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Nostalgia di Tripoli al mercato del pesce

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Tripoli, Libya - Tourist Takes Picture in Fish Market, Rashid Street

Sono al banco del pesce dell’Esselunga e una spigola dall’occhio spento mi sta guardando. Più che di essere comprata, sembra mi stia chiedendo di essere capita. E’ sola soletta, infilata fra un pezzo di compensato e uno di pellicola domopack e sembra aver perso tutta la lucida baldanza che hanno i pesci quando sono appena pescati.
E’ un attimo e non sono più nell’Esselunga di Piazza del Rosario.

Sono a Tripoli, in Libia, dove ho vissuto dal 2008 al Marzo 2011, giusto in tempo per vedere la caduta di un regime durato più di quarant’anni, quello di Muammar Gheddafi.
E’ il 2010, il cielo è azzurro come non mai, il sole mi scalda le braccia, ho le narici piene di aria fresca e frizzante. Sono al mercato del pesce voluto dal leader libico dopo la chiusura del mercato abusivo di Busetta, lungo la spiaggia a Nord della città. Qui è pieno di anziani pescatori e di lavoranti africani, per lo più immigrati clandestini in attesa di un passaggio verso la fortezza Europa. Questo è un posto, penso, dove il regime di Gheddafi sembra aver dato il meglio di sè.

gheddafi2La struttura è nuova e luminosa. I banchi sono di marmo bianco, i pavimenti hanno speciali scanalature per lo scolo delle acque. L’igiene e la pulizia sono degne della Svezia più che di un paese del Nord Africa, almeno secondo l’immaginario collettivo. Sui banchi c’è ogni ben di Dio che il mare sappia dare. Montagne di pesce azzurro, di orate e spigole, di pesce spada, calamari, seppie, polpi, cernie, scorfani, triglie e via così.
In questo mercato, così bello e nuovo si respira quasi aria di libertà. Ma la verità è un’altra e l’inganno è nell’apparenza. Se c’è una cosa che ho imparato nella Libia di Gheddafi è stato proprio a non fidarmi mai della prima impressione. Dietro ogni sorriso c’era una tragedia. Dietro a ogni facciata, una prigione. Dietro a ogni famiglia, una storia complicata.

Se c’è una cosa che ho imparato nella Libia di Gheddafi è stato proprio a non fidarmi mai della prima impressione

Così, andando al mercato del pesce di Tripoli, scoprivo insieme alla bellezza dei frutti del Mediterraneo, la pancia di un popolo che non credeva più nelle facciate di marmo bianco e che, sotto sotto, covava pensieri di vendetta, rivolta e libertà. Al mercato del pesce di Tripoli, parlavo con i vecchi pescatori, con loro, oltre a scegliere il miglior pesce che abbia mai mangiato in vita mia, imparavo tante cose, per esempio, che il nome di Gheddafi era meglio non pronunciarlo mai, che il vicino di casa poteva essere una spia del regime, che i tempi per una svolta si stavano facendo maturi.

gheddafi1Ma nella bella giornata del 2010 ciò che vedo sono i pesci ammonticchiati l’uno sull’altro. Sprizzano freschezza, la polpa è turgida, la pelle è lucida, l’occhio vispo e trasparente, il profumo fresco e invitante.Non so da dove cominciare e così, mi faccio consigliare da un pescatore dal volto gentile e dalla barba bianca. Come tutti gli anziani di Tripoli parla italiano e mi racconta di come sia riuscito a mandare i figli all’università in Europa.
Mentre conversiamo, sento una voce “signora, signora, alùra, la prende o no sta spigola che se nò la compro mi!”.
Mi risveglio… il sole, il mare, l’aria frizzante e la luce di Tripoli sono svaniti.
Mi guardo intorno e sono al banco del pesce dell’Esselunga …
“Si, si, scusi, tanto credo che oggi mi accontenterò di un brodino!”.
Così lascio al signore la spigola dagli occhi spenti. Mentre mi allontano ho nostalgia della Tripoli che ho lasciato quando nel 2011 la primavera araba ha cercato di cambiare il mondo, ma non il mercato del pesce che, mi dicono vecchi amici dalla quarta sponda, è ancora lì, a raccontare la bellezza del Mediterraneo.

Scrisse e amò a MILANO

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Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal nasce a Grenoble il 23 gennaio 1783. Arriva per la prima volta a Milano nel 1800 durante l’occupazione napoleonica e si ferma per due anni arruolandosi militare e perdendo la testa per Angela Pietragrua, da lui definita «sublime sibilla, terribile nella sua bellezza folgorante e soprannaturale».

In seguito viaggiò e visse in molti luoghi ma amò definirsi milanese, come decise di incidere sulla sua tomba quando morì a Parigi il 23 marzo 1842: «Arrigo Beyle / Milanese / Scrisse / Amò /».

Cabeki e Fabrizio Testa live al Gattò

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Un altro lunedì. Un’altra mattina in cui la sveglia suona e ti riporta di colpo a quella routine che vorresti dimenticare. Un’altra settimana che oltre a profilarsi lunga ormai puoi solo prendere di petto. Impegni inclusi.

Quelle lancette che non si muovono mai, quell’ultima ora lavorativa che sembra durare un’infinità e così via fino al venerdì successivo, in un eterno ritorno di eguali consuetudini e normale amministrazione.

Sembra quasi necessario allora creare dei diversivi, trovare delle vie di fuga, degli escamotage e dei cotillon da concedersi a fine giornata.

Esiste un posto ad esempio che proprio di lunedì, quando tutti sono silenti e ancora in botta, ti propone un concerto live ad orario aperitivo, all’ora giusta, nel posto giusto.

Quel posto non è solo nella tua testa, esiste davvero.

E si chiama Gattò – come il favoloso tortino salato di tradizione partenopea. Questo lunedì, ospite della rassegna curata da Sangue Disken, Cabeki, musicista che si muove fra strumenti convenzionali e non, in una sequenza di ambientazioni sonore dal Mississippi al Marocco, dal kraut al blues, dalla musica da camera all’elettronica minimale.

Insieme a lui, Fabrizio Testa, con i suoi live strumentali, esplosioni tranquille di sperimentazione elettroacustica, tra chitarre preparate e quant’altro.

Atmosfere invitanti, luci soffuse, aperitivo anti-freddo per portarsi avanti anche col menu natalizio.

Come sempre il Gattò ti propone il suo consueto antidoto al lunedì, perché si sa, le buone abitudini vanno sempre coltivate.

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East Market Christmas Edition

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Il primo, l’apripista a tutti i market che sono nati successivamente, il favoloso East Market si prepara al Natale con un’edizione speciale prevista questa domenica: l’East Market Christmas Edition.

Il Natale, checchè se ne dica, è forse la festività più amata che ci sia e a poco vale osteggiarla, perché tutti si lasciano prendere dall’euforia dei regali da scartare, delle decorazioni da comprare e dei dolci da preparare.

E perché la festa sia come sempre degna di nota, l’edizione dell’East Market di questa domenica sarà tutta incentrata sui decori e le chicche per renderlo ancora più unico, questo Natale ormai alle porte.

Tra una selezione di abiti, vinili, street food che risolve anche l’annoso dilemma domenicale del “che cosa mangiamo”, la domenica avrà un altro sapore.

Inoltre continua il progetto EAST MARKET dedicato al mondo della street art.

5 artisti potranno dar scrivere, disegnare, tratteggiare, colorare e dar sfogo alla loro vena creativa su uno dei muri della fabbrica.

Sempre più Tacheles questo East Market, sempre più vivo.

Gli artisti si esibiranno a mano libera con diverse tecniche, usando pennarelli, acrilici e vernici, dando libero sfogo a diversi stili e idee.

Dalle ore 10 alle ore 21.

Ciao Natale, ciao regali, ciao vin brûlé.

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MASH 2016 – Sonic Impact a Milano

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A leggere i comunicati stampa dei festival si perde sempre un po’ la testa, oltre al controllo. Non si capiscono mai le dichiarazioni d’intenti, né il progetto. Tutto è quasi sempre fumoso e oscuro e sembra escludere.

Ma per MASH – Sonic Impact il discorso è decisamente diverso.

MASH nasce come festival di sonorità altre. Muove da alcuni interrogativi ancora poco esplorati, che riguardano la “musica del mondo” (world music), convenzione che che sembra dominare il mercato discografico da tempo immemore: è un modo di osservare che pone già una distanza, perché il punto di osservazione è quello occidentale che rivolge uno sguardo alle culture extraoccidentali.

Attualmente, però, forti anche della rivoluzione e della fruizione dei suoni su scala globale, non siamo estranei al contatto con i suoni di situazioni di conflitto.

Ma siamo abastanza consapevoli? O non è che una moda passeggera come tutto l’hype che ruota intorno agli esotismi vari?

È con questo spirito che nasce MASH e ritorna anche quest’anno, a ricordarci come la fruizione passa per l’assenza di confini, per una comunione di sentire che non sempre è automatica.

E che grazie ad una line up di tutto rispetto, portano a Milano dal 1 al 4 dicembre. Sarà proprio un bel weekend.

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Nei pressi della Montagnetta

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Per raggiungere il ristorante stellato più alto d’Europa si deve prendere l’ascensore vetrato della WJC Tower al Portello, poco distante dalla Montagnetta.

Stile minimal, cucina dello chef Fabrizio Ferrari, vista da brividi.

Annalisa Parisi Trio al Crank

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Se ieri non c’eri alla serata Tennessee Master Night del Crank, male male. Puoi però recuperare questa sera con il consueto concerto live del fine settimana, che riscalda l’animo a suon di musica di qualità e il corpo con gustosi drink e piatti stagionali.

Il Crank Organic Bikery è infatti il rifugio ideale per chiunque cerchi un giusto mix per una serata degna di nota.

Salotto con mattoncini e dettagli lignei che lo rendono caldissimo e accogliente in qualsiasi stagione, il locale nasce dalla passione di vecchia data del proprietario per i velocipedi vintage che, unita a quella per i liquori e le basi alcoliche di un certo livello, lo rendono un posto speciale.

Al Crank si respira sempre un’aria di festa tra amici. È un locale rilassante per gente che cerca proposte innovative per il palato, una carta di drink di prima scelta e un po’ di musica live.

E questo venerdì troverai tutti questi ingredienti ad aspettarti al Crank, dove si esibirà l’Annalisa Parisi Trio, una formazione guidata da una voce femminile, suadente e dolcissima, che questa sera propone al pubblico un viaggio nel Great American Songbook con Niccolò Cattaneo all’organo hammond e Vittorio Sibaldi alla batteria. Mai venerdì sarà più dolce.

Prenotandoti con Spotlime, per te uno shot in omaggio su un cocktail del valore di 5 euro. L’ingresso al locale è a discrezione dell’organizzazione.

 

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7 idee per 7 scali

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In questo momento sono gli ex scali ferroviari la nuova frontiera dell’immaginazione più ardita. Ecco le nostre proposte più estreme.

7 idee per 7 scali

#1 Scalo Farini

Dovrebbe diventare il Parco Centrale di Milano, più bello del Central Park di New York. Lago e arena costruita scavata nella terra che se viene una piena fa da vasca di laminazione.

#2 Scalo Porta Genova

Allaghiamo tutto creando una nuova lago Darsena. Istituiamo i Canottieri di Porta Genova e organizziamo il derby con quelli dell’Olona che diventerà un classico tipo Oxford-Cambridge. Si inaugurerebbe l’innovativo servizio di boat sharing e si procederebbe alla ripopolazione di fauna e flora con creazione di oasi naturali.

#3 Scalo Porta Romana

Qui realizziamo il colle più alto di Milano, da fare invidia al Palatino. Dentro deve essere cavo, così da ospitare varie attività indoor, palestre, uffici, abitazioni. In cima ci sarà la torre più bassa ma più alta di Milano, che diventerà il nuovo simbolo della città.

#4 Scalo Lambrate

Sarà la più grande galleria urbana d’arte a cielo aperto, i binari ospiteranno mostre itineranti che arriveranno via treno. Le più belle mostre delle altre città le si metterà su un treno che quando arriverà a Lambrate consentirà la visita a tutti i milanesi.

#5 Scala Rogoredo

Qui costruiamo il nuovo porto di Milano, con canale collegato con Porta Genova. Il porto sarà collegato con l’Adda. Le caratteristiche del porto di Milano sarà di avere taverne piene di pirati informatici.

#6 Scalo Greco-Breda

Realizziamo qui lo spazio di land art più grande in una città al mondo. Ospiterà opere temporanee tipo quelle di Christo.

#7 Scalo San Cristoforo

Coltivazione di tutti i tipi di riso del mondo. Sarà la più grande risaia in città con riso soffiato gratuito tutto l‘anno per i milanesi. Si crea una biosfera con tutela della zanzara autoctona, al posto di quella tigre.

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C’è anche un’antica sedia elettrica

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Un tempo la Pusterla era l’ingresso della città. Ora ospita il museo della criminologia e delle armi antiche. Nella prima parte è rappresentata l’evoluzione nella storia delle armi, nella seconda ci sono gli strumenti di tortura, risalenti al medio evo.

Nel museo oltre alla ghigliottina si trovano anche un’antica sedia elettrica, il letto di allungamento e lo schiacciatesta, tipico strumento di tortura dei dogi veneziani.

Un anno di verso libri, la nostra libreria di fiducia

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Se sapessero che mi celo io dietro lo schermo, i ragazzi di verso libri, che sono io quella che piomba all’improvviso chiedendo titoli introvabili, che una volta a settimana vado lì per un aperitivo o per comprare un paio di libri e continuare così a coltivare la mia pratica preferita – lo tsundoku – chissà se mi maledirebbero o meno.

Verso libri è uno di quei posti che considero “del cuore”.

Do appuntamento a tutti da verso, amici che non vedo da un po’, amiche che devono aggiornami con i loro ultimi racconti sentimentali, ma ci vado anche da sola da verso.

È il mio dopolavoro, la mia comfort zone.

Le scelte narrative dei fondatori sono di gran gusto e la inseriscono a pieno titolo nella rosa delle librerie indipendenti di Milano.

Le proposte sono del tutto estranee ai circuiti canonici e mainstream.

Qui trovi solo il meglio in fatto di editoria indipendente e non.

E i proprietari hanno sempre un commento sulla prosa o sul libro che hai in mano.

E oggi verso compie un anno. Impossibile non passare per festeggiare con un pezzettino di focaccia.

Puoi anche portarti avanti con i regali di Natale, qui non hai che l’imbarazzo della scelta.

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L’hotel di 3 stanze di Corso Como 10 (FOTO)

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E’ un hotel formato da 3 sole camere che fa parte della struttura di Corso Como 10. Lo stile di ognuna delle tre suite è ispirato ai grandi architetti e designer del XX secolo. Tutto è in vendita.

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Fausto Melotti. Trappolando | Montrasio Arte

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Gli elementi ci sono tutti per fare di questa mostra, che inaugura oggi alla Galleria Montrasio, un evento unico e imperdibile.

Cominciamo col dire che il percorso espositivo include due nuclei di fotografie inedite realizzate da Vittorio Pigazzini e da Toni Thorimbert, oltre ad alcuni libri di Fausto Melotti quali “Il triste Minotauro” (Vanni Scheiwiller, 1973) e “Linee” (Adelphi, 1975), nei quali le poesie, gli aforismi e le acqueforti si succedono con la medesima fantasia poetica e la medesima bilanciata armonia che appartengono alle sculture e ai dipinti.

Alcune delle circa trenta opere selezionate fra sculture, ceramiche e bassorilievi, non sono mai state esposte prima e sono tutte in diverso modo esemplari dei passaggi cruciali del lungo percorso artistico di Melotti.

Il titolo “Trappolare” invece, prende piede da una frase pronunciata da Melotti all’indomani del precipitare degli eventi bellici e della distruzione del suo studio di Milano: “Mi sono messo, se non proprio a lavorare, a trappolare. Ho un po’ di creta e faccio delle testine grosse come un pugno. Ma mi organizzerò meglio”.

L’eterno ritorno della memoria di un artista che ha lasciato un segno profondo nell’animo di quanti, curiosi e non, sono soliti nutrirsi di arte.

E non si stancano mai di scoprire e contemplare le testimonianze dei grandi artisti del nostro tempo.

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Come è cambiata la vita in azienda a Milano. Il racconto di un CEO

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A cena c’era anche lui, il CEO di una importante azienda italiana nel settore dell’informatica con sede a Milano. Gli abbiamo chiesto cosa sia cambiato nel lavoro in azienda rispetto a venti anni fa. Ecco cosa ci ha risposto.

Come è cambiata la vita in azienda a Milano. Il racconto di un CEO

Il rapporto tra clienti e fornitori

“Oggi c’è molta più competitività, sia internamente che esternamente. C’è meno rispetto per la persona. I valori sono molto demistificati, così come il rispetto reciproco. Un esempio? Ci sono clienti che si permettono il 10 di agosto di mandarti una gara la cui risposta è prevista per il 25 agosto e poi vanno in ferie. Io gli ho detto: io il 10 vado in ferie. Ma l’ho potuto fare solo perchè me lo potevo permettere”.

I giovani

“Le nuove generazioni sono di due tipi. Il primo sono gli startupper a prescindere: uno che ha zero idee ma vuole farsi la sua start up. Vuole essere un imprenditore ma in realtà non sa fare niente. Lo vuole fare perché è di moda.
Gli altri sono nella corrente, una corrente che tira a campare.
I giovani con la fiammella sono pochissimi. In questo ambiente chi ha la fiammella emerge: si tratta di una tensione che ti porta a fare delle cose perché ti piace.
Mentre nella mia generazione la fiammella era più diffusa, perché avevi in mente un progetto anche se lo facevi da dipendente, adesso quella fiammella la vedo di rado, forse perché sono più distratti dal social: le comunicazioni sociali per i giovani rischiano di essere il tutto. Lavorare serve per prendersi l’iphone. Prima si sognava la casa o almeno la macchina. Ma ora la prendi in sharing.
E una volta eri tu a tirare fuori l’identità, adesso ti basi sul like, sull’approvazione degli altri. Col risultato che si assiste a un appiattimento generale della personalità”.

L’abbassamento delle tariffe

“Le tariffe che il mercato riconosce sono sempre più in diminuzione. Perché? Le grandi aziende fanno cartelli e stipulano accordi che sono sempre al ribasso. Il mercato riesce a governare meglio i fornitori, li mette in concorrenza in modo spietato. Un esempio è la gara on line. Tu, aspirante cliente, prima mi spedisci cosa vuoi fare, il prezzo viene stabilito dall’asta online. Così si scatena la bagarre a offrirsi di fare la stessa cosa a un prezzo sempre più basso. Io a queste gare non partecipo”.

Le modalità di comunicazione

Le modalità di comunicazione hanno rivoluzionato il lavoro. I mezzi di comunicazione attuali ti consentono un’efficienza e un’efficacia che 20 anni fa non c’erano. Quindi sei più efficiente e più efficace. La conseguenza è che lavori molto di più. Esempio: quando ho iniziato a lavorare, sono partito per le vacanze e, per un ordine che aspettavo, ogni due giorni mi fermavo alla cabina per sapere se avevo vinto. Finalmente mi dissero: ha vinto lei. Così chiamai l’ufficio e dissi: ho vinto, ci vediamo tra due settimane! Allora lavoravo solo nel momento in cui mi fermavo a telefonare. Oggi lavori sempre, perché sei sempre collegato: quest’estate mi è capitato di rispondere a dei clienti mentre ero sulla sdraio in spiaggia”.

Era anche punto di ritrovo per parlare di politica

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Inaugurata nel 1928, la fontana nei pressi dell’Arena aveva la fama di “toccasana per la salute”, grazie alle acque solforose che, nonostante il cattivo odore, sembravano avere effetti benefici sulla salute, in particolare per le vie urinarie, per la digestione, la respirazione e la circolazione.

Per questo era usanza dei milanesi recarsi alla fontana per riempire bottiglie e fischi di vino. Anche se ricca di minerali dal 2000, con l’entrata in vigore di nuovi standard sanitari, l’acqua è stata dichiarata “non potabile”.

Una curiosità: oltre per le sue acque la fontana costituiva un altro elemento d’attrazione per i milanesi. Era usanza usarla come punto di ritrovo per chi desiderava parlare di politica o improvvisare dei comizi. Per questo era anche soprannominata: Montecitorio.

Fonte: Turismo Milano

Martedì è un concerto jazz a mare culturale urbano

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mare culturale urbano, l’hub creativo che ha conquistato tutta Milano con le sue rassegne e i suoi appuntamenti imperdibili, ritorna con una veste autunnale.

Il focus della nuova stagione, freddolosa e che ama l’indoor è sulla musica e i concerti dal vivo.

In collaborazione con Novara Jazz, prende infatti il via una rassegna di concerti jazz, dedicati a tutti gli appassionati e a quei neofiti che nelle atmosfere jazz trovano il tepore tanto agognato in questi giorni d’autunno inoltrato.

L’iniziativa che si muove sull’asse Lombardia-Piemonte vede protagonista questa sera il Roberta Brighi Sextet, i cui componenti sono: Giorgia Sallustio (voce), Gianluca Zanello (sax alto), Natan Sinigaglia (sax tenore), Lorenzo Blardone (pianoforte), Roberta Brighi (basso) e Andrea Bruzzone (batteria).

I gruppi, selezionati dai direttori artistici dell’associazione culturale Rest-Art, daranno vita ad un martedì musicale in cui l’imperativo sarà la buona musica dal vivo e quella voglia che non ci abbandona nemmeno con la fine di novembre, di assaporare suggestioni nuove, in quel locus amœnus che è mare culturale urbano.

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Artigiano in Fiera, il cuore delle feste di Milano: quando, dove e perché andare oppure no

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L’Artigiano in Fiera è uno di quegli appuntamenti che, come tutti i classiconi, o li ami o li odi. E ci sono tante buone ragioni per fare l’una o l’altra cosa.

Un tempo era il mercatino degli Oh Bej Oh Bej a segnare l’arrivo del tempo delle compere di Natale, a Milano. Da un po’ di tempo in qua, questo simbolo delle festività è stato sostituito dal’Artigiano in Fiera.

Sarà che gli Oh Bej non sono più in piazza Sant’Ambrogio e hanno perso le sue bancarelle di vero artigianato del legno. Sarà che in centro di mercatini ce ne sono sempre di più. Sarà quel che sarà, ma L’Artigiano in Fiera è diventato ‘L’evento’ con la elle maiuscola, di Milano capace di smuovere folle degne di Expo. Ed il belle è che c’è gente di tutti i tipi.

Ci sono le famiglie con bambini (poverini).

Ci sono single a caccia del primo appuntamento (come farsi scaricare subito).

Ci sono compagnie di amici (molti universitari e fuori sede), di ogni età, in cerca di un tocco di esotico, un’idea regalo alternativa, la voglia di far qualcosa di diverso per una sera o in un giorno festivo.

Con il plus di stuzzicare tra sapori di altri mondi e immaginare di concedersi un viaggio lontano, pur rimanendo a Milano.

Insomma, anche L’Artigiano in Fiera ha il suo potere aspirazionale. Ma non è che l’inizio del perché andarci oppure no.

l-artigiano-in-fieraVogliamo parlare delle interminabili code per arrivare, parcheggiare, ripartire? Degli spintoni nei momenti di folla. La calca e non sempre il giusto rapporto qualità prezzo potrebbero demotivare.

Ma, e qui c’è un grosso ma, non andare all’Artigiano in Fiera significa perdersi un po’ il sapore del Natale meneghino.

Quindi, avanti con gomitate e qualche coda. Il rischio è di perdersi quella super occasione di vero o presunto artigianato di quel determinato Paese del mondo (fosse un buttero del grossetano o un malgascio è la stessa cosa). E magari non è nemmeno un’occasione perché la trovi pure dal cinese sotto casa (il rischio c’è), ma… L’Artigiano è L’Artigiano e gli si concede anche la fuffa.

Non andare all’Artigiano in Fiera vuol dire non tornare con i cannoli siciliani e il pesto al pistacchio che, come torrone e panettone, sono diventati i dolci tipici delle Feste, in particolar modo nel ponte di Sant’Ambrogio.

cannoli-siciliani-artigiano-in-fieraE poco importa che non si compri niente o che in quel ristorante tipico dalle Regioni d’Italia o del mondo (ce ne sono 40 tra cui scegliere, quest’anno) tu abbia fatto ore di coda per mangiare poco e spendere tanto.

Passare due orette (di più, si è prossimi alla santificazione) all’Artigiano in Fiera è essere un vero milanese.

Così milanese che anche il nome, ‘Artigiano in Fiera’, con il tempo, ha assimilato l’articolo determinato ‘L” che erroneamente ogni milanese associa ad ogni nome proprio di persona cara (la Paola, l’Andrea, la Raffa…).

Un milanese forse un po’ imbruttito. Forse che parla calabro-spagnolo-americano visto il mix culturale.

Ma sopravvivere all’Artigiano fa sentire tutti un po’ cosmopoliti e aperti al nuovo.

Con buona pace di Sant’Ambroeus e dell’ormai un po’ sfiorito mercatino degli Oh Bej Oh Bej, che, con il suo bric à brac di stranezze e ninnoli, dei fasti di un tempo ha mantenuto solo il nome. Perché anche la cornice, il Castello Sforzesco, non è che una new entry dei tempi moderni.

L’Artigiano in Fiera: qualche info per chi andrà

E’ la ventunesima edizione.
E’ la più grande manifestazione internazionale dell’artigianato.
Si tiene dal 3 all’11 dicembre 2016.
Offre una rappresentazione completa dell’artigianato mondiale.
Padiglioni Italia: pad.1-3, 2-4 e 6
Padiglione Europa: pad. 5-7
Padiglione Africa al Medio Oriente: pad. 5
Padiglione Asia: pad. 10-14
Padiglione Americhe: pad. 14
Orari: dalle 10 alle 22.30.
Nel polo fieristico di Rho-Fiera.
www.artigianoinfiera.it

foto cover: pagina Facebook Artigiano in Fiera

A Milano si chiamano vedovelle

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La tipica fontanella pubblica milanese di colore scuro si chiama vedovella. E’ fatta in ghisa, tranne la più antica di tutte, quella in piazza della Scala, che è in bronzo.

 

Si dice che il nome le fu dato per lo scrosciare di acqua, considerato simile a un pianto di una vedova inconsolabile.

 

Ryley Walker alla Santeria Social Club

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Siamo in macchina. Nessuno dei due parla. Fuori i campi corrono via veloci e il marrone dei campi addormentati è intervallato dal grigio dei guardrail.

È la prima volta che io e mio padre facciamo un viaggio in macchina da soli, verso una meta lontana, lontana dalla mia famiglia e da tutte quelle consuetudini che fanno di un posto la propria casa.

Allo stereo risuona la voce profonda di Ryley Walker, quella voce rotta solo dalle schitarrate che spezzano una malinconia alla Nick Drake.

Ryley Walker, con le sue ballate e con le sue “lamentationes” contemporanee, è un cantautore che va dritto al sodo.

E lo fa scegliendo proprio il vigore nei suoi live, quel vigore memore di un passato noise, che come nelle migliori educazioni severe e rigorose – quelle che ti insegnano a rifare il letto ogni mattina, per intenderci – non si dimentica mai.

Te la porti sempre dietro quell’educazione che ti hanno impartito i tuoi miti e i tuoi genitori. La trascini dietro come fosse una valigia pesante.

Puoi scegliere però come veicolarla.

Ryley Walker l’ha trasformata in folk-jazz, io nella caparbietà che metto tutti i giorni nel seguire una traccia. Intanto il cd è finito e noi superiamo l’ennesimo svincolo di una città sempre più lontana.

Ad un tratto ci guardiamo, io e mio padre, entrambi con gli occhi lucidi.

Ecco, in quel momento di totale complicità, l’unica colonna sonora che mi viene in mente è la musica di Ryley Walker. Faccio ripartire il cd e continuo a vivere qualcosa di molto simile a quello che vivrai tu stasera, andando a sentirlo live alla Santeria Social Club.

Un abbandono totale e disinteressato alla malinconia, che pulisce le cose, che lava via ogni rancore e che, sfiancato e rinnovato, ti riporta alla vita.

Ingresso: 13 euro più diritti di prevendita.

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Filmmaker 2016, il cinema emergente a Milano

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Festival in crescita perpetua, pervicace e visionario, Filmmaker che ritorna con una nuova edizione dal 25 novembre al 4 dicembre.

Festival che combatte, che sogna, ma soprattutto che propone Filmmaker, e lo fa con una programmazione in dialogo perpetuo con le altri performative, che guarda alla realtà globale e poi ritorna a rivolgere lo sguardo alla città.

Ad aprirlo Nocturama, un film che incarna – secondo le parole di Luca Mosso, “il violento spaesamento contemporaneo“. Mentre a chiuderlo ci pensa una pellicola su un architetto del periodo fascista, Piero Portaluppi.

Ma oltre ai film in sala, ad alternarsi per tutta la durata di Filmmaker ci saranno talk, dibattiti ed anti-dive, una su tutte Valeria Bruni-Tedeschi.

Insomma, il festival perfetto nella stagione perfetta.

Quella in cui ci viene quasi spontaneo cercare riparo nelle poltrone scalcagnate e di velluto rosso, nascondendoci dietro tendoni antichi e pesanti, con quell’odore di mais scoppiettante che ci segue fin dentro alla sala.

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SPRINT – Independent Publishers a Isola

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Affascinante, a volte, è perdersi a sfogliare le idee messe su carta, le tracce stampate in formato A4, soprattutto se venute fuori da un circuito indipendente, come succede a SPRINT.

Familiare è quando questo perdersi ritorna, in un weekend uggioso di Novembre.

Proprio come questo.

Giunto ormai alla quarta edizione, SPRINT ritorna a colorare questa fine di Novembre, popolando gli spazi di O’, hub creativo in zona Isola.

Tra talk, presentazioni e momenti danzerecci e perfino tatuaggi (a cura di Camilla Candida di SHAME, prezioso vintage shop di via Porro Lambertenghi) questo weekend a cura di Dafne Boggeri si preannuncia degno delle aspettative.

Si parlerà di GRRRLS, QUEERS & ZINES con Giulia Vallicelli, che ci darà un’idea della scena punk diy italiana.

Si parlerà anche di ECOCORE con Alessandro Bava: ECOCORE fa luce sull’identità dell’ecologia, repressa o relegata in un’area ben definita e circoscritta, in cui non dovrebbe essere confinata.

Si parlerà, anzi si vedrà, una videoinstallazione che indaga il concetto di “perdita di tempo“, basato sul volume Nothing to Lose, a cui anche Camilla Pin Montagnana di mare culturale urbano ha contribuito.

E ci sarà anche un party di fundraising al KO Club a chiudere in bellezza un sabato degno delle migliori favole, che dovrebbero rivivere più spesso in giro per la città.

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