Il panettone risale ai tempi in cui a Milano c’era Leonardo Da Vinci. Ma questa volta lui non c’entra, così almeno sembra. Lo zampino ce lo mise invece il cuoco al servizio di Ludovico il Moro. Incaricato di preparare un pranzo di Natale dimenticò il dolce nel forno, da cui lo estrasse quasi carbonizzato.
A quei tempi c’era poco da scherzare: per errori come questi si rischiava la testa, ma il cuoco sbadato mentre era in piena disperazione venne savato dall’intuizione di un giovane sguattero di nome Toni che gli propose: «Con quanto è rimasto in dispensa – un po’ di farina, burro, uova, della scorza di cedro e qualche uvetta – stamane ho cucinato questo dolce. Se non avete altro, potete portarlo in tavola».
Il cuoco seguì il consiglio e portò il dolce ai convitati. Ludovico lo fece chiamare e lui si preparò al peggio, temendo una dura punizione. Altro che punizione! I commensali erano entusiasti e il duca gli chiese il nome di quel dolce così buono. «L’è ‘l pan del Toni», rispose il cuoco. Da allora il “pane di Toni”, ossia il “panettone, è diventato il dolce di Milano.
“Controcuore” è il nome della struttura di ghisa che sta tra il camino e la sua cornice marmorea.
È un elemento di unione, di protezione e adattamento.
Controcuore è un incontro fuori tempo e fuori spazio di tempi e spazi diversi.
Ma è anche il titolo di un libro in cui Mario Milizia mette insieme alcune delle poesie scritte da lui nel 1992 insieme l’analisi del suo DNA, effettuata mediante il Genographic Project con lo scopo di risalire e ricostruire la mappa genealogica delle sue origini ancestrali.
Che scopriamo essere greca, spagnola e portoghese.
Queste poesie sono state recentemente tradotte in Latino e i linguaggi dei tre paesi, grazie ad un gioco linguistico che li riscrive, reinventano il loro senso.
Questa l’origine dei sette arazzi in mostra a VIASATERNA, sui quali sono cuciti i versi, prodotti originariamente usando la tecnica del cut-up.
Una tecnica usata fin dalla fine degli anni ’50 da Brion Gyrin e William Borroughs.
E che oggi torna a vivere in un dialogo perpetuo con chi eravamo e con chi diventeremo.
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Qualcuno sostiene che Shinkai voglia spodestare il maestro Miyazaki.
Sono solo supposizioni, ma se fino ad ora i tentativi rimanevano vani, con il nuovo film di Shinkai la possibilità di un nuovo record di incassi sembra avvicinarsi in maniera più concreta.
Miyazaki con La città incantata aveva portato a casa un risultato di 230 milioni di dollari al botteghino, mentre Shinkai si attesta a 175.
Cifre da capogiro, ma che ci parlano distintamente del nuovo andamento cinematografico.
Della crescente passione per i film d’animazione, per le atmosfere oniriche dai dettagli contemporanei e attualissimi e di una scuola cinematografica che ha portato il film d’animazione alla ribalta, concludendo un’era in cui i cartoni animati venivano assimilati solo ad un pubblico infantile.
Tre giorni, quelli a disposizione per trovare il cinema più vicino a te e andare a vedere Your Name di Shinkai. Io te l’ho detto, secondo me vale la pena.
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Come diceva Manzoni la milanesità è un’attitudine che non è innata ma può essere acquisita. In un momento in cui l’Italia sta andando a picco, può essere utile a tutti sapere come si fa a trasformarsi in milanese.
10 passi per TRASFORMARE chiunque in MILANESE
#1 Accelerare
E’ la prima condizione. Bisogna abituarsi a fare qualunque cosa più veloce: nei modi di fare, parlare senza divagare, ma soprattutto quando ci si muove. Il milanese quando passeggia cammina, quando cammina corre. Perché camminare a Milano è spostarsi dal punto A al punto B nel modo più veloce del mondo. Non dimenticare poi di imparare ad infuriarsi con chi va lento.
#2 Bisogna essere in grado di rispondere senza tentennamenti alla domanda “di cosa ti occupi?”
Il milanese deve sempre sapere che cosa sta facendo. Deve saperlo dire preferibilmente usando termini inglesi, specie se non fa nulla. Obiettivo non è di soddisfare la curiosità di chi ha fatto la domanda, ma è di impressionare sempre. Deve trasformare ciò che fa in qualcosa di immaginifico.
#3 Abituarsi a parlare di lavoro sempre
Deve sempre fare finta di fare sempre qualcosa. Arrivare in un posto sapendo già di dover andare da un’altra parte, essere da una parte ma avere già tre altri appuntamenti in tre luoghi differenti, al limite andare in posti inutili. E in tutti i posti bisogna passare per 5 minuti per poter dire “non ci siamo visti ma io c’ero”.
#4 Saper dire ueeeeee, feeeeega, con l’accento giusto
E capire il corretto significato di sticazzi a Milano, che ha un significato diverso da Roma. Può servire frequentare degli anziani con il solo scopo di apprendere degli aneddoti sulla città da sfoderare all’occorrenza, ma senza entrarci in confidenza. E imparare a dire con disinvoltura Taaaccc!
#5 Avere sempre un posto da millantare quando chiedono cosa fai nel week end
Studiarsi durante la settimana gli eventi cool nel raggio di millecinquecento chilometri per poter dire “sono andato a Londra perchè c’era una mostra imperdibile”, “ho mangiato il Tofu ad Anversa perché è il migliore del mondo” o “come il salmone del fiume Tweed non c’è nulla al mondo”.
#6 Correggere la toponomastica
Si dice Santa, non Santa Margherita Ligure. Courma, non Courmayer eccetera eccetera. Non sognarsi di chiamare Parco Aniasi il Parco Trenno, mai dire Stadio Meazza invece di San Siro. Non sbagliare a inserire le denominazioni usate dai milanesi sui programmi di navigazione, non corrispondono quasi mai: tipo se digiti Courma ti manda in un paesino dell’India.
#7 Mettere l’articolo davanti ai nomi propri
Si dice IL Mario, IL Gianni, IL Pirla. Dare nomignoli, tipo Francesco è Franz, meglio se tedeschi o nordici. Avere sempre amici stranieri da nominare nelle conversazioni e una certa propensione per tutto ciò che è austroungarico. Dire sempre “questa è una cosa di design, design, design” (ripetuto con tono più smorzato), tipo “Voglio fare un ristorante di design”, “ho dei piatti di design…”
#8 Imparare a parcheggiare in una mossa
A Milano vale più della carta d’identità.
#9 Cosa studiare
Serve sorbirsi un po’ di film e di scene tipiche con Pozzetto, Celentano, Paolo Rossi dei tempi d’oro, Abatantuomo quando non fa il terruncello, gli Aldo Giovanni e Giacomo ma solo d’annata, non di quelli di oggi che piacciono ai non milanesi. Occhio che spesso i milanesi di successo nel resto d’Italia a Milano sono terribilmente out. Di solito erano famosi quindici anni fa.
#10 Laurearsi in sharing
A Milano il senso della vita è come ti muovi. Occorre avere almeno 3 tessere di car sharing, sapersi districare con la migliore combinazione tra mezzo pubblico, passaggio dell’amico, car sharing, uber, senza dimenticare di fare almeno tre minuti a piedi per avere l’odore di CO2 e di PM10. Poi devi comprare lo scooter o la bici. La bici deve costare più dello scooter, la prima regola è quella. Se no non hai capito come funziona. E poi te la devi fare rubare perché a tutti i milanesi gliel’hanno rubata almeno una volta. E’ un rituale di iniziazione.
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Il nostro sogno per l’Italia? Un’Italia federale, con forte autonomia per le aree urbane e i territori omogenei. Un Paese che premi il fare rispetto al non fare, con una forte propensione all’innovazione, che valorizzi le sue eccellenze distintive e che miri a essere sempre migliore, mettendo al centro il cittadino libero e responsabile verso la comunità.
Il primo, l’apripista a tutti i market che sono nati successivamente, il favoloso East Market torna anche quest’anno.
E lo fa con un’edizione speciale East Market, prevista questa domenica che celebri ogni inizio, ogni nuovo capitolo e ogni partenza – anche quelle più in sordina.
Tra una selezione di abiti, vinili, street food che risolve l’annoso dilemma domenicale del “che cosa mangiamo”, la domenica avrà un altro sapore.
Inoltre continua il progetto EAST MARKET dedicato al mondo della street art. 5 artisti potranno dar scrivere, disegnare, tratteggiare, colorare e dar sfogo alla loro vena creativa su uno dei muri della fabbrica.
Sempre più Tacheles questo East Market, sempre più vivo.
Gli artisti si esibiranno a mano libera con diverse tecniche, usando pennarelli, acrilici e vernici, dando libero sfogo a diversi stili e idee.
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Luigi Ontani è considerato uno dei primi grandi artisti italiani viventi.
Pittore, scultore, lavora da decenni sui temi del mito, della maschera, del simbolo in forme diverse.
Uno degli aspetti più leggendari, ma meno documentati della sua attività è il lavoro che svolge a Bali dove risiede per alcuni mesi all’anno.
Nel marzo 2014 lo scrittore Emanuele Trevi e la fotografa Giovanna Silva hanno vissuto qualche settimana con Ontani assistendo all’allestimento di un Ogoh Ogoh.
Un carro allegorico che si prepara per il giorno di Nyepi, il giorno del silenzio.
Un giorno in cui tutte le luci rimangono spente, tutto il villaggio è silente.
Un giorno di raccoglimento, mentre fuori gli spiriti imperversano in quel mondo che per tutto il resto dell’anno è martoriato dall’uomo.
Che Luigi Ontani ha scelto di raccontare. E con questa tanti altri riti e tradizioni di Bali.
Emanuele Trevi e Giovanna Silva li troverai questa sera da verso libri, in zona ticinese, a parlarci di “Ontani a Bali”, Humboldt Books.
I saldi sono una grande sola. Prima sperperavo, ora ho iniziato a organizzarmi.
Le tecniche per resistere ai saldi milanesi
#1 La strategia del borsello
Uscire con pochi soldi.
#2 La strategia filosofica
Pensare al detto di Socrate: “l’abbondanza di cose sui banchi del mercato ci fa capire di quante cose possiamo fare a meno” e domandarsi se ne hai davvero bisogno.
#3 L’arma della diffidenza
Pensare che dentro i saldi c’è la sòla. Anche perché gli sconti maggiori sono sui vestiti di tre stagioni prima.
#4 Inventario dell’armadio
Svuoti l’armadio e scopri di avere già cose di cui saresti andata in cerca.
#5 Il detto della nonna
Ripetersi che “chi più spende meno spende”.
#6 Il metodo dell’agenda
Riempirti il mese di impegni o metterti a fare quelle cose che non facevi da secoli.
#7 La regola dell’amica
Evitare amiche che vanno per saldi.
#8 Usare la PNL
Visualizzare la ressa disumana che troverai nelle grandi catene.
#9 Il segreto di Savonarola
Ricordarsi che il saldo è per sempre. Non si può dare indietro.
Su alcuni muri di Milano si possono trovare ancora oggi le scritte “R” e “US”. Indicavano rispettivamente l’ingresso e l’uscita dei rifugi antiaerei. L’area di Milano dove ancora si possono vedere queste scritte con più frequenza è quella compresa tra via Archimede e corso Indipendenza. Altro luogo dove poterle ammirare è il palazzo dove si trova il bar Gattullo in viale Bligny all’angolo con Porta Lodovica.
Quella voce suadente a fare da tessuto ad una trama di percussioni, bassi e synth che hanno fatto scuola.
Miss Kittin era un cavallo di battaglia di un certo modo di vivere il club e la musica.
Con sonorità accoglienti e mai banali, Miss Kittin si faceva ascoltare senza imbarazzi.
Grace, per esempio, la cantavamo a squarciagola io e le mie amiche quando progettavamo fughe romane di una notte e via.
Prendevamo un pullman di sera e lo riprendevamo al mattino.
Andavamo nei club (il Goa e il Rashomon soprattutto) e in quelle serate primaverili ci sentivamo le padroni del mondo, noi, provinciali e borghesi che volevano capire tutto e subito.
E questo fine settimana, tornerò a riveder le stelle e a sentirmi di nuovo quella ragazzina che scappava per andare a sentire la musica “figa”.
E come sempre non posso non ringraziare di cuore Le Cannibale che continua a far sognare tutta la città con le sue programmazioni in grado di incantare anche i più reticenti.
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Al numero 10 di via Serbelloni c’è una casa con l’orecchio. Si tratta di un bizzarro citofono della casa Sola-Busca, uno dei gioielli dello stile liberty milanese. Oggi non funziona più, ma un tempo lo si poteva utilizzare.
Aurore Bano ha uno sguardo fotografico delicatissimo.
D’altronde, la scelta cromatica dei paesaggi che immortala con la sua Canon lo testimoniano.
Inserendosi perfettamente in quella corrente fotografica contemporanea iniziata con i contorni geometrici dei progetti dell’architetto Luis Barragán a fare da scenografia naturale agli scatti, l’occhio di Aurore Bano ci restituisce dei quadri che presentano già una cornice.
La palette cromatica che utilizza è meravigliosa e femminile, di quella femminilità delicata e decisa che viene approcciata non soltanto dal “gentil sesso”, ma anche da altri talenti emergenti – uno su tutti Vincent Leroux, casualmente francofono anche lui che con i suoi reportage fotografici sull’India ci regala magnifiche visioni da tenere d’occhio.
E questa sera inaugura, presso la galleria Antonia Jannone di Milano la prima personale italiana di Aurore Bano “Color Space Resonances”.
Si tratta di una raccolta di scatti che attraversa paesaggi lontanissimi (Spagna, Scandinavia, Francia e Islanda) esplorati in lungo e in largo dall’obiettivo fotografico dell’artista francese.
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Mi diverto ad osservare minuziosamente il mondo circostante. Affascinata sopratutto dalle persone, adoro focalizzarmi sui dettagli, siano essi il modo di vestire, il modo di muoversi ma anche, molto spesso, il modo di parlare unito ai temi di conversazione: spesso in giro per le strade della città mi incuriosisco ad ascoltare di cosa parla la gente.
Siano essi passanti in compagnia o al telefono, o persone comodamente sedute al tavolo di una bar o sui mezzi pubblici. Ovviamente gli argomenti sono tra più disparati – tuttavia, mi accorgo sovente che alcuni di essi sono più comuni di altri, o almeno, spesso sono le parole a ripetersi e a diventare comuni denominatori nelle varie conversazioni. Decido così di prenderne nota e questo è quello che è emerso dopo circa 2 mesi – Novembre e Dicembre 2016 – da “investigatrice privata di parole” nella Milano centro. Considerando una media di 2 ore al giorno (tra mattino e sera) per circa 5 giorni alla settimana e considerando che annotavo una manciata di parole in media ogni 10/15 minuti, emerge che ho raccolto e raggruppato circa 1000 parole nell’intero periodo. Di queste le più comuni, cioè ripetute più volte da diverse persone (al netto di intercalari, pronomi personali, parolacce e “piuttosto che”) sono state:
Le 10 parole più comuni dette a Milano (a novembre e dicembre 2016)
#10 FOTO Dà inizio alla classifica la parola foto. Spesso associata ad alcuni social network e utilizzata per raccontare pettegolezzi, fatti e situazioni più che di viaggi o di fotografia in sè, è stata pronunciata 16 volte.
#9 MANGIATO A Milano ci piace parlare di cibo. Sia per raccontare cosa ma anche dove si è mangiato. E non stupisce visto che a Milano ci sono approssimativamente 7000 esercizi tra ristoranti e attività con cucina (dati di Camera di Commercio – Feb.2015). Ascoltata 21 volte.
#8 CASA All’ottavo posto nella classifica la parola casa: sono stata a casa, sto tornando a casa, ho pulito casa, ho comprato casa, sto cercando casa ect… Questo termine è venuto fuori in 25 conversioni.
#7 WEEKEND Al settimo posto appare l’agognato weekend. Che sia per raccontare cosa è successo in quello appena passato o per organizzare il successivo, il weekend è uno dei termini più amati non solo dai milanesi, ma da tutto il mondo dato che, anche alcuni stranieri, sono stati inclusi nel mio conteggio che per questa parola, arriva a quota 27.
#6 NON HO PAROLE A Milano devono accadere fatti e situazioni che ci lasciano spesso senza parole. Anzi spessissimo visto che chi ha pronunciato queste 3 parole in serie sono stati 31 cittadini.
#5 IERI Ai milanesi, o meglio dire, alle milanesi piace raccontare di cosa è accaduto il giorno prima. Sì, perché questa parola l’ho ascoltata 39 volte, prevalentemente dal gentil sesso.
#4 UFFICIO Difficile in una città come Milano non pronunciare questo termine almeno una volta al giorno. Parlare di business o lamentarsi del proprio lavoro/capo/colleghi è un comune denominatore nelle telefonate, serate o pause caffè dei lavoratori milanesi. Pronunciata 51 volte.
#3 NATALE Non sorprende sul podio la parola Natale, considerando il periodo. Da sempre festa e ricorrenza tra le più amate (o odiate) del mondo. Che sia per le vacanze, per il ritrovo in famiglia, per le bische tra amici o lo stress da regali, è sicuramente spunto di conversazione. Ascoltata 67 volte.
Al secondo posto troviamo il nome Trump ripetuto 78 volte da persone di ogni età e genere. Il ché non stupisce dal momento che l’8 novembre Donald Trump è diventato il 45° Presidente degli Stati Uniti.
#1 REFERENDUM Il vincitore assoluto è la parola Referendum. Pronunciata ben 96 volte da ogni genere di persona, in ogni contesto e momento della giornata. Di certo la proposta di Riforma della Costituzione è stata sentita particolarmente dagli abitanti della città.
La classifica degli argomenti
Qualcuno potrebbe essere curioso sul resto delle 509 parole. Tante e diverse da non rientrare nella top 10, ma sufficienti da consentirmi un’analisi per un’altra classifica per tematica o leitmotiv di conversazione.
4.Dieta/cibo/salute/sport Al 4° posto il tema benessere e sport: dalla dieta dimagrante, purificante, detossinante, alcalina al veganesimo, vegetarianesimo, per continuare con esami e visite mediche fino a parlare di creme miracolose, pilates, yoga, idrobike….
3.Pettegolezzo Qui si apre un mondo perché i contenuti sono molteplici ma il comune denominatore è il pettegolezzo: si parla sempre di qualcuno che non è presente nella conversazione.
2.Lamento Ci si lamenta, ed anche tanto. Di cosa? Vi assicuro, di un po’ di tutto. Dal collega, al partner, all’amico/a, della pancia, della dieta, dei soldi, del futuro, del bambino, del lavoro e chi più ne ha più ne metta.
1.Lavoro Ebbene sì, nella maggior parte delle conversazioni origliate si parla di lavoro. Sia in tono polemico che strategico/organizzativo.
E’ chiaro che alcune parole sono state soggette alla stagionalità. Mi riservo, pertanto, di ripetere la stessa indagine in altri periodi dell’anno.
I Visionari, come tutti quelli che sono avanti, dicono che i cambiamenti sono necessari e noi non possiamo fare altro che approvare.
Ci hanno tenuto compagnia per buona parte dell’estate nel giardino della Triennale.
Ma ora che il letargo addormenta tutte le cose e la pigrizia si manifesta con maglioni troppo grandi che, vuoi per virtù vuoi per necessità, ci buttiamo addosso per uscire, i Visionari avevano proprio bisogno di farlo questo cambiamento.
Hanno infatti trovato una nuova casa, nel salotto dell’Apollo Club di via Borsi.
E ritornano, i Visionari, questo mercoledì con il loro aperitivo musicale.
Sarà una serata all’insegna di danze e dj set.
Si comincia con il dj set di Edoardo Sechi e Michele Nieddu (trip hop/chill out /house), alle 22:30 si continua con la musica dal vivo dei Blue Hawaii Experience. E, a seguire, il dj set di Etna e Restless.
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Era il vanto della città. Un’arena coperta, tra le più grandi del mondo, a pianta circolare e con profilo a doppia curvatura (a sella di cavallo). Sorgeva a fianco dello stadio, tra via Tesio e via Patroclo.
Inaugurato nel 1976, poteva accogliere fino a 18.000 spettatori per competizioni di atletica leggera, di ciclismo, per concerti o per le partite di basket dell’Olimpia. Era considerato un’avanguardia dell’architettura mondiale, tanto da essere copiato da altre strutture sportive nel mondo, tra cui il “Pengrowth Saddledome” di Calgary e il “Peace and Friendship Stadium” di Atene.
Il palasport ha ospitato anche gli unici due concerti tenuti dai Queen in Italia, il 14 e 15 settembre 1984. Il 17 gennaio 1985 a causa di una straordinaria nevicata una parte della copertura crollò sotto il peso della neve. Due settimane dopo il palasport sarebbe dovuto essere teatro del primo concerto degli U2 in Italia.
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Dinette apre gli eventi del 2017 con una serata speciale in cui gustare la cucina di ringhiera e il buon vino sulle note della musica dal vivo.
Il menù a base di tre ricette, ideate dallo chef Domenico Della Salandra e preparate dal sous chef Raffaele Russo, sarà accompagnato dai vini siciliani della cantina Planeta e dalla performance musicale di GL.EM Acustic Duo, noto per le esibizioni live coinvolgenti fatte dai classici della musica pop.
Il menù degustazione sarà così composto: polpette di lampuga in foglie di lime; pasta con le sarde, finocchietto, pane al cioccolato; falso magro di vitello, caciocavallo, pancetta, ristretto al vino bianco. Come dessert la cotogna caramellata.
Infine ogni piatto avrà il suo vino: Cerasuolo, Chardonnay e Sirah.
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Nel 1944 l’ereditiera Florence Foster Jenkins è tra le protagoniste dei salotti dell’alta società newyorchese.
Mecenate generosa, appassionata di musica classica, Florence, con l’aiuto del marito e manager, l’inglese St. Clair Bayfield, intrattiene l’élite cittadina con incredibili performance canore, di cui lei è ovviamente la star.
Quando canta, quella che sente nella sua testa come una voce meravigliosa, è per chiunque l’ascolti orribilmente ridicola.
Protetta dal marito, Florence non saprà mai questa verità.
Solo quando Florence deciderà di esibirsi in pubblico in un concerto alla Carnegie Hall, senza invitati controllati, St. Clair capirà di trovarsi di fronte alla più grande sfida della sua vita.
Ricalcando un po’ la favola de “I vestiti dell’imperatore”, declinata qui in chiave femminile, ci troviamo di fronte ad una storia che amaramente e con la dose di ironia caldamente consigliata che tutti dovremmo assumere giornalmente, ci da qualche lezione di vita.
Perfetto per cominciare la settimana senza prendersi troppo sul serio.
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Alzi la mano chi si ricorda il LED, il festival delle Luci che ha illuminato le giornate natalizie di Milano del 2009 e del 2010. Era un evento unico che dava a Milano un’atmosfera straordinaria e soprattutto la portava a livello delle città più innovative nel design luminoso.
A partire dal 2011 il LED è stato soppresso, proprio nel momento in cui le altre città d’Europa si accendevano. Signal a Praga, Glow a Eindhoven, Fête des Lumières a Lione e Light Festival ad Amsterdam fanno parte della rete dei festival delle luci europei, l’International Light Festival Organisation (ILO). Dopo le esperienze di Milano e di Torino, l’Italia si riaccende su iniziativa di Brescia che si è candidata a inserirsi nel circuito con il Festival Internazionale delle Luci di Brescia. Come anticipato da Art Tribune, dall’11 al 15 febbraio 15 artisti internazionali su un percorso di 1,5 km piazzeranno le loro installazioni luminose, trasformando gli ambienti del Castello in un tour animato dentro la storia della città, con videoproiezioni e performance live.
Ha convertito l’attività di famiglia, l’hotel Admiral in zona Fiera, nella sua grande passione: lui è infatti Edward Coffrini Dell’Orto ed è considerato il massimo esperto italiano di James Bond, a cui ha dedicato 7 libri.
Le 20 stanze dell’albergo sono ispirate all’agente 007: suddivise in due categorie, le «golden» (tutte d’oro) e le «diamonds» (con cascate di cristalli come fossero diamanti). E ci sono oggetti da museo di 007 disseminati per tutto l’albergo.
Come se la programmazione non bastasse, a mare culturale urbano c’è una mostra-reportage che ti aspetta.
E non è nulla di astratto, alternativo e incomprensibile.
È una mostra che si inserisce perfettamente nel programma e nella filosofia di mare culturale urbano che cerca di riportare in auge un discorso sulla territorialità che superi il tempo di un festival o di una visita di qualsivoglia personalità politica di turno.
Un recupero dello spazio, una consapevolezza dei luoghi e dei tesori che contengono e che rappresentano per chiunque.
Passanti distratti e non.
Quello che Giuseppe Corbetta porta negli spazi di mare, è un lavoro di indagine condotto da uno dei maggiori fotografi italiani, Gabriele Basilico sugli edifici ex-industriali delle periferie milanesi e li accosta ad altrettanti scatti realizzati oggi, negli stessi luoghi.
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Avevano fatto notizia gli oggetti più strani e disparati ritrovati in Expo o le storie di chi sui taxi di New York è riuscito a lasciare il proprio cane o l’urna contenente le ceneri del caro estinto. Per sapere cosa invece dimenticano più frequentemente i milanesi, abbiamo chiesto ad alcuni tassisti che cosa ritrovino più spesso a bordo dei propri veicoli tra una corsa e l’altra o a fine turno.
Forse non sarà una sorpresa sapere che telefoni e borselli restano tra le cose che più spesso ci si dimentica, a dispetto del loro carattere personale (benché tutto sommato siano state ritrovate anche delle dentiere). E se la prassi comune del buon conducente è quella di provare a restituire subito tutti questi piccoli ritrovamenti al legittimo proprietario, sul tema valigie si gioca d’anticipo ed è prassi comune per il tassista consegnarle personalmente al cliente a fine corsa.
Ma ovviamente il primo posto sul podio degli oggetti più dimenticati resta degli ombrelli: sono sempre loro, che di personale hanno evidentemente meno, i gadget di più effimera proprietà.
Decisamente più peculiare è invece quando a bordo del proprio mezzo il guidatore ritrova una confezione da sei uova e un cappello alla David Crockett, un accostamento talmente sorprendente e di cui, nonostante tutti gli sforzi possibili e immaginabili, difficilmente si riesce a trovare il nesso. Una cosa però è certa: il passeggero che ha smarrito questi oggetti avrebbe una sua storia da raccontare, che sarebbe senz’altro ben diversa da quella di chi, forse assorto nel pensiero di una prossima proposta di matrimonio, ha posato tra i sedili dell’auto l’anello di Bulgari che portava con sé. Un dono con ogni probabilità che avrebbe reso felice qualcuno di speciale, se solo non fosse accaduto che tra il pagamento della corsa e il glorioso momento della consegna, il passeggero non si fosse scordato di controllare di avere ancora addosso con sé il regalo. E per un oggetto che poteva essere gradito ce ne n’è uno che avrebbe potuto avere l’effetto opposto, come gli slip da donna ritrovati per caso da un tassista al termine del proprio turno, appena prima di rincasare. Certamente una circostanza difficile da giustificare agli occhi della moglie.
Sono state ritrovate buste del supermercato che hanno costretto qualcuno a fare per un giorno doppia spesa o fotocamere professionali contenenti tutte le foto di qualche turista straniero, che approfittando delle sue vacanze o del viaggio di nozze ha deciso di farsi un giro per il Belpaese.
Uno dei ricordi tuttavia più indelebili tra i tassisti intervistati riguarda, come spesso accade, quando si è posti di fronte a un miracolo in un giorno qualsiasi dell’anno. Anche su un taxi di Milano è stata infatti abbandonata una sedia a rotelle, rimasta poi mesi in un deposito nei pressi di piazzale Loreto senza che nessuno la venisse mai a reclamare. Il proprietario evidentemente, dopo una delle corse più soddisfacenti della sua vita, sarà stato molto lieto di scoprire di non averne davvero più bisogno.
E se tra telefoni, ombrelli, cappelli alla David Crockett e carrozzine ci sarà anche chi su un taxi in giro per Milano può aver creduto di perdere tempo oppure tutta la sua pazienza, l’augurio è che possa infine concludere che la città gli ha offerto comunque l’occasione di trovare molto di più di ciò che ha perso.