You Are Leo è un’esperienza in Virtual Reality che ti manderà fuori di testa!
Hai mai immaginato di vivere ai tempi di Leonardo da Vinci? Come era Milano a quel tempo? Come si vestivano le persone?
Beh, ora con You Are Leo è tutto possibile!
Quando indosserete il visore VR a Piazza Duomo, vedrete che la piazza si restringerà, persone ricoperte di mantelli saranno immerse nelle attività più varie, e la voce di Leonardo vi guiderà per la città, mentre parla delle sue invenzioni, lavori e del procedere dell’Ultima Cena.
Tutta questa passeggiata eccezionale in Virtual Reality, dura circa 1.30 h, e si svolge su turni: alle 11.00, alle 16.30 ed alle 18.30.
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Nel cuore pulsante della movida milanese, all’angolo tra Via Giangiacomo Mora e Corso di Porta Ticinese, sorge oggi una scultura in bronzo con accanto una scritta: «Qui un tempo sorgeva la casa di Gian Giacomo Mora, ingiustamente condannato a morte nel 1630». Se oggi, passandoci davanti, ci accostiamo per capire di cosa si tratta, i milanesi di qualche secolo fa non azzardavano neanche ad avvicinarsi. Scopriamo il perché.
UNA TRAGICA FAKE NEWS: L’ “INFAME” MORA
La storia di questo angolo cittadino ha origini molto antiche e piuttosto inquietanti che risalgono ai tempi dell’epidemia di peste che divorò Milano nel 1630. Ed, in particolare, è la storia di Giangiacomo Mora, vittima innocente di una falsa delazione che dovette pagare con la vita.
Caterina Rosa, un’umile donna che abitava lì vicino, dichiarò alle autorità di aver visto un uomo spargere un unguento nero alle porte e ai muri della città e che, dunque, sarebbe stato il colpevole dell’atroce epidemia. Dapprima le guardie arrestarono Guglielmo Piazza, commissario di sanità, poiché l’inchiostro nero sulle sue mani fu scambiato per unguento pestilenziale. Dopo aver dichiarato la propria innocenza, costui accusò a sua volta il barbiere Giangiacomo Mora che, tra le varie sostanze del suo mestiere, ne aveva anche creata una per lenire le ferite degli ammalati di peste. In effetti le guardie la trovarono nella sua bottega e per questo lo accusarono di essere un untore.
Dopo tante torture, il processo si concluse con la morte dei due indagati e la distruzione della casa-bottega di Mora. Sopra le macerie venne eretta come monito a chi l’avrebbe guardata una “colonna infame”, che da il nome alla vicenda, accanto alla quale un’iscrizione latina ricordava l’infamia degli “untori”, i propagatori di peste.
DA SIMBOLO DI INFAMIA A OPERA CONTRO LE INGIUSTIZIE
Se la lapide con l’iscrizione latina é ancora oggi conservata al Castello Sforzesco, della colonna infame non abbiamo nessuna traccia e neanche qualche descrizione, nonostante sia stata protagonista del romanzo “la colonna infame” di Alessandro Manzoni. Possiamo immaginarne l’aspetto solo per qualche stampa postuma in cui è raffigurata con una palla posta all’estremità. Infatti la colonna fu rimossa nel 1778, ormai divenuta simbolo di uno dei tanti errori che il superficiale sistema giudiziario del tempo aveva commesso.
Solo nel 2005, in occasione della ricostruzione dell’attuale palazzo, la celebre vicenda è stata riportata all’attenzione posizionando una scultura contemporanea dell’artista Ruggero Menegon che richiama la forma della colonna con un gioco di pieni e vuoti.
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Al Cinema Beltrade vi attende un film di Manuela Cannone ed Emanuela Moroni, che vi piacerà così tanto che lo vorrete subito rivedere!
Amaranto è un racconto in cinque tappe della vita di un essere umano.
Ma di che si tratta? Si tratta si un film che ripercorre le vite più anticonvenzionali, quelle delle persone che per un motivo o per un altro si sono trovate a vivere in modi particolari e fare cose particolari.
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La tendenza nelle città del mondo è di favorire la mobilità e la sicurezza di pedoni e ciclisti, per aumentare la vivibilità delle stesse e limitare il numero e la velocità delle auto circolanti sul suolo cittadino. Milano non è da meno anche se ci sono alcuni effetti collaterali da risolvere.
COME LAVORANO LE AMMINISTRAZIONI
Le azioni messe in campo dalle ultime amministrazioni milanesi hanno visto l’introduzione di sistemi di road pricing (Ecopass, AreaC) o di pura limitazione del traffico a determinate categorie di veicoli quali AreaB, oltre alle classiche ZTL.
La riduzione dei veicoli verso il centro cittadino ha agevolato l’altro piano riguardante la mobilità, nello specifico:
Zone 30: ampliamento marciapiedi con conseguente eliminazione del numero di stalli per i parcheggi e riduzione di carreggiata per il transito dei mezzi
Zone pedonali: divieto d’accesso totale a qualsiasi mezzo salvo quelli autorizzati per necessità di vario genere
Piste ciclabili: realizzazione di percorsi ciclabili, prevalentemente in sede protetta, con relativo restringimento di carreggiata e eliminazione di corsie per i mezzi motorizzati
Il risultato ha consentito in certi casi la riduzione del traffico, ma non sempre una riduzione dei rumore acustici e dell’inquinamento, sia a causa di questi interventi sia di altri fattori.
DOVE MILANO SI E’ FERMATA: LE 10 VIE PIU’ INGOLFATE
Gli ultimi interventi di realizzazione di piste ciclabili nel quadrante Repubblica-Pisani ha comportato consistenti disagi alla circolazione prima, durante e a conclusione dell’intervento.
Il restringimento e l’eliminazione di corsie veicolari e la regolazione dei flussi semaforici per auto, velocipedi e pedoni ha causato e continua a farlo, code e pesanti rallentamenti con il conseguente aumento dei tempi di percorrenza, ma non solo in questa zona.
Ecco infatti un elenco delle situazioni più critiche:
#1 Via Luigi Nono
#2 Via Procaccini
#3 Viale D’Annunzio/piazza XIV Maggio
#4 Via De Amicis
#5 Piazza Napoli
#6 Piazza Repubblica
#7 Via Lunigiana
#8 Buonarroti-Conciliazione
#9 Via Lunigiana
#10 Viale Majno
Inoltre va ricordata la situazione di Porta Genova, da noi raccontato in questo articolopoche settimane fa.
PISTE CICLABILI SÌ, PISTE CICLABILI NO?
Il mondo è composto spesso di fazioni, e anche la mobilità ha le sue: pro-bici, pro-auto, pro-pedoni, pro-tram, no-bici, no-auto etc… La soluzione però difficilmente si trova agli estremi, per questo la politica deve studiare e proporre il giusto compromesso che possa esaudire nel miglior modo i desiderata di ogni categoria.
È indubbio che le aree pedonali e zone 30 consentono un migliore qualità della vita ai pedoni, così come le piste ciclabili consentono di viaggiare in maniera più sicura, ed è altrettanto vero che strade sufficientemente larghe consentono una fluidità di traffico maggiore.
La difficoltà risiede appunto nel valutare i singoli interventi, dentro un piano d’azione integrato, per accertarsi effettivamente se una strada è già troppo stretta per far spazio ad una pista ciclabile o se l’elevato flusso di veicoli su un’importante arteria stradale possa sopportare l’eliminazione di corsie in favore del passaggio di ciclisti.
Non tutte le città sono fatte per le piste ciclabili, così come non tutte le strade di una città sono adatte a far transitare i velocipedi in sede riservata.
E ADESSO?
L’integrazione della mobilità green è uno degli obbiettivi che tutte le città del mondo dovranno aspirare a raggiungere, essendo le città il contesto deputato ad ospitare il maggior numero di abitanti nel prossimo futuro, sia che questo avvenga favorendo velocipedi, pedoni o auto elettriche.
Gli interventi votati all’inseguimento di questo obbiettivo, già conclusi o di futura realizzazione a Milano, non potranno esimersi da un’analisi ex-post, relativa ad esempio all’effettivo transito dei ciclisti sulle piste ciclabili, e possibilmente da un’analisi ex-ante sfruttando tutte le migliori tecnologie per prevedere l’effettiva necessità dell’intervento e la ricaduta sul traffico veicolare.
Le città sono da considerarsi alla stregua di organismi viventi e come tali andrebbero trattate.
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Intervista a Yessica Avelar, educatrice salvadoreña in Italia da 20 anni e profondamente segnata dalla città di Milano.
Nel lavoro che ha portato avanti negli ultimi anni è stata riconosciuta come Ambasciatrice dei Diritti Umani da parte di Associazione per i Diritti Umani e la Tolleranza ONLUS, venendo premiata al Pirellone dove tra gli altri ha incontrato la sua amica Gothy Lopez.
Attiva da anni nella vita della comunità di El Salvador a Milano, Yessica non poteva proprio mancare nel novero delle Interviste Mondiali di Milano Città Stato.
First Things First, nome ed età?
Sono Yessica Zuleima Avelar Aviles e ho 31 anni. Porto due nomi e due cognomi com’è tipico di El Salvador, dove le persone mantengono il cognome materno e quello paterno. In realtà il rispettare questa tradizione oggi è considerato opzionale: prima quasi tutte le famiglie la seguivano, ora la scelta è libera.
Qual è la tua città natale?
Sono nata a San Marcos, un sobborgo della capitale San Salvador.
Il tuo lavoro?
Ora sono operatrice sindacale per il SICET, mi occupo di tutelare l’edilizia pubblica e privata occupandosi di emergenze abitative, cercando di tutelare gli inquilini prima di tutto. Io nasco come educatrice, avendo studiato Scienze dell’Educazione alla Cattolica. Il mio lavoro mi porta a interagire con gente di varie culture, soprattutto arabi e singalesi, e riesco a fare tesoro della mia istruzione. Dietro le richieste di case popolari c’è sempre una forte problematica sociale, chi è operatore deve saper tutelare e trattare l’aspetto umano.
Inoltre, collaboro con associazioni attive nella formazione e ho da poco partecipato a un progetto portando nelle scuole medie e superiori la tematica dell’immigrazione, dopo un’esperienza nelle comunità religiose latinoamericane, concentrandomi molto su quella salvadoreña.
Come mai hai scelto l’Italia e in particolar modo Milano?
Sono in Italia perché avevo già qui nonna e zia – l’immigrazione salvadoreña è tipicamente femminile. Immigrare negli Stati Uniti era praticamente impossibile, mentre per l’Europa c’erano vie legali, anche grazie alla rete familiare. Sono arrivata qui nell’agosto del 1999, con mamma e papà, e abbiamo scelto Milano perché era, e credo sia ancora, la città che accoglieva meglio e che dava più opportunità, sia in generale sia nel particolare del tipo di lavoro che scelgono le famiglie salvadoreñe.
Quali sono le differenze con El Salvador, e tra Milano e San Salvador?
La mia famiglia è emigrata giusto in tempo, ormai El Salvador è in una forte crisi economica e sociale: ce ne siamo andati prima del tracollo. Sono tornata lì due volte, a 14 anni e l’anno scorso. Percepivo già un distacco la prima volta tra me e i miei coetanei rimasti in El Salvador, mi mancava Milano che ormai era parte di me. L’ultima volta lì non potevo neanche andare in giro da sola, ed era scioccante.
Hai avuto problemi linguistici?
Mi piace dire di parlare itagnolo. Non è così semplice in realtà per uno spagnolo imparare l’italiano, ed è davvero difficile disimparare la grammatica spagnola. Io stessa penso ancora in spagnolo pur sapendo più vocaboli in italiano, la struttura grammaticale che ho in testa è quella spagnola. E i falsi amici me li trascino ancora dietro. Facevo parte della prima generazione di bambini immigrati, le scuole quindi non erano pronte, a differenza di oggi. La mia preparazione grammaticale non è stata ottima, me la sono dovuta cavare da sola, pur andando al classico. È stata una scelta rischiosa: proprio come piace a me.
Hai avuto problemi con la burocrazia?
Mio padre è arrivato col visto lavorativo, inoltre quando siamo giunti in Italia avevamo già una casa e i nostri documenti sono stati regolarizzati nel giro di un anno, i tempi tecnici. Quindi direi di no.
Cosa ti piace di Milano e dell’Italia? Cosa non ti piace? Cosa pensi dei milanesi e degli italiani?
Difficile dirlo, i miei primi 10 anni qui in Italia li ho vissuti solo a Milano. Non mi piace la Milano turistica, è una città che ho esplorato a fondo e adoro le vie più tipiche, le particolarità e le differenze che ancora si vedono tra quartiere a quartiere. Mi piace, alla sera dopo il cinema, immergermi nella Milano notturna e silenziosa, che mi dà uno sguardo più completo e tranquillo su tutto quanto. Oggi Milano rischia di perdere questa sua anima, inoltre non mi piace questo andazzo che mi pare stia ghettizzando certi quartieri a vantaggio di altri. Milano è bella tanto in centro quanto in via Padova, al Gallaretese o a Quarto Oggiaro, e i problemi vanno affrontati senza voltarsi dall’altra parte. Oggi la globalizzazione ci sta portando ad annullare le particolarità, mantenerle sarà una grande sfida. Lo stato del dialetto milanese è un buon termometro per valutare a che punto siamo. Devo dire che ora che vivo a Caronno Pertusella (in provincia di Varese, ndr), guardando Milano da fuori mi rendo conto ancora meglio di questi processi. Anche se poi sono qui per lavoro tutti i giorni.
Hai intenzione di fermarti a Milano?
Non so se ho intenzione di fermarmi, essendo già stata migrante sarei pronta ad adattarmi ad altri contesti culturali. Mi sento una cittadina del mondo e non mi spaventa pensare di andarmene da qui o addirittura di tornare in El Salvador, se mi facesse sentire più tutelata.
Quali iniziative dovrebbe intraprendere il Comune per la tua comunità? Vi sentite rappresentati?
Il Comune ha tantissimi progetti per le comunità in generale, non si può dire che non sia attento a queste dinamiche e che chiuda le porte: è che molte iniziative non vengono concretizzate. Noi salvadoreñi non siamo rappresentati politicamente né a Milano né tantomeno in Italia. Milano dovrebbe dialogare molto di più con le seconde generazioni, i bambini si sentono pienamente italiani, ma hanno una ricchezza in più derivata dal loro essere in dialogo con un’altra cultura. Io stessa infatti mi sento sia salvadoreña sia italiana.
Cosa manca a Milano?
Appunto il salto quantico del coinvolgere le seconde generazioni. Capendo che ognuna di loro ha una sua particolarità, persino quelle che vengono definite culture latinoamericanehanno sì un terreno comune, ma sono in fondo mondi opposti, diversissimi tra loro. Posso fare un esempio: i pochi imprenditori latinoamericani attivi a Milano tendenzialmente sono peruviani, un atteggiamento derivato dalla loro cultura, i salvadoreñi sono molto più timorosi. Questa cosa in noi permane, ci manca il coraggio imprenditoriale, e i pochi tentativi che ci sono stati in tal senso sono andati male. I peruviani hanno aperto molti ristoranti dedicati alla loro cucina, un ottimo magnete per aprire le porte a tutti i milanesi, un qualcosa che dovremmo fare anche noi. In più, le varie comunità tendono ad avere rapporti solo al loro interno, servirebbero progetti aggregativi. I ragazzi che hanno studiato qui sognano il loro futuro in Italia. Milano ha bisogno di crescere nel suo rapportarsi, non più in maniera assistenziale, ma coinvolgendoli attivamente: chi è qui da 20 o 30 anni ha ovviamente una consapevolezza diversa rispetto a chi è appena arrivato.
Quali sono i tuoi luoghi preferiti e quelli dei tuoi concittadini? Ne avete di caratteristici della vostra cultura? Ne vorreste altri?
La comunità salvadoreña è a maggioranza cattolica, quindi i luoghi di incontro e di aggregazione sono le chiese, o il Parco Lambro e il Forlanini che dopo la messa sono diventati il luogo di ritrovo, per mangiare insieme e apprezzare lo stare all’aperto, cosa alla quale noi sudamericani siamo molto legati. Per chi non è religioso i gruppi di aggregazione sono quelli che si occupano di danza o di sport, soprattutto calcio, occasioni di riscatto nonché di fuga dal mondo delle gang. Il nostro Consolato purtroppo non è un punto di incontro, a differenza, per esempio, di quello dell’Ecuador per gli ecuadoriani, che ha un sacco di progetti. La comunità salvadoreña fuori Milano, invece, a Como o a Varese per esempio, sono più piccole e interagiscono di più con la cittadinanza, partecipando anche alle feste di paese. Un piccolo aneddoto a conclusione: una volta un’anziana signora che conobbi a Linate mi disse “se non ci vediamo, ci vediamo a Palestro”, che in effetti in passato era per noi un punto di riferimento.
Conosci l’iniziativa di Milano Città Stato? Pensi possa migliorare la vita della tua comunità?
Conoscevo l’iniziativa di Milano Città Stato, mi ha incuriosito e ogni tanto leggo qualche articolo, perché non si parla solo di politica ma un po’ di tutto e in maniera completa. Penso possa essere un bene se Milano gestisse in autonomia le sue risorse, ma molto dipende dal tipo di libertà a cui ambisce e da chi governerà la città perché a quel punto poteri e responsabilità diventeranno maggiori. Pensando alla mia comunità, mi vengono in mente le Città Santuario negli Stati Uniti, che hanno poteri diversi rispetto allo Stato, è un aspetto interessante il capire come e quando le città si differenziano. In una Milano autonoma, un migrante potrebbe lavorare meglio e avere più risorse, dato che già ora i servizi per gli immigrati si trovano tendenzialmente in città. Questo Milano già lo fa, fuori città è tutto diverso e cambia l’atteggiamento col migrante.
Esiste o conosci o vorresti un’iniziativa del genere in El Salvador?
Nell’ultimo periodo sto avendo un graduale ritorno alle radici, mi sto per la prima volta interessando alla politica salvadoreña e ho letto di proposte di autonomia per la capitale San Salvador. In alcune città ci sono progetti sanitari ed educativi ad hoc. Da noi però implementare qualcosa del genere sarebbe pericoloso, rischierebbe di creare città di Serie A e di Serie B, e in El Salvador i tempi non sono maturi. Per altri Paesi sarebbe certamente una cosa positiva.
Un’opera che legheresti a Milano?
Il Quarto Stato. Sono rimasta colpita la prima volta che l’ho visto, l’ho trovato imponente e a mio parere rappresenta le lotte personali che Milano porta avanti rispetto all’Italia: una città non immune da razzismo, ma piena di visionari.
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Il Colibrì è un posticino preziosissimo per chi ama gli ambienti genuini, tranquilli, vivaci e alla mano. E’ un luogo in cui fare serate danzanti, aperitivi e bere un cocktail o due.
Ma il Colibrì è un luogo ancora più magico, perché qui si parla anche di libri, letture, poesie e romanzi. Questa volta si parla del libro di Silla Ferradini, “I Fiori Chiari, il romanzo della beat generation, ma anche di beat, hippie, capelloni e via dicendo.
Il tutto, accompagnato dalla sonorizzazione di Andrea Viti: ex bassista degli Afterhours
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Avete mai sentito parlare del “suono delle città”? È la cifra acustica delle città contemporanee, che viene sempre più spesso analizzata e utilizzata dai sound designer più di frontiera nel tentativo di cogliere la colonna sonora di ogni singola metropoli, da San Francisco a Shangai. Clacson, campane, sirene, rombi di motore e pneumatici sull’asfalto ogni anno vengono celebrati, insieme ai suoni della natura, ogni 18 luglio nel World Listening Day, durante il quale sempre più città anche in Italia organizzano le cosiddette soundwalk, ovvero “passeggiate sonore” da seguire con telecamera o registratore alla mano.
Bene, anche noi ne abbiamo fatta una – su richiesta di alcuni residenti – che ci ha rivelato una situazione davvero paradossale. Certamente tutti abbiamo un’opinione su quale sia la via più rumorosa di Milano, giacché quasi ogni strada che porta da un luogo strategico all’altro ha un diabolico, inevitabile, terrificante problema di traffico. Ma esiste una via di NoLo in cui si concentrano tutti i (peggiori) rumori e odori della città, del presente e anche un po’ del passato.
Questa via è una camera a gas
Il rombo del traffico, il suono dei clacson e i fumi delle auto bloccate in prossimità di un semaforo, le marmitte dei motorini che sfrecciano sui marciapiedi travolgendo i pedoni, lo sferragliamento dei treni che passano ad alta velocità e lo stridio prolungato ed assordante di quelli in frenata, l’odore acre del fumo delle vecchie locomotive a vapore, gli eccessi di una movida selvaggia e completamente fuori controllo… Certo, per un sound designer sarebbe il paradiso, ma vi piacerebbe vivere in un posto così?
Sicuramente no. Eppure è proprio questa la realtà quotidiana di chi vive in via Popoli Uniti, la via che collega Via Ferrante Aporti a viale Monza, dove una serie di infelici circostanze si sono magicamente riunite per rendere questo tratto di strada una rumorosissima camera a gas.
In primo luogo il traffico: una strada troppo stretta che funge da nodo cruciale per portare le auto dal centro in viale Monza, e quindi fuori città, parcheggi invadenti e a tratti irregolari che scoraggiano le auto ad allinearsi su due corsi per velocizzare l’uscita; moto e biciclette che, appunto per evitare la colonna, si mettono a correre sui marciapiedi causando pericoli per i pedoni.
Il fattore FS
E poi, dalla parte opposta, il fattore FS, ovvero la ferrovia, dove sfrecciano i treni ad alta velocità e stridono le ruote di quelli in frenata. Non sollo quelli moderni, ma anche le locomotive storiche a vapore ospitate dalla Fondazione FS. Caratteristico sicuramente percorrere tratte turistiche seduti su cent’anni di storia e avvolti da nuvole di vapore, peccato che per essere in forma la mattina del viaggio le locomotive debbano rimanere in funzione anche tutta la notte, originando un fumo acre e denso che scortica le narici e mette a dura prova i polmoni di chi vive lì vicino. E a poco vale la consolazione di poter guastare alla famosa Osteria della Stazioneottimi piatti di cucina friulana: per quanta cura metta l’Oste nella selezione delle materie prime, gli gnocchi di polente alle nocciole e carbone rimangono sempre un po’ indigesti.
Se ci aggiungiamo la presenza di un locale notturno molto frequentato dagli appassionati di musica latina con relativi schiamazzi e atti vandalici in strada, l’imbrattamento dei muri con scritte di dubbio gusto e furti frequenti, il quadro è completo. In via Popoli Uniti non si fanno mancare proprio nulla. Ma è davvero inevitabile che chi vive in città debba rassegnarsi a sopportare tutto questo? Non ci troviamo nemmeno in una landa desolata: a un passo c’è uno dei più multietnici e creativi quartieri di Milano, che nell’ex pasticceria Giovanni Cova & C, da anni in abbandono, ha appena concluso la prima edizione di BienNolo, la biennale d’arte contemporanea di NoLo.
La soluzione di Milano CIttà Stato: il brain storming di quartiere
Non stiamo nemmeno parlando di problemi che si trovano solo qui. Se guardiamo la mappa 2018 del rumore di Milano, è facile rendersi conto che il 42% dei residenti si trova suo malgrado oltre i livelli di guardia indicati dall’Oms come potenzialmente dannosi, ovvero a rischio di malattie cardiovascolari, ansia, disturbi del sonno, problemi di attenzione e cognitivi. Dell’inquinamento dell’aria non stiamo nemmeno a parlarne, basta andare a consultare un po’ di dati sul sito di ARPA Lombardia.
Traffico, inquinamento, rumore, treni, schiamazzi e atti vandalici sono problemi che tutte le città si trovano ad affrontare, l’unica differenza è che in questa via si concentrano proprio tutti insieme. Perché allora non partire da qui per provare a individuare delle soluzioni ad hoc, ma soprattutto buone pratiche che possano essere estese ad altre zone della città?
Perciò, quando i residenti ci hanno contattati, siamo andati a vedere e li abbiamo aiutati a identificare i problemi principali, invitandoli a suggerire delle soluzioni che non arrecassero un danno ad altre vie o ad altre zone. Il prossimo passo sarà di supportarli in queste richieste con le autorità competenti.
Qualche esempio di problemi e possibili soluzioni:
Riportare le auto al semaforo su tre corsie in uscita
Semaforo con angolo cieco da via Popoli Uniti a Viale Monza in cui ci sono auto in divieto di sosta presso l’incrocio che determina pericolosità in uscita e restringimento della carreggiata aumentando il traffico sulla strada, con relativo inquinamento.
Si tratta non solo di disagi per i residenti e per chi transita nella via ma anche un punto di grande pericolosità, come provano i diversi incidenti anche molto gravi che si sono verificati in questo incrocio.
SOLUZIONE: Per intervenire chiediamo di mettere una zebratura in concomitanza dell’incrocio per rendere più evidente il divieto. Chiediamo anche una maggiore presenza di controlli della polizia locale per parcheggi abusivi
Rendere più fluido il passaggio delle auto
La strada è stretta però se le auto si dispongono su due file il traffico riesce ad essere più filante. Però spesso non lo fanno.
SOLUZIONE: Tracciare una linea segnaletica sulla carreggiata che indirizzi le auto su due colonne, invece che su una sola, rendendo così più fluido il passaggio.
3.Traffico anche sui marciapiedi
Segnaliamo il livello di pericolosità determinato dai marciapiedi stretti e con cattiva manutenzione in cui si ha violazione del codice della strada da parte di moto, motorini e biciclette che usano i marciapiedi per superare il traffico congestionato della via, causando spesso incidenti con i pedoni.
SOLUZIONE: anche in questo caso si chiedono controlli e passaggi frequenti da parte della polizia locale. Se possibile montando anche delle telecamere. Si chiede anche di procedere alla manutenzione dei marciapiedi, ora fortemente disastrati.
Lo smog a livelli insostenibili
Altro punto critico è che il traffico congestionato dal semaforo rende l’aria inquinata e irrespirabile, anche perchè la strada è stretta e forma una cappa senza circolazione.
SOLUZIONE: In questo caso chiediamo con urgenza di inserire dei sistemi di misurazione su questo tratto per valutare il livello di inquinanti e il potenziale pericolo per la salute, invitando altresì ad adottare tecnologie di riduzione dell’inquinamento, ad esempio l’uso di soluzioni fotocatalitiche, di filtri da esterno o di altre strumenti certificati che possono essere utili nella riduzione degli inquinanti
Effetto imbuto nell’ingresso di Popoli Uniti
Le auto che arrivano da Ferrante Aporti entrano nel mezzo di via Popoli Uniti dove c’è uno spiazzo che è ristretto dalle auto in divieto di sosta, obbligando quelle sulla carreggiata a disporsi su una sola corsia.
SOLUZIONE: Anche in questo caso bisognerebbe tracciare una zebratura rendendo più evidente il divieto di sosta, oltre ad aumentare controlli e multe. Ancora meglio della zebratura sarebbe creare un’isola nello spiazzo, in modo non solo da impedire il parcheggio abusivo, ma anche per abbellire lo spiazzo stesso.
Responsabilità al locale contro atti vandalici di loro clienti
Altro fattore critico è la presenza di un locale notturno molto frequentato dagli appassionati di musica latino americana che specie nei week end provocano disagi e atti vandalici sulla strada.
SOLUZIONE: Chiediamo un controllo dell’annonaria per incontrare i titolari invitandoli a una presa di responsabilità attivando strumenti di maggiore controllo sulle persone che frequentano il locale, anche sull’area antistante.
Il problema rumore per chi vive vicino alla ferrovia
Dall’altro lato di via Popoli Uniti (del condominio sul lato nord) si aprono i binari della ferrovia in un tratto in cui i treni frenano per arrivare alla stazione o accelerano in uscita, sollevando rumori molto forti per lo stridere sui binari, amplificati in particolare dai Treni dell’Alta Velocità.
SOLUZIONE: in tutte le città civili i tratti di ferrovia che passano in città, specie quelli in prossimità delle stazioni, hanno delle barriere anti rumore. Il Comune dovrebbe inserire la realizzazione di barriere antirumore nell’accordo fatto con gli ex scali ferroviari o quantomeno le Ferrovie devono intervenire per realizzarli riducendo il disagio per i cittadini che vivono vicino alla ferrovia.
Treni a vapore
Dall’altra parte di Popoli Uniti c’è anche un magazzino che ospita locomotive a carbone che fanno un servizio turistico fino a Como. Alzano un fumo terrificante, specie perchè in quel tratto vengono messe in funzione a lungo per testare il funzionamento.
SOLUZIONE: Il comune dovrebbe premere sulla fondazione che gestisce il servizio di fare partire il servizio al di fuori del centro abitato.
Palazzi imbrattati
I muri dei palazzi sulla strada sono imbrattati con scritte e tag.
SOLUZIONE: chiediamo per evitare una continua azione vandalica a intervenire invitando a realizzare dei murales artistici sui palazzi che danno sulla via, modalità che in altre aree della città ha consentito di bloccare l’attività incessante di imbrattamenti dei palazzi.
Sperimentazione per risolvere il problema in modo strutturale
Per il problema traffico si potrebbe anche testare nel breve termine un’inversione del senso di marcia di via popoli uniti, in senso unico da Viale Monza fino alla ferrovia, unendo così in uno stesso senso di marcia i due tratti della via.
Si potrebbe allo stesso modo invertire la direzione in via Varanini che così insieme a Via Sauli consentirebbe un maggiore deflusso.
Strade o quartieri in difficoltà? Contattateci
Vi terremo aggiornati sugli sviluppi. E invitiamo altre strade o zone di Milano che devono risolvere qualche problema a contattarci.
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Ai magnifici sette della canzone milanese è dedicato un murales all’Ortica, all’incrocio con via San Faustino, opera del collettivo di artisti Orticanoodles.
I magnifici sette sono Giorgio Gabor, Ivan della Mea, Dario Fo, Enzo Jannacci, Giorgio Stehler, Nanni Svampa e Ornella Vanoni.
La rivoluzione apportata dalla scena musicale milanese ha avuto inizio alla fine degli anni ’50 quando Angela e Gianni Bongiovanni aprirono un ristorante in via Monte Rosa 84.
Per attirare i clienti decisero di invitare dei musicisti per allietare il pubblico. Era il ristorante Gi-Go che nel 1962 cambiò nome, diventando Derby Club perchè non lontano dall’ippodromo.
Il Derby per quasi vent’anni divenne una delle principali fucine di talenti musicali e della comicità di tutta Italia.
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I gappisti sono una gang clandestina che va in giro a mettere a posto Roma, intervenendo su buche, segnaletica, fontane, riparando quello che non riesce a fare l’amministrazione. Ieri dopo aver rischiato la vita sul pavé è venuta l’idea di questo articolo.
Leggi anche: I gappisti, la gang clandestina che ripara Roma (illegalmente)
Cosa dovrebbero rimettere a posto I GAPPISTI a Milano
Riposizionare sui marciapiedi le parigine divelte
Una volta cadute non si capisce chi bisogna chiamare per rimetterle al loro posto.
Sincronizzare gli orologi comunali
A Milano regna l’anarchia: ogni orologio segna l’ora che gli pare.
Ripulire i giardini dalle erbacce
Una delle poche cose che i municipi avrebbero il potere di fare.
Via cartacce e rifiuti tra i binari
Credits: Il Giorno
La terra di nessuno per l’AMSA.
Ripulire dai rifiuti le rive dei Navigli (specie sotto i ponti) e lungo il Lambro
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Il Palazzo del Senato in via Senato 10 è un luogo curioso. Per i suoi numerosi cambi di casacca e per la strana installazione opera di Mirò. Ma procediamo un passa alla volta.
I mille volti del Palazzo del Senato
Il palazzo è una tra le poche opere realizzate dagli spagnoli quando governavano Milano ancora visibili in città. Nasce come “Collegio Elvetico”, istituzione fondata da San Carlo per la formazione del clero svizzero, costruito a inizio del seicento su un preesistente monastero per volontà di Federico Borromeo: «per ospitarvi studenti svizzeri, provenienti da terre appartenenti alla diocesi di Milano, i quali vi erano preparati a svolgere la funzione di parroci in Valtellina e nei Grigioni, terre « infette » di eresia».
Le forme grandiose e solenni rimandano ai principi della controriforma. L’edificio si articola attorno a due cortili porticati molto scenografici, con due ordini di logge architravate: qello inferiore è dorico mentre il superiore è ionico.
Alle corti classiche si contrappone l’originalità della facciata concava, opera nel 1632 di Francesco Maria Richini (1632) che anticipa il Barocco.
Quando gli Austriaci arrivarono in città soppressero il collegio riconvertendo il palazzo da luogo religioso a politico. Lo trasformarono nel palazzo di governo (1786), mentre Napoleone lo rese il palazzo del Senato del Regno d’Italia, fino al 1814.
Dal 1886 è diventato la sede dell’archivio di Stato di Milano, uno dei più importanti per il patrimonio conservato.
Di fronte alla facciata è collocata la scultura in bronzo “Mère Ubu”, che venne donata alla città dall’artista spagnolo Joan Miró.
Curiosità: il palazzo del Senato ospitò, durante l’età napoleonica, la prima buca delle lettere di Milano.
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Voi sapete cantare? Se vi sentite usignoli, se azzeccate le note senza sforzo e sapete andare a ritmo, complimenti: fate parte di una piccola fetta della popolazione!
Ma, sappiate che non siete gli unici, e l’Ostello Bello ve lo proverà con la sua serata di concerti!
MèSA è una ragazza che ha la musica nel sangue. Nasce a Roma e, dopo aver imparato il barrè, inizia la sua vita come cantautrice ed il suo “Oh Satellity” è così bello che fa venire i brividi.
A seguire c’è Il pigiama, un progetto musicale italo-francese che supporta e si inserisce nel movimento dei cantautori tristi. Ed infine, c’è Edwige, un progetto artistico di Emenuela Mereu (cantante, fotografa e psicologa), una cantautrice i cui testi nascono sulle note del cellulare, con la musica di Vittorio Belvisi.
Ecco, domenica potete sentirli tutti cantare all’Ostello Bello. Non mancate!
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Se vi piacciono i cocktail bar che vi fanno sentire a casa, parte di una bella comunità, della vita di quartiere, il Ghe Pensi Mi è il luogo perfetto per voi. Come riconoscerlo? Semplice, la folla che si raduna davanti: giovani e meno giovani, incamiciati e capelloni.
Non importa che giorno della settimana sia, al Ghe Pensi Mi trovi sempre qualcuno con cui condividere le gioie e i dolori della giornata. Ma è anche vero che se ci passi il martedì, troverai un’offerta a prova di fegato: il 2×1: prendi una birra e la seconda è in regalo.
Ottimi anche i cocktail, fatti con tutti i crismi del caso, e la bottigliera lo testimonia: una buona selezione di gin, whisky e bourbon fanno scattare subito l’ora di un Negroni. Ma chiedete pura la lista perché qui le proposte sono diverse e tutte molto interessanti.
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Che cosa potrebbe spingere il viandante a recarsi nel quartiere del Lorenteggio? Ho scelto 10 motivi di attrazione per il quartiere reso celebre dalla cronaca nera e da JAX.
Forse il progetto più innovativo di rilancio di un mercato comunale in città. All’interno la superstar è la Macelleria Equina da Vito, dove si sceglie la carne e la cucinano al momento in un ambiente informale. Via Lorenteggio, 177
#2 San Protaso, la chiesetta miracolosa
La chiesetta delle lucertole nello spartitraffico di via Lorenteggio. Chiesa considerata miracolosa perchè nella sua storia millenaria è sopravvissuta, talvolta in modo rocambolesco, a diversi tentativi di distruzione.
Si dice che Barbarossa si fosse fermato in questa chiesetta per pregare e dentro si trova un affresco della Madonna che più passa il tempo e più si dice che riaffiori con colori più forti.
Library Café meraviglioso, con dehor, molto attivo nell’ambito culturale di quartiere. Spesso fanno concertini dal vivo, degustazioni di vino, presentazioni di libri. In via Savona 101.
#4 Pasticceria Castelnuovo, i dolci come una volta
Torte e pasticcini artigianali in una storica (1945) pasticceria familiare dallo stile rétro, con foto di celebrità ai muri. In via dei Tulipani 18
Aperto da 24 anni, ospita 3 campi da beach volley con sabbia riscaldata, 5 campi da calcio a 5 con erba sintetica di ultima generazione. Largo Antonio Balestra, 5
#6 Agorà, il tempio dell’hockey
Palazzetto da 4.000 posti, la più capiente struttura della Lombardia per gli sport su ghiaccio. In via dei Ciclamini, 23
#7 El Vinatt
In via Tolstoj, una storica enoteca a gestione famigliare. Quando si entra si sa che si uscirà soddisfatti.
Esperienza unica, a livello visivo, a livello gustativo e a livello uditivo…
perché ascoltare beppe che spiega con passione ti riempie il corpo di gioia, oltre che di cibo. In via savona 127/a
#9 Kimkameamea Cafè
Un bar come ai vecchi tempi a conduzione familiare. Ascoltano tutti i clienti per consigli e gusti. In via Lorenteggio 120
#10 Il quartiere ebraico
La zona Lorenteggio comprende via Soderini, al centro del quartiere ebraico. In zona puoi trovare la migliore carne Kosher.
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Domenica 9 giugno vai in Piazza Duomo per un appuntamento da pelle d’oca. Sto parlando di quell’evento che è entrato nel cuore di tutti i milanesi.
E’ un modo diverso per godersi la piazza più bella, per promuovere la musica sinfonica e classica.
Sono ormai 5 anni che la Filarmonica della Scala ed il suo direttore regalano la possibilità di assistere ad un momento magico e speciale. Andateci: vi rimarrà nel cuore!
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2004. Vivevo a Berlino quando fu annunciata la chiusura di Tempelhof. Era il “city airport” nel cuore della città, diventato famoso per il ponte aereo di Berlino in piena guerra fredda e considerato il terzo più grande edificio al mondo, dopo il Pentagono e il Palazzo del Parlamento di Bucarest. Un luogo gigantesco di proprietà della compagnia pubblica “Berliner Flughäfen”, l’azienda partecipata dalla città stato di Berlino che gestisce gli aeroporti della capitale, corrispondente alla nostra SEA.
aeroporto di tempelhof
Che cosa fare al posto dell’aeroporto: uffici, case o, magari, una montagna?
I berlinesi erano molto affezionati all’aeroporto simbolo della loro libertà e in un referendum del 2008 hanno votato per la sua riapertura. Ma la città stato di Berlino ha detto no alla volontà popolare, anche perché espressa da un basso numero di votanti, e sfidando diversi intoppi legali ha proseguito nella sua decisione valutando diversi progetti di riconversione. Tra questi forse il più affascinante era il Berliner Berg, il progetto di costruire al posto dell’aeroporto una montagna di oltre mille metri formata dal terreno trasportato dai fondali del vicino Mar Baltico. Un Monte Stella dieci volte più alto.
Che fare dunque di questo spazio? Proviamo a immaginarci cosa sarebbe successo da noi. Immaginiamo lo smantellamento di Linate, anzi di uno spazio ancora più grande di proprietà di una partecipata del Comune. Uno spazio che avrebbe fatto gola ai costruttori e che avrebbe potuto portare denaro sonante alle casse del Comune.
Vale più un parco o un grattacielo?
Invece, nella Berlino povera di soldi ma sexy e ricca di parchi si è fatta una mossa clamorosa. Al posto dell’aeroporto non si sarebbe costruito nulla. E’ nato così il Tempelhofer Feld, dal 2010 il parco pubblico più vasto di Berlino con i suoi 386 ettari di prati, giardini percorsi dalla più vasta pista per ciclisti e corridori della città.
Penso a Tempelhof quando vedo i progetti per gli ex scali ferroviari. Si tratta di progetti spesso intriganti ma che dopo l’esperienza berlinese mi lasciano sempre un retrogusto amaro, quello di un’occasione persa.
Innanzitutto per l’impatto ambientale che a Berlino si è tradotto in un arricchimento per tutta la città che è diventata ancora più attrattiva e vivibile, e che sarebbe stato ancora più vitale in una Milano così affamata di giardini o parchi pubblici. Ma credo che l’occasione persa rischia di essere la strategia di puntare tutto o quasi sull’edilizia, per altre due ragioni.
tempelhofer feld
#1 Il numero di case aumenta più del numero di cittadini (e dei loro stipendi)
Quando si parla di Milano e dei suoi successi quasi sempre si fa riferimento ai numerosi progetti immobiliari. Porta Nuova sta per fare il bis, gli ex scali, Porta Romana, in parole semplici Milano è un cantiere. All’orizzonte appariranno sempre più palazzi e quartieri residenziali e commerciali e sui social circolano un’infinità di rendering e di master plan.
Secondo le previsioni, Milano è la città d’Europa dove si concentrano i maggior investimenti nel settore immobiliare da qui a dieci anni. I render sono affascinanti, sembra tutto molto bello. Però ci sono due interrogativi che chi ama la città di dovrebbe porre. Il primo è: esiste una domanda in grado di assorbire questo boom dell’offerta?
In una città che dal 1971 ad oggi ha perso quasi un quarto dei suoi residenti (quasi 400.000) e dove si calcola in circa 70.000 il numero di appartamenti sfitti è difficile oggi immaginare che tutte le nuove costruzioni riusciranno ad essere assorbite dal mercato.
fonte: 02blog
Una delle critiche che erano piovute addosso all’amministrazione Moratti era che aveva realizzato dei piani urbanistici prevedendo un aumento dei residenti fino a 2 milioni. Un obiettivo che pareva irraggiungibile e che appare altrettanto irraggiungibile anche adesso che si persegue e, anzi, si incrementa il numero di nuove costruzioni sull’area urbana. Aumentare l’offerta augurandosi di trainare così l’aumento della domanda è una strategia tipica degli anni ottanta che sa più di finanza che di economia reale. E se si aggiunge il fatto che Milano presenta anche tra i più alti rapporti al mondo tra costo degli affitti e stipendi, i rischi di trovarsi davanti a una bolla insostenibile sembrano plausibili: se l’offerta cresce molto di più del numero di abitanti e degli stipendi, chi comprerà le nuove case?
se l’offerta cresce molto di più del numero di abitanti e degli stipendi, chi comprerà le nuove case?
#2 Milano punta tutto sull’edilizia, le altre città d’Europa ragionano da incubatori
L’assenza di domanda non è il solo interrogativo legato al mercato delle costruzioni. La seconda domanda è: conviene investire il futuro di una città nel settore delle costruzioni?
Il settore dell’edilizia infatti presenta delle caratteristiche tipiche rispetto ad altri settori industriali. La principale caratteristica è l’orientamento al breve termine. Un palazzo, infatti, genera ricchezza al momento della sua costruzione ma, da quel punto in poi, l’impatto sull’economia si esaurisce. Al contrario di quello che accade per ogni nuova impresa, specie quelle dei settori tecnologicamente più avanzati, il settore immobiliare produce effetti positivi solo nel breve termine. Puntare tutto sulle costruzioni è rischioso, come hanno già vissuto sulla propria pelle la Spagna e la stessa Italia con la crisi del 2008, quando sono state entrambe travolte dallo scoppio della bolla immobiliare senza riuscire a riemergere per la debolezza in settori anticiclici e con effetti prolungati nel tempo.
La Spagna ne ha tratto tesoro e ha favorito la nascita di un nuovo ecosistema di start up e imprese innovative a Barcellona e Madrid, ponendosi così allo stesso livello di tutte le principali città d’Europa che dall’inizio del nuovo millennio stanno perseguendo una strategia comune: puntano tutte soprattutto sull’affermazione di un ecosistema di start up e di nuove aziende tecnologiche orientato ai mercati internazionali.
Questa la strategia viene perseguita da tempo da Berlino, Londra, Parigi, Stoccolma, Amsterdam, Dublino, Vienna, Tallinn e, più di recente, Lisbona, Madrid e, da qualche tempo, la stessa Atene.
Mentre a Milano sorgono grattacieli, le grandi città europee si sfidano creando parchi tecnologici, grandi incubatori, agevolazioni per capitali venture e iniziative che favoriscono la nascita e l’attrazione di nuove imprese. Tornando a Berlino, il parco di Tempelhof è il simbolo di una strategia opposta che la capitale tedesca sta da anni adottando rispetto a Milano: invece di favorire gli investimenti immobiliari e alimentare un mercato fatto di affitti alti e di rendite, Berlino ha limitato la speculazione immobiliare, inserendo limiti temporali alla compravendita, e ha mantenuti gli affitti volutamente bassi per consentire a giovani imprenditori di poter avviare la loro attività senza sostenere costi troppo alti di struttura. Il risultato è che Berlino guida un’economia in crescita costante dal 2009 senza vedere grossi rischi all’orizzonte dati da una eccessiva dipendenza da un settore fortemente ciclico e di breve gittata come quello immobiliare.
Mentre a Milano sorgono grattacieli, le grandi città europee si sfidano creando parchi tecnologici, grandi incubatori, agevolazioni per capitali venture e iniziative che favoriscono la nascita e l’attrazione di nuove imprese.
Milano ha scelto di attirare i grandi gruppi internazionali del real estate che a Milano hanno trovato a Milano la loro Mecca. Il rischio è di non vedere che, all’ombra dei grattacieli, sempre più startupper, laureati e ricercatori se ne vanno attirati da città dove forse circolano meno rendering e master plan, ma dove ci sono capitali e condizioni più ospitali per fare impresa nei settori più innovativi e di maggiori potenzialità per il futuro. Dove un grande parco ha più valore del più bello dei grattacieli.
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A Londra verrà realizzata la piscina più spettacolare del mondo. Un progetto che potrebbe stimolare la fantasia dei nostri costruttori sia per la posizione, in vetta a un grattacielo, sia per le modalità con cui verrà costruita, anch’esse davvero suggestiva. Ma procediamo con ordine.
Una delle sfide tra le città stato mondiali è quella delle attrazioni. In particolare si misurano sull’altezza, con le città stato che si superano a colpi di grattacieli di altezza siderale. E la sfida dell’altezza riguarda anche le piscine. Cosa c’è di più eccitante che fare un bagno in piscina sulla vetta di un grattacielo?
Chi pensa questo avrà presto la sua meta dei desideri. A Londra stanno per cominciare i lavori per una infinity pool sul tetto di un grattacielo, con vista a 360° sullo skyline della città. Una piscina che promette di superare per impatto Marina Bay Sands di Singapore e battere ogni record, a 220 metri d’altezza nel cuore di una metropoli.
L’intero edificio è in fase di avvio dei lavori e ospiterà un hotel di lusso con accesso diretto alla piscina. Ma l’altezza non è il solo motivo di stupore.
Gli ospiti si immergeranno tramite una scenografica scala a chiocciola in una vasca d’acqua da 600.000 litri nella piscina già denominata “Infinity London“ che si ispira alle porte dei sottomarini.
Nella piscina non vi sono punti d’accesso, se non una scala a chiocciola rotante che sale dal fondo della piscina quando qualcuno vuole entrare o uscire, quasi come fosse uscita da un film di James Bond. Non basta: oltre ai lati, anche il fondale sarà trasparente. Così, gli ospiti dell’hotel – alzando gli occhi – vedranno persone intente a nuotare sopra le loro teste.
Al posto del vetro sarà utilizzato il polimetilmetacrilato, che trasmette la luce ad una lunghezza d’onda simile a quella dell’acqua, il che significa che la piscina apparirà completamente trasparente. L’acqua sarà riscaldata in modo sostenibile, utilizzando l’energia di scarto dal sistema di condizionamento d’aria dell’hotel.
Proviamo a immaginare se a Milano si costruisse qualcosa del genere: cari costruttori, pensateci!
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Intervista a Gothy Lopez, artista salvadodoreña di fama internazionale. Espone i suoi lavori in America Latina ed in Europa, ma per vivere ha scelto Milano.
In occasione di Open House, a cui partecipa già da tre anni, mostra al pubblico della chiesa di Santo Stefano la sua pala d’altare, “Il Fuoco della Carità” (2016), dedicata a Santa Maddalena di Canossa.
E davanti al suo meraviglioso dipinto, abbiamo colto l’occasione per farle qualche domanda.
Perché trasferirsi in Italia e perché proprio a Milano?
Mi sono trasferita in Italia nel 2004 perché è la culla dell’arte, che è la mia passione e il mio mestiere. A Milano perché ci abitano i miei fratelli.
Cosa si aspettava di trovare qui a Milano e che cosa ha trovato?
Mi aspettavo di trovare l’arte, ma ho trovato molto di più. Ho scoperto tutto ciò che Milano ha da offrire e ne sono rimasta entusiasta. Cibo, moda, storia e cultura, ma soprattutto la multiculturalità che nel mio paese è difficile da trovare.
Quali sono le differenze con il suo stato e la sua città?
Io provengo da un paese molto piccolo. Tutto è ridotto rispetto all’Italia che ha città, come Milano, molto più grandi, cosmopolite e soprattutto con un’altra storia. Culturalmente sono molto ricche e la conservazione dei beni culturali, nonostante tutte le problematiche che ci sono, è considerata importante. Nel mio paese manca questa attenzione all’arte: pur avendo un patrimonio artistico molto ricco del periodo preispanico, non ci sono le risorse, e nemmeno l’interesse, per scoprirlo e valorizzarlo.
Ha incontrato problemi linguistici?
All’inizio ovviamente si. Sono venuta senza sapere una parola d’italiano e ci sono voluti sei mesi per impararlo abbastanza bene per comunicare. Ancora oggi rimane qualche problema di comprensione in alcune frasi, ma tutti noi, che parliamo lo spagnolo come lingua madre, siamo avvantaggiati.
Ha avuto problemi con la burocrazia?
Tantissimo. Ho scoperto che l’Italia è un paese estremamente burocratico, tutto è macchinoso e non si capisce cosa devi fare e da chi devi andare. Sicuramente ci sono tante cose in più che in altri paesi non ci sono, è una società molto organizzata e come tale richiede un’organizzazione particolare da parte di chi la vive. Nei Caraibi fai tutto liberamente e velocemente, ma non sei tutelato come qua.
Cosa le piace dell’Italia e di Milano?
Dell’Italia mi piace tantissimo l’arte, il patrimonio culturale artistico. Il cibo e la cucina sono fantastici. L’Italia ha tantissime cose che mi piacciono. Di Milano mi piace il fatto che, a differenza delle altre città italiane, è più viva e internazionale. Qui c’è coabitazione di persone di diverse parti del mondo a differenza di Firenze, per esempio, dove si va solo come turisti. Questa è una grandissima ricchezza per Milano e deve essere ben interpretata per diventare un valore aggiunto per la cittadinanza.
Cosa le piace degli italiani e dei Milanesi?
Beh i Milanesi si sono quasi estinti… (ride). In realtà lavorando anche nell’ambito educativo ho potuto conoscere anche qualche milanese. Sono persone di grande cultura, con tanto da raccontare, da dire e che all’improvviso si trovano in una realtà che cambia più velocemente di quanto immaginino e alcune volte fanno fatica a capire cosa sta succedendo. Però sono persone molto positive da questo punto di vista.
Gli italiani in generale sono stati molto accoglienti. Io non ho mai avuto nessun problema. Non so se il motivo sia la mia professione, per cui l’artista viene visto con occhi diversi perché ha già un livello intellettuale e culturale diverso. Però a me è sembrato che comunque gli italiani abbiano molta apertura da questo punto di vista.
Ha intenzione di fermarsi a Milano ?
Per adesso sì. Anche perché qui mi sono sposata e ho un figlio piccolo, quindi bene o male ho tracciato qui il mio destino senza accorgermene. Nei prossimi anni penso proprio di rimanerci, ma tutto può accadere. Comunque si ha sempre nostalgia di tornare nel proprio paese, non sai come e quando, ma si ha questa idea, speranza , quasi come un sogno, difficile da spiegare.
Quali iniziative dovrebbe intraprendere il comune per la sua comunità? Vi sentite rappresentati dalle istituzioni?
La nostra comunità salvadoreña è molto piccola rispetto ad altre, ma perché già in partenza siamo un campioncino nel mondo, solo 5/6 milioni. Nonostante ciò abbiamo una forte idea di comunità e in questi ultimi anni soprattutto si sta facendo lo sforzo di avere una rappresentanza in Lombardia. Sarebbe la prima associazione legalmente riconosciuta. Già stiamo portando avanti contatti con il Comune di Milano nella richiesta di spazi in cui fare corsi di lingua, ecc.. Io penso che un bisogno molto grande sia uno spazio fisso e stabile in cui avere un centro culturale per insegnare, per esempio, anche lo spagnolo agli italiani. Sarebbe davvero un bello scambio di sapere e cultura. Abbiamo tanto da dire del nostro paese a livello linguistico, artigianale, gastronomico, …
Quali rapporti ha la vostra comunità con il consolato e l’ambasciata di riferimento?
Con il consolato abbiamo più rapporti burocratici. Ogni tanto si tenta di superare questa fase più formale, organizzando attività di coinvolgimento, ma manca il budget economico. Sarebbe bellissimo, per esempio, organizzare una mostra a Palazzo Reale sull’arte salvadoreña. Le idee ci sono, ma i fondi no. Per questo ci si limita a fare l’ordinario, purtroppo.
Cosa manca a Milano?
Milano ha tutto. Penso sia una delle città che ha più offerta in tanti ambiti a differenza di tanti altri posti d’Italia. Se proprio devo trovare qualcosa, penso manchino centri di aggregazione veri e propri, insomma qualcosa che valorizzi la realtà multiculturale per farla diventare un punto di forza.
Quali sono i posti di Milano preferiti da lei e i suoi concittadini?
Di solito ci riuniamo intorno a chiese e oratori. Il nostro è un paese molto religioso e con molte radici cristiane. Penso che questo sia un punto di aggancio con l’Italia: uno sfondo religioso in comune. Per esempio questa chiesa di Santo Stefano è uno dei miei posti preferiti.
La sua comunità ha rapporti con le altre comunità o ne sente l’esigenza?
Sicuramente abbiamo rapporti con le altre comunità che parlano la lingua spagnola. Ma non solo. Grazie ad alcuni centri di aggregazione, come la chiesa di Santo Stefano, entriamo in contatto con la comunità filippina e quella dello Sri Lanka. È molto importante che tra comunità straniere ci sia comunicazione.
Vi sentite milanesi?
Si tantissimo. È evidente soprattutto quando si torna nel paese di origine e ci si rende conto che i ritmi sono diversi. Il senso è di spaesamento. Ormai è dal 2004 che sono qui. Dopo un periodo così lungo è inevitabile diventare milanesi, si imparano e si assorbono tante cose, buone e cattive. In generale siamo diventati milanesi più di quanto ci sentiamo.
Pensa che un’iniziativa come Milano Città Stato sia presente anche nel suo paese?
No. Ma a differenza di Milano i nostri paesi sono molto meno interculturali e quindi è diverso il contesto in cui iniziative come queste potrebbero nascere.
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Se avessi dovuto scrivere questo pezzo soltanto 15 anni fa, l’avrei dovuto chiamare “i 215 difetti della scena gastronomica milanese”. Per fortuna il tempo e soprattutto la globalizzazione hanno ridotto i numerosi problemi che affliggevano il mondo della ristorazione meneghina.
Un salto nel passato: Milano, anno 2000
Ad inizio anni 2000 tutto ciò che si poteva trovare nel capoluogo lombardo erano pizze margherite (rectius: piadine con pomodoro a pH 1 e cagliata al posto della mozzarella) bruciacchiate a 9 mila lire cadauna (quasi il triplo della media nazionale, sic!) e kebab indigeribile persino per un verme delle sabbie (perdonatemi la citazione eccessivamente nerd).
Per quanto riguarda il caffè la situazione oscillava tra il catastrofico e l’apocalittico. Esso era sempre “lunghissimo”, amaro, bruciato e maleodorante. Il sapore ricordava quello del cherosene (forse perché i chicchi venivano torrefatti nel postbruciatore di un motore a reazione?)
Personalmente penso di aver bevuto caffè migliori in Giordania e Bielorussia che non nella Milano dei primi anni 2000.
Back to Milano 2019 d.C.
Oggi per fortuna invece la città ospita un nutrito florilegio di coffee specialistche offrono una serie pressoché infinita di monovarietà e metodi di estrazione alternativi ed il livello medio ha compiuto “un grande balzo in avanti”.
L’odierna offerta gastronomica milanese è assolutamente stupefacente per ricercatezza, varietà e qualità. A Milano si possono trovare pizzerie napoletane (ai livelli delle migliori di Napoli), pasticcerie francesi (di livello francese), ristoranti pugliesi (di livello pugliese) e persino la “crescia sotto la cenere”, una specialità tipica dell’Umbria nordorientale che sta diventando rara persino nella madrepatria perché nessuno vuol più perdere tempo a cuocerla in modo tradizionale.
Nonostante il quadro idilliaco (o quasi) sopra descritto rimangono alcuni piccoli difettucci (per fortuna molti di essi sono piuttosto nugali) che si spera possano risolversi in breve tempo.
1 – Il cappuccino
Il cappuccino, pilastro irrinunciabile della colazione all’italiana, sembra ancora una preparazione aliena al milieu gastronomico milanese. Quasi ovunque è troppo bollente e la schiuma è solo uno strato di pochi millimetri intorno al bordo della tazza, come se questo sottile strato di schiuma servisse a celare la brodaglia imbevibile che giace sotto di esso.
2 – Fast food
Rispetto alle megalopoli mondiali sotto questo profilo Milano è purtroppo ancora piuttosto indietro. Di seguito alcune delle principali catene che mancano a Milano:
Chick-Fil-A, Jack in the Box, Chipotle (l’assenza più dolorosa per quanto mi riguarda), Taco Bell, Dunkin Donuts, Shake Shack, Taco Bell, Dairy Queen, 7 Eleven (per gli Slurpee ovviamente), Wendy e Subway.
3 – Porchetta
Essendo cresciuto in Umbria, per me la porchetta è una specie di “religione” (astenersi da battute facili, please) dove il consumo medio è di circa 1kg a settimana (nei periodi di dieta). A Milano purtroppo una buona porchetta è introvabile (non rara ma proprio introvabile), e quella che si trova é sempre fredda, stantia, rinseccolita e senza sapore.
4 – Pizza al taglio
La pizza al taglio non sembra ancora essere ancora entrata nel DNA della città. Non si capisce perché i miei concittadini non considerino un piacere della vita il portarsi a casa un bel metro quadro di pizza per pochi spicci. Qui, la pizza al taglio si trova o nelle forme di un prodotto “gourmet” con condimenti fantasiosi (quindi prezzi altissimi a fronte di una qualità nel migliore dei casi discutibile) o sotto forma di pizzoni giganti di 80 cm di diametro con ingredienti very very cheap. Manca quella sana “classe media” di pizze in teglia quadrata con ingredienti semplici e gustosi (patate e mozzarella, rossa col prezzemolo, bianca all’olio o al burro, cipolle, stracchino e pancetta, rossa stracarica di mozzarella, ecc.) e a prezzi accessibili (8-15 euro/kg e non 6 euro per un pezzettino micragnoso; li mortac…[autocensura!]
5 – Carbonara
Altra cosa introvabile a Milano. Finora in poco più di 2 anni ne ho provate 6 ognuna in un ristorante diverso. Voto medio: zero (3 su 6 valevano anche meno di zero). Ovviamente ci sono molti ristoranti romani a Milano, uno in particolare serve i migliori tonnarelli cacio e pepe del mondo; ma con riferimento alla carbonara sembra di essere in Tanzania (absit iniuria verbis). So bene che si tratta di un piatto relativamente costoso perché il guanciale buono costa, le uova ed il pecorino idem (e tutti sappiamo che quando si parla di carbonara la quantità di condimento è a sua volta una qualità), ma all’ombra della Madonnina tutti sembrano fare le cose vergognosamente al risparmio. Poco, ci si può sempre armare di pazienza e olio di gomito (due ingredienti indispensabili in cucina quanto nella vita quotidiana) e prepararsela in casa.
Il medesimo discorso di cui sopra vale per l’amatriciana, ma non voglio infierire ulteriormente.
6 – Etnico 2.0
Con la dicitura di cui sopra mi riferisco a quei ristoranti etnici un po’ fuori dal circuito tradizionale (cinese, tailandese, messicano, mediorientale, ecc.). In tutte le grandi città del mondo si pensi a Londra, Parigi e New York) ci sono dei ristoranti etnici ancora più di nicchia come ad esempio: basco, ungherese, creolo/caraibico, russo, portoghese, georgiano (a mio avviso buonissimo) ecc.
7 – (il prezzo dello) street food
L’offerta di street food a Milano è tutto sommato discreta – ovviamente lontanissima dalle città che hanno una tradizione consolidata come Roma, Napoli, Palermo (e per estensione tutta la Sicilia) o finanche Parigi in cui il cibo di strada sono le ostriche – i prezzi però il più delle volte oscillano tra il folle e l’improponibile. Si parla di circa 3,5 euro per un supplì comprato in strada (a Roma ne ho trovati di gran lunga migliori ad 1 euro), 4-5 euro per un arancino, per la pizza al taglio vedi sopra, panzerotti a 9 euro, ecc. Persino a New York dove i prezzi degli affitti sono stellari, la città pullula di parlor e cart con una buona offerta di street food ad un prezzo abbordabile (per un paio di dollari si può portare a casa un bell’hot dog o un pezzo di pollo fritto).
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SuperFiciale è un ristorante particolare, un posto che ti piacerà dalla A alla Z, e dove tutto puoi trovare, tranne superficialità.
Tutto merito di Cesare Maretti, l’estroso chef toscano che ha curato in ogni dettaglio, riqualificando questo ex cinema e mantenendone integra l’unicità (ci sono gli stucchi alle pareti, il grande camino e lampadari di modernariato!)
Anche il menù è curato e variegato: troverete sempre piatti gourmet, freschi, biologici e stagionali. Ed i prezzi? Tranquilli: sono del tutto nella norma, anzi!
La vera novità è: prezzo fisso e menù a sorpresa! Sempre diviso tra carne, pesce e vegetariano. A cena il prezzo è 30 Euro, ma se volete scoprire di più, potete ordinare 5 portate a 40 Euro. Per me SuperFiciale è un appuntamento fisso, e sono sicura che lo diventerà anche per te!
Registrandoti su Spotlime, l’app che seleziona i migliori eventi di Milano, riceverai un promemoria dell’evento e potrai rimanere sempre aggiornato su questo e tutti gli eventi simili in città. Inoltre, prenotandoti dall’app e partecipando agli eventi, riceverai un vantaggio esclusivo.
Ad un Novecento caratterizzato dalla massima specializzazione delle discipline, Milano oggi risponde con una “rivoluzione concettuale” in cui si riprendono i principi rinascimentali della multidisciplinarietà e della contaminazione. A Milano sta nascendo un modello di città ibrida dove arti e scienze si fondono.
4 LUOGHI DA VEDERE DOVE ARTI E SCIENZE SI FONDONO
# 1. Bosco Verticale: una meraviglia architettonica per un progetto di riforestazione metropolitana
Due edifici a torre nel quartiere Isola sui cui balconi sono state piantate più di 2000 specie arboree.
Obiettivo: conciliare l’estetica architettonica con un progetto ecologico all’avanguardia per incentivare l’espansione del verde, essenziale per la salute del corpo e della mente, nell’area metropolitana.
Risultato: una proposta così audace da vincere nel 2014 l’International Highrise Award e potersi vantare del titolo di “grattacielo più bello e innovativo del mondo”.
Unicredit ha scelto il grattacielo più alto d’Italia ed uno dei più fotografati di Milano come sede di rappresentanza. Non è un caso. Qui la finanza gioca il ruolo da protagonista e sfrutta l’architettura per dare vita ad una magia che affascina ed intimorisce allo stesso tempo (provate a passarci sotto!). Il messaggio di Unicredit, una delle più importanti banche italiane operante anche a livello internazionale, è forte e chiaro.
#3. Palazzo della Borsa: un contrasto concettuale tra arte vs borsa
Il Palazzo della Borsa, o Palazzo Mezzanotte , è spesso oggetto di accesi dibattiti. Soprattutto dopo il 2010, quando una provocatoria scultura dell’artista Maurizio Cattelan raffigurante una mano di marmo di Carrara con il solo dito medio alzato è stata posta di fronte alla facciata. Ma sorge un dubbio: il dito medio è rivolto alla Borsa, o è la Borsa che lo fa a tutti noi? Milano è pronta ad accogliere le sfide che si giocano tra diverse discipline e questo ne è un chiaro esempio.
#4. Lambrate: il design district come modello di inclusione e rigenerazione urbana
Posizione periferica, edifici industriali e atmosfera informale non spaventano il quartiere di Lambrate che in pochi anni è diventato una delle mete imperdibili per gli amanti del design. Se il “Salone del Mobile” è il momento clou in cui centinaia di mostre e installazioni si insediano negli spazi a disposizione (capannoni industriali, loft, ex officine, locali commerciali), la ricostruzione del quartiere è attiva tutto l’anno soprattutto grazie all’azione di numerosi writer e artisti. I loro graffiti decorano muri spogli e cadenti, dando a Lambrate un’altra faccia e un’altra vita. La street art sembra essere il partner perfetto per il risanamento della zona.
UNA FINESTRA SUL FUTURO
Ma cosa può fare ancora Milano per diffondere l’approccio ibrido e giocarsela con le migliori città al mondo in termini di efficienza, sostenibilità e innovazione?
#1. Tecnologie innovative dappertutto
Se nella contaminazione tra arti e scienze Milano ha il coltello dalla parte del manico, perché non sfruttare questa sua visione multidisciplinare anche in altri ambiti? Per esempio la gestione della città richiede ancora tanto lavoro di svecchiamento. Parcheggi, traffico, rifiuti e sanità non tengono passo ai ritmi milanesi. La soluzione: Intelligenza Artificiale, Cloud e Data Center, 5G. Il futuro di Milano è ibridare la tecnologia al tessuto urbano per vedere risultati efficaci nel più breve tempo possibile.
#2. Trovare coraggio!
È innegabile che tanta tecnologia spaventi un po’ tutti. Già ci immaginiamo passeggiare sereni per le vie del centro quando all’improvviso un drone taxi ci sfiora la testa. Beh… non sarebbe proprio questo il futuro tanto auspicato. Ma siamo sempre un po’ troppo pessimisti. Quello che conta è invece che Milano si metta in gioco ed elabori modelli sempre nuovi per crescere e migliorare, anche sbagliando se necessario. Perché se l’ibridazione di scienze e arti l’ha portata così lontano, lo farà ancora di più la tecnologia. Ci vuole solo un pizzico di coraggio.
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