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La CRISI della POLITICA

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Trascrizione integrale del video del Direttore Andrea Zoppolato “L’estate di FILOSOFIA POLITICA – Seconda puntata: LA CRISI della POLITICA’”

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Il fine della politica

Benvenuti all’estate di filosofia politica. Ieri abbiamo ha parlato del “fine della politica”, oggi parliamo della “crisi della politica”. In breve ieri abbiamo visto come la società è divisa in tre dimensioni che sono: la cultura, l’economia e la politica, dove il fine dell’economia è quello di creare valore, quello della cultura di far crescere la persona con un arricchimento interiore e quello della politica, abbiamo visto secondo Aristotele, Machiavelli e anche gli antichi Re della Mesopotamia, è quello dl creare le condizioni ottimali perché le persone possono vivere felici. Oggi parliamo di crisi della politica.

La crisi della politica

# Secondo Husserl la crisi delle scienze è data dalla mancanza di un nesso ontologico 

Per a crisi della politica, partirei da Husserl, anche perché dal punto vista filosofico “crisi” nel ‘900 significa Husserl. Husserl nel 1936 ha fatto uscire un libro che fece molto scalpore, anche perché in qualche modo preconizzò quello che accadde poi con la grande tragedia della seconda guerra mondiale: “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Secondo Husserl la grave crisi del ‘900 era per il fatto che tutte le scienze erano ormai racchiuse,si può dire sono ormai racchiuse, nello studio dei fenomeni e hanno perso di vista il cosiddetto mondo delle cause: il “numenon“, secondo gli antichi greci. Questo perché sostanzialmente il limite delle delle scienze è di aver perso il criterio fondamentale, il nesso ontologico, ossia il contatto con quello che lui definiva il “mondo della vita”. Quindi da essere oggettive sono diventate soggettive perché dipendono dal soggetto, da chi fa scienza. Tra l’altro si può dire, ai giorni presenti, è diventata abbastanza palese questa crisi delle scienze anche da noi, visto che si è visto come nel caso del Covid, la scienza si è spaccata, comunque ha perso quel criterio di oggettività che l’aveva resa autorevole in tutto il mondo. Quindi secondo Husserl la crisi delle scienze è una crisi di mancanza di nesso col mondo della vita. Si può parlare anche di una crisi ormai della società.

# La prima crisi è quella economica

Per la crisi della società intendo riprendere i fini: è una crisi di fini. Visto che il fine giustifica i mezzi, se tu hai un fine che è contraddittorio, errato o confuso l’effetto che si ha è che anche i mezzi perdono di significato. Perché c’è una crisi a livello di società, ossia di tutte le componenti, perché è una crisi proprio di fini che si potrebbe dire ontologica, che investe le singole attività dell’umano. Partendo dal primo dei tre ambiti, che è quello dell’oikos che abbiamo visto ieri di Aristotele, la prima crisi è quella economica perché sta succedendo esattamente quello che aveva detto Aristotele sul limite dell’economia. Secondo Aristotele l’uso del denaro può essere fatto in modo naturale e positivo per la crescita del valore oppure innaturale. Naturale quando lo scambio che è la base dell’economia, cioè una persona dà qualcosa in cambio di un altro, è finalizzata alla creazione del valore, cioè io pago un “tot” e ottengo come valore qualcosa che è superiore rispetto a questo “tot”. Secondo Aristotele invece lo scambio innaturale è quello che avviene da soldi per soldi, cioè che poi in ultima analisi il simbolo di tutto è, ad esempio, dare soldi in cambio di ottenere un credito, cioè io pago i miei soldi oggi per avere più soldi in futuro. Quindi perché diceva che era innaturale? Perché sostanzialmente quello che accade secondo Aristotele in uno scambio monetario, non in uno scambio economico, cioè in un’economia dominata dallo scambio monetario si ha una creazione di moneta che non compensa la creazione di valore.

Ma non solo, si ha che prevarica la parte del credito rispetto al debito, cioè il debitore che sostanzialmente dovrebbe pagare gli interessi e poi rimborsare il debito, alla lunga secondo Aristotele quello che avviene in realtà è che il debitore viene privato di molti più poteri, diritti e valori rispetto a quello che dovrebbe essere il debito. Se vado comprare una mela devo semplicemente pagare i soldi quella mela, ma se devo prendere un prestito la banca mi fa il check di tutto e mi controlla anche quello che farò dopo. A livello macro politico lo si vede perché un paese indebitato, come esempio all’Italia, che tra l’altro è uno dei pochi Paesi che ha sempre pagati suoi debiti, in realtà non le viene chiesto solo di pagare i debiti, ma viene costretta a una serie di privazioni e di controlli che vanno oltre il debito, quello che diceva appunto Aristotele: a tendere il debito diventa una schiavitù.

Che cosa si dovrebbe fare? Per questo ad esempio, non dico che che sia una soluzione, ma mi riallaccio a questo punto, non a un pensatore della politica, ma a una tradizione antica. Secondo l’antico ebraismo, secondo la Tōrāh, ogni sette cicli di anni sabbatici, quindi sette per sette, ogni 49 anni si deve avere il Giubileo. Cos’era il Giubileo? Il Giubileo era per evitare il fatto che il debitore si mettesse nelle mani totalmente del creditore perdendo tutte le sue libertà. Cioè ogni cinquant’anni, ogni quarantanove anni, si ha al giubileo, cioè vengono cancellati i debiti e in particolare tutti tornano a essere proprietari della propria terra e della propria libertà. Proprio perché, avevano previsto gli antichi, tra l’altro era una tradizione che addirittura si riallacciava ai vecchi regni mesopotamici, proprio per il fatto che si accorgevano che lo scambio monetario finisce con il debitore che paga molto di più, perché paga con la propria vita, con la propria libertà, con i propri diritti quello che dovrebbe essere semplicemente un rapporto economico. Ed è ovvio che oggi siamo in una economia sbilanciata, perché sbilanciata sulle economia monetaria, perché è diventata incapace di creare valore. Basta vedere, ad esempio, parlando dell’Italia non solo la crisi economica, proprio per il fatto di una crisi produttività e il fatto che se vediamo negli ultimi vent’anni non ci sono state grandi aziende a livello internazionale che sono state create, perché l’azienda è il simbolo della creazione del valore. Mentre invece si è creato molto debito, cioè si sta portando l’economia da un’economia sana di creazione di valore, a un’economia ormai sbilanciata sulla creazione monetaria, del pago soldi oggi per avere più soldi domani e ridudo le libertà del debitore. Questo a cascata, perché son concatenati questi tre ambiti, è anche la crisi politica e culturale.

# Hobsbawm “Il secolo breve” e il fallimento dei programmi di miglioramento dell’essere umano

L’equivalente di Husserl invece per la politica e in generale per la cultura è Hobsbawm. Hobsbawm è un pensatore nato come marxista che è diventato celebre in tutto il mondo per aver scritto “Il secolo breve”. Secondo Hobsbawm, in questo suo grande libro, il ‘900 in realtà è un secolo che è durato dall’inizio la prima guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino, per questo è breve, perché durato meno di un secolo. Secondo Hobsbawm, il secolo breve ha testimoniato il fallimento di tutti i programmi di miglioramento dell’essere umano. Cioè, da un lato nel ‘900 è esplosa questa intenzionalità diffusa a livello delle società di creare dei modelli di miglioramento, si può dire secondo la politeia aristotelica la finalità era quella di rendere felici gli essere umani, però  con le grandi tragedie ‘900 si dimostra il fallimento di tutte queste idee, secondo Hobsbawm è successo proprio che hanno dimostrato di fallire tutti questi programmi, che secondo lui sono riconducibili ai tre grandi gruppi che sono: il fascismo, il comunismo e il capitalismo. Hanno fallito perché, lo si può vedere perché se  riprendiamo anche la storia degli ultimi anni, tra l’altro ha preconizzato anche lui quello che è successo adesso perché, se si vede, dalla caduta del muro di Berlino ad oggi, se si analizza l’aspetto politico, si vede che ha fallito la politica negli ambiti che sono quelli aristotelici di base. Cioè secondo Aristotele la politica deve essere politeia, cioè deve essere una modalità di organizzazione e deve essere un atto di ribellione sotto certi aspetti, cioè la vera politica è un atto di ribellione perché la vera politica è la proposizione di un nuovo modello e deve essere ribellione perché vuol dire che il modello precedente non funzionava. Ma se si guarda riprendendo Hobsbawm quello che è successo dalla caduta del muro di  Berlino si vede che non esistono, non sono stati proposti nessun tipo di nuovo modello di organizzazione che non sia un modello a immagine e somiglianza del modello mercantilista. Cioè questo modello che, diciamo è il centro base di tutta la politica degli ultimi trent’anni, è stato il creare tutte quelle condizioni ottimali, non per rendere felici le persone ma per fare e per costruire tutto quel sistema basato proprio su credito/debito, su un’economia tipicamente monetaria. Lo si vede perché gli stati vengono analizzati ormai non tanto sul PIL, ma quanto sul debito, cioè sulla capacità di ripagare questo debito, e ancora oggi si vede che gli aiuti, tra virgolette, che vengono dati all’Italia non sono aiuti per la creazione del valore come potevano essere gli aiuti del piano Marshall: ma sono aiuti finalizzati sostanzialmente a cosa? Ad aumentare ancora di più il debito, che riprendendo la tradizione ebraica e mesopotamica significa aumentare la dipendenza e la privazione dei diritti basilari e della libertà di un Paese.

# La fine della cultura

E tra l‘altro l’ultima opera di Hobsbawm è proprio “La fine della cultura”, perché dice che tutto questo è figlio del fatto che c’è un imbarbarimento culturale perché abbiamo perso l’estetica nella cultura, perché la cultura dovrebbe avere invece come fine proprio quello dell’arricchimento interiore, secondo un criterio estetico, come diceva Husserl, per l’evoluzione della persona. Invece per la rivoluzione tecnologica abbiamo perso l’autonomia e l’identità e invece siamo diventati omologati in un imbarbarimento robotizzante, quindi per questo è finita insieme alla politica, secondo Hobsbawm, anche la cultura.

# I due segnali del fallimento della politica

Quali sono i due segnali del fallimento della politica? In primis, a livello macro, il fatto che non ci sono stati dei modelli, non parlo solo dell’Italia ma a livello internazionale non ci sono stati più dei modelli, hanno fallito i programmi questi così detti modelli di politeia recenti, non sono stati sostituiti con altri più efficienti, ma sono stati sostituiti da assenza di modelli, che poi l’assenza di modelli è come si può dire, l’anarchia. L’anarchia non è libertà totale ma è che lasci prevaricare le forze più distruttive, le cosiddette erbacce. È un principio naturale, se tu hai un orto alla fine se non coltivi, riprendendo anche la la metafora mesopotamica del buon regno che è come quello del giardino, se non coltivi buone piante vincono le piante cattive. In questo caso la potenza dell’economia monetaria rispetto a quella della creazione valore.

Ma secondo punto della crisi della politica, è il fatto che si vede che se la politica come fine è quello de rendere più felici le persone e poi si vedrà anche nei prossimi incontri che cosa vuol dire rendere più felici le persone, in senso aristotelico e machiavellico, o meglio machiavelliano perché anche Machiavelli ha detto che il governante deve utilizzare e strumentalizzare tutti i mezzi per rendere felici i sudditi, l’altro segno è che se vediamo questo non è avvenuto o meglio tutti i governanti parliamo dell’italia, tutti i governanti che ci sono stati, non si può dire certo che abbiano contribuito a un miglioramento della società. Anzi, almeno se vediamo gli ultimi vent’anni non solo nessuno di loro è riuscito a trasmettere il suo potere in un miglioramento della società, miglioramento economico, di benessere, di possibilità, anche di libertà e partecipazione che erano i princìpi della felicità secondo Aristotele, ma anche loro stessi hanno fallito perché non sono riusciti a mettere in atto quello che era il loro programma, il progetto quantico che volevano sviluppare. Se prendiamo gli ultimi governanti dei recenti vent’anni nessuno è mai riuscito a mettere in atto quello per cui era stato votato. Quindi domani affronteremo questo tema scottante, ci chiederemo come mai questi leader politici hanno fallito e soprattutto cerchiamo di verificare anche a livello di psicologia se ci può essere stato un punto in comune fra tutti quanti i loro fallimenti.

ANDREA ZOPPOLATO

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Il decreto di Agosto è una dichiarazione di GUERRA contro il NORD: Italia a rischio di desertificazione economica (SPY Finanza)

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Credits: Andrea Cherchi - Milano deserta

Pubblichiamo estratti articolo di Mauro Bottarelli “Spy Finanza” – La dichiarazione di guerra al Nord che trasforma l’Italia in deserto

Il decreto di Agosto è una dichiarazione di guerra contro il Nord: Italia a rischio di desertificazione economica (SPY Finanza)

# Al nord manca una vera rappresentanza politica

Dal suo buen retiro di Formentera, immagino che il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, abbia appreso con vivo entusiasmo dei contenuti del Decreto agosto. Lui, l’uomo che a fronte delle scosse telluriche che scuotono da qualche tempo la Lega, ha lanciato l’appello al Pd affinché parta alla conquista di quel Nord abbandonato dal Matteo Salvini in veste nazionalista e lepenista, ora potrebbe passare all’incasso. Magari, in tandem con quel Beppe Sala che ultimamente non ha lesinato stoccate al Mezzogiorno e proposte-tabù come una riedizione delle gabbie salariali per combattere la crisi.

Già, perché quando dentro il Decreto che dovrebbe mettere il turbo alla ripartenza, in attesa del Sarchiapone dei fondi europei, trovi un bello sgravio del 30% per le aziende del Sud (…) il profilo elettorale alla Lauro del provvedimento appare immediato, lampante, cristallino. E per la leadership di Nicola Zingaretti, in parte mortale. Perché in un periodo di caduta assoluta delle certezze e delle roccheforti, alienarsi del tutto il Settentrione del Paese appare davvero una scelta suicida. Resa di fatto possibile proprio dall’assenza totale di rappresentanza di quell’area geografica e produttiva, un tempo fortino inespugnabile della Lega Nord di Umberto Bossi e del centrodestra moderato a trazione Forza Italia, ad esempio in Brianza. Oggi, il deserto.

# Il Nord a rischio desertificazione economica

Il senatore Matteo Salvini ragiona ormai nell’ottica del partito nazionale e nazionalista, di fatto andando in contrapposizione diretta contro chi quell’orizzonte politico ce l’ha nel dna da sempre. Ovvero, l’onorevole Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, non a caso in ascesa continua a scapito proprio dell’ex Carroccio. (…) Insomma, praterie elettorali al Nord per un Pd a forte vocazione territoriale e liberale come sogna Giorgio Gori. E come, fatte salve le pagliacciate del politicamente corretto che piacciono tanto alla borghesia meneghina che deve pettinarsi la coscienza, in fondo non dispiace affatto nemmeno a Beppe Sala.

Il problema è che, al netto dei contenuti del Decreto agosto, quelle prateria potrebbe rivelarsi, da qui a pochissime settimane, un deserto. Quella che, in tempi non sospetti, definivo la Spoon River delle saracinesche chiuse. Basta girare Milano per accorgersene già oggi. E non solo in periferia, anche in pieno centro. Lo smart working a oltranza che ha seguito la fine del lockdown ha di fatto inferto il colpo mortale alla città, già totalmente orfana dei turisti del lusso. Il Governo ha, di fatto, accontentato pressoché totalmente i sindacati e ignorato Confindustria. (…) Con tanti saluti alle aziende del Nord, soprattutto PMI, che dopo tre mesi di inattività totale, ora si troveranno anche a fare i conti con i diktat economici di Stato e sindacato: l’Unione Sovietica non era molto differente, a livello di pianificazione. E noi vogliamo andare in guerra così, con questa armatura?

La produzione industriale francese è salita ancora, +12,5%. La Germania, se riuscirà a evitare un nuovo lockdown, pare pronta per l’innesco di un trend di ripresa sostenuto e sostenibile: ma l’industria del Nord che opera da subfornitore di quella teutonica, riuscirà a correre altrettanto, visti i pesi che il Governo le ha legato alle caviglie con il Decreto agosto? Anzi, meglio chiamarlo Decreto Landini.

# Come reagiranno i leader politici del nord: Salvini, Gori e Sala?

Ammesso e non concesso che, come dicono tutti i protagonisti chiamati in causa, dentro la Lega sia davvero in atto solo un sano confronto di posizioni che però non sfocerà in fronda. Resta un fatto: come reagisce il partito del senatore Matteo Salvini a questa manovra dichiaratamente meridionalista? Qui non si tratta di contrapposizione fra aree del Paese, non si tratta di rinverdire i fasti di un secessionismo d’antan, bensì semplicemente prendere atto del fatto che il Governo ignora scientemente la realtà e si fa scudo delle indicazioni della Commissione Ue rispetto al privilegiare il Mezzogiorno nelle scelte di politica economica. Peccato che i soldi del Recovery fund ancora non ci siano. E non ci saranno mai. Lo ripeto: il Mezzogiorno non è mai stato chiuso per lockdown, a differenza di un Nord che ha visto le regioni trainanti dell’intero Pil nazionale bloccate e chiuse letteralmente in casa a contare le ambulanza che passavano per quasi tre mesi. Questa è stupidità politica ed economica. O malafede elettoralistica in vista del voto regionale di settembre. Tertium non datur.

Cosa accadrà, adesso? Cosa dirà Giorgio Gori, al ritorno delle vacanze? Darà vita a una sua corrente personale e nordista, aprendo di fatto una fronda interna al Pd? E Beppe Sala, cosa farà? Una cosa è certa: attenzione a lasciare senza rappresentanza politica la parte produttiva del Paese, la quale sta già oggi gridando il proprio disperato appello per sopravvivere. Attenzione, tutti. Perché c’è un forte rischio insito in questa dinamica di scollamento, duplice in realtà.

# Il rischio di politicizzazione di Confindustria

Primo, la possibilità di una politicizzazione quasi da arco costituzionale parallelo e silente di Confindustria, di fatto l’unica ad alzare la voce con accenti di buonsenso in difesa dell’impresa. Sono certo che Carlo Bonomi non abbia mire politiche, ma il rischio che giocoforza si ritrovi coinvolto in una sciarada di ruoli appare ogni giorno più alto, stante il carattere palesemente statalista e anti-mercatista dell’azione politica del Governo e dell’opposizione. E l’associazione degli industriali, di fatto, vive da sempre questo dualismo interno fra Nord e Sud, esplicitatosi negli anni in base alle presidenze espresse e alle loro provenienze geografiche e di cluster. Oggi il rischio frantumazione in nome dell’interesse supremo della sopravvivenza di qualche decina di migliaia di aziende è alto come non mai, talmente alto da costringere il Governo a prendere una posizione netta e scegliere la potenza organizzativa e di deterrenza ricattatoria del sindacato.

# Se il Nord non regge i ritmi di ripresa tedeschi, la Germania si fornirà altrove

Secondo, la Germania non aspetta. Se il comparto della subfornitura industriale del Nord non sarà in grado di reggere i ritmi di ripresa teutonici, giocoforza gli imprenditori di quel Paese dovranno prendere atto delle mutate condizioni operative e scegliere al ribasso, sacrificando la specializzazione e l’eccellenza italiana e scegliendo la produttività e i ritmi di lavoro di Paesi concorrenti al nostro Settentrione, magari a Est. Dopodiché, sarà davvero game over.

Pensate però che Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Piemonte accetteranno questa logica? Pensate che la risposta al Covid e al lockdown sia un esercito di dipendenti statali, cassintegrati a oltranza e percettori di reddito di cittadinanza? Se volete la guerra civile, quella combattuta a colpi di partita Iva e disobbedienza fiscale, andate avanti su questa strada. Poi, però, non lamentatevi più per le incursioni predatorie di soggetti esteri verso i nostri gioielli imprenditoriali, non evocate più il 1992, la svendita sul Britannia e altre amenità: perché questo Decreto agosto rappresenta una sorta di lasciapassare per qualsiasi raider imprenditoriale straniero che intenda fare shopping a prezzo di saldo. O, magari, sperate in una calata di massa di presunti businessmen cinesi, carichi di contante statale, pronti a colonizzare il Nord, esattamente come hanno fatto con la Grecia?

Fossi Giorgio Gori, anticiperei il ritorno da Formentera e taglierei corto il resto delle ferie agostane: se davvero ha a cuore la questione del Nord, questo è il momento di entrare in campo. Prima che la Spoon River delle saracinesche d’autunno lo tramuti per sempre in un camposanto. E per quanto io prenda atto delle smentite che giungono dalla Lega, dubito che Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia accetteranno ancora per molto che una simile prospettiva politica di svuotamento della rappresentanza delle istanze del Nord possa passare dall’avere carattere meramente ipotetico a crisma di realtà fattuale. In mezzo, la Confindustria di Carlo Bonomi. Involontaria e forse inconsapevole pietra angolare di un gioco politico ed economico senza precedenti. Per pericolosità. Ma anche per carattere spartiacque.

# Il decreto di Agosto è una dichiarazione di guerra contro il Nord

Parliamoci chiaro: il Decreto agosto è una dichiarazione di guerra contro il Nord, il diritto d’impresa, i sacrifici di chi tenta di ripartire e, in ultima istanza, chi ha sofferto i lutti e le conseguenze economiche e sociali del lockdown. Quello vero. E, contestualmente, una dichiarazione d’amore verso la logica dell’assistenzialismo, del sussidio e di chi anche durante il breve, parlando del Sud periodo di chiusura totale ha potuto comunque godere del proprio stipendio puntuale, spesso e volentieri tramutando lo smart working in alibi per ferie aggiuntive. E non lo dice il sottoscritto, bensì un giornalista dichiaratamente di sinistra e progressista come Federico Rampini di Repubblica. Vediamo ora chi accetterà onere e onore di rispondere a questo atto ostile, prima che sia tardi.

Per finire, una domanda più generale, quasi di scenario: davvero pensate che Mario Draghi metta a repentaglio la sua legacy professionale e il suo buon nome internazionale per mettersi alla guida di un deserto economico sul modello della Ddr?

Estratti articolo di Mauro Bottarelli “Spy Finanza” – La dichiarazione di guerra al Nord che trasforma l’Italia in deserto

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Il FINE della POLITICA

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Trascrizione integrale del video del Direttore Andrea Zoppolato “L’estate di FILOSOFIA POLITICA – Prima puntata: IL FINE della POLITICA’”

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L’identità

Introduzione: perchè l’ “estate di filosofia politica?”

Benvenuti all’estate di filosofia politica. Questi video sono introduttivi alla scuola di formazione politica che avverrà a fine settembre. La scuola di formazione politica è aperta a tutti quelli che pensano che, nella loro vita oltre che svolgere un’attività privata, vogliono svolgere attività pubblica, cioè di incidenza e di effetto sulla comunità. Sia come governanti che come semplici cittadini che hanno un effetto sugli altri. La scuola si snoderà su quattro ambiti, che sono gli ambiti di formazione che a nostro avviso ogni persona che svolge attività politica, macro o micro, deve conoscere, e che sono: la tecnica politica, la cultura politica intendendo proprio il tema del perché uno fa politica, l’economia politica intesa come creazione del valore che deve essere sempre alla base delle proprie scelte, valore in termini di benessere o valore economico, infine la psicologia politica, perché tutto, come si vedrà in questi video, tutto ciò che riguarda i gruppi di persone nasce sempre e comunque sia da dinamiche individuali.

Quindi, partendo da questo presupposto, perché questi video di filosofia politica? Perché a nostro avviso oggi la politica è carente proprio di filosofia, cioè la filosofia cos’è alla fine? Nel senso più radicale significa interrogarsi su dove si sta andando, sul fine in termini ontologici. Riprendendo il manuale guida del pensiero politico, il Principe di Machiavelli, la sua frase più nota è “Il fine giustifica i mezzi”.Togliendo l’aspetto morale di quelli che dicono che è un simbolo di opportunismo o altro, il fine giustifica i mezzi significa che se tu non conosci il fine, cioè dove stai andando, non c’è nessun criterio per giudicare i mezzi, cioè le decisioni. In questo senso serve parlare di filosofia politica cioè interrogarsi sui fini che si vogliono ottenere: questa è la base per poter a quel punto avere un criterio di giudizio, per capire se la politica sta facendo bene o sta facendo male, perché se no si scivola nell’ideologia o nella ricerca del consenso, che è quello che ad esempio a noi non ci interessa.

Il fine della politica

Quindi, partendo da questo il primo video non può che intitolarsi “Il fine della politica”. Qual è il fine della politica? Per capire il fine alla politica cerchiamo di capire e a riprendere il concetto di società, di quello che è un po’ il padre del pensiero politico moderno o meglio occidentale: Aristotele. Secondo Aristotele sostanzialmente la società si può suddividere in tre ambiti che sono: l’economia, la cultura e la politica, che anche oggi tutto ciò che riguarda l’umano lo si può far rientrare in uno di questi tre ambiti. Parlando di fine, qual è il fine di questi tre ambiti?

# L’economia

Il fine dell’economia è generare valore. Sempre riprendendo Aristotele, diceva che l’economia è la scienza della casa, oikos appunto in greco vuol dire casa. Diceva sostanzialmente che ci sono due modi per utilizzare il denaro: uno è un modo naturale che produce frutti positivi e l’altro è un modo innaturale che non produce frutti positivi. Il modo naturale per Aristotele è quello della creazione di valore attraverso lo scambio, cioè io utilizzo il denaro per ottenere un valore superiore rispetto al denaro utilizzato. In questo modo l’economia è accrescitiva perché se io ogni volta che utilizzo il denaro ottengo un bene che ha un valore superiore rispetto al denaro impiegato, l’economia cresce. Qual è invece il modo innaturale? Il modo innaturale è quello che si potrebbe definire non un scambio economico ma uno scambio monetario, cioè il dare denaro per un altro denaro. Cioè, io metto denaro ad esempio per ottenere un titolo di credito o per ottenere più denaro in futuro. Alla lunga secondo Aristotele questo produce dei problemi nella società, cioè una società che è esclusivamente per il denaro come fine, è una società che distrugge l’economia. Perché?

Qual è la differenza fra questi due modi? Prendiamo ad esempio un parco. A Milano abbiamo il Parco Sempione. Se vogliamo vedere un valore monetario, cioè una economia come valore monetario, l’amministrazione dovrebbe decidere, rispetto a un parco che non genera soldi, dovrebbe decidere di fare costruire palazzi sul terreno di questo parco. Dal punto di vista economico sarebbe un guadagno perché ci sarebbero i costruttori che pagano per questo terreno e a quel punto generano economia. Però cosa succederebbe? Se distruggi quel parco, è vero che nel brevissimo hai generato moneta, perché questi hanno pagato l’amministrazione, però se tu distruggi il Parco Sempione e ci costruisci le case, a quel punto cosa succede? Che aumenterà il traffico, si vivrà male e quindi a quel punto perderanno valore tutte le case della città, comprese anche quelle che sono state costruite nel parco.

Quindi puntando sul valore monetario alla fine secondo Aristotele si ha sempre un deprezzamento economico, cioè si perde. L’opposto invece succede considerando il valore economico: se noi prendiamo il parco, valore economico significa non il valore monetario, significa un benessere, significa che grazie al fatto che c’è un parco bellissimo nel centro della città, questo è un valore economico che si traduce anche in valore monetario, perché a quel punto per il fatto che questo parco determina miglioramenti nella qualità della vita, fa in modo che ci sia un incremento nei prezzi di tutte le case e di tutte le attività economiche. Quindi per Aristotele inseguire il valore economico determina sempre un vantaggio monetario, mentre l’opposto, inseguire un valore monetario, determina sempre un deprezzamento anche economico.

Inseguire il valore monetario significa anche creare una società basata su credito e debito e quindi alla lunga impoverisce, come tra l’altro gli antichi avevano inventato il concetto di giubileo, cioè il giubileo era che ogni cinquant’anni ad esempio nel mondo ebraico, ogni cinquanta anni c’era il giubileo che cancellava i debiti.  Perché? Perché riprendendo Aristotele, un’economia basata sui soldi per i soldi determinava una divisione fra creditori e debitori, che nel breve può essere funzione del commercio e funzione del valore economico, ma alla lunga determina che il debitore finisce con il diventare uno schiavo del creditore. Lo vediamo politicamente perché in un’economia di questo tipo basata sul valore monetario delle cose, i paesi indebitati non solo devono pagare il debito, ma finisce che il creditore decide sul paese indebitato anche al di là del semplice ripagare il debito e quindi il paese indebitato perde anche una sua sovranità, i suoi poteri, con dei doveri che vanno oltre il semplice rapporto credito/debito. Quindi tornando ad Aristotele il fine dell’economia è la creazione del valore, quello che invece non è sano o meglio innaturale è il fine monetario.

# La cultura 

Un secondo ambito nella società è quello della cultura. Qual è il fine della cultura? Il fine della cultura è quello di un arricchimento interiore, tutto ciò che aiuta una crescita interiore è cultura. Cultura infatti viene dal termine “coltura”, cioè della coltivazione: prendendo la metafora della coltivazione, rientrano nella cultura tutte quelle attività che in qualche modo coltivano l’interiorità dell’individuo, cioè hanno l’obiettivo della crescita interiore, dello sviluppo, dell’elevazione dell’individuo. Rientrano quindi nell’ambito della cultura tutti quegli ambiti che sono e intervengono interiormente, quindi l’istruzione, l’educazione, l’arte, la religione, tutto questo è cultura perché interviene sull’interiorità e dovrebbe favorire una crescita della persona.

# La politica

Infine arriviamo all’ultimo ambito della società: la politica. La politica secondo appunto Aristotele, si ha passando dalla casa allo Stato: più case formano un villaggio, più villaggi formano lo Stato. Il governo della stato viene identificato come politeia, che poi identificava anche la Costituzione. Politeia è l’organizzazione di uno stato, che per Aristotele a quel tempo coincideva con la polis cioè la forma più radicale di comunità e di stato era la città, la città stato. Quindi da polis e da politeia, dalla polis come comunità e da politeia come organizzazione della comunità, viene fuori la politica.

Qual è il fine della politica? Qua Aristotele è un punto in comune, diciamo con una saggezza universale, nel senso che per Aristotele la sana, la buona politeia, intesa anche come Costituzione, è quell’organizzazione delle attività umane che abbia come obiettivo la felicità delle persone. Machiavelli nel Principe col concetto de “il fine giustifica i mezzi” afferma che il sovrano, il principe, deve utilizzare tutti i mezzi per dare felicità ai suoi sudditi: non importa il bene o il male morale, tutto viene misurato sulla felicità dei sudditi. E questo è lo stesso modo di intendere il buon governo che avevano invece, tornando a molto più indietro, circa 1.700/1.800 anni prima di Cristo, i sovrani assiro- babilonesi, all’epoca tra delle prime città stato. I sovrani assiro-babilonesi si facevano ritrarre all’interno di giardini, nel senso che secondo quell’epoca il bravo sovrano era quello che creava il giardino migliore, giardino inteso come luogo ottimale che consente alle piante di generare buoni frutti. Ma quindi cosa significa, cosa sono queste piante e come si fa ottenere la felicità?

Tornando ad Aristotele, diceva che una società per essere felice deve essere virtuosa e per essere virtuosa deve essere fatta da cittadini virtuosi. Cosa significa? Per Aristotele la premessa dell virtù era la libertà. Un cittadino doveva essere libero, la libertà intesa come eleutheia. Il cittadino per essere felice deve essere libero di poter vivere la sua vita e deve essere anche politico, cioè deve avere la libertà di potere governare o, meglio, di partecipare alla vita pubblica. Quindi queste sono le due dimensioni anche perché il concetto di virtù per Aristotele è un concetto simile a quello dell’economia, cioè diceva che la virtù dà la felicità del cittadino: non è l’ottenimento di beni materiali, quelli non danno la felicità danno il piacere che è momentaneo, ma la felicità la si ottiene attraverso i cosiddetti beni immateriali e alla domanda quali sono questi beni immateriali che danno la felicità l’individuo, con Aristotele si chiude il cerchio: la felicità dell’individuo viene data dall’azione politica.

Per questo intendeva l’individuo come animale politico, perché diceva innanzitutto l’essere umano è un animale politico o animale sociale perché è portato naturalmente a mettersi insieme con i suoi simili per creare una comunità. E proprio perché ha questa inclinazione naturale a mettersi insieme con i suoi simili per creare la comunità, che una dimensione fondamentale anzi la dimensione fondamentale per ottenere la felicità dell’essere umano è la dimensione politica, cioè l’essere umano per essere felice oltre ad avere un’azione privata, deve esercitare l’azione politica, quella che ti dà felicità, cioè la misurazione della felicità è nell’impatto che tu hai sulla comunità.

Quindi sulla base di queste tre dimensioni abbiamo visto la politica e i suoi fini, la cultura, l’economia e la politica con i loro fini sulla base queste tre dimensioni. Domani analizzeremo il perché nella nostra epoca si può parlare di crisi della società.

ANDREA ZOPPOLATO 

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Le 7 SPIAGGE più belle dei FIUMI del NORD ITALIA

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Credits: gustarviaggiando.it - Fiume Lima

Non solo mare, anche i fiumi italiani riservano luoghi incantevoli dove fare il bagno e prendere il sole. Ecco una selezione delle 7 spiagge di fiume più belle che si possono trovare nel Nord della nostra penisola.

Le 7 SPIAGGE più belle dei FIUMI del NORD ITALIA

#1 I due specchi d’acqua delle Guje di Garavot (Torino) – Piemonte

Guje de Garavot

Le Guje di Garavot si raggiungono attraverso un piccolo sentiero, appena arrivati in Valchiusella, a una settantina di chilometri da Torino. Quello che vi aspetta sono due specchi d’acqua che comunicano attraverso una stretta forra e circondati da pareti rocciose di un colore grigio-blu levigate dalle acque del fiume. Qui potrete rilassarvi sulle sponde del fiume, bagnarvi nella parte meno profonda, tuffarvi dalle rocce oppure fare delle immersioni fino ad una profondità di 9 metri.

 

#2 Le cascatelle del Torrente Bidente, Valle di Pietrapazza (Forlì Cesena) – Emilia Romagna

Torrente Bidente

Siamo nell’Emilia Romagna più impervia. Per arrivare nelle spiaggette del Torrente Bidente bisogna partire dal paesino di Santa Sofia, da dove è già possibile ammirare la bellezza del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, patrimonio Unesco. Percorsa la valle del torrente, meta di appassionati di Kayak, ci si imbatte in un’altra valle, quella di Pietrapazza. Il fiume qui ha scavato per secoli lasciando solo la nuda roccia e dove era costretto a fare dei salti si sono create delle cascatelle ognuna con la propria piscina nel fondo, dei veri laghetti balneabili.

#3 La “laguna blu” del torrente Lima (Lucca) – Toscana

Credits: gustarviaggiando.it – Fiume Lima

Il torrente Lima è una piscina naturale, vicino all’Abetone nella provincia di Lucca, con un azzurro mai visto e un acqua sempre fresca: fare il bagno nelle strette di Cocciglia o nella “laguna blu” è un’esperienza indimenticabile. E’ possibile fare rafting. 

#4 Le pozze smeraldine sul Fiume Meduna (Pordenone) – Friuli Venezia Giulia

Credits: ecobnb.it – Pozze Smeraldine

Siamo in uno dei luoghi più selvaggi nel parco delle Dolomiti friulane, in provincia di Pordenone, dove le rocce carsiche che affiancano tutta la valle sono state scavate dal fiume Meduna, formando una serie di conche che permettono a chi arriva fin qui di fare un bagno in questo contesto naturale incontaminato. Un luogo ameno dalle acque color smeraldo. Più si sale di quota e più l’acqua diventa limpida e cambia sfumature dallo smeraldo all’azzurro cristallino.

 

#5 La “valle più bella del mondo” sul fiume Trebbia (Piacenza) – Emilia Romagna

Fiume Trebbia

Leggenda narra che Ernest Hemingway passando per la Val Trebbia disse: “Oggi ho attraversato la valle più bella del mondo. Di certo le acque di questo fiume emiliano sono considerate le più pulite d’Europa e sono perfette. Trasparenti, dalle sfumature incredibili che cambiano colore fra gole e insenature sono un vero must per gli amanti del genere del nord-centro Italia. Le spiagge più belle si trovano da Bobbio in poi scendendo i colli piacentini fino a Marsaglia, Ponte Organasco e Ottone.

 

#6 Il Bidet della Contessa, Val di Mello (Sondrio) – Lombardia

Ph. credits: valmasino.info

Valle laterale della Val Masino, è un luogo che toglie il fiato per la sua bellezza fatta di cimecascate e prati incontaminati. I torrenti che scendono dalla montagna vanno a formare un piccolo laghetto, conosciuto come Bidet della Contessa, dalle acque fresche e cristalline proprio perché di sorgente. Il luogo offre poi sentieri, possibilità di arrampicate e bellissimi spazi dove fare picnic.

#7 Fiume Piave – Veneto

Parco del Piave – Bigolino

L’acqua fresca del Piave è il luogo ideale in queste giornate di caldo afoso e lungo il suo corso potete trovare molte zone attrezzate e non, perfette per rilassarvi e prendere il sole. Tra le mete più gettonate ci sono: il Parco del Piave a Bigolino e l’area monumentale dell’Isola dei Morti a Moriago della Battaglia, entrambi con tavoli per chi vuole organizzare un pic nic oppure nel bellunese oltre alla spiaggia di Cesana c’è anche Lambioi Beach, un’area attrezzata con chioschi, giochi per i bambini, lettini ed ombrelloni.

 

Continua la lettura con: Le spiagge libere più belle d’Italia

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.

 

🔴10 agosto. LOMBARDIA: 0 decessi, appena 4 nuovi contagi a Milano, nuovo record minimo sui nuovi casi nazionali

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Lombardia sempre più lontana dall’emergenza Covid. Altro giorno rosa sul fronte decessi: nessun morto in Regione con o per Covid. 

Ottime notizie anche sul fronte dei nuovi positivi: sono solo 31, il calo continua. La Lombardia segna appena l’11% dei nuovi positivi in Italia, la percentuale più bassa di sempre, ora è terza dietro a Emilia e Lazio.

In particolare la situazione migliora a Milano: solo 4 nuovi contagiati. Nessuna provincia in Regione registra più di 10 nuovi positivi: la prima è Brescia con 7. 

Situazione tranquilla anche in Italia: 4 decessi, +259 positivi. 

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LA SFIDA di 21 architetti per ridisegnare MILANO

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Credits: milano.corriere.it - Ipotesi progetto riqualificazione Piazzale Loreto

Dopo la selezione dei progetti vincitori per la prima edizione di “Reinventing Cities”, per alcuni dei quali sono già partiti i lavori, anche la seconda edizione sta procedendo con l’obbiettivo di restituire queste nuove aree messe a bando, degradate o senza identità, entro il 2030. A che punto siamo?

Leggi anche: 🔴 BREAKING NEWS: I 4 PROGETTI della Milano del futuro che hanno vinto Reinventing Cities 40

LA SFIDA di 21 architetti per ridisegnare MILANO

Articolo originale: Andrea Senesi per “Il Corriere” – Da Loreto a Lambrate, sei «isole» da reinventare: sfida fra 21 architetti sui buchi neri di Milano

# Scelti i 21 architetti finalisti per cambiare il volto di 6 zone della città

È arrivata ieri, 27 luglio 2020, la prima scrematura dei progetti e studi di architettura chiamati, attraverso il bando internazionale “Reinventing Cities”, a cambiare il volto di aree delle città abbandonante o rimaste dei “non luoghi”. Tra i progetti proposti il «Circle Garden» di Park Associati srl e il progetto dello studio Citterio-Viel & Partners per la rinascita di piazzale Loreto, «Urban Switch» di Risanamento Spa, con la firma della Carlo Ratti Associati, sullo scalo di Lambrate, e il progetto di Coima per le Palazzine Liberty. Società immobiliari e studi di architettura internazionali a caccia di porzioni di città da reinventare. Ventisette i rendering finalisti, sui 61 arrivati negli scorsi mesi negli uffici del municipio, per 43 ettari e sei buchi di territorio da disegnare attraverso il concorso Reinventing cities, il bando internazionale promosso da C40 che prevede “l’alienazione di siti dismessi e degradati da destinare a progetti di rigenerazione urbana, nel rispetto del principio di sostenibilità“.

ostello via doria

# L’assessore all’Urbanistica Maran: “Per il ridisegno di questi siti passa buona parte dello sviluppo urbanistico di Milano dei prossimi anni”

Per ciascuna area sono stati selezionati i progetti migliori dalle commissioni composte da rappresentanti del Comune e di C40, esperti internazionali di urbanistica e architettura, esperti ambientali locali ed esperti economici, da rappresentanti del Gruppo Ferrovie dello Stato per quanto riguarda il sito di Lambrate e di Ferrovie Nord per il nodo Bovisa. Niente di fatto soltanto per l’area di via Monti Sabini, per cui è arrivata una sola proposta non ritenuta idonea. I team finalisti dovranno ora elaborare la proposta dettagliata compresa di offerta economica. “Da Loreto a Lambrate, per il ridisegno di questi siti passa buona parte dello sviluppo urbanistico di Milano dei prossimi anni, che sarà necessariamente all’insegna della sostenibilità e dell’equità sociale. Ricordiamo che il primo criterio per cui i progetti sono stati selezionati riguarda proprio la capacità di individuare soluzioni resilienti e attente all’ambiente“, dice l’assessore all’Urbanistica Pierfrancesco Maran.

# Le aree degradate o senza identità che saranno trasformate entro il 2030

piazzale loreto

Piazzale Loreto è il sito più delicato, il buco nero urbanistico a soli tre chilometri da piazza Duomo. Nel bando si prevede “la vendita dell’edificio comunale di via Porpora e la cessione in diritto di superficie degli spazi pubblici da valorizzare, comprese alcune parti dei mezzanini della metropolitana. L’eventuale riassetto dell’area potrà consentire l’edificazione di limitate aree in superficie oggi destinate a viabilità“. “Vogliamo che il progetto porti in centro via Padova e viale Monza e che accompagni la crescita della parte finale commerciale di corso Buenos Aires», aveva spiegato lo stesso Maran. L’area più grande, di circa 165 mila metri quadrati, è invece quella dell’ex Macello dove l’obiettivo è di rigenerare “un ambito degradato massimizzando la qualità urbana, il mix sociale e funzionale in armonia col contesto“. E poi case a prezzi accessibili e popolari sull’ex scalo di Lambrate e nel parcheggio di Crescenzago.

teatro delle terme, san siro

Destinato invece a far discutere il futuro delle sei palazzine liberty di viale Molise, le vecchie portinerie dell’ex macello pubblico, una delle quali occupata da anni dal collettivo di Macao. Affidare quest’area ai bandi di Reinventing cities era sembrato al centrodestra di Palazzo Marino un assist agli occupanti. Un regalo, in sintesi, a quelli di Macao che avrebbero potuto concorrere all’assegnazione del diritto di superficie degli immobili con un progetto culturale-artistico. Loro, invece, i ragazzi del collettivo, non parteciperanno direttamente alla gara, ma ammettono che con alcuni dei team finalisti “si è gia avviata una positiva interlocuzione“, con l’obiettivo di salvaguardare gli spazi dalla speculazione commerciale e tutelare l’esperienza di politico-culturale di Macao.

I team finalisti dovranno ora elaborare la proposta dettagliata compresa di offerta economica. I vincitori saranno individuati nel primo trimestre del prossimo anno: qui l’elenco completo di finalisti e progetti selezionati.

Articolo originale: Andrea Senesi per “Il Corriere” – Da Loreto a Lambrate, sei «isole» da reinventare: sfida fra 21 architetti sui buchi neri di Milano

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Le 5 migliori METE in EUROPA per passare VACANZE senza ansia da Covid

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Credits: newsrimini.it - Tbilisi

L’European Best Destinations ha selezionato quali sono le destinazioni europee più sicure da visitare senza ansia: sono quelle meno colpite dal Covid-19 e che hanno attivato protocolli per garantire agli ospiti sicurezza insieme a un’elevata disponibilità di letti di ospedale per abitante. Vediamo le migliori mete covid free di quest’estate

Le 5 migliori METE in EUROPA per passare VACANZE senza ansia da Covid

#1 La Georgia è la più sicura: solo 4 decessi per milione di abitanti

La Georgia con soli 1.250 casi di positivi e 51 decessi, 4 ogni milione di abitanti, ovvero 300 volte in meno rispetto agli stati europei dove la pandemia ha colpito più gravemente. Dal 1° luglio i viaggiatori possono scoprire la capitale Tbilisi o la città di Batumi, popolare destinazione estiva affacciata sul Mar Nero.

#2 Corfù e Preveza (Grecia)

La penisola ellenica è stato uno dei Paesi che meglio è riuscito a gestire l’emergenza, contenendo a 5.623 i positivi e a 212 i morti, 20 per milione di abitanti, è anche uno dei più propositivi nel rilancio turistico del suo territorio. European Best Destinations segnala Corfù e Preveza come destinazioni da non farsi scappare.

#3 Zagabria, Cavtat e Fiume (Croazia)

La Repubblica Croata è stata una delle prime a fare promozione turistica in attesa della riapertura dei confini e, con soli 5.649 positivi e 158 deceduti ovvero 39 per milioni di abitanti, può farlo in totale sicurezza. I luoghi da visitare sono Zagabria, Cavtat e Fiume.

#4 Alentejo, gli arcipelaghi delle Azzorre e di Madera le destinazioni portoghesi più sicure

Anche se i dati dell’epidemia sono un po’ più alti, con 52.668 contagiati e 1.756 morti che significa 149 ogni milione di abitanti, il Portogallo è considerato sicuro per le vacanze. Da vedere assolutamente l’Alentejo, che tra l’altro è a quasi zero casi, e gli arcipelaghi delle Azzorre e di Madera, con pochissimi positivi registrati.

#5 Bratislava, Dobšina, la valle Demänovská e Bojnice in Slovacchia

Qui il contagio al momento si è fermato a 2.599 con 31 decessi quindi 6 ogni per milione di abitanti, il rapporto più basso dopo la Georgia. Già parte dell’impero austro-ungarico, la Slovacchia ha mantenuto forti tradizioni popolari e culturali, da vedere assolutamente: la capitale sul Danubio, la Grotta di ghiaccio di Dobšina parte di una serie di grotte Patrimonio mondiale dell’UNESCO e il castello medievale di Bojnice.

# Altre ottime destinazioni dove trascorrere le prime vacanze post-emergenza Covid

In Montenegro con 3.918 positivi e 64 morti si può visitare Kotor, un’incantevole cittadina incastonata in un’insenatura dalla forma particolarissima.

In Polonia, Varsavia e Danzica, che ha registrato 52.410 positivi e 1.809 decessi. L’Austria che conta 22.106 contagiati e 723 morti con la sua capitale, la Slovenia, con Bohinj, che ha 2.255 contagi e 128 decessi, Malta con 1.112 positivi e 9 morti, la Lituania che registra 2.265 contagi e 81 decessi offre ai turisti Vilnius, la Lettonia che conta 1.290 contagiati e 32 decessi e la Finlandia con 7.601 positivi e 333 morti.

FABIO MARCOMIN

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BONACCINI: “CONTE non dimentichi il NORD”

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Credits: teleromagna24.it - Stefano Bonaccini presidente regione Emilia Romagna

In un’intervista a “La Stampa” il presidente dell’Emilia Romagna nonché Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome lancia un monito al governo perché il Nord non sia lasciato da solo in questa crisi epocale.

BONACCINI: “Il GOVERNO non dimentichi il NORD”

# “Più che con fiscalità di vantaggio, sono convinto che il lavoro si crea con gli investimenti pubblici e privati

Le dichiarazioni di Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna e presidente “dei presidenti di Regioni”, in una intervista alla Stampa reputa sbagliato aiutare una sola parte dell’Italia e con delle politiche inadeguate: “Al Paese, troppo diseguale, ingiusto e inefficiente, occorre una strategia per il Mezzogiorno, perché con un solo motore il Paese non potrà mai marciare a pieno regime. Peraltro, il divario territoriale e sociale determina non solo sperequazioni inaccettabili, ma inceppa anche il motore del nord. Ciò detto, più che con fiscalità di vantaggio per aree, settori o categorie, sono convinto che il lavoro si crea con gli investimenti pubblici e privati”.

# “Se non agiamo sui fattori di produttività di sistema, non può esserci sviluppo” e ancora “Nel Nord si concentra buona parte della forza produttiva del Paese”

L’Italia ha bisogno di investimenti. Il problema è creare lavoro, sostenendo filiere strategiche d’impresa. Se non agiamo sui fattori di produttività di sistema non può esserci sviluppo. Occorre un grande piano per sanità e scuola pubblica, transizione ecologica, digitalizzazione del Paese, per la messa in sicurezza del territorio e l’efficienza del patrimonio. Nel Nord si concentra buona parte della forza produttiva del Paese, con capacità di innovazione e ricerca fra le principali al mondo. Per questo è impossibile ripartire senza ascoltare questi comparti. Abbiamo un’occasione storica: disegnare l’Italia del futuro potendo investire somme mai viste prima, grazie al grande successo del Presidente Conte e del governo”.

# “Tutelare il lavoro è una priorità assoluta, al Sud come al Nord”

“Abbiamo vissuto una pandemia senza precedenti: tutelare il lavoro è una priorità assoluta, al Sud come al Nord. Peraltro il blocco dei licenziamenti è voluto anche da tante associazioni imprenditoriali che sanno benissimo che tante piccole imprese, il 90% del nostro sistema, vanno accompagnate con risorse pubbliche per intercettare il rimbalzo che ci sarà nel 2021. È un investimento indispensabile per evitare troppi licenziamenti che oggi sarebbero certi, creando il baratro sociale. Nell’emergenza bisogna fare il possibile e l’impossibile per salvare le nostre imprese con i lavoratori dentro”.

Fonte: La Stampa, Askanews, 

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LA TIGRE CELTICA continua a RUGGIRE: in IRLANDA il PIL segna +5% rispetto all’eurozona, nonostante il Covid

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Credits: mademoisellechampagne.com - Dublino

La ricetta che ha permesso all’Isola di Smeraldo di rimanere sempre sulla cresta dell’onda: due sono i fattori chiave per uno sviluppo costante e sostenibile. 

LA TIGRE CELTICA continua a RUGGIRE: in IRLANDA il PIL segna +5% rispetto all’eurozona, nonostante il Covid

# Una crescita del Pil del +5%, rispetto alla media europea, anche in questi tempi di crisi globale

Un risultato straordinario, specie di questi tempi, della crescita del PIL irlandese con un +1,2% nel primo trimeste 2020 rispetto al -3,6% delle media dell’eurozona, che porta ad una differenza di quasi 5 punti percentuali, e che ha “radici antiche”. Già da diverso tempo, infatti, l’Irlanda viene definita da alcuni economisti la “tigre celtica”, il che richiama sia la cultura che la crescita economica dell’isola. Nello specifico, questo termine risale al 1994, quando la Repubblica d’Irlanda, le Contee dell’isola meno l’Irlanda del Nord che appartiene al Regno Unito, raggiunse e mantenne una crescita media annuale del PIL pari al 9,4% nel quinquennio dal 1995 al 2000, qualcosa di simile ai risultati che all’epoca ottenevano le cosiddette “Tigri asiatiche”.

Anche le battute d’arresto del periodo immediatamente successivo sono state arginate e recuperate. In particolare, il biennio 2000-2002 è risultato importante, in quanto ha consolidato e rafforzato la politica di investimenti statali a favore del settore e del tessuto produttivo del Paese. Da segnalare sono anche i piani di politica industriale, rivolti sia alle aziende estere e ai “campioni locali” che, da ultimo, hanno posto particolare enfasi sul settore chimico-farmaceutico e biomedicale. Ma qual è il segreto di questo incredibile successo? I punti di forza su cui fa leva il sistema irlandese sono due. 

Fonte: Ansa

#1 “Science Foundation Ireland”: 35% dei fondi europei investiti nella formazione dei cittadini

Particolarmente indovinata è risultata la fondazione nel 2003, di una struttura a partecipazione statale, denominata Science Foundation Ireland e volta a sostenere l’economia basata sulla conoscenza, come pure la formazione necessaria in risorse umane per sostenerla. Alcuni hanno visto in questa attività l’ideale continuazione dell’azione cominciata 30 anni prima, all’indomani dell’entrata della Repubblica d’Irlanda nell’UE nel 1973. Fin dall’inizio della sua permanenza nell’UE, infatti, Dublino ha investito il 35% degli oltre 17 miliardi di euro ricevuti ad oggi dal Fondo di Coesione e dal Fondo di Sviluppo Regionale UE nella formazione dei suoi cittadini, soprattutto a livello scolastico e lavorativo. Gli altri Stati Membri dell’Unione Europea hanno mantenuto tali investimenti, in media, al 25% sul totale ricevuto.

#2 Dall’indipendenza della Repubblica d’Irlanda tutti i governi hanno mantenuto basso il livello di pressione fiscale come volano per l’economia

Non solo: i governi che si sono succeduti alla guida del Paese, la Repubblica d’Irlanda è indipendente dal 1949, indipendentemente dal loro colore politico, hanno ritenuto essenziale mantenere una bassa tassazione soprattutto per le aziende. E’ stata una mossa lungimirante che, unita all’uso dell’inglese come lingua di lavoro ed agli investimenti statali in materia, ha consentito all’Irlanda di attrarre molti colossi, specie quelli più knowledge-intensive. Anche la Brexit ha giocato a favore dell’Isola di Smeraldo, la quale potrebbe ospitare le sedi europee di alucune aziende che ora fanno base a Londra.

E sempre le istituzioni irlandesi hanno saputo muoversi bene, anche quando, nel periodo 2008-2010, i prestiti bancari avevano assunto dimensioni e contropartite più vicine a Paperopoli che alla realtà, implementando le riforme interne e creando piani di rientro e di supporto del credito insieme alla Commissione Europea ed al Fondo Monetario Internazionale. Il combinato disposto di tutto quanto è stato finora riassunto dimostra ancora una volta che, in presenza di governanti responsabili, di politiche sensate e di una cittadinanza attiva e ricettiva, pochi sono gli obiettivi che non possano essere raggiunti.

ANTONIO ENRICO BUONOCORE

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Perché i MILANESI non riescono ad esprimere una LEADERSHIP all’altezza?

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Ludovico Sforza, detto Il Moro. Forse l'ultimo grande statista milanese

Uno dei grandi misteri è perchè Milano, la capitale morale, non sia mai stata in grado di esprimere una leadership politica all’altezza del suo ruolo di motore del Paese. Se ci pensate è incredibile. Qui sono nati alcuni dei più grandi movimenti politici nazionali, nel bene e nel male. E’ nata la Lega Nord, Forza Italia, il Fascismo, la Democrazia Cristiana, il Socialismo italiano, pure il Movimento 5 Stelle che ha avuto la luce negli uffici della Casaleggio e Associati. Movimenti, partiti, ideali ma di grandi leader ne abbiamo prodotti mezzo. Forse l’unico di una certa levatura è stato Craxi, però anche lui è stato assai contraddittorio e le luci sono almeno pari alle ombre, così come benefici e danni arrecati al Paese sono sullo stesso piano. Perchè dei grandi leader politici italiani, statisti come De Gasperi, Einaudi o anche come Ciampi, Berlinguer, Giolitti, Cavour, Sturzo, nessuno è frutto di questa città? Ho trovato cinque possibili motivazioni. 

Perché i MILANESI non riescono ad esprimere una LEADERSHIP all’altezza?

#1 Una cultura troppo mercantile

Milano è città di lavoro, di realizzazione ma, ammettiamolo, soprattutto di sghei, di soldi. “Il denaro è un bravo servo ma un cattivo padrone” diceva Papa Leone XII, non a caso romano. Forse i milanesi, e in generale i lombardi, il denaro lo vivono più come un padrone che come servo, un monarca assoluto capace di condizionare intere esistenze.

Per Aristotele ogni essere umano per vivere in modo compiuto deve alimentare la sua dimensione privata e quella politica, intesa come servizio alla comunità. Forse a Milano siamo bravi nella dimensione privata ma tendiamo ad alimentarla così tanto che anche quella politica finisce per esserne parte. Non è un caso che quasi tutti i leader politico di un certo spessore in Lombardia siano spesso scivolati sul tema del denaro, come Craxi o Formigoni. 

#2 Poca fame di potere

La politica in Italia richiede artigli, furbizia e fame, tanta fame di potere personale. Forse in Lombardia chi ha fame decide di intraprendere un’altra strada, quella della fabbrichetta, della finanza, del business. Per il lombardo potere è denaro, denaro è potere. Al massimo la politica la si usa. Questo forse il modo di pensare di molta classe dirigente locale. 

#3 La politica non è un mestiere

Ofelè fa el to mesté, “Pasticciere, fai il tuo mestiere”, è un noto detto di queste parti. Il lombardo tendenzialmente ha pochi grilli per la testa, vede il mestiere che svolge come la sua stessa identità, non c’è spazio per quei lavori che non sono considerati dei veri lavori. In Lombardia anche chi svolge impieghi creativi, come l’attore o lo scrittore, viene giudicato con sospetto, figurarsi chi fa politica. Forse più che altrove c’è diffidenza nel politico proprio perchè viene visto come una persona che non ha un vero mestiere e che campa sulle spalle di altri. Una cosa inconcepibile per chi vive qui. 

#4 Siamo “Meneghini”, troppo abituati ad adattarci al potere di turno

Una delle grandi forze dei milanesi può rivelarsi politicamente una grave debolezza. I milanesi sono dei gran lavoratori e sono capaci di servire e soddisfare le esigenze di chiunque. Questo deriva da secoli in cui a Milano si sono alternate ogni tipo di potenze, spesso straniere. Hanno qui dominato romani, longobardi, austriaci, spagnoli, imperatori tedeschi, francesi e chi più ne ha più ne metta. Ma qualunque potere ci sia stato i milanesi sono riusciti a prosperare, servendolo senza umiliarsi. Però per diventare dei leader politici o, per dirla in modo popolare, dei “padroni a casa propria”, servono altre qualità. Qualità che però sono state frustrate dalla storia (vedi punto successivo). 

#5 Quando ci siamo ribellati le cose sono finite male 

Di rado i milanesi si sono ribellati. Il vero problema è che quando hanno provato a farlo, le cose sono finite male. Il più grande massacro della storia di Milano è nato da un atto di ribellione. Quando nel 539 i milanesi osarono opporsi ai Goti, la città venne rasa al suolo, anche per colpa del mancato intervento delle truppe romane. Anche fugaci vittorie come quella su Barbarossa o quella delle Cinque Giornate, si sono alla fine rivelate delle vittorie di Pirro, ancora una volta nel caso della lotta agli austriaci per un tradimento esterno, quello dei Savoia. Forse dopo tutti questi schiaffi si è smarrita ogni capacità di rivolta all’ordine precostituito o al potere dominante. Una capacità che sarebbe quanto mai utile ai nostri giorni. 

Leggi anche: Il tradimento delle cinque giornate e il massacro dei Goti

ANDREA ZOPPOLATO

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Milano Città Stato. Il grande sogno dei milanesi

🔴 CONTE: “LOCKDOWN esteso a tutta Italia per mettere in sicurezza il SUD dopo la FUGA di molti da MILANO”

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Conte a La Piazza. Credit: affaritaliani.it

Un nuovo colpo di scena sulla questione lockdown esteso a tutto Italia. Questa volta arriva per bocca dello stesso presidente del Consiglio.

🔴 CONTE: “LOCKDOWN esteso a tutta Italia per mettere in sicurezza il SUD dopo la FUGA di molti da MILANO”

Giuseppe Conte, ospite de ‘La Piazza’, l’evento organizzato dal quotidiano online ‘Affaritaliani.it’ a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, ha così chiarito il motivo della decisione di applicare il lockdown a tutta Italia, nonostante il parere del Comitato Tecnico Scientifico che premeva invece per creare una zona rossa solo per Lombardia e le province più colpite, come rivelato dai documenti desecretati del CTS. 

Nella notte tra il 7 e l’8 marzo avevamo deciso la zona rossa per tutta la Lombardia“, ha dichiarato Conte”. “Poi è successa una cosa nuova, nella notte molti sono fuggiti per paura del Lockdown e abbiamo pensato di mettere in sicurezza il sud, quindi il Paese“. 

Quindi per il Primo Ministro la “colpa” del lockdown esteso per due mesi a tutta Italia ricade sulle persone che sono fuggite da Milano nella notte, in gran parte persone che tornavano nei loro luoghi di origine nelle regioni del Sud Italia. 

Fonte: Affaritaliani, La Presse

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Da Milano all’isola d’ELBA in un’ORA

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Da Linate all’isola d’Elba in poco più di un’ora. Dopo tre anni è stato ripristinato il collegamento aereo tra Milano e l’isola più grande dell’arcipelago toscano, tanto amata dai lombardi e in particolare dai milanesi. La linea è già attiva. Un biglietto costa attorno ai 400 euro a/r. 

Da Milano all’isola d’ELBA in un’ORA

Il servizio verrà offerto dalla compagnia ceca Silver Air che lo scorso gennaio si è aggiudicata il bando statale e che ha permesso – a partire da questa stagione estiva – di ripristinare la tratta aerea turistica verso l’Elba. 

Si tratta di un bando da tre milioni di euro che si è aggiudicata la Silver Air insieme al suo partner commerciale, la Flights&Travels. Questo garantirà fino a gennaio del 2023 la possibilità di volare verso l’isola con una cifra che si aggira intorno ai 400 euro, andata e ritorno solo con bagaglio a mano, salendo con il prezzo in caso di bagaglio grande.

Si utilizza un Let L410 Uvp E20, un piccolo aereo da una ventina di posti che vola intorno ai tremila metri di quota. Tra il 2017 e il 2019 il servizio era stato interrotto, in seguito alla scadenza del vecchio accordo per i voli turistici e costretto molti turisti milanesi a partire da Lugano, l’unico hub a disposizione della Silver Air per i voli dal nord Italia. O in alternativa ad utilizzare la più classica accoppiata auto e traghetto.

Due voli a settimana: percentuale di riempimento già del 50%

Ma all’inizio di quest’anno è finalmente arrivata la svolta e l’affidamento del servizio che già oggi garantisce i voli da Linate. Si tratta di un contratto di servizio pubblico: prevede infatti che si voli anche con un solo passeggero, oltre a definire orari e numero di corse attraverso l’apposito decreto governativo. Per quanto riguarda Linate, si parla di due voli di andata e ritorno alla settimana, il venerdì e la domenica, nel periodo compreso tra giugno e settembre. 

Ma Silver Air ha anche altre due tratte storiche e indispensabili per i cittadini dell’Elba: quella da Firenze e quella da Pisa.  “Il milanese è uno dei visitatori storici dell’Elba – spiega Maurizio Furio, managing director della Flights&Travels -. Basti pensare che la Lombardia pesa per il 20% sul volume complessivo del turismo italiano sull’isola: di fatto è la prima regione. Per questo la scelta di Linate quale hub per i voli lombardi verso l’Elba rappresenta una grande possibilità. In questo mese di luglio possiamo già dire di essere soddisfatti: nonostante le difficoltà determinate dalla pandemia, infatti, la quota di riempimento dei voli da Milano ha superato il 50%”.

Fonte: Il Giorno

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L’INVASIONE delle MALDIVE DI MILANO: le novità, perchè si chiamano così, la strada per arrivarci

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Dopo l’invasione post-lockdown, le «Maldive di Milano» erano corse ai ripari. 

Leggi anche: Invasione post-lockdown, le «Maldive di Milano» corrono ai ripari

L’INVASIONE delle MALDIVE DI MILANO: le novità, perchè si chiamano così, la strada per arrivarci

Nella valle Verzasca sono soddisfatti. Funzionano le misure messe in atto per regolamentare l’afflusso di turisti e al contempo negozi e ristoranti della zona brindano per gli ottimi risultati, nonostante il lockdown. Il successo proviene sia da turismo svizzero che da italiani che ormai considerano la valle come le “Maldive di Milano”.

Credit: https://www.cdt.ch/ticino

Posa di una segnaletica informativa, agenti di sicurezza 7 giorni su 7 a Lavertezzo, con potenziamento durante il fine settimana, per favorire la fluidità del traffico, la funzionalità della piazza giro bus nella stessa località e la sicurezza in generale. A fine giornata posizionamento di un agente di sicurezza all’imbocco della strada cantonale della valle Verzasca a Gordola.

https://www.ticino.ch/

Perchè “Maldive di Milano?”

Le «Maldive di Milano» erano state ribattezzate così tre anni fa per il colore dell’acqua che richiama quello della celebre meta balneare dell’Oceano indiano.

Le pozze verzaschesi erano state definite dai social network le «Maldive di Milano» per la colorazione verde mare, attirando migliaia di visitatori soprattutto dall’Italia.

 

Fonte: articolo di Simone Berti per il Corriere del Ticino 

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Le 30 CONTRADE di Milano

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Le 30 contrade di Milano
Le 30 contrade di Milano

Non solo Siena. Anche Milano aveva le sue contrade. C’era la Contrada dell’Agnello (nei pressi di via dell’Agnello), la contrada dei Rostri, la contrada Capitana (Porta Nuova), la contrada della Lupa, come attesta la testina di lupa sul palazzo d’angolo tra via Torino e via Lupetta. Nel Sestiere di Porta Romana c’erano la Contrada della Cicogna e quella delle Capre. Altre contrade dai nomi evocativi erano quella del Torchio, della Piscina e della Mazza.

In totale la Milano del Rinascimento era divisa in 30 contrade e 6 Porte o sestieri.

Le 30 CONTRADE di Milano

# Le contrade più importanti a livello storico, economico e sociale

Le 30 contrade di Milano
Le 30 contrade di Milano

Le sei contrade caratterizzate dal titolo “nobile, ovvero le più importanti contrade di Milano, da un punto di vista storico, economico e sociale erano: la Nobile Contrada del Cordusio, la Nobile Contrada della Cicogna, la Nobile Contrada di Sant’Ambrogio, la Nobile Contrada della Rosa, la Nobile Contrada delle Farine, la Nobile Contrada dei Bossi. Confinavano con la Contrada dei Rostri, formando una fascia circolare intorno ai suoi confini, e questo consentiva loro di essere le uniche a fregiarsi del titolo “nobile” vista anche la loro posizione centrale rispetto all’abitato di Milano. Ci poteva essere solo una contrada nobile nei sestieri e per questo ce n’erano solo 6.

La Contrada dei Rostri invece che era al centro di Milano, circondata dalle Contrade Nobili, era chiamata la Capitana di Milano per il fatto che all’interno dei suoi confini c’era il municipio della città, il Palazzo della Ragione, al cui interno era custodito il gonfalone municipale di Milano, senza contare il Carroccio: un simbolo molto importante per la Milano medievale.

# La scomparsa e l’oblio nel ‘700

Esaurita la loro funzione militare e sociale, per le contrade di Milano iniziò un progressivo fenomeno di oblio che portò alla loro scomparsa ufficialmente dalle mappe di Milano nel 1889 in occasione dell’approvazione del primo piano regolatore della città di Milano, il Piano Beruto. Dal Settecento il termine “contrada” iniziò a indicare, anche nella toponomastica ufficiale, le strade invece dei rioni. Infini dal XIX secolo, le strade iniziarono a essere a prendere il titolo di vie: via Monte Napoleone è un esempio di questo cambiamento, infatti fino al Settecento era conosciuta come contrada di Sant’Andrea.

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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.    

Il Governo inizia a stanziare il Recovery Fund europeo: MENO TASSE al SUD

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Credits: corriere.it - Guarnieri e Conte

La promessa è stata mantenuta. Dopo la campagna mediatica e politica incentrata su indirizzare i fondi del Recovery Fund nel Sud Italia, arriva il primo provvedimento. Anche se ancora i soldi dell’Europa non sono arrivati, il Governo stanzia sgravi contributivi per le aziende del Mezzogiorno, per un totale di 5 miliardi e 200 milioni di euro, che saranno ricoperti dai fondi del Recovery Fund. Lo prevede il decreto di agosto, ecco la misura.

Leggi anche: Giornali, Ministri e Conte uniti: “RECOVERY FUND: la priorità è il SUD”

Il Governo inizia a stanziare il Recovery Fund europeo: MENO TASSE al SUD

# Il decreto di agosto in dirittura di arrivo: iniziano gli aiuti al mezzogiorno

Sarà sotto forma di un pacchetto di incentivi, proposti dal Ministro per il Mezzogiorno Provenzano, la prima misura di aiuto nei confronti del sud. In sostanza chi assumerà nelle imprese del mezzogiorno avrà un consistente sgravio fiscale. Lo prevede il decreto di agosto atteso oggi in consiglio dei ministri, che stabilisce una decontribuzione del 30% per ciascuno dei 3,5 milioni di lavoratori attualmente assunti dalle imprese private nel Sud. Il provvedimento scatterà dal 1° ottobre al 31 dicembre e costerà, a valere sui 25 miliardi stanziati dallo scostamento di bilancio 1,2 miliardi, mentre saranno 4 miliardi nel 2021.

# Un anticipo degli aiuti che arriveranno con il Recovery Fund

Potranno beneficiare della misura tutte le aziende del Sud che a partire dal primo ottobre assumeranno con un contratto stabile o stabilizzeranno un precario. Nelle intenzioni dovrebbe essere una misura stabile e per i prossimi anni l’idea è di pescare dal Recovery plan dell’Unione europea, mentre i fondi del 2020 sono stati presi dal “bonus ristoranti” che non ci sarà più del decreto e che si sarebbe configurato in un rimborso al cliente del 20% sul conto, incentivo che si sarebbe dovuto allargare anche al settore dei mobili e dell’abbigliamento per tutte le attività del Paese Italia. 

# Perchè dirottare la maggior parte dei fondi al Sud è una scelta miope

Per una volta il governo ha mantenuto le promesse: la quota più consistente dei fondi per la ripresa del Paese andranno al Sud. Intanto arrivano gli sgravi fiscali, che andranno coperti con le risorse del Recovery Fund e poi si penserà al resto. Una scelta miope che non fa altro che proseguire la tradizione italica, da 50 anni a questa parte, di privilegiare un assistenzialismo nel mezzogiorno, che di fatto non ha prodotto mai nessun risultato. Tutto questo ha poco a che vedere con una visione strategica e unitaria di rilancio del Paese, ma piuttosto con ideologie vecchie e stantie basate sull’assistenzialismo che hanno reso il Sud sempre meno capace di responsabilizzarsi e soprattutto un terreno fertile per utilizzare voti come merce di scambio.

Leggi anche:
10 BUONI MOTIVI per non destinare al SUD la maggior parte del RECOVERY FUND
Il Ministro SPERANZA: la maggioranza del RECOVERY FUND deve finire AL MEZZOGIORNO
“I FONDI europei VADANO AL SUD” lo ha detto il ministro del mezzogiorno? No, IL MINISTRO PER LE AUTONOMIE
Giornali, Ministri e Conte uniti: “RECOVERY FUND: la priorità è il SUD”

Fonti: 
Corriere della Sera
La Repubblica

FABIO MARCOMIN

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🔴 Il CTS propose al GOVERNO di istituire ZONA ROSSA in VAL SERIANA. E Conte dichiarò ai magistrati: «Il verbale sulla zona rossa di Alzano e Nembro? Io non l’ho mai visto»

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Credits: secoloditalia.it - Governo Italiano

Il Comitato tecnico scientifico il 3 marzo, come riporta il verbale ufficiale, invitò il governo a istituire la “zona rossa” anche a Nembro e Alzano Lombardo, due comuni della Val Seriana, cuore produttivo della provincia di Bergamo, provincia di Bergamo nei quali si stava registrando una preoccupante crescita di nuovi casi positivi. E Conte dichiarò ai magistrati: «Il verbale sulla zona rossa di Alzano e Nembro? Io non l’ho mai visto»

Pubblichiamo estratti articolo di Isaia Invernizzi per “L’eco di Bergamo” – Mancata zona rossa, ecco il verbale «Alto rischio a Nembro e Alzano»

🔴 Il CTS propose al GOVERNO di istituire ZONA ROSSA in VAL SERIANA. E Conte dichiarò ai magistrati: «Il verbale sulla zona rossa di Alzano e Nembro? Io non l’ho mai visto»

# Il testo del verbale: “Il Comitato propone di adottare stesse misure restrittive degli altri comuni della zona rossa

Le righe che inchiodano il governo: “Il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della zona rossa anche in questi due comuni, al fine di limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue“. I due comuni di cui si parla sono Alzano Lombardo e Nembro e questo è il passaggio decisivo del verbale ufficiale numero 16 redatto martedì 3 marzo 2020 al termine della riunione del comitato tecnico scientifico nazionale. È un invito inequivocabile rivolto al governo, chiamato ad adottare provvedimenti più restrittivi a causa della netta crescita di contagi comunicata da Regione Lombardia all’Istituto superiore di sanità. Un invito che è rimasto inascoltato.

# Il consiglio del CTS e i militari rispediti indietro

Nelle motivazioni del CTS si spiegava perchè fosse necessario imporre le stesse misure restrittive già imposte a Vo’ Euganeo e ai comuni del lodigiano: “I due comuni si trovano in stretta prossimità di Bergamo e hanno una popolazione rispettivamente di 13.639 e 11.522 abitanti. Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molta probabilità ascrivibili ad un’unica catena di trasmissione. Ne risulta, pertanto, che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di altro rischio di ulteriore diffusione del contagio“. In effetti due giorni il verbale, il 5 marzo, e in seguito a successivi colloqui tra il presidente lombardo Fontana, l’Iss, il CTS e il governo, erano stati inviati 250 uomini delle forze ordine messi a disposizione per “sigillare” i due comuni bergamaschi. Poco dopo ci fu il dietrofront e la Val Seriana non divenne mai zona rossa.

# I rimpalli di responsabilità tra Governo e Regione. E Conte disse ai magistrati: «Il verbale sulla zona rossa di Alzano e Nembro? Io non l’ho mai visto»

Si è discusso molto dopo che Alzano Lombardo e Nembro erano diventati i focolai più pericolosi d’Italia, con la più massiccia diffusione del virus e il più alto numero di decessi in rapporto alla popolazione del nostro Paese, con rimpalli di responsabilità tra Governo e Regione. Il primo sosteneva che la Regione avrebbe potuto decidere in autonomia, come fatto successivamente dal presidente Bonaccini dell’Emilia Romagna con il comune di Medicina, la seconda invece che il Governo aveva già schierato tutti le forze di polizia e che si aspettava quindi che i due comuni venissero chiusi nelle ore successive. Di chi è quindi la responsabilità? In base al verbale emerso sembrano non esserci dubbi sul fatto che questa debba ricadere in toto sull’esecutivo del premier Conte.

Premier che, come ricorda oggi il Corriere della Sera, ai magistrati che indagavano sulla mancata zona rossa dichiarò: «Il verbale sulla zona rossa
di Alzano e Nembro? Io non l’ho mai visto»

Leggi anche: Covid-19: tutti gli scontri Governo-Regione. Chi ha RAGIONE?

Fonte: L’Eco di Bergamo

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🔴 “Il Governo renda PUBBLICO il resto dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico”

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Se il governo Conte non renderà pubblico il resto degli verbali del Comitato tecnico scientifico, “valuteremo se fare un’altra richiesta di accesso civico“. Lo afferma all’AGI l’avvocato Rocco Mauro Todero che, insieme ai colleghi Andrea Pruiti Ciarello e Enzo Palumbo, per conto della Fondazione Einaudi, hanno ottenuto dopo quasi quattro mesi la desecretazione dei primi documenti. “Noi – racconta Todero – andavamo leggendo i vari decreti, da fine febbraio, che ci imponevano restrizioni a libertà fondamentali. Senza pregiudizio ideologico, ci siamo chiesti quali fossero le motivazioni scientifiche alla base delle misure. I Dpcm citavano a fondamento i verbali del comitato scientifico, ma questi non erano riportati nè allegati”. 

A fronte di oltre tre migliaia di pagine di verbali il Governo ha infatti reso pubbliche solo alcune centinaia sono state rese pubbliche.

Fonte: AGI

Leggi anche: Il GOVERNO svela SOLO 5 DOCUMENTI del CTS: mancano circa 3.000 pagine. Che fine hanno fatto?

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ARENE, DRIVE-IN, CINE MOBILE e MARE: i film sotto le stelle di Milano

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Credtis: IG Fabrizio Cappelloni - Drive in Milano

Cinema sotto le stelle a Milano durante l’estate 2020. Parchi, piazze, cortili dei centri culturali stanno rivivendo la magia del cinema regalando la possibilità di godere delle migliori pellicole della stagione, così come grandi classici del passato, rassegne d’eccezione e qualche anteprima.

Leggi anche: A MILANO riaprono i CINEMA ALL’APERTO: quali sono e i primi film in calendario

ARENE, DRIVE-IN, CINE MOBILE e MARE: i film sotto le stelle di Milano

# Il Cinemobile Summer Tour 2020

Credits: integrationmag.it – Cinemobile

Tra gli appuntamenti più interessanti, ricordiamo il CineMobile Summer Tour 2020. Il mitico camioncino Cinemobile Fiat 618 del 1936, che negli anni 30 attraversava tutta l’Italia, perfettamente restaurato dalla Regione Lombardia e custodito presso il MIC, il Museo interattivo del cinema, trasformerà il Lido Milano Live in Piazzale Lotto, 15, in una sala cinematografica all’aperto offrendo proiezioni nel pieno rispetto delle norme sulla sicurezza.

# Il cinema all’aperto di Anteo in 3 location suggestive

Credits: milanoevents.it – Cinema all’aperto Palazzo Reale

Anche la grande ripartenza del cinema Anteo è cominciata con le arene estive che sono situate in 3 location: 2 schermi sono posizionati al Chiostro dell’Incoronata in Via Milazzo 9 presso Anteo Spazio Cinema, 1 schermo si trova nella sede storica Arianteo Palazzo Reale in Piazza del Duomo 12, e poi c’è la novità assoluta di quest’anno Arianteo Triennale in Viale Alemagna 6. Altra divertente novità è la collaborazione di Anteo con Zelig Media Company. Una volta a settimana, prima della proiezione del film in programma, in ciascuna arena ci sarà uno spettacolo di cabaret in compagnia degli artisti di Zelig.

 

# In spiaggia al Mare Culturale Urbano

Mare Culturale Urbano

L’arena estiva di cinema all’aperto in cuffia di mare culturale urbano torna invece nella piazza di Cenni di Cambiamento per tutta l’estate con la sua rassegna “Il Lungomare di Milano” e una selezione dei migliori titoli in collaborazione con Anteo Palazzo del cinema.

 

# Il Mega Drive-In al Parco Nord

Per gli amanti del cinema non poteva poi mancare il Drive-in Meneghino, in via Senigallia 18, nelle vicinanze di parco Nord. Come nella più classica tradizione, all’interno di Drive-in Milano si accede a bordo della propria auto, oppure in bicicletta a cui sono riservate le prime file. Con distanziamento assicurato e il completo rispetto delle normative sanitarie, gli spettatori possono così godersi i film grazie ad un impianto maxi ledwall di oltre 200 mq. E’ disponibile anche un servizio food che prevede la consegna del cibo direttamente in auto mentre si guarda comodamente il film.

 

Leggi anche: Un MEGA DRIVE-IN al Parco Nord: la storia del cinema sotto le stelle

VALENTINA PETRACCA

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Il GOVERNO svela SOLO 5 DOCUMENTI del CTS: mancano circa 3.000 pagine. Che fine hanno fatto?

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Dopo settimane di attesa tra richieste, ricorsi, sentenze del TAR e impugnazioni che avevano visto protagonisti la Fondazione Luigi Einuadi e il Governo, ieri sera è arrivato l’annuncio a sorpresa: lo svelamento da parte del Governo dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico, con i quali sono state prese le decisioni sulla gestione dell’emergenza della pandemia. 

Oggi però la doccia fredda: a fronte di oltre tre migliaia di pagine di verbali solo alcune centinaia sono state rese pubbliche, senza neppure rispettare un ordine o un criterio cronologico. Su alcuni media e sul web si infiamma la protesta: “questa non è trasparenza, è una presa in giro”.

Leggi anche: 🔴 Breaking News. Tolto il SEGRETO sui verbali del Comitato tecnico scientifico: nelle prossime ore saranno resi pubblici

Il GOVERNO svela SOLO 5 DOCUMENTI del CTS: mancano circa 3.000 pagine. Che fine hanno fatto?

# Solo 5 verbali per totale di 200 pagine, a fronte di 3.000, sono stati rese pubblici

Dopo le richieste degli avvocati della Fondazione Einaudi sono stati resi pubblici i verbali del CTS. Si tratta di 5 verbali per oltre poco più di 200 pagine. La prima cosa che emerge è che mancano dei verbali, oltre a esserne stati pubblicati solo 5, gli stessi non sono in ordine sequenziali, nello specifico i numeri 12, 14, 21, 39 e 49 e non si sa dove siano gli altri. Si parla di quasi 3.000 pagine mancanti. 

Alcuni dei verbali resi pubblici risultano inoltre incompleti. Tra le informazioni più significative sono assenti le valutazioni relative sulla zona rossa mancata in Val Seriana. In particolare mancano i verbali delle prime 11 riunioni, tra cui quelle tra il 22 e il 27 di gennaio, quando non si sa bene perché l’ordine di testare tutte le polmoniti virali anomale si trasformò nell’ordine di testare solo quelle di chi proveniva dalla Cina. Mancano poi i verbali del periodo tra l’1 e il 7 marzo, i giorni in cui si decise di non fare la zona rossa ad Alzano e Nembro, fatto su cui sta indagando la magistratura perchè avrebbe causato centinaia di vittime altrimenti evitabili. 

# La “falsa notizia” della divergenza tra CTS e Lockdown sulle aree in cui applicarlo 

Molti giornali stanno rimarcando che mancano anche i verbali dell’8 e del 9 marzo, quelli in cui si decise il lockdown di tutta l’Italia, ma che curiosamente c’è quello del 7, in cui il CTS suggeriva chiusure parziali e differenziate. In realtà quel giorno c’era stato pieno accordo tra Governo e CTS, in quanto l’esecutivo aveva in tale data deciso inizialmente di istituire le zone arancioni in Lombardia e in altre 14 province il 7 marzo, come tra l’altro indicato nel documento del TS desecretato. Mancando i rapporti dei giorni successivi non si può pertanto capire chi è responsabile della scelta di estendere il lockdown in modo generalizzato all’intero Paese, decisione attuata il 9 Marzo.

# La notizia più grave è l’assenza di trasparenza. Quando verranno pubblicati gli altri verbali?

Ma la vera questione è: che senso ha mettere a disposizione in maniera del tutto casuale solo 5 verbali, dopo aver detto che si sarebbero resi pubblici tutti?  Cosa hanno gli altri di così compromettente da nascondere? Avendo il CTS svolto una funzione di pubblico interesse, verranno resi pubblici tutti i loro atti durante l’emergenza? E se sì, quando il governo decidere deciderà di fare apprendere ai cittadini quanto venne deciso e perchè?

Fonte: dagospia e affaritaliani

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L’identità

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Trascrizione integrale del video del Direttore Andrea Zoppolato “I mercoledì di FILOSOFIA POLITICA con Milano città stato: L’IDENTITA’”

“I mercoledì di filosofia politica di milano città stato. Dopo aver parlato di autonomia e responsabilità oggi parliamo di un altro valore fondamentale per il progetto di Milano città stato: l’identità. L’identità non è semplicemente importante dal punto di vista di un progetto amministrativo, ma è anche il nocciolo base per quanto riguarda il tema della persona, che a nostro avviso deve essere sempre messo insieme rispetto al progetto.”

Leggi anche: 
Lezione di autonomia
La Responsabilità: perché così fondamentale

L’identità – Il mercoledì di filosofia politica

#1 Significato di identità: uguale a, idem

“Allora che cosa significa identità, soprattutto come la intendiamo? Perché l’identità è un concetto che è visto in tantissimi modi da tantissime scuole filosofiche. Noi la intendiamo in modo radicale, cioè partiamo proprio dall’etimologia. Identità che cosa vuol dire? Identità viene da idem, cioè deriva da una parola latina che significa “uguale a”, si dice ancora: idem significa uguale. Tra l’altro è un concetto che riprende una parola greca che è “tautótes” che significa appunto identità, però nel suo significato originale cos’è il “tautótes”? E’ il calco. Dato un qualcosa, un oggetto, si fa il calco, cioè si replica quell’oggetto. Quindi identità significa “uguaglianza a”,  teoricamente “uguaglianza a se stesso”. Ma il vero tema su cui hanno dibattuto tutti i filosofi, e ancora è aperto, è questo “se stesso”: cioè uguaglianza a che cosa? Su questo “se stesso” si apre un mondo. Ad esempio, faccio riferimento a qualche anno fa, il più grande bestseller del mercato tedesco era “Wer bin ich?”, chi sono io?, un saggio in cui si cercava di investigare chi siamo noi, perché su questo nessuno o pochi sono d’accordo. Quindi il tema è “l’uguaglianza a che cosa”? Anche Amleto si chiedeva “essere o non essere?”, cioè alla fine la risposta all’identità è alla radicalità di tutto il pensiero filosofico.”

“Prima di affrontare quindi cosa vuol dire l’identità applicata all’essere umano e poi a una città, vorrei prendere una metafora che è molto semplice per capire  il legame fra l’identità e l’azione storica. Se prendiamo un albero, ad esempio, l’albero nasce dal seme, non esiste un albero senza il seme, e qua credo che siamo tutti d’accordo. Però una volta che nasce l’albero il seme non c’è più. Però anche se non c’è questo seme l’albero dipende comunque sempre dal seme, inteso come progetto, nel senso che se impiantiamo un seme di pesco nascerà un pesco, non può nascere un melo. Quindi è come se questa cosa invisibile in qualche modo entra in azione storica, con la terra e col sole…Sparisce, diventa invisibile però rimane: cioè alla fine dal seme di pesco nasce l’albero di pesco che rimane sempre fedele alla sua identità, che era il seme inteso come progetto. Quindi identità se la vediamo dal punto di vista dell’albero è un’uguaglianza al progetto originario, in azione storica.” 

#2 Essere Umano (Parmenide, Eraclito, Platone, Aristotele)

Passiamo all’essere umano. Per capire cosa si intende questo “uguaglianza a” prendo alcuni filosofi che secondo me sono i filosofi base per quanto riguarda l’identità, almeno a mio avviso, visto che noi diciamo sempre che Milano Città stato si ricollega a una visione filosofica e del pensiero classica, un’epoca classica che era Aristotele, presocratici etc…

Tornando a loro, i quattro pensatori, a cui poi se ne aggiunge uno nel novecento, che secondo me sono quelli a mio avviso di riferimento, su questo modo di intendere l’identità della persona sono: il primo è Parmenide che un po’ era il totem del pensiero prima che arrivasse Aristotele, era il punto riferimento. Parmenide è noto per la frase essenziale “l’essere è, il non essere non è”. Secondo Parmenide l’identità è l’uguaglianza all’essere, quindi qualcosa di immutabile. Dall’altro lato, apparentemente in contraddizione, metto Eraclito. Eraclito sosteneva che l’essere, cioè noi, siamo sempre in divenire. Quindi nel momento in cui dico “io”, sono già superato. In realtà non esiste l’essere immutabile bensì un continuo divenire come se l’essere nascesse e morisse in ogni momento, in ogni istante. Questi sono i due concetti dell’identità: essere qualcosa di immutabile, però siamo anche in divenire. Un altro che si riallaccia sempre a Parmenide, è Platone. Platone diceva sostanzialmente che è vero che siamo in divenire, però l’identità cos’è? L’identità, che tra l’altro ha anche la radice eidos, cioè idea, lui diceva sostanzialmente che l’identità è quel qualcosa di immutabile che viene prima, un po’ come il seme per l’albero, che appartiene al mondo delle idee, cioè c’è un’idea di cavallo prima del cavallo, lui la chiamava l’idea prima del seme. Anche per ogni essere umano si appartiene a un’idea che era prima di lui, che è immutabile nel divenire storico. Forse il filosofo più preciso che infatti ha forgiato un po’ il concetto dell’identità fino almeno all’illuminismo fu Aristotele. Aristotele è stato il primo a identificare sostanzialmente l’identità come due concetti, due modi di intenderla sull’essere umano. 

#3 Identità: unità di azione e unità di essere molteplice

La prima: l’identità è la coerenza all’essenza in azione storica. Sostanzialmente l’identità la definiva come unità d’azione, cioè diceva che è questa unità di azione che aderisce alla sostanza, all’essenza, essenza che però è anche al tempo stesso progetto di unità di azione, attraverso un metabolismo della realtà, cioè di azione storica. Quindi l’identità è esattamente come per l’albero, il seme, l’uguaglianza al progetto originario che però evolve in azione storica. Per cui lo stesso seme impiantato in due ambiti differenti dà vita a due alberi della stessa natura, ma con modalità di unità di azione differenti.

Ma l’altro aspetto che forse è quello più illuminante soprattutto in ottica politica, sappiamo che Aristotele si occupava molto del ruolo politico delle persone, era il discorso che l’identità è anche “unità di essere nel molteplice”. Aristotele diceva identità che per l’uomo significa consapevolezza, cioè non esiste identità scissa da un insieme più grande. Cioè l’identità di cellula non può precludere il fatto che la cellula, anche se ha un’identità di cellula, è anche parte di un organismo, parte dell’occhio, parte del corpo umano e così via. Tornando all’albero, lui ha una sua identità, ma è anche parte dell’identità del bosco e quindi per Aristotele è basilare, fondamentale, cioè non può esistere un’identità scissa dal molteplice. Quindi c’è un unità di azione interna e unità di azione con l’esterno, cioè come se l’identità e realtà, estremizzando, l’identità non avesse più confini. Ricapitolando, quindi, l’identità è sia unità di azione, che si può dire che è naturale, che esiste in azione storica, quindi c’è una forma, un’essenza che però evolve in azione storica per cui anche se lo stesso seme in azione storica può dar vita a cose differenti, perché è una risposta differente a momenti differenti, e dall’altra parte è appartenenza al molteplice.

Husserl che è l’unico che cito tra i filosofi moderni diceva sostanzialmente: questa essenza, questo modo, questa cosa che tra l’altro pervade il nostro corpo, perché quell’identità è anche quella cosa che unisce ogni singola cellula a tutte le altre. Così come armonizza tutte le attività, cioè l’occhio ha una sua identità però al tempo stesso appartiene a un identità più grande quindi appartiene a quella che Husserl diceva “l’intelligenza di natura”, cioè l’identità è l’intelligenza di natura in quella individuazione. Tra l’altro Husserl ha fatto anche un passo in più, cioè diceva quindi sostanzialmente, riprendendo Aristotele, l’identità è l’uguaglianza all’intelligenza di natura in azione storica che ognuno di noi ha. E’ l’essenza, è la parte di un insieme più grande che è la natura, un mondo più grande. Husserl, che poi natura, essere, essenza alla fine sono la stessa cosa, così come l’anima dal punto di vista filosofico, è anche esponente della fenomenologia, cioè diceva sostanzialmente qual è il criterio per vedere che una persona in un dato momento storico, in un istante è uguale a se stessa, è uguale al suo essere in quell’azione?

Husserl diceva che l’unico criterio di identificazione dell’essere nella fenomenologia è quello estetico: diceva che l’estetica è il vero criterio di natura, che non significa che la persona più bella è più identità, è più essere rispetto a quella meno bella. Bensì Husserl intendeva che la stessa persona, nel momento in cui incarna in quel momento, in quell’azione, la sua identità, raggiunge la massima espressione estetica di se stessa. Scusate se la strumentalizzo per questo contesto, prendiamo la Gioconda: c’è chi dice che l’eccezionalità e la straordinarietà della Gioconda è che Leonardo ha immortalato lo stato di grazia e di massima bellezza proprio per il suo essere donna, una donna che non era un modello di estetica secondo un’estetica rinascimentale. Leonardo ha fatto vedere come l’essere ti consente raggiunge la tua massima espressione estetica a prescindere dai canoni estetici del momento. Quindi a questo punto c’è il passaggio, così come l’albero è anche parte di un bosco, dall’essere umano, dal singolo, alla città.

#4 Città: identità in una visione “centralista”, identità in una visione “autonomista”

Diciamo che sulla base di questo ci sono due visioni d’identità, applicata alla città. La visione centralista qual è: la visione centralista dice l’identità è “uguaglianza a qualcosa di esterno”. Cioè la visione centralista non vede l’uguaglianza, è una conformità e quindi un azzeramento dell’identità, in quanto non è “uguaglianza a qualcosa che mi differenzia” bensì “uguaglianza e identità a qualcosa che mi conformizza”. Dati “x” territori, il riferimento sono standard esterni, a volte imposti ancora da enti ancora più esterni. Però diciamo che c’è un ente esterno che è l’ente centrale che appiana sostanzialmente, quello che vuole misurare è l’identità come “uguaglianza a qualcosa che può essere dal punto di vista individuale paragonato all’io cosciente, alla volontà che ti uniformizza”. Quindi questa è la visione di identità: qualcosa che non è esterno o estraneo a delle regole della consuetudine o a degli standard comuni.

Invece la visione autonomista cos’è? Dice che l’identità è, esattamente come quella classica, “l’uguaglianza al progetto, a quella che è la caratteristica originale di una città o di un territorio”. Una caratteristica distintiva che è data da due cose: dalle caratteristiche diciamo naturali, da questa intelligenza che ogni luogo può avere, quella che chiamavano i latini genius loci, insieme al metabolismo, cioè l’azione storica richiesta dal contesto. Quindi riprendendo Aristotele e Husserl. il concetto di autonomia, la presunzione di autonomia, dice che è questa identità che fa in modo che Milano risponda e debba rispondere con azioni differenti e modalità differenti rispetto a Venezia o Berlino o Bari. Questo modo di procedere per una distinzione, per una diversità propria, in realtà è essa stessa parte di un’intelligenza che ci fa essere parte di un molteplice: cioè non esiste per un autonomista l’idea della città come parte estranea, ma per forza così come il cittadino è, anche se agisce secondo un suo movente, parte di una comunità, la città appartiene a una comunità più grande e quindi sviluppando la sua identità, per definizione sviluppa in modo armonico l’identità di tutto l’insieme.

#5 Identità => autonomia => responsabilità

Quindi per chiudere il tema, l’identità è alla base dell’autonomia. Nel senso che non c’è identità senza autonomia, nel senso che autonomia significa un movente interiore. “Autonomous” significa sapere che una città come una persona ha comunque un suo movente interiore, che nasce da che cosa? Dalla sua identità, cioè dall’uguaglianza al suo essere e l’effetto di questo è la responsabilità, che significa dover rispondere. Rispondere però a che cosa? Dover rispondere al proprio essere in azione storica e al proprio essere parte di un molteplice. Quindi per questo l’identità è un valore fondamentale, il terzo punto di questi valori che stiamo utilizzando, che è la base di Milano città stato. Tra l’altro questi incontri che abbiamo virtualmente sono anche un’introduzione alla scuola politica che avverrà da Settembre in poi. La scuola di formazione politica a Milano città stato, all’autonomia.” 

Leggi anche: Scuola di formazione politica di Milano città stato 

ANDREA ZOPPOLATO

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