a piste ciclabili disegnate direttamente a Hogwarts, dopo un corso accelerato di piantumazione spiegherà ai presenti come si posiziona un prugno considerando stagione, fase lunare e rotazione terrestre. Messo in bolla e rifinita la sistemazione, sarà pronto per brindare coi presenti all’apporto di ossigeno del quale noi tutti gioveremo. Sindaco Greta.
#9 All’uscita della chiesa
Credits: www.chiesadimilano.it
Che sia cattolico praticante, induista o mangiapreti, il futuro sindaco dovrà farsi pizzicare fuori da una chiesa perché, comunque vada e qualunque credo abbracci, l’immagine del bravo cristiano ci vuole sempre. Sarà per la messa, per un matrimonio oppure per un funerale, la chiacchierata con qualche interlocutore sulle scale di una chiesa è uno scatto che deve esserci nella galleria. Se poi è un comprovato fedele devoto di qualche Santo, chiude il cerchio e mette in tasca una cospicua dose di voti. Perché, checché se ne dica, un buon cattolico è sempre una persona che piace. Sindaco devoto.
#10 Raccogliere un rifiuto da terra
www.madiventura.it
Casualmente verrà osservato mentre raccatta un foglio o una lattina da terra e la butta nel bidone dell’immondizia. Se mai dovesse essere un fumatore, una di quelle razze vituperate e in via d’estinzione, il nostro eroe spegnerà il mozzicone sul lato apposito del contenitore della spazzatura per poi gettare il mozzicone, rigorosamente spento, nel cesto. Ma la bottiglietta raccolta nel prato supera qualunque punteggio e lo proietta come più spavaldo antagonista della piccola Greta, alla quale non invidierà le treccine ma la prima pagina del Times. Se proprio vuol fare lo sborone, e per un milanese ci sta, tenterà un improbabile tiro da tre punti per infilare il pezzo di plastica direttamente dai 7 metri, dimostrando le sue famose doti ginniche. Ovunque vada a finire la bottiglietta, avrà ottenuto molta simpatia. Sindacoa impatto zero.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Credits: untramperbologna.it - Le 4 linee in progetto
L’ultimo anno in cui un tram ha percorso le strade del capoluogo emiliano è stato il 1963, sono passati quasi 60 anni. La prima linea inaugurerà nel 2026 e passerà per il centro. Come sarà tutta la rete in futuro.
A BOLOGNA torna il TRAM: le 4 nuove linee in arrivo
# Dopo oltre 60 anni una nuova rete tranviaria nel capoluogo emiliano
Credits: sestopotere.it
A fine del 2019 nel documento del PUMS approvato della Città Metropolitana di Bologna, oltre una rete portante del trasporto pubblico metropolitano basata sul Servizio Ferroviario Metropolitano (SFM), è stato inserito un nuovo sistema di trasporto rapido di massa di tipo tranviario per l’area urbana di Bologna integrato con il trasporto pubblico su gomma. Nel capoluogo emiliano, dopo oltre 60 anni dall’ultimo tram in servizio, verrà costruita quindi una nuova rete cittadina tranviaria con mezzi lunghi dai 32 ai 42 metri, capaci di trasportare dai 220 ai 290 passeggeri.
# La rete nel 2030 sarà composta di 4 linee: rossa, verde, gialla e blu. La lunghezza sarà di 57 km con 300.000 passeggeri giornalieri trasportati a regime
Credits: untramperbologna.it – Le 4 linee in progetto
La rete dovrebbe essere completata entro il 2030: 57 km di binari, 300.000 passeggeri a regime e 4 linee interconnesse tra di loro. Ecco quali sono:
Linea Rossa: Terminal Emilio Lepido–Terminal Fiera–Facoltà di Agraria/CAAB
Linea Verde: Corticella–Deposito Due Madonne
Linea Gialla: Rastignano–Casteldebole
Linea Blu: Casalecchio–San Lazzaro
I percorsi delle linee sono stati scelti prendendo in considerazione le direttrici principali e maggiormente cariche dell’attuale sistema di trasporto pubblico su gomma. La linea rossa sarà la prima a partire con i lavori, le altre linee della rete tranviaria entreranno in funzione gradualmente nei prossimi dieci anni. La linea blu è l’unica che potrebbe essere realizzata oltre il 2030. Ecco le linee in fase avanzata di progettazione.
# La linea rossa avrà 30 fermate lungo 16,5 km. Investimento di 509 milioni di euro, inizio lavori nel 2022 e inaugurazione nel 2026
Credits: .untramperbologna.it – Linea Rossa
La linea rossa vedrà partire per prima i lavori, nel 2022, perché sul suo percorso servirà importanti poli di attrazione della città: la sede della Ducati, la stazione del SFM di Borgo Panigale, il MAST e l’Opificio Golinelli, l’Ospedale Maggiore, il centro storico, la Stazione Centrale, l’Autostazione, la Regione e la Fiera, la zona del Pilastro e la zona della facoltà di Agraria, FICO, Meraville e CAAB. Il progetto esecutivo è stato presentato a fine del 2020 e sono già stati stanziati i 509 milionidi euro necessari.
Il tracciato prevede 30 fermate lungo 16,5 chilometri, con tre capolinea e corse ogni 4/5 minuti. Il tram impiegherà 52 i minuti per completare l’intero percorso da Borgo Panigale alla Facoltà di Agraria / CAAB e secondo le analisi caricherà tra i 80 a 110.000 passeggeri al giorno. “La linea rossa collegherà Borgo Panigale, capolinea ovest dove è prevista la realizzazione di un parcheggio scambiatore da 380 posti e un terminal di interscambio con le linee extraurbane, alla Facoltà di Agraria al Caab, con un’ulteriore diramazione dalla Fiera al parcheggio Michelino. Il capolinea della diramazione verso nord della linea sarà collocato nel Terminal Area Fiera che coinvolge il parcheggio di interscambio Michelino.” L’unico tratto in cui il tram sarà alimentato solo a batteria, per non inserire linee aree elettrificate, sarà il centro storico.
# Il primo tratto della linea verde sarà esteso 7,4 km per 18 fermate
Credits: untramperbologna.it – Linea verde
La seconda linea che vedrà la luce sarà quella verde: il primo tratto avrà una lunghezza di 7,4 km, di cui 5,9 km su nuovo percorso e 1,5 km in sovrapposizione alla Linea Rossa per un totale di 18 fermate, di cui 4 in comune con la Linea Rossa. Il costo complessivo di questa infrastruttura sarà di 222 milioni di euro. Sono previsti un massimo di 32.000 passeggeri ogni giorno e una durata del viaggio di 25 minuti tra i 2 capolinea di Via dei Mille e di Corticella nel Comune di Castel Maggiore: il tracciato interesserà via dell’Indipendenza, via Matteotti e via Ferrarese.
Questo primo tratto della Linea Verde, per il quale prosegue la progettazione, andrà a servire una delle aree più popolose della città e sarà operativo entro il 2030. In fase di studioilprolungamento ulteriore a nord in direzione del centro di Castel Maggiore per un investimento aggiuntivo di 130-150 milioni di euro. In una fase successiva è previsto il prolungamento verso est fino all’altro capolinea di “Deposito Due Madonne”.
Per la linea gialla e blu devono essere presentati i progetti preliminari.
Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.