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Benvenuti a Milano, la città dei GRATTACIELI sponsorizzati

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foto di Andrea Cherchi (c)
foto di Andrea Cherchi (c)

Empire State Building, Taipei 101, Shanghai World Financial Center, Grattacielo Unicredit (o Torre Allianz o Generali). Trova la differenza. 

Il prezzo dell’estetica

“Do ut des” dicevano i latini. Le norme del Comune di Milano dicono – euro più euro meno – 100 euro al metro quadro all’anno. Cioè, se avete un immobile e volete legittimamente pubblicizzare la vostra azienda, i regolamenti stabiliscono che potete farlo, restando entro il perimetro dello stesso e versando alle casse cittadine l’obolo di cui sopra (fuori dal perimetro delle mura spagnole, perché in centro la questione è molto più complicata).

Facendo i conti della serva e a completa disposizione per essere corretti dagli interessati, abbiamo provato a fare due calcoli sui grattacieli di Milano, stupendi nel loro design ma molto meno apprezzati da tante, tantissime persone per come sono stati addobbati. E non solo sotto il periodo di Natale…
Un’insegna relativamente discreta come quella dell’Unicredit in piazza Gae Aulenti, alta circa 3,5 metri e larga 20, dovrebbe garantire al Comune sui 7.000 euro l’anno, che diventano il doppio considerata anche la scritta sulla parte nord del grattacielo. Insomma, neanche la copertura dello stipendio netto di un bravo impiegato comunale.

Andando in City Life e guardando lo Storto, ovvero l’affascinante Torre Generali, col “cappello” rosso che si è aggiunto agli originali e maestosi 44 piani e 177,4 metri ideati dalla grande Zaha Adid (lo studio Adid ha firmato anche il prolungamento), possiamo stimare una superficie pubblicitaria di circa 10 metri di altezza per 40 abbondanti di larghezza sui due lati più grandi e 10 per 30 sugli altri due. Che sommati dovrebbero fare una bella somma, all’incirca 140mila euro di tasse all’anno. Uno stipendio lordo da dirigente.

Se si tornasse indietro… o si andasse avanti

Le scritte su Palazzo Lombardia non sappiamo se ricadono sotto la stessa normativa. Sicuramente la Regione è stata tra le prime a lanciare questa moda tra i palazzi più alti d’Italia e di Milano, con la nuova sede inaugurata un paio di anni prima della Torre Unicredit, cui sono seguiti lo Storto e il Dritto di Allianz (che come tipologia di scritta e logo è allineata ad Unicredit).
Ora, senza additare questa o quella azienda che dà lavoro a migliaia di persone – e precisando che ogni palazzone milanese (hotel, hi-tech come Samsung e via dicendo) ha più o meno un’insegna, un logo, una scritta – è pieno diritto di ognuno mostrare la propria immagine come meglio crede ed entro le leggi vigenti. Tanto più pagando (troppo o troppo poco) l’imposta di pubblicità e contribuendo a riempire le casse del Comune che reinveste a favore di tutti.
Ma diciamoci anche che non abbiamo finora incontrato una persona a cui piacessero le insegne di cui sopra, da quella meno invadente a quella più fashion, da quella più colorata a quella più tamarra.

Vi immaginate il Colosseo o l’Arena Civica piena di pubblicità ai tempi dei romani? Sì, è vero, i tempi sono cambiati. Ma la natura dell’uomo è sempre la stessa: il BELLO e il VERO sono (dovrebbero essere) il nostro obiettivo primario. E le pubblicità sui palazzi e grattacieli è VERO che sono BRUTTE. Molto brutte (tutte).

In Galleria le insegne sono rigorosamente regolamentate in dimensioni e colori (oro e nero), fuori dal centro l’estetica va a farsi benedire. Perché? Da Cracco o Prada ci passiamo davanti una volta ogni tanto e ci entriamo ancora meno, gli occhi al cielo li alziamo tutti i giorni e più volte al giorno.

Vi va di sognare un minuto? Siamo nel 2025, il Comune ha istituito una commissione di esteti che rifarà regole ispirate al bello e al buon senso, valide in centro come in periferia. Ma ancor prima abbiamo iniziato ad assistere allo smontaggio volontario di tante scritte ad opera di aziende virtuose, che continuano addirittura a pagare ricevendo in cambio visibilità con speciali iniziative social, sui mezzi pubblici e via dicendo… Del resto il “do ut des” vale sempre, ma quando è virtuoso è molto meglio.

FLAVIO INCARBONE

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Caravaggio – Oltre la tela

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E’ impossibile non restare affascinati dalle opere del grande maestro Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio.

E’ vero: Caravaggio aveva un passato da delinquente, nonchè ladro, e ha passato gran parte della sua vita scappando, ma questa sua anima tormentata generava capolavori unici nel loro genere e decisamente rivoluzionari, per l’epoca.

L’utilizzo della luce e dei chiaro-scuro in modo così teatrale da sembrare progettati da un vero e proprio tecnico dei giorni nostri danno forma a quella che sembra una realtà pronta a uscire dalla tela, una vera e propria performance teatrale.

Viene voglia di soffermarsi per ore a osservare ogni dettaglio, ogni ombra, ogni drappeggio, perchè sembra quasi che da un momento all’altro potrebbe prendere vita.

Se anche tu sei un ammiratore delle opere di questo grande artista, ti propongo la mostra “Caravaggio – Oltre la tela” esposta dal Museo della Permanente, potrai ammirare le più famose opere del pittore secentesco tramite un’esperienza multimediale di alta tecnologia, che ripercorrerà le tappe fondamentali della sua vicenda artistica e umana.

Questa mostra su Caravaggio sarà, quindi, un percorso emotivo, durante il quale, grazie alle ambientazioni dell’epoca e al racconto che ascolterai in cuffia, potrai rivivere non solo il percorso artistico, ma anche la travagliata vita del grande artista.

Fossi in te, non perderei un’occasione così facile di poter ammirare da vicino alcune delle più famose opere di Caravaggio, soprattutto perchhè l’ingresso costa solo 14 euro.

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Le BANDIERE dei quartieri di Milano

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Milano come Berlino, dove ogni quartiere (Bezirk) ha una sua autonomia, una forte identità e perfino una sua bandiera? Un’idea che ci piace molto e che l’art director e illustratore Daniele Desperati sta realizzando con una serie di bandiere per i diversi quartieri di Milano. Li sta pubblicando sul suo profilo Facebook Daniele Desperati e già stanno facendo discutere.

Come riporta il sito www.frizzifrizzi.it, il progetto è nato per caso: «qualche giorno fa facevo ricerca per un cliente e mi sono imbattuto in un bellissimo archivio di bandiere navali antiche. C’erano file in alta risoluzione molto attraenti e, scorrendoli, ho iniziato (non chiedermi perché) ad associare alcune forme e colori a delle zone di Milano».

Ecco di seguito le prime bandiere da lui inventate con la spiegazione dell’autore:

NoLo di Daniele Desperati

NoLo è stata la prima ed è venuta un po’ da sé, mi piaceva la divisione in quattro

Barona di Daniele Sesperati (c)

«per Barona è un vezzo estetico, volevo qualcosa che “facesse brutto”»

Porta Vittoria di Daniele Desperati (c)

«Porta Venezia è un arcobaleno in quanto roccaforte LGBT»

Lorenteggio di Daniele Desperati (c)

Parco Lambro di Daniele Desperati

«Parco Lambro è il mio quartiere»

Sarpi di Daniele Desperati

«in zona Sarpi c’è la chinatown milanese quindi la bandiera rimanda alla Cina»

«Navigli è ispirato al libro di Marco Philopa Pirati dei navigli»

Isola di Daniele Desperati (c)

«Isola è ispirata alle vecchie stazioni di servizio»

Ticinese di Daniele Desperati (c)

«per quanto riguarda Ticinese, anche qui non ho altro da dichiarare!»

Fonti: Daniele Desperati Facebook, www.frizzifrizzi.it

MILANO CITTA’ STATO

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The Milan WALL. Where are you located, East or West?

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milan wall

In many ways, it seems as if the Berlin Wall never fell. There is an invisible barrier that separates West Berlin from East Berlin, as the differences in every characteristic can be observed: newspapers, lights, street lamps, even the football teams. West Berlin is a bourgeois city, very Occidental and Teutonic, at least as we Italians view Germany. East Berlin is instead anarchic, rebellious, creative and international.

Milan, too, is divided into West and East. The diversely characterized quarters possess different atmospheres, but if one had to determine how to best divide the city by its major areas, it just might be best to simply draw a line from North to South, exactly was done in Berlin.

 

Where does the wall of Milan pass?

milan wallMilan’s wall runs along viale Fulvio Testi, a traditional boundary separating the North East from the North West. It then extends west of the Isola zone, only to leave it on its eastern side, with Porta Nuova on the west. From Piazza Repubblica, it proceeds along via Manzoni, crossing Piazza della Scala, leaving the renowned opera house to the west and Palazzo Marino to the east. Crossing through the Galleria Vittorio Emanuele (the stately Tower to the west), we then across Piazza Duomo (the cathedral is to the east). Our wall scurries along towards Porta Ticenese, hosting the banks of the Darsena, the old boat docks to the west, and here on the south overlap the Naviglio Pavese, making it a natural boundary. 

portaticinese- frontiera est ovest
portaticinese- frontiera est ovest

 

Are you from East or West Milan?

City dweller characteristics

West Milan

Vista aerea di Milano ovest
Vista aerea di Milano ovest

 

 

 

 

 

It’s the Milan of the bourgeois, of the baùscia, that traditional full-of-himself braggart, a go-between offering strangers ‘precious’ information about his town – at a price! West Milan remains a somewhat unbalanced residential area. It is full of green areas, and great open spaces. Parco Trenno, Parco Sud, Parco Nord, Parco Sempione. This is the place that many living outside the city look to, the Milan of style and class, temperate and reserved, perhaps a bit obscure.

 

East Milan

vista aerea milano est
vista aerea milano est

 

 

 

 

 

 

Here we see a post-industrial Milan, a mold of factory workers, young people, many students, a multitude of office buildings, and a scarcity of green areas. The inhabitants tend to be a bit anarchic, yet open-minded, perhaps because they are the first to see the sun rise. This is the exciting, always frenetic part of Milan, artistic and cultural, full of dynamic restaurants and shops, populated by immigrants.

 

Milan’s distinctive buildings

West Milan

 

 

 

 

In an isolated, concentrated area, we find two important sporting facilities: the world-famous 80,000 seat San Siro Football Stadium, home of Milan A. C. and Inter F. C.; adjacent, the Racing Track Ippodromo, the Pala-lido Swimming pools, and the Arena.

 

East Milan

politecnico di milano est
politecnico di milano est

 

 

 

 

 

Milan, a University City: here we find both the State University and the Bocconi. In the Città Studi area, we find the Polytechnic, and the five scientific faculties of the same State University.

 

 

 

Transportation

West Milan

Cadorna Milano Ovest

 

 

 

 

 

 

Here, the city boasts the best urban transit services. The subway stops are almost all in the West, except for the Green Line and a part of the Yellow Line. The under-construction M4 Line will unite the east and west.

 

East Milan

linate milano est
linate milano est

 

 

 

 

 

 

This area contains the major infra-structures to connect Milan with its external, outlying areas; Linate Airport, and the Central Station with its miles of junction-forming tracks. Signs of Milan’s open-mindedness and international ambitions.

 

Symbolic places

 

West Milan

sant’ambrogio milano ovest

 

 

 

 

 

 

The monuments and principal artistic attractions are here; Sforzesco Castle, Leonardo’s ‘Last Supper’, the Pinacoteca Art Gallery, and Teatro alla Scala. Milan’s famed Basilica of Sant’Ambrogio stands nobly since the year 386.

 

East Milan

la-Rotonda-della-Besana milano est
la-Rotonda-della-Besana milano est

 

 

 

 

 

 

The most bizzare part of all Milan; the Rotunda della Besana, Idroscala park, the Museum of the 1900’s, the Central Railway Station, the Law Court. Its Duomo, the city’s spititual hallmark.

 

 

 

Its Central Part

Milano Ovest

citylife milano ovest

 

 

 

 

 

 

City Life assuming the role of Milan’s New Central Quarter

 

East Milan

piazza cinque V giornate milano est
piazza cinque V giornate milano est

 

 

 

 

 

 

Piazza Cinque Giornate – A bit revolutionary, a kind of eternally unfinished

 

 

 

City Planning

West Milan

porta nuova milano ovest
porta nuova milano ovest

 

 

 

 

 

 

This is Milan’s ‘skyscraper’ zone at Porta Nuova, and City Life, the villas along via XX Settembre and at San Siro.

 

East Milan

Milano Est- via Lincoln
Milano Est- via Lincoln

 

 

 

 

 

 

 

 

The Milan of Città Studi, of via Lincoln and its most picturesque quarters, Porta Venezia, corso Buenos Aires, Porta Romana

 

 

The Parks

West Milan

Parco Sempione Milano Ovest
Parco Sempione Milano Ovest

 

 

 

 

 

 

Parco Trenno, Parco Nord, Woods in the City, Parco Sempione.

 

 

East Milan

idroscalo milano est
idroscalo milano est

 

 

 

 

 

 

 

Idroscalo, the Gardens at Porta Venezia, Forlanini, Parco Lambro, Parco Sud.

 

 

The Rivers

West Milan

naviglio grande milano ovest

 

 

 

 

 

 

In the city, the Olona; outside, the Ticino.

 

East Milano

naviglio martesana milano est

 

 

 

 

 

In the city, the Lambro; outside, the Adda.

 

Milan’s symbolic mountain

West Milan

montestella milano ovest

 

 

 

 

 

 

 

Milan’s Montagnetta.

 

East Milan

montevecchia milano est

 

 

 

 

 

 

Montevecchia.

 

 

The Symbolic Quarters

West Milan

Brera Milano Ovest
Brera Milano Ovest

 

 

 

 

 

 

 

Brera – Porta Nuova, via Paolo Sarpi, San Siro.

 

 

East Milan

isola milano est

 

 

 

 

 

Isola, Porta Romana, Lambrate.

 

 

 

A Visionary Project

West Milan

expo milano ovest
expo milano ovest

 

 

 

 

 

 

Expo.

 

East Milan

villaggio olimpico 2026 milano est
villaggio olimpico 2026 milano est

 

 

 

 

 

 

Olympic Games.

 

ANDREA ZOPPOLATO

Translated by Vincent Lombardo

Qui l’articolo in Italiano: Il muro di Milano. Sei di Milano est o di Milano ovest?

 

 

Ligéra Amarcord: vizi privati e pubbliche virtù di Isola Porta Nuova

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Ligera Amarcord

Due michette e un panetto di hashish per favore. La notizia è di questi ultimi giorni: il questore di Milano ha imposto un periodo di chiusura ad una panetteria dell’Isola perché era punto di ritrovo di un ben noto gruppetto di spacciatori. Toh, nel quartiere dei nuovi ricchi, dei grattacieli più belli del pianeta, dei ristoranti alla moda e delle case da 10.000 euro al mq c’è ancora lo spaccio di droga. Quello che in teoria avevano seppellito sotto le tonnellate di cemento di Porta Nuova.  Ma non solo. Ci sono anche i venditori abusivi, i parcheggiatori abusivi, tanta voglia di ricominciare abusiva, e altre cose amene di cui, come si dice, è meglio tacere.

Mi ritorni in mente

Ligera Amarcord

I nostalgici già rievocano i tempi della Ligéra, quando l’Isola aveva fama di essere un quartiere malfamato, rifugio della rinomata e temuta mala milanese, una microcrimitalità che viveva per lo più di piccoli furti e ricettazione: papponi, rapinatori, allibratori, truffatori, spacciatori, strozzini, contrabbandieri, in genere disorganizzati e spesso in conflitto tra loro, cui la musica popolare milanese spesso e volentieri strizzava l’occhio. I suoi appartenenti erano per lo più disoccupati che ricorrevano al crimine per sopravvivere oppure artigiani che cercavano di arrotondare, ma cercavano per quanto possibile di non fare del male a nessuno.

Leggi anche: Il colpo del secolo in via Osoppo

Come quell’Ezio Barbieri che insieme al compare Sandro Bezzi con una Lancia Aprilia nera targata MI 777 (come il centralino della volante) si prese beffa per quasi un anno della polizia, che sfuggì sette volte alle manette, che riuscì a organizzare la più grande rivolta nella storia delle carceri italiane nell’aprile del 1946.

Ora le prostitute e i viados non ci sono più, e nemmeno le case popolari di un tempo, dove i banditi si nascondevano con la connivenza empatica dei vicini (o meglio, le case popolari ci sono ancora, ma questa è tutta un’altra storia).

Isola come Icaro?

ligera amarcord

Isola, ormai lo sanno anche i sassi, è il quartiere simbolo della rinascita di Milano. Il risultato della riqualificazione è che abbiamo i grattacieli più belli del mondo, ma non sono nostri. Tutti i palazzi di Porta Nuova sono di proprietà di un fondo di investimento del Qatar, che li ha acquistati in blocco nel 2015 con una delle maggiori transazioni immobiliari degli ultimi tempi in Italia. Gli appartamenti nei Boschi verticali non sono nemmeno più in vendita, si possono solo affittare.

Sempre a Porta Nuova abbiamo due nuovi fantastici giardini attigui, uno dei quali è la celeberrima Biblioteca degli Alberi appena inaugurata. Il primo è privato ad uso pubblico, il secondo è un parco pubblico a gestione privata, perché troppo oneroso da mantenere per le casse comunali. E che quindi ora rischia di diventare facile terra di conquista per sponsor ed eventi commerciali, come si può intuire andandosi a leggere l’offerta di sponsorizzazione pervenuta da parte di Coima.

Insomma, facciamo cose fighissime che poi però non ci possiamo permettere.

Leggi anche: La Biblioteca degli Alberi vs Isola Pepe Verde

Restiamo umani

ligera amarcord

Il vecchio quartiere Isola sta scomparendo per lasciare posto ad un unico grande ristorante a cielo aperto, assediato dalle macchine, dal fracasso e dalla maleducazione imperante. I piccoli negozi chiudono a favore delle grandi catene di ristorazione, le uniche ormai che si possono permettere di affittare o acquistare da queste parti. E a tanti piccoli proprietari si sostituiscono pochi esercenti che gestiscono più locali in un raggio di pochi metri (stiamo parlando dell’Isola, mica di Manhattan). A fine mese chiuderà anche l’ultimo storico fruttivendolo di via Borsieri e nessuno, ovviamente, ha interesse a rilevarne l’attività.

E chi si permette di dire ‘beh’ viene subito rintuzzato. Hai un appartamento schifoso che vale quanto una villa con piscina. Zitto e mosca. Vendilo e togliti dai cabasisi. Questo pezzo di città non è più roba tua. Ma sarà davvero questa la Milano 2030?

 

ROBERTA CACCIALUPI

 

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Scegli l’OPERA PIU’ AUDACE per il futuro dell’Italia

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In un momento in cui molti in Italia tirano il freno e preferiscono volare rasoterra, proponiamo dieci opere audaci che potrebbero rilanciare il futuro dell’Italia. Ti invitiamo a votare la tua preferita. La più votata sarà realizzata. 

Scegli l’OPERA PIU’ AUDACE per il futuro dell’Italia

#1 Milano Torino in Hyperloop


Il trasporto via tubo a mille chilometri all’ora per arrivare a Torino in 5 minuti.

#2 Milano Lione tutta sotterranea


Così si mettono d’accordo TAV e NO TAV

#3 Cinque corsie sulla Milano Bologna


Tanto poi si usano le solite prime due.

#4 L’alta velocità tra Milano e le città di vacanza


Genova, Ventimiglia, Venezia, Trieste si raggiungeranno al di sotto di tempi ottocenteschi

#5 Il ponte sull’Adriatico per andare in Croazia


Da Ancona a Zara.

#6 Il tunnel per andare in Sardegna


Con uscite per Isola D’Elba, Capraia, Corsica.

#7 Il vallo di Livorno


Per tagliare l’Italia tra nord e Sud

#8 Le autostrade sotterranee


Interrarle tutte, riservando delle corsie agli skaters

#9 Il mitico spianamento del turchino per eliminare la nebbia


L’opera che ha forgiato l’immaginario di un’intera generazione

#10 La colonizzazione della Libia


Il sequel

 

VOTA LA TUA PREFERITA!

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Piccolo mercato finlandese di Natale

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Ci stiamo avvicinando a Natale e si sa cosa succede in questo periodo.

No, non sto parlando di quella magica atmosfera tipica di Natale che ti culla dolcemente verso la serenità, la gioia e i “jingle bells” vari, nossignore.

Mi riferisco a quella sgradevolissima e scomodissima sensazione di essere indietro con i regali di Natale per tutti: mamma, papà e fratelli, senza contare nonni, zii e colleghi, ma anche gli amici, i tuoi animali e, forse, anche il tuo partner, ma alla fine, dai.

Non importa che si cominci l’8 novembre o il 15 dicembre: sarà sempre e comunque troppo tardi per pensare e fare tutto in tempo.

E come va a finire? Ogni anno si cerca disperatamente un posticino per i regali di Natale last minute, hai presente, no? Quelli dei quali ci si ricorda solo il 23 dicembre, ma dei quali si ha un bisogno vitale per evitare figuracce.

Già. C’è sempre qualcuno di cui ti sei dimenticato o che ti ha fatto il regalo senza che tu ne avessi minimamente idea.

Fortunatamente c’è il Piccolo mercato finlandese di Natale dell’Ambrosianeum di Milano a risolvere tutto, al quale potrai andare questi sabato e domenica a partire dalle 12.

Tra prodotti di artigiani e venditori provenienti dalla Finlandia e altri paesi nordici, come Svezia, Norvegia, Islanda e Lituania, riuscirai a fare dei regali unici e speciali, te lo dico io.

Ma non è finita qui: al piano superiore dell’Ambroseum, troverai il punto ristoro con zuppa di salmone, pane di segale con salmone e glögi, giusto per riscaldare questo weekend novembrino.

Sarà uno shopping di Natale insolitamente gradevole, te lo dico io.

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Black Friday… are u ready?

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Black Friday: anche quest’anno è arrivato.

Ma cos’è esattamente il Black Friday, oltre a una giornata altamente commerciale inventata dagli americani?

Potrebbe sembrare solo una grande giornata di spese pazze, ma per i suoi fan incalliti, questo venerdì di novembre è molto di più.

Il Black Friday è il giorno in cui tutto è possibile, perchè tutti teoricamente tutti possono tutto.

Il Black Friday è il giorno in cui tutti potremmo potenzialmente essere ricchi, ma non quel “ricco” da “ho tanti soldi“, quel ricco da “prendo questo, quello e anche quest’altro perchè posso“, rischiando di raschiare il fondo della tua giara di pudore.

Il Black Friday è il giorno in cui il consumismo ha la meglio persino sulle menti più forti, perchè persino il buno senso va a farsi maledire.

Mah sì, in fondo chissenefrega se spendi tutti i tuoi risparmi in babbucce, Skittles e cianfrusaglie alla Tiger, tanto c’è sempre tempo per risalire la cresta dell’onda… o almeno, questo è quello che ti ripeti per convincerti di fare spese pazze durante il Black Friday.

So che sarai una di quelle persone che va a caccia dello sconto migliore per accaparrarsi la migliore cover del cellulare con l’unicorno glitterato, anche se non ne hai bisogno: anche la futilità imbarazzante diventa utile, questo venerdì.

Imbottisciti per bene e preparati a fare a spallate in Duomo, Buenos Aires, Corso Vercelli, Montenapoleone (perchè ci piace sognare) e tutte le altre vie commerciali di Milano: occhio agli sconti e… in bocca al lupo: io mi chiudo in casa.

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10 SCRITTORI milanesi da leggere in vacanza

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Marcel Proust diceva che ogni lettore in un libro legge se stesso. Ecco 10 scrittori che possono fare ritrovare al lettore il suo modo di essere milanese. Come si può vedere da questa selezione, una caratteristica impersonata dagli scrittori milanesi è la loro straordinaria unicità, la capacità di innovare e di porsi al di là delle etichette.

10 scrittori milanesi da leggere in vacanza

#1 Carlo Emilio Gadda

Non si può che iniziare con l’autore che ha reso il dialetto milanese popolare in tutta Italia. Fosse nato un secolo prima l’italiano di oggi sarebbe ricco di e aperte e di u alla tedesca. A Milano è nato il 14 novembre 1893 e ci ha vissuto fino agli anni cinquanta quando si è trasferito a Roma, dove è morto il 21 maggio 1973. Il libro consigliato è Quer pasticciaccio brutto de via Merulana del 1957, giallo sperimentale ambientato nei primi anni del fascismo.

#2 Alessandro Manzoni

Lo abbiamo messo per secondo perchè ha preferito scrivere in “fiorentino” che in “milanese” contribuendo al successo nazionale della lingua di Renzi. Ma lo perdoniamo. A Milano è nato nel 1785 ed morto nel 1873, senza praticamente mai uscire dall’area C, anche perchè quando lo faceva veniva assalito da attacchi di panico. Per le vacanze di Natale invece dei Promessi Sposi consigliamo un’opera minore, ma per certi aspetti più ispirante: Del trionfo della libertà.

#3 Stendhal

Qui giace Arrigo Beyle. Milanese reca scritto la sua lapide a Parigi. Stendhal, pseudonimo di Beyle, visse a Milano i momenti più spensierati della sua vita, trovò l’amore e trascorse la breve ma intensa epopea napoleonica nella nostra città. Come opera consigliata a parte il doveroso “il Rosso e il Nero (cronaca del XIX secolo)”, antesignano dei moderni romanzi psicologici, proponiamo la Certosa di Parma che ha per protagonista il giovane nobiluomo milanese Fabrizio del Dongo, figlio di una gentildonna milanese e di un soldato napoleonico.

#4 Dario Fo

L’unico scrittore milanese ad aver ricevuto il Premio Nobel. I suoi testi dividono anche per lo stile particolarmente istrionico. Consigliamo quello che è considerato il suo capolavoro, l’opera teatrale Mistero buffo, recitato in una lingua reinventata, mix di linguaggi fortemente onomatopeici, che assume di volta in volta la cadenza e le parole delle lingue locali della pianura padana.

#5 Alda Merini

Negli anni in cui era in vita veniva definita la “poetessa matta dei Navigli”. A Milano è nata il 21 marzo 1931 in via Papiniano ed è morta il primo novembre 2009. A 16 anni viene ricoverata per la prima volta in una clinica per malattie mentali, successivamente la pazzia gli sarebbe stata un’intermittente compagna di vita. Come testo consigliamo La pazza della porta accanto, scritta sotto forma di diario e di pensieri a briglia sciolta.

#6 Giorgio Scerbanenco

IN realtà era ucraino, si chiamava Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko ed era nato a Kiev, nell’allora Russia imperiale, il 28 luglio 1911. Sua madre era italiana: a sei anni si trasferì in Italia, prima a Roma e a sedici anni a Milano. Lavoro come caporedattore per Mondadori e divenne un romanziere di successo. Morì a Milano il 27 ottobre 1969. Di lui consigliamo I milanesi ammazzano al sabato, manifesto del senso del dovere innato nel milanese anche quando di professione fa l’assassino.

#7 Mogol

Giulio Rapetti, in arte Mogol, è nato a Milano, 17 agosto 1936. E’ forse il più grande paroliere musicale della canzone italiana e per il livello dei suoi testi abbiamo deciso di inserirlo in questa selezione di scrittori milanesi. Tra le canzoni da lui scritte che consideriamo vere e proprie opere di letteratura, ci sono Il mio Canto libero, scritto per Battisti, Io non so parlar d’amore per Celentano, L’immensità per Don Backy e Impressioni di Settembre per la PFM.

#8 Tommaso Marinetti

Grande rivoluzionario della parola, Tommaso Marinetti visse la gran parte della sua vita a Milano, dove fondò il più grande movimento d’avanguardia che sia nato in Italia: il Futurismo. Per chi vuole osare, più che il Manifesto del Futurismo, suggeriamo il romanzo Patriottismo insetticida del 1939, scritto con stile stravagante e senza punteggiatura, definito dall’autore “aeropoesia”.

#9 Andrea De Carlo

Negli anni anni novanta i molti invidiosi del suo straordinario successo lo definivano il “vate delle ragazzine“. Nato a Milano l’11 dicembre 1952, dopo il diploma al Berchet e molti viaggi all’estero, si è messo a scrivere inanellando una serie di best seller nell’ultima decade del novecento. Suggeriamo la sua icona Due di due, storia giovanile di amore e di amicizia.

#10 Andrea Pinketts

Concludiamo con lo scrittore che forse incarna più di tutti lo status symbol del milanese. Più delle sue opere di lui vengono in mente i cocktail, i pomeriggi nei bar di zona piazza Piemonte, lo spiccato accento milanese, le conquiste femminili e le ospitate al Maurizio Costanzo Show dei tempi d’oro. Consigliamo l’assenza dell’assenzio definito “un capolavoro” dallo stesso Pinketts. Of course.

MILANO CITTA’ STATO

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Amo Milano ma vorrei CAMBIARLA, almeno in questo

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cose brutte

Sarà che ho amato questa città fin dal primo giorno in cui mi ci sono trasferito, 17 anni fa.

Sarà che Milano negli ultimi anni è molto migliorata, sarà… molte altre cose ma per fortuna trovo che le cose brutte di Milano siano molte meno di quelle di tante altre città.

La prima che mi viene in mente è la qualità dell’aria. È ancora oggettivamente un problema e la città dovrebbe fare di più. La soluzione? Molto onestamente: non lo so.

Detesto parlare di cose che non conosco (nonostante oggi vada molto di moda laurearsi su Google) e non ho competenze per dire se le misure adottate fino ad oggi siano le migliori o meno. Di certo il problema persiste e serve uno scatto deciso in questo senso.

Un altro aspetto, sempre per restare in tema, è il verde urbano. Qui però i progetti sono molti e qualcosa all’orizzonte si vede.

Leggi anche: I nuovi magnifici PARCHI che si potrebbero creare a Milano, abbattendo dei quartieri

Venendo a cose più leggere, una città come Milano dovrebbe avere un orario della metropolitana, se non H24, almeno maggiormente prolungato nella notte, soprattutto il weekend.

Un’altra cosa che trovo sorprendente è la difficoltà con la quale si possono vedere film in lingua nei cinema. La programmazione è limitata, non così facile da reperire e quasi sempre nei giorni feriali. Ovviamente questo non è certo il problema numero uno di Milano, però per una città che ambisce, e in buona parte lo è, ad essere una capitale internazionale e attirare lavoratori qualificati dall’estero, è una contraddizione stridente.

 

ROBERTO ADRIANI

 

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La settimana della musica: Milano Music Week

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Voglio farti una domanda che potrà sembrare scontata, ma che, in realtà, è molto difficile da elaborare: quanto è importante la musica nella nostra vita?

Ma poi: quanto è pervasiva?

Pensaci: in qualsiasi ristorante, locale o negozio si sente della musica in sottofondo, mentre si passeggia per strada ci si ritrova a fischiettare o canticchiare qualche motivetto rimasto in testa addirittura a non poter fare a meno di girare con le cuffie nelle orecchie.

La musica è capace di intrufolarsi nelle nostre emozioni e di cullare i sentimenti verso orizzonti di gioia, tristezza o rabbia, a seconda di quello che le note ci fanno provare.

La musica è in grado di consolarci, di rallegrarci e di dirci esattamente quello di cui abbiamo bisogno nel momento giusto, senza alcun bisogno di chiedere.

E poi, potenzialmente, tutto potrebbe essere musica.

Dal segnale acustico della chiusura-porte in metro allo sbuffo dei bus quando ripartono, dal “bip” della cassa al supermercato al trillo del citofono.

Insomma, la musica è davvero ovunque e ha un’importanza molto rilevante nelle nostre vite.

Per questo motivo, sono felice di annunciarti che questa settimana si festeggia la Milano Music Week: fino a domenica, saranno giorni di concerti, dj set e conferenze con ingresso gratuito e non per celebrare questa nostra indispensabile compagna di vita.

Con il suo Linecheck, il Base sarà il quartier generale del festival: potrai partecipare a tantissimi eventi per passare delle serate a suon di… musica.

Sarà una settimana intensa, quindi non prendere impegni.

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Milano tra Parigi e Avellino? Per sprovincializzare Milano gli animali devono uscire dallo ZOO

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foto di Andrea Cherchi (c)
foto di Andrea Cherchi (c)

Il problema di Milano? Che si sente Parigi mentre è ancora provinciale come Avellino. Questo il titolo di un articolo pubblicato su Linkiesta. La tesi dell’autore è che Milano si dia le arie da grande città europea ma invece nei comportamenti sia più simile a una provincia italiana.
Anche se i contenuti sono provocatori, del vero c’è. E ammetterlo è motivo di dolore. Quello che mi chiedo è qual è la causa di questo provincialismo ancora diffuso, se non dominante? E, soprattutto, come si potrebbe superarlo, proiettando Milano al ruolo che le spetta, di grande città internazionale?

Milano tra Parigi e Avellino? Per sprovincializzare Milano gli animali devono uscire dallo zoo

Milano è o non è una città provinciale?

Milano ha una debolezza geografica. Gli italiani sono molto provinciali: si adagiano sulle consuetudini, sul modus operandi. Se si è fatto sempre così una ragione ci sarà, è il comune sentire nel Paese che tra fare e non fare preferisce il secondo.
All’ostilità verso l’innovazione si accompagna un’altra caratteristica del provincialismo: giudicare il mondo con la misura del proprio ombelico. Gli italiani sono ancora quelli che vanno all’estero e dicono il caffé in Francia fa cagare, questi mangiano le aringhe a colazione, quelli mettono i calzini sopra i sandali, perchè il modo italiano è quello giusto e si misura tutto in base a quello. Anche il finto moralismo è molto provinciale, il giudicare gli altri. In generale la chiusura mentale, la mancanza di curiosità è sintomo del provincialismo.
Altra caratteristica del provincialismo è l’assenza di mobilità sociale, la ridotta meritocrazia. E’ provinciale un luogo dove lo status conta più dell’idea. E’ qualcosa di medievale, quando il figlio del fabbro faceva il fabbro e il potere era dinastico.
Per capire se questo quadro si può applicare anche a Milano bisogna partire proprio da questo aspetto. Il potere a Milano è meritocratico oppure dinastico?

Milano è provinciale perchè è provinciale la sua classe dirigente

Esiste una classe dirigente che è fissa, non ci sono mai novità, è una classe chiusa. In passato era difficile cambiare classe, ora è quasi impossibile.
Chi ha il potere in mano non vuole sprovincializzare Milano. Per loro va bene che sia così perché una classe chiusa non può che essere provinciale: il provincialismo si vede nel fatto che hanno tutti la casa nello stesso posto, fanno tutti le stesse cose, sono soggetti al modus operandi del gruppo. Nelle città più internazionali esistono dei fenomeni trasversali, di rottura. Ci sono classi dirigenti differenti e una grande mobilità sociale. Non c’è la logica del paese in cui ci sono sempre gli stessi quattro, con Pinko amico di Panko che vanno a cena insieme, tutti parte della stessa elite che ha sempre comandato la città, come se a New York ci fosse un’elite anglosassone che da secoli domina la città.
In una città meno provinciale queste logiche sono stemperate perchè ce ne sono diverse e i modi di definire uno status sono tanti. L’unica alternativa al provincialismo è l’esistenza di gruppi diversi, è l’assenza di monopoli e rendite di posizione, la presenza di mobilità verticale. La mancanza di questo porta a un impoverimento gigantesco perchè se tutti pensano allo stesso modo, si arriva al massimo dell’appiattimento, non si prendono in considerazione altre strade, altre vie perchè tutti pensano che la via è solo questa.

A Milano è talmente ristretta la classe che governa che non riesci a creare una spinta all’emulazione. La gente non sa neanche che ci sono. E non esiste immaginare di accedere a qualcosa che se non ne fai parte pensi che neppure esista.
La miglior difesa di questa classe dirigente provinciale è lasciare che invece a risplendere alla luce del sole sia altro. Quello che frega Milano è che in apparenza sembra che sia davvero una città internazionale.
Quando si esce dalla casta dominante si apre infatti un mondo che è tutt’altra cosa: c’è una società di corpi intermedi che è più fluida ed è basata su altri parametri rispetto a quelli della rendita e delle cricche.
I corpi intermedi sono sprovinciali perchè si sono formati in diverse ondate e si misurano con il resto del mondo, il problema è che fondamentalmente non contano nulla. E’ come se fossero qualcosa a sé stante. Come uno zoo. Lo zoo serve perchè è divertente, c’è la scimmia, l’elefante. 

Gli animali dello zoo tutte le cose più innovative e internazionali della città. Sono realtà che invece di divampare e di contagiare, vengono rinchiuse in ambiti e in tempi con confini ben limitati, diventando dei fenomeni da baraccone. Milano è innovativa e bella perchè è questa, ci sono il gorilla, l’elefante, ti piace perchè se no ti annoi, ma allo stesso tempo li tieni relegati e non gli consenti di esercitare un potere. Così incanti tutti facendo finta che Milano sia una grande città internazionale, ma in realtà mantieni il controllo come in un’oligarchia medievale. 
Milano è regina nel creare questi fenomeni che rimangono confinati: il modello principe è il Fuorisalone, che è la festa dello zoo, in cui si aprono le gabbie, ma solo per una settimana. 

I rischi del provincialismo

Questo scenario può apparire concettuale e astratto, invece presenta dei rischi molto concreti.
Il rischio di continuare a essere diretti da una classe dirigente provinciale è di far ripiegare Milano in una dimensione provinciale, come è successo nelle altre città d’Italia. 
Il rischio è quello di inibire l’innovazione. Più una città è provinciale meno è innovativa. Perchè non si prende il rischio di vedere altre cose e di mettere in pericolo il proprio status.
Il rischio è di ritrovarsi a periferia d’Europa. Siamo talmente succubi delle culture esterne che si festeggiano robe che non sapevamo neanche cosa fossero. Acquisiamo riti da altre realtà. La classe non dirige, non innova, è ripiegata sule sue posizioni e quindi assorbe passivamente ciò che arriva dall’esterno.

Una delle caratteristiche delle città non provinciali è che sono più meritocratiche. Non è l’appartenenza a un gruppo ma è la proposta che stai facendo che interessa. A New York anche se non ti conosce nessuno puoi fare cose pazzesche. A Milano provate a prendere un appuntamento nei veri centri di potere e di presentare una vostra idea: vi accorgerete che ciò che conta non è l’idea che presentate ma lo status di chi la presenta. Se avete lo status, il progetto sarà di tutto il gruppo di appartenenza, con divisione di oneri e di onori. Se non avete lo status il massimo a cui potete ambire sono le noccioline, elargite con apparente magnanimità agli animali di uno zoo.

Cosa fare per liberare Milano dal provincialismo?

Milano potrebbe essere una città molto più importante, prendendosi cura anche del resto d’Italia. Milano dovrebbe rompere questo muro, diventare veramente una città aperta, come forse lo era negli anni sessanta. In quel periodo la crescita e il boom economico ha aperto il potere a nuovi ricchi che non venivano da famiglie con più cognomi e che hanno portato innovazione in città.
Poi questa spinta si è affievolita e la preoccupazione della classe dirigente è diventata difendersi dai nuovi entranti per arroccarsi sulle posizioni acquisite, come nel medio Evo.
Ma oggi esiste un’opportunità simile a quella degli anni sessanta. Come negli anni sessanta il mercato ha consentito di crearsi piccoli imperi dal nulla, oggi l’occasione sono i nuovi mercati, le tecnologie, le innovazioni, il poter operare sui mercati internazionali. Queste sono opportunità che alcuni stanno cogliendo ma che ancora non hanno saputo trasformare in potere in città.

Quelli che stanno nello zoo dovrebbero smettere di dipendere dalle noccioline. Dovrebbero acquisire la consapevolezza di essere quelli dell’innovazione, di affermare la loro diversità, non una diversità retorica o narcisistca, ma responsabile. Intesa come responsabilità di esercitare potere al di là delle proprie gabbie, senza misurarsi o dipendere dalla classe dirigente attuale che rappresenta il passato, non il futuro di Milano.
Il grande cambiamento sarebbe se gli animali uscissero davvero dallo zoo. Invece di godere dell’ammirazione della classe dirigente e delle noccioline che gli lanciano, dovrebbero affermarsi, senza complessi di inferiorità.

Forse la cosa più probabile per rilanciare Milano come città internazionale e meritocratica, sarebbe che uno di questi animali da zoo, di questi fenomeni che fanno sembrare grande Milano, diventasse grande per davvero.
Se uno di loro diventasse qualcosa di potente, se Milano avesse una nuova impresa di livello mondiale, una nuova Google, Facebook o Amazon, che operando sui mercati internazionali riuscisse a ridisegnare le regole su scala locale. A quel punto le gabbie potrebbero essere aperte per sempre, gli animali si diffonderebbero in città, sarebbe il trionfo del merito, sarebbe Fuorisalone tutto l’anno.

ANDREA ZOPPOLATO

(in collaborazione con Duilio Forte)

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Come trasformare Milano in CAPITALE d’Italia superando Roma nei suoi punti di forza

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Sì, lo sappiamo che ci leggi con la bocca schifata alla Mourinho. Vi piace vincere facile? è la critica più frequente quando parliamo della capitale e dei suoi punti deboli rispetto a Milano. Però adesso osiamo qualcosa di diverso: abbiamo provato a immaginare Milano come potrebbe superare Roma proprio sui suoi principali punti di superiorità, vera o presunta. Ecco come Milano potrebbe vincere la sfida “capitale” copiando Roma sulle sue caratteristiche distintive.

Come trasformare Milano in CAPITALE d’Italia superando Roma nei suoi punti di forza

1. Il Papa

Da quasi duemila anni Roma è la capitale mondiale della cristianità. Anche Milano Capitale dovrà avere un papa. Ma dovrà essere di più: sarà un antipapa donna, più competitivo e popolare del precedente fallimentare dei francesi. Un papa più moderno di quello attuale, eletto da un concistoro bisex, in grado di equilibrare la carenza di vocazioni e di realizzare le pari opportunità. Per vederla verranno da tutto il mondo.

2. Il Vaticano

Anche Milano capitale deve avere uno stato nello stato. Creiamo un nuovo Vaticano nell’area Expo. C’è già il padiglione. E trasformiamo la Fiera nel nuovo San Pietro.

3. Le buche

Le buche a Roma ormai sono un modo di essere, un’icona internazionale, una caratteristica insuperabile. Per Milano Capitale creiamo un’app per la realtà aumentata che riempie le strade di buche ma ancora più grandi di quelle di Roma.

4. Il debito

Grazie alle suore che saltano i tornelli e ai referendum ignorati dai cittadini, l’Atac conferma un disavanzo record, unico al mondo. Milano Capitale vieta le emissioni di biglietti, superiamo il deficit di Roma e trasformiamo due linee della metro in catacombe.

5. Il fiume

Nonostante la buona volontà di Sala l’impatto visivo del Tevere pare inattaccabile, pure se scoprissimo tutti i navigli. Però se coloriamo di azzurro il pavé possiamo avere il colpo d’occhio del fiume.

6. Il Presidente

Mattarella lo mettiamo sulla guglia dell’Unicredit, all’ultimo piano del grattacielo, così può tenere sotto controllo tutta la città e i cittadini possono sempre vederlo lassù, come la Madonnina.

7. La storia

Ai duemilacinquecento anni di storia sintetizzati con orgoglio nei centurioni romani attorno al Colosseo. Milano risponde con celti e longobardi disseminati in piazza Gae Aulenti, a testimonianza che prima e dopo la caduta di Roma Milano c’era.

MILANO CITTA’ STATO

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The Art of Banksy arriva al MUDEC

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Banksy: un nome, una leggenda.

Ultimamente, si è molto parlato di questo artista contemporaneo, sia avvolto in un alone di mistero… che, però, non gli ha impedito di diventare un mito dei nostri tempi.

Quella di Banksy è una protesta visiva che genera una forte presa sul pubblico, ma non è frutto di chissà quale complessità del linguaggio o di questioni inerenti al dibattito artistico contemporaneo.

A Banksy interessa una cosa soltanto: la vita, i suoi paradossi e il suo scorrere.

I suoi murales sono diventati rapidamente icone anticonformiste, soprattutto grazie alla sua tecnica visiva che abbraccia l’estetica del paradossale e dell’inaspettato.

Difficile dimenticare il black block che lancia un mazzo di fiori, la bambina in bianco e nero che lascia andare il palloncino rosso a forma di cuore o gli uomini delle caverne in un campo di grano pronti a combattere contro dei carrelli della spesa: tutto il suo messaggio visivo sembra giocarsi nel campo del non convenzionale.

In questo marmasma iconografico, mentre Banksy sembra voler continuare a resistere al virus dell’omologazione capitalista dell’arte, il valore delle sue opere è in crescita esponenziale: questo crea un corto circuito ulteriore intorno a Banksy, che si aggiunge a quelli che già avvolgono la sua figura.

Se anche tu ammiri il lavoro di questo illustratore contro corrente, sono lieta di dirti che da domani, mercoledì 21 novembre, fino al 14 aprille 2019, la mostra “The Art of Banksy” sarà al MUDEC.

L’esposizione si articolerà in quattro sezioni volte a generare una riflessione critica proprio sulla collocazione di Banksy nel contesto generale della storia dell’arte. Settanta opere dell’artista illustreranno il suo lavoro con uno sguardo retrospettivo, fornendo ai visitatori una chiave di lettura insolita, per la prima volta in un museo.

Si tratta di un’occasione più unica che rara: il biglietto costa 16 euro, ma magari se approfitti dell’imminente Black Friday lo trovi scontato.

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Paradiso e Inferno in UN ANNO di Trenord

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trenord

Trenord ha chiuso il 2017 con 10,5 milioni di euro di ricavi netti (+14% sul 2016) e addirittura un +6% di crescita nel numero di passeggeri trasportati rispetto all’annus mirabilis di EXPO.

Il 2017 è stato un anno record anche per il numero di treni circolati (per un totale di 756.274), con un ritardo medio ponderato per passeggero sceso da 4,1 a 3,7 minuti, con le soppressioni in calo del 5%.

Eppure, la realtà percepita del servizio offerto dalla società non è certo così florida. Ritardi, disagi e disguidi fanno parte dell’esperienza di tutti noi su Trenord.

Come fosse una tragedia greca atta alla catarsi di tutti noi, uno studente di lettere alla Statale di Milano, Lorenzo Ziliani, ha montato in un unico video tutto il trascorso del suo ultimo anno a percorrere la tratta Cremona-Milano, e il risultato è stato, appunto, tragicomico. Per usare un eufemismo.

 

“Amici, a voi il riassunto del mio primo anno da pendolare”, la tagline del reportage
 

La sua linea, a inizio anno, è stata inserita da Legambiente tra le peggiori della Lombardia. Con cancellazioni, rallentamenti, malori, junk food abbandonato tra i sedili, temperature infernali o polari d’estate (per assenza o eccesso di aria condizionata) e il gelo d’inverno, a Lorenzo non è mancato proprio nulla.

Persino, racconta lui, «quella volta in cui ci hanno fatti scendere dal treno, con zaini e bagagli, e ci hanno fatto attraversare i binari, in barba alle regole della sicurezza».

La chiosa finale, almeno, ci lascia aperta una speranza: perché, da Saramago a Barthes fino a David Foster Wallace, il nostro eroe è riuscito ad approfittare di tutte queste lungaggini per leggersi una montagna di libri.

E voi, da che parte state? Siete più vicini ai freddi numeri o alla realtà raccontata da questo reportage? Ditecelo nei commenti!

 

HARI DE MIRANDA

 

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#MilanoIsOpen: la nuova frontiera dell’integrazione

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I numeri parlano chiaro: più di 200 comunità etniche presenti sul territorio, quasi il 20% della popolazione a Milano è straniera, nelle scuole elementari la percentuale media è intorno al 40%, eppure finora non c’è una formazione adeguata per rispondere ai bisogni e alle aspettative, ma anche per usufruire delle opportunità che questo comporta per la sola, vera metropoli europea in Italia.

In risposta a questa necessità nasce quindi ASCEIPA, un acronimo che indica l’Alta Scuola di Counseling e Educazione Interculturale Per Adulti, perché finora il termine intercultura è stato tema per bambini.

L’Alta Scuola nasce dalla sinergia di professionisti del mondo della formazione, dell’intercultura e delle arti performative ed è una novità assoluta per Milano e per l’Italia che con partner prestigiosi e una formazione ricercata, risponde alle esigenze di una Società in continua evoluzione nel contesto di una metropoli multietnica.

Corsi aperti, moduli flessibili, workshop in cui si alternano tecniche artistiche, teatrali e di analisi transazionale, a corollario del percorso accademico triennale che si conclude con la certificazione della figura professionale di Counselor, con il distintivo indirizzo interculturale a cui si aggiunge la specializzazione del quarto anno per chi è già Counselor.

Gli ambiti di lavoro sono ampi: dal terzo settore alle aziende multinazionali o con vocazione verso i mercati internazionali, dalla consulenza in ambito legale al settore istituzionale, dalla scuola all’area sanitaria.

In occasione dei Tre Open Day – il 17 Novembre e il 1 Dicembre e il 19 Gennaio – si potrà conoscere l’attività della Scuola, il corpo docenti e la programmazione.

La nostra è già una società multiculturale, ed è arrivato il momento di un’educazione consapevole all’intercultura.

Tutte le info sul sito oppure info@asceipa.com

Alta Scuola di Counseling ed Educazione Interculturale per Adulti

 

FUSION TALK – La polpetta che unisce

 

Il 21 novembre la Milano interculturale si incontra nel luogo simbolo della contaminazione creativa, The Meatball Family.

La polpetta, un cibo che si ritrova in tutte le culture del mondo, declinato in mille varianti che si rincorrono, è il simbolo perfetto del potere della fusion.  Qui parole, musica e arte varia si incontrano, tra alto e basso, tra aspirazioni sociologiche e realtà quotidiana, nel cuore di Milano, la città stato d’Europa.

Dalle 18.30 con gli interventi di:

* Andrea Zoppolato, direttore YouMilan e Milano CittàStato

* Domenico De Angelis, direttore di A.S.C.E.I.P.A.

The Meatball Family  – via Vigevano 20, Milano

ASCEIPA – via Valtorta 44, Milano
Federica Sala – Tel 338 5277849 – info@asceipa.com

 

REDAZIONE

 

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Michelangelo – Infinito

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Tutti conoscono il grande artista Michelangelo.

Michelangelo è stato un genio della scultura, della pittura e della poesia, un artista a 360 gradi con una sensibilità unica.

La disciplina che, però, rispecchiava perfettamente l’estro artistico di Michelangelo era senza dubbio la scultura: era capace di cavare dal marmo personaggi che pareva quasi avessero un’anima, vibranti, scalpitanti.

L’opera che personalmente mi ha colpita di più è uno dei suoi ultimi capolavori: la Pietà Rondanini. Questa scultura raffigura l’ultimo atto d’amore di Maria nei confronti di suo figlio Gesù, prendendolo tra le braccia poco prima che egli esali l’ultimo respiro.

Non è perfetta come tutte le sue sculture: quando Michelangelo lavorò a questo complesso, era vecchio, debole e quasi cieco, ma nonostante questo si impegnò fino al suo ultimo respiro nella realizzazione di quella che, per lui, era l’autenticità di quell’attimo biblico.

Il risultato è un complesso scultoreo dalla bellezza commovente: le scalpellate si potrebbero contare nel marmo e grazie a questo la figura riesce a far trapelare tutta la drammaticità della scena.

Le espressioni sui volti dei due personaggi, nonostante siano appena accennate, grazie alla passione di Michelangelo sanno rendere perfettamente la disperazione del momento, lasciano trasudare tutte le emozioni dell’attimo della morte di Gesù dopo la crocifissione.

Nonostante questa statua sia imperfetta, “non finita”, è quella che, paradossalmente, riesce a comunicare nel migliore dei modi l’emotività dell’episodio rappresentato dallo scultore.

Questa è solo una delle opere finali di Michelangelo, immagina cosa può aver fatto quando era in forze, giovane e pieno di spunti.

Se vuoi rivivere l’operato del grande artista italiano, questo martedì alle 19.15 potrai recarti al cinema Ariosto per goderti un film completamente dedicato al suo genio, un documentario che ti farà rivivere tutta la passione che questo artista metteva in ogni sua opera: “Michelangelo – Infinito”.

Io sono particolarmente appassionata al mondo dell’arte, ma anche non lo fossi ti consiglierei questo lungometraggio, anche perchè l’ingresso costa solo 10 euro: ne vedrai delle belle, nel vero senso della parola.

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Nuovo Ordine Mondiale: 3 sfide che Milano deve accettare per il FUTURO

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nuovo ordine mondiale

Sebbene gli istituti democratici dei paesi occidentali costringano, di fatto, i nostri governanti a portare avanti battaglie dialettiche e ad intraprendere politiche assolutamente miopi (la forza gravitazionale delle scadenze elettorali impera), ciclicamente e necessariamente arriva il momento in cui i processi storici bussano alla porta, ineluttabili. Ce ne sono tre, in particolare, che se continueranno ad essere ignorati o tenuti all’angolo com’è ora, la porta la sfonderanno – e i primi scricchiolii iniziano già a sentirsi.

 

I cambiamenti climatici tra Antropocene, ambiente e Melissa Price

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Un rifiuto di plastica fluttua accanto a una barriera corallina. Foto Richard Whitcombe / Alamy

Diciamo subito che avere a cuore l’ambiente e, quindi, il clima, è un sentimento squisitamente egoista: nel senso di antropocentrico.

Il nostro pianeta ha già conosciuto almeno cinque estinzioni di massa nella sua storia, con tutti i conseguenti sconvolgimenti nella biosfera che esse hanno comportato. In nessuna di queste c’eravamo noi: si può dire che l’uomo sia un loro prodotto. Il vissuto della Terra è un susseguirsi di catastrofi e rinascite. L’estinzione del Permiano-Triassico, occorsa circa 252 milioni di anni fa, uccise il 96% delle specie marine esistenti e il 57% del totale delle famiglie animali. Una delle sue cause fu un aumento spropositato del vulcanismo, che rilasciò quantità di anidride carbonica intollerabili per tutti. La natura necessita di fare pulizia una volta ogni tanto, e la nostra specie potrebbe essere il suo veicolo mediante il quale, oggi. Alla fine, la vita vince sempre, come dichiara Ian Malcolm nel capolavoro di Michael Crichton prima che nel blockbuster di Steven Spielberg, Jurassic Park.

Da qui, è parimenti assurdo parlare di equilibrio negli ecosistemi: l’evoluzione si alimenta di instabilità, l’Universo intero va avanti perché è rotto.

Ma al di là di ciò che possono insegnarci la filosofia, la biologia e la cosmologia, torniamo all’egoismo, del quale siamo prigionieri. E, per stare all’attualità, ciò che è recentemente accaduto nel bellunese, in Friuli e in Sicilia non può e non deve lasciarci indifferenti. Anche se, purtroppo, si tratta di moniti: l’Italia è un territorio difficile, sul quale abbiamo costruito male, con la scusante dell’ignoranza del passato, con l’aggravante di aver chiuso troppi occhi su abusivismo, difetti strutturali, mancate manutenzioni. Il 91% dei comuni italiani rischia il dissesto idrogeologico: i tragici eventi del novembre 2018 si ripeteranno.

Tornano in mente i versi iniziali di un componimento del Petrarca, Italia mia, benché ’l parlar sia indarno / a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sí spesse veggio, / piacemi almen che ’ miei sospir’ sian quali / spera ’l Tevero et l’Arno, / e ’l Po, dove doglioso et grave or seggio (…). Un inno all’Italia, più che un inno d’Italia.

Il clima sta cambiando, in peggio per noi, a un ritmo forsennato, veloce come mai prima, così com’è stata la corsa dell’uomo nell’ultimo secolo. Non solo. Paul Crutzen, chimico premio Nobel, riprendendo suggestioni ottocentesche l’ha detto nel 2000: siamo nell’Antropocene, etimologicamente “uomo nuovo“, di fatto l’età dell’uomo, la cui attività ormai massicciamente segna la storia geologica del pianeta. E siccome la Terra è Gaia, incidiamo anche nell’atmosfera: stando all’ultimo rapporto Onu, al tasso attuale di emissioni di CO2 le temperature globali raggiungerrano dal 2030 un incremento di 1,5 gradi dall’era pre-industriale e di almeno 3 nel 2100, con effetti devastanti per i nostri habitat, a meno che non si adottino immediatamente misure drastiche per ridurle, riconvertendo praticamente in toto le fonti del nostro approvigionamento energetico.

In tutta risposta, Melissa Price, ministro dell’ambiente del primo esportatore mondiale di carbone, l’Australia, ha dichiarato che per il suo paese “sarebbe irresponsabile eliminare il carbone dal mix energetico elettrico da qui a trent’anni”.

Si parlava di appuntamenti elettorali?

 

Il boom demografico: uno tsunami in arrivo

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Fonte: The Guardian Nigeria Newspaper

Parlando di boom demografico ci si collega immediatamente a quello che negli ultimi mesi è stato un tema caldissimo nel dibattito italiano: l’immigrazione.

Sono proprio le aree di maggior impulso migratorio, infatti, quelle dove la popolazione sta esplodendo: entro il 2050, infatti, il numero di africani crescerà del 209%, quello degli asiatici del 41%, in Oceania si avrà una crescita dell’84%, a fronte di un +43% in America (+39% nel Nord, +48% nel Sud) e di una preoccupante stagnazione in Europa.

Eh sì, nonostante nel mito greco Europa partorì (almeno) tre figli, oggi nel nostro continente siamo appena sotto la soglia di nuove nascite che garantisce una crescita della popolazione, e la situazione non sembra poter cambiare. Ciò ci prospetta, all’orizzonte, tensioni enormi: i Paesi di maggiore crescita demografica corrispondono anche alle zone di maggiore povertà. Da qui al 2100 le città più popolose del mondo saranno Mumbai, Kinshasa e Lagos, che comunque la si racconti hanno sacche di miseria di elevata magnitudo.

Questo non sarà un processo indolore, sia che si realizzi come da previsioni (implicando un inevitabile e traumatico spostamento del fulcro geopolitico ed economico), sia che si verifichi un’inversione di tendenza (mediante una guerra? O un’epidemia?). Insomma, che si parli di Paleolitico o di terzo millennio, con la demografia non si scherza.

Ed è per questo che, guardando avanti, l’aiutiamoli a casa loro diventa l’unica strada possibile: non tramite dichiarazioni o investimenti di facciata, vedasi il Piano Marshall per l’Africa vagheggiato dalla Germania, ma trattandola come una questione esistenziale. Anche perché può esserci qualcosa di più razzista di voler indifferentemente continuare ad importare disperazione?

Così, mentre in Europa litighiamo e litigheremo su etica e morali algide e stantie, la Cina, libera da fardelli elettorali, si porta addirittura avanti costruendo città al momento vuote nell’est dell’Africa, ma scommettendo sulla nascita di una classe media che le abiterà – sotto il suo controllo. Il Celeste Impero è infatti dal 2009 il principale partner commerciale del continente nero. Non è ancora il primo per investimenti (è dietro a Stati Uniti, Regno Unito e Francia), ma ci sta arrivando, con un approccio nuovo e non mirato a difendere antichi interessi come per gli altri Paesi, per quanto anch’esso sia inevitabilmente permeato di volontà di potenza.

 

Artificial Intelligence, tecnologia e il rischio del Gestell

nuovo ordine mondiale
Un visore per la Realtà Virtuale presentato al Consumer Electronics Show del 2016

Se in passato la tecnica era uno strumento nelle mani dell’uomo in quanto suo prodotto, oggi questa interpretazione non è più sostenibile: è la tecnica stessa ad imporci le sue regole e i suoi ritmi. Di più, costruiamo computer sempre più simili agli uomini, mentre gli uomini diventano sempre più simili ai computer.

La simbiosi è tale che una sentenza della Corte Suprema statunitense risalente al 2014, che doveva decidere sulla legittimità o meno del sequestro coatto da parte di un poliziotto (senza mandato da parte di un giudice) dello smartphone di un uomo poi rivelatosi essere effettivamente un criminale, ha affermato che il proverbiale marziano in visita sulla Terra avrebbe potuto ritenere il dispositivo una parte fondamentale dell’anatomia umana: e quindi no, non si può assolutamente sequestare senza il cosiddetto search and warrant previsto dal IV emendamento della Costituzione americana a tutela della vita privata dei cittadini.

Fatto salvo che, giusto o sbagliato che sia, in Italia siamo lontani anni luce dall’istituzionalizzare un pensiero del genere, manca (e questo è grave, non ce n’è) un dibattito e di conseguenza un’azione politica sul digitale e sull’innovazione. Massimo Mantellini ha analizzato, per il suo blog, i programmi elettorali presentati alle ultime elezioni dai principali partiti italiani per provare a capire quali siano le loro intenzioni e i loro progetti per la politica digitale per i prossimi cinque anni. Il risultato è stato desolante: il caos e l’astrattezza regnano sovrano nei migliori dei casi – negli altri, il nulla totale.

Nel frattempo, tutte le nostre speranze sono riposte in Luca Attias, il nuovo Commissario per il digitale, che avrà l’arduo compito di portare a compimento la tanto agognata e necessaria digitalizzazione della pubblica amministrazione, un toccasana per il nostro Paese. Attias parla di contaminazione digitale: “per lo più ancora oggi tutto il processo di trasformazione digitale della PA viene demandato alle strutture informatiche (laddove esistenti) e ciò ha contribuito in buona parte al fallimento del processo: gli informatici da soli non possono farcela. Il digitale non è un Moloch a sé stante. Tutta l’organizzazione, chi più chi meno, deve occuparsi di digitale. Ma ognuno facendo il proprio mestiere, contribuendo con le proprie competenze al risultato finale. Per questo dal 1998 in ogni ufficio della Corte dei Conti ci sono dei referenti informatici: la contaminazione è un meccanismo positivo, come nell’arte e nella musica”.

Questa permeazione andrebbe spinta, guidata, spiegata a tutti i livelli della società. A causa dell’immenso e dirompente potenziale delle tecnologie afferenti all’intelligenza artificiale, chi decidesse di non restare al passo sarà tagliato fuori dal nuovo ordine mondiale che ne verrà, a più livelli: e mentre in Cina i robot fanno gli anchorman, l’Italia rischia.

 

Ultime parole famose

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Foto di Isaiah Rustad

Ma, infine, fare terrorismo psicologico sul futuro annunciando apocalissi imminenti è facile e ridicolo.

Il contrasto al cambiamento climatico è in cima all’agenda di quasi tutti i governi del mondo, sempre più Paesi acquisiscono sempre più energia da fonti rinnovabili, la sensibilità e la consapevolezza ambientale sono ai massimi storici (si pensi alla guerra senza quartiere che sta conducendo l’UE contro la plastica).

Il boom demografico, sebbene presenti anche elementi problematici nella sostenibilità delle risorse del pianeta, potrebbe vedere i suoi effetti smussati proprio da quelle tecnologie, questa volta in campo biochimico, che tanto fanno paura per la montagna di potenziali squilibri che si portano dietro. Nel 1798, l’economista inglese Thomas Malthus pubblicò la prima edizione del suo “Saggio sui principi della popolazione”, facendo una previsione estrema: la crescita della popolazione avrebbe secondo lui portato ad un eccesso della domanda mondiale di cibo rispetto alla disponibilità di risorse alimentari entro la fine del diciannovesimo secolo. Ad oggi, ce la siamo cavata.

E se guardando all’innovazione l’Italia rischia di trovarsi presto nel Medioevo, è anche vero che il nostro Paese ha un patrimonio umano, culturale e storico che non ha pari, che ha un valore inestimabile e dal quale si potrà sempre ripartire.

Le sfide sopraelencate richiedono un approccio frutto della coordinazione e della collaborazione tra tutti gli stati del mondo. Harari ci insegna che ciò che ha contraddistinto l’uomo è stata proprio la sua capacità di essere un tutt’uno nella sfida del progresso, grazie alla sua abilità di costruire storie e grandi narrazioni, a differenza di tutte le altre specie animali.

Oggi, l’idea di globalizzazione per come ci è stata venduta è in forte crisi, tanto che potremmo aver già visto il suo apice nei primi anni 2000: l’identità, sebbene sia un concetto dalle mille facce, rimane un elemento fondante nei popoli. Serve una nuova storia: gli attori protagonisti stanno diventando sempre più le grandi città, da loro occorre ricominciare. Per questo, per continuare ad essere grande e fare il decisivo salto di qualità, Milano dovrà assumersi il ruolo di guida culturale, filosofica, scientifica, si spera anche politica, per tutti, nell’affrontare queste grandi dinamiche.

Alla classe politica chiediamo intanto risposte che dimostrino, almeno, un arrière-pensée che sia durato più di cinque minuti e un visus che vada oltre ciò che c’è davanti al proprio naso (ripensando i nostri sistemi per liberarci dal giogo delle scadenze elettorali? O tramite una rivoluzione culturale?). Perché sì, le grandi cose richiedono tempo, ma di tempo se ne sta già perdendo abbastanza.

 

HARI DE MIRANDA

 

Leggi anche:
* 10 città stato del mondo che possono ispirare Milano
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The Ten Best STREET MARKETS in Milan: what you’ll find there, and when to visit them

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street markets

The Street Markets of Milan add character to the neighborhoods that host them. Over time, each one has specialized in something different, separating them one from the other. Some call it ‘Tourism of Street Markets’ in the search for quality at every cost, provided the prices are reasonable.

Yet Milan boasts more than street markets. Here, then, are the best ten:

 

 

 # 1. The Market of via Fauché

 

The most popular and recommended of all markets, especially for the ladies. Situated in the Bullona Quarter, between via Cenesio and corso Sempione, it offers products of truly high quality. The most passionate and expert of shoppers point out a stand of designer fabrics in every color under the sun. 

Hours: Tuesdays and Saturdays, from 7.30 to 14.00 (Saturdays until 18.00).

 

 

# 2. The Market of via San Marco

 

Worth the trip if only for it position close to the artistic Brera area; a magical stroll in the shadows of the famed Tumbun Restaurant of San Marco, Milan’s unique, evocative haunt in every sense of the word.

The Market is frequently visited by ladies for its numerous shoe stalls.

Hours: Mondays and Thursdays, from 7.30 to 14.00.

 

 

# 3. The Market of via Papiniano

 

Famous also among those who are not from Milan.

Running along a long, narrow street, the Market brings one multiple offers for fashionable clothing: myriads of cute and elegant dresses and suits, but also snazzy bags and accessories. Saturdays there are super crowded, and it’s wise to get there early in the morning.

Hours: Tuesdays and Saturdays, from 7.30 to 14.00 (Saturdays until 18.00).

 

 

 # 4. The Market of Used and Rare Books

 

Held every second Sunday of the month, tables of books line the arcades of Piazza Diaz, adjacent to the city’s cathedral, capped by its famed ‘Madonnina’.

One will come across find out-of-print, hard-to-find, even rare volumes.

From September to June (closed in Summertime), surprises await the book hunter!

 

# 5. The Fair of Senigallia

 

Milan’s perennial Flea Market, once located at the old dockyards, now lining the banks of the Ripa di Porta Romana (from via Paoli to the end of via Barsanti). Over 100 stands and stalls laden with novel curiosities, freaky and odd objects, yet not lacking varieties of flowers and fruits. A must-see ongoing event when visiting Milan.

Hours: every Saturday, from 8.00 to 18.00.

 

 

 # 6. The Antiques Market

 

Held along Milan’s boisterously quaint canal zone the last Sunday of every month, right in the heart of a special crystallized and timeworn quarter. You’ll be surrounded by Tiffany lamps, Art Deco objects from the 50’s alongside small pieces of furniture from the late 1700’s.

 

 

# 7. The Market of piazza Martini

 

This homonymous market is collocated between viale Molise and viale Umbria, offering fresh, premium quality fruit and vegetables, is especially known for its price-quality ratios.

Hours: Every Wednesday, from 7.30 to 14.00.

 

 

# 8. The Obej Obej Fair

 

This is Milan’s traditional pre-Christmas Fair, held on the days of the city’s patron saint, Sant’Ambrogio and the Immaculate Conception. It is now held in the surroundings of the XV century Sforzesco Castle, and remains a clamorous, jubilant event. In fact, the name itself is taken from the excited cries of children (How beautiful, how wonderful!) reaching out for gifts brought into the city by a Vatican representative of Pope Pius IV. The upcoming holiday season is in the air, and by being there at the Fair one really understands the spirit of the city of Milan.

 

 

# 9. The Farmer’s Fruit and Vegetable Market, The Flower Market

 

The largest market in all Italy for the quantity of products sold (1,000,000 tons per year); for the range of products available year-round; and for the flow of visitors (10,00 a day). This market represents a unique possibility to find a densely complete array of fruit and vegetables, in itself commercializing 10% of the goods transported throughout all the fruit and vegetable markets in Italy.  

Due to the crises and the Expo Milano 2015, the market has opened up to the private sector with the aim of becoming the primary agricultural hub, serving the entire city. A vast selection of flowers and plants could not be lacking!

Open: Every day from 10.00 to 12.00.

 

 

# 10. The Fish Market

 

It is often said that in Milan one can find the freshest fish of Italy. The greatest variety arrives here daily, making it the largest among all the European markets.

Once located in the historical building of via Sammartino running parallel below the tracks of Milan’s Central Railway Station, it moved in 2000 to via Lombroso, 53.

Hours: Saturdays, from 9.30 to 11.30.

 

LUISA COZZI

Translated by Vincent Lombardo

Qui l’articolo in Italiano: I 10 migliori Mercati Rionali di Milano: cosa si trova e quando visitarli

 

 

Luci e ombre di BOERI, l’archistar che esporta Milano nel mondo

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stefano boeri architetto

Dallo scorso 8 febbraio Stefano Boeri è Presidente della Fondazione La Triennale di Milano. Nel 2017 inaugura il polo del gusto a Amatrice. Nel 2017 è ideatore di Milano Arch Week. Il 10 giugno 2011 viene nominato assessore alla Cultura, Moda, Design ed Expo del Comune di Milano. Dal 2008 al 2010 fa parte con altri profili internazionali della consulta degli architetti dell’Expo 2015, incaricata della progettazione del concept masterplan per l’esposizione milanese. Nel 2009, conclude la riconversione dell’ex Arsenale Militare della Maddalena che avrebbe dovuto ospitare il G8, prima del terremoto dell’Aquila. Dal 2004 al 2007 Stefano Boeri è direttore di Domus, magazine internazionale di Architettura, dal 2007 passa alla direzione di Abitare, che mantiene fino al 2010. Nel 1993 fonda il suo studio di architettura con il quale sta contribuendo a rivoluzionare l’architettura.

Questi sono solo alcuni dei successi occorsi alla, sin qui, folgorante carriera dell’architetto milanese Stefano Boeri, ai quali però, per correttezza di informazione vanno accostati quasi altrettanti insuccessi: l’esperienza editoriale è unanimemente riconosciuta come non positiva, per usare un eufemismo; l’esperienza G8 è stata disastrosa per la sua immagine; gli ammiccamenti alla politica sono sempre naufragati, e più recentemente la sua mensa ad Amatrice è stata soggetta a indagini della magistratura. Con ciò sorprende quindi scoprire che questi rallentamenti non abbiano fermato la sua corsa verso l’olimpo dell’architettura, nonostante anche qui, penso si possa affermare senza offendere nessuno, dal punto di vista strettamente architettonico i suoi lavori non brillino per unicità.

Ercolino sempre in piedi

In un recente articolo apparso sul sito internet specializzato Art Tribune, si scrive che è come lo slogan per un gadget di una vecchia pubblicità della Galbani: sempre_in_piedi.

stefano boeri architettoUn’analisi interessante sarebbe quindi quella di cercare di individuare, se presente, quella o quell’insieme di caratteristiche che stanno permettendo ad un milanese di esportare eccellenza in tutto il mondo (ricordiamo che edifici basati sul modello del Bosco Verticale sono in progettazione dallo Studio Boeri dalla Francia alla Cina). Chissà se poi in queste caratteristiche si possa riconoscere un modello operativo riutilizzabile.

Di certo molta importanza la hanno fattori pragmatici elencati nell’articolo di Art Tribune sopra citato, che vanno dal fatto di appartenere all’élite italiana radical chic; a un disinvolto comportamento culturale che gli permette di dialogare con figure antitetiche; e infine di godere del supporto quasi indiscriminato di giornali del calibro del Sole 24 Ore e del Corriere della Sera. Io sono convinto però che una ragione più profonda, che potremmo definire strutturale o metodologica sia alla base del suo successo. Vediamo a cosa mi riferisco.

I figli dei tempi

È innanzitutto fondamentale collocare la sua azione lavorativa in un contesto culturale estremamente dinamico, che negli ultimi decenni ha mutato le sue caratteristiche e da cui non si è ancora riusciti ad estrapolare dei paradigmi chiari e sintetici. Mi sto riferendo ad un mondo culturale, di cui anche Boeri fa parte, che in estrema sintesi si sta muovendo, nei suoi attori (cioè contemporaneamente espressione fisica e interpreti del modello stesso), dalla figura del critico elitario ed estremamente colto del 800/900 ad una che da più parti si tenta di definire con nuove terminologie: persona universalmente colta, Prosumer, operatore culturale, lavoratore cognitivo

Tutti questi termini stanno ad indicare un individuo che grazie alle nuove tecnologie e ai nuovi modelli di aggregazione sperimenta un nuovo rapporto tra istruzione, lavoro e svago attraverso la costante acquisizione di un sapere interdisciplinare.
Pur fermandoci qui, questa puntuale e frammentaria descrizione del mondo culturale sarà già stata sufficiente per farvi intendere quale sia la ragione metodologica e profonda del successo di Boeri, in una parola: interdisciplinarità. Alla quale va aggiunta la sua capacità di fare network.

stefano boeri architetto
Milano dopo la riqualificazione degli scali ferroviari secondo SBA, Stefano Boeri

Prendiamo per esempio due progetti da lui realizzati: il famosissimo Bosco Verticale e il progetto per gli scali ferroviari milanesi. Per chi non conoscesse quest’ultimo progetto spendo due parole per descriverlo. Nel 2017 il Comune di Milano decide di istituire un bando chiuso fra architetti riconosciuti a livello internazionale che aiutasse a proporre delle linee guida per la riqualificazione dell’area dismessa da Ferrovie dello Stato, di più di un milione di mq, che circonda Milano. Fin dalla presentazione del progetto di Boeri, con temi trattati come il risparmio energetico e di CO2, alberi piantati, rinfrescamento dell’aria, anello per la mobilità pubblica (MM6 di superficie) e un’infrastruttura metropolitana per l’utilizzazione a fini geotermici delle acque di falda, la sua è apparsa la proposta meno architettonica e più tecnica.

Stessa metodologia per il Bosco Verticale dove l’Architettura con la A maiuscola, come avrebbe detto Le Corbusier, lascia spazio ad una tecnicità differente, più propensa al dialogo interdisciplinare tra botanica, ecologia, climatologia. Importante conseguenza di ciò è il ruolo centrale ricoperto dalla comunicazione, più attenta a vendere un lifestyle green e sostenibile che ad altro.

Parola d’ordine: connessione

stefano boeri architettoDa queste righe si scopre perciò una figura impegnata a rendere questi campi del sapere mutuamente compatibili che a sottometterli ad una presupposta superiorità dell’Architettura. Non più un rigido incasellamento del sapere che produce sacche di estrema eccellenza incapaci di comunicare tra loro ma disponibilità di trascendere le proprie posizioni per combinarle con quelle altrui. Apertura, disponibilità, collaborazione. Il tutto, se accostato ad un esponenziale aumentato delle possibilità di collaborazione fornite dalla rete e dalle nuove tecnologie può portare verso nuove e strabilianti forme di condivisione, che mettano addirittura in discussione l’idea stessa di proprietà privata, che nel campo culturale assume il nome di copyright. Ovviamente la metodologia di Boeri possiede solamente in nuce queste possibilità, che comunque non è detto giungano mai a piena realizzazione. Ciò che però è importante comprendere è che è questa, se pur frammentariamente o inconsapevolmente, la via indiscutibilmente intrapresa.

Andando oltre alle specificità degli esempi, che hanno portato Marco Biraghi, importante storico milanese, a parlare di una sparizione dell’architettura, possiamo trarre, come visto velocemente, importanti indicazioni metodologiche valide non solo nel campo dell’architettura, ma applicabili alla vita e al lavoro di tutti i giorni. I fatti testimoniano che questo è un modello vincente, un’eccellenza riconosciuta ed esportata: da milanese mi auguro che i miei concittadini e i nostri lettori sappiano trarre il massimo di beneficio dalla figura di Stefano Boeri.

 

 

FEDERICO POZZOLI

 

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