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«Milano può guidare l’Italia a recuperare il posto che gli spetta»

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«A settembre tornerò e firmeremo il patto Milano-governo, per stabilire chi fa e che cosa, con che tempi e con quali certezze. Milano può guidare l’Italia a recuperare il posto che gli spetta» ha dichiarato Renzi nella sua visita a Milano di lunedì 12 luglio 2016.

«Vogliamo che Milano sia una città modello in Italia, per questo prima lavoriamo noi e poi chiediamo aiuto al governo», ha ribadito Sala.

Avanti così. Ci vediamo a settembre.

Burning Man arriva in Europa! I 10 comandamenti dell’evento più di culto del mondo

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Una città nel deserto. Una cultura della possibilità. Un festival di sognatori ed il network di chi crede nell’umanità. Arriva per la prima volta in Europa, a Veluwe, in Olanda, Burning Man, il celebre festival nato nel deserto di Black Rock, in Nevada, nel 1991 e che si ripete ogni anno con la sua carica di energia e voglia di partecipazione.

Burning Man, che tradotto significa uomo che brucia, deve il suo titolo allo spettacolo di tende e sculture in legno incendiate al tramonto. Una distesa spettacolare che il 29-30-31 luglio 2016 avrà per la prima volta una cornici di campi e canali, quelli olandesi.

the-burning-man-site-is-infested-with-swarms-of-disgusting-bugsSe per tradizione Burning Man è un evento esclusivamente americano, “gli organizzatori vogliono in futuro rendere il Burning Man un festival itinerante, con eventi un tutto il mondo” riporta Tpi.it.

burning manBeing a ‘Burner’ is more than going to an event. It’s a way of being in the world” – “Essere un Burner è più di recarsi a un evento. E’ un modo di stare al mondo” recita il sito Burningman.org da cui si affacciano le immagini di immense pire, installazioni d’arte, clown.

E se badiamo al valore apotropaico e catarico che pire di fuoco e festival di questo tipo hanno, sin dalle origini del mondo, possiamo ben capire quale sia la filosofia della manifestazione. Che non si tradisce nemmeno nel suo nuovo contesto europeo.

 

burning man europaLE 10 REGOLE DI BURNING MAN

A codificarle è stato il co-fondatore del festival, Larry Harvey, che scrisse i Ten Principles nek 2004 come linee guide del neonato Regional Network. Non si tratta di dictat e doveri, ma debbono intendersi come spunti sull’etica della convivenza e sul modo di vivere della comunità sin dagli inizi della storia di Burning Man.

#1.Radical Inclusion

Anyone may be a part of Burning Man. We welcome and respect the stranger. No prerequisites exist for participation in our community.
Ognuno può partecipareed esibirsi nella performance che preferisce

Join the conversation in the 10 Principles blog series.#2. Gifting

Burning Man is devoted to acts of gift giving. The value of a gift is unconditional. Gifting does not contemplate a return or an exchange for something of equal value.
Chi partecipare non può né vendere né comprare niente, con le sole eccezioni per il ghiaccio e il caffè. Ogni legame si basa sul concetto del dono.

#3. Decommodification

In order to preserve the spirit of gifting, our community seeks to create social environments that are unmediated by commercial sponsorships, transactions, or advertising. We stand ready to protect our culture from such exploitation. We resist the substitution of consumption for participatory experience.
Ovvero: lo spirito del festival resta quello puramente di incontro, scambio sociale, ed esclude qualsiasi forma di sponsorizzazione e transazione economica o pubbliicitaria.

#4 Radical Self-reliance

Burning Man encourages the individual to discover, exercise and rely on his or her inner resources.
Burning Man incoraggia la scoperta dell’individuo, per esercitare e realizzare le sue risorse interiori.

#5. Radical Self-expression

Radical self-expression arises from the unique gifts of the individual. No one other than the individual or a collaborating group can determine its content. It is offered as a gift to others. In this spirit, the giver should respect the rights and liberties of the recipient.

#6. Communal Effort

Our community values creative cooperation and collaboration. We strive to produce, promote and protect social networks, public spaces, works of art, and methods of communication that support such interaction.
Tutta la comunità si basa sulla reciproca cooperazione e valorizzazione.

150724115051-8-super-43#7. Civic Responsibility

We value civil society. Community members who organize events should assume responsibility for public welfare and endeavor to communicate civic responsibilities to participants. They must also assume responsibility for conducting events in accordance with local, state and federal laws.
Apprezziamo la società civile. I membri della comunità che organizzano eventi devono assumersi la responsabilità per il benessere pubblico e cercare di comunicare responsabilità civili ai partecipanti . Essi devono anche assumersi la responsabilità per lo svolgimento di eventi in conformità con le leggi locali, statali e federali

#8.Leaving No Trace

Our community respects the environment. We are committed to leaving no physical trace of our activities wherever we gather. We clean up after ourselves and endeavor, whenever possible, to leave such places in a better state than when we found them.
Non si lasciano tracce, ovvero, al momento della partenza bisogna lasciare più pulito di quando si è arrivati così da non lasciare traccia del proprio passaggio.

#9.Participation

Our community is committed to a radically participatory ethic. We believe that transformative change, whether in the individual or in society, can occur only through the medium of deeply personal participation. We achieve being through doing. Everyone is invited to work. Everyone is invited to play. We make the world real through actions that open the heart.
L’etica alla base di Burning Man è quella della partecipazione, del cambiamento nel fare, dell’individuo al servizio della società. Tutti sono invitati a lavorare, a giocare, a rendere il  lavoro un luogo reale attraverso le azioni fatte con il cuore.

10. Immediacy

Immediate experience is, in many ways, the most important touchstone of value in our culture. We seek to overcome barriers that stand between us and a recognition of our inner selves, the reality of those around us, participation in society, and contact with a natural world exceeding human powers. No idea can substitute for this experience.
“L’esperienza immediata è, per molti versi, la pietra di paragone più importante del valore nella nostra cultura. Cerchiamo di superare le barriere che si frappongono tra noi e un riconoscimento del nostro io interiore , la realtà di coloro che ci circondano , la partecipazione alla società, e il contatto con un mondo naturale superiore a poteri umani . Nessuna idea può sostituire questa esperienza”. 

(Fonte: Burningman.org)

Foto cover: Trey Ratcliff – Burning Man – Tall Onion Dome-X2

Appello per rendere Milano galleria d’arte a cielo aperto con vernici antinquinamento

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fonte: ambiente bio
fonte: ambiente bio

Si moltiplicano le iniziative per riqualificare con l’arte pareti dei palazzi. E’ forse la tendenza in atto di maggiore rilevanza come attesta questo esempio da Lanusei in Ogliastra, Sardegna:foto2lanuseiE Milano? In questo non sta a guardare, anzi. Sta mostrando una marcia in più nel settore privato, come attestano questi due esempi.

  1. MILANESI CHE SI TASSANO PER RENDERE IL LORO PALAZZO UN’OPERA D’ARTE

inquilini

In via Barrili, sul Naviglio Pavese, gli inquilini dello stabile che fa angolo con via Isimbardi hanno deciso di non affidarsi alla solita ditta di imbianchini, ma di autotassarsi e diventare mecenati di un’opera d’arte contemporanea che abbellisse il loro edificio e identificasse in modo nuovo il loro quartiere.

2. ART FOR AIR IN LAMBRATE

boscoIn Via Console Flaminio, Vivaio e Made in Lambrate hanno progettato un murales interamente realizzato con vernice capace di assorbire l’inquinamento. L’opera è stata dipinta dall’artista Fabrizio Modesti con il supporto di Ikea.

L’APPELLO: MILANO GALLERIA D’ARTE A CIELO APERTO CON USO DI VERNICI ANTINQUINAMENTO 

A questo punto lanciamo un appello all’amministrazione di Milano perché la nostra città si ponga come capitale dell’arte che fa bene anche all’aria. Proviamo a immaginare cosa potrebbe succedere se tutte le pareti spoglie dei palazzi venissero utilizzate per realizzare opere d’arte utilizzando una vernice capace di distruggere l’inquinamento atmosferico. Milano potrebbe diventare più bella e con l’aria più pulita, intervenendo in modo rivoluzionario per risolvere il problema cronico di essere una delle città più inquinate d’Europa. Basterebbe una delibera o comunque delle agevolazioni normative per rendere possibile la realizzazione di un’iniziativa pazzesca capace di coinvolgere tutta la città e di promuoverla in tutto il mondo come prima città a essere galleria d’arte all’aria aperta.

Il 21 luglio si tiene alla Triennale l’evento Smart Cities Against Pollution organizzato da Vivaio e patrocinato dal Ministero dell’Ambiente e dalla Regione Lombardia in cui si terrà a battesimo l’alleanza Air Quality tra città internazionali e aziende unite per abbattere l’inquinamento atmosferico. Ci saranno personaggi di spessore provenienti da tutto il mondo.

Crediamo che quella sia l’occasione perchè il nostro sindaco dia seguito al suo impegno dichiarato nei confronti dell’inquinamento e si faccia portavoce dell’istanza di trasformare la città in un’opera d’arte a cielo aperto in grado di contribuire a ridurre l’inquinamento atmosferico.

PRIMI FIRMATARI (per aggiungersi nella prossima tornata, scrivere a: info@milanocittastato.it):


Raffaella Appice
Paola Bacchiddu
Anna Balestra
Francesca Bartolino
Fabio Bergomi
Silvia Bertolini
Fabio Biccari
Glenda Cinquegrana
Luisa Cozzi
Alvise De Sanctis
Ida Di Lorenzo
Paola Favarano
Alessandro Fracassi
Luisa Galbiati
Elena Galimberti
Alberto Geneletti
Silvia Lora Ronco
Nicoletta Ludovini
Martesangeles
Danilo Mazzara
Marta Menegon
Francesco Moretto
néo Magazine
Alberto Oliva
Ivan Ortenzi
Grazia Pagliula
Vittorio Pascale
Pausami
Paola Perfetti
Alessandra Perrazzelli
Loredana Petti
Andrea Pezzi
Mariano Pichler
Lorenzo Polentes
Ugo Poletti
Alessio Quaglieri
Ginamaria Radice
Arianna Ricotti
Babette Riefenstahl
Alice Riva
Silvia Rosini
Luca Rossi
Giorgia Sarti
Alex Storti
Antonella Tagliabue
Marco Torchio
Antonella Thula Trapasso
Roberto Zanibelli
Andrea Zoppolato

Natalia Rak
Natalia Rak

MI2016, nuove economie: creatività e visionarietà come carburante – PARTE III

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Quest’articolo, come i due precedenti, non vuole e non può essere esaustivo. Si tratta quindi essenzialmente solo di una serie di spunti di riflessione sulla contemporaneità, con tutte le difficoltà che questa offre. E’ il terzo contributo focalizzato sul concetto di “contaminazioni/visionarietà” a Milano e, in questo ultimo caso, cambia il punto di riferimento: non più quindi, come focus, la contaminazione tra le arti visive (nell’articolo che trattava gli anni ‘30/’40) e non più il design come perno verso l’altrove (nell’articolo che trattava gli anni ‘60/’70); questa volta il centro pulsante dell’articolo è rappresentato da una strana texture composta sì da designers, artisti, stilisti e beni culturali riconosciuti, ma anche da industrie, eccellenza, coraggio, territori parlanti, Made in Italy e soprattutto nuove economie e innovative stray dogs.

Al centro di queste c’è un modello di aggregatori in qualche modo accomunati tra loro dal concetto di “condivisione”: stiamo parlando di un’ibridazione tra “centro sociale”, “spazio di lavoro”, “campus”, “laboratorio”, “associazione”, “incubatore”, “bar di quartiere”, “centro di ricerca” e “sala biliardo”. Questo modello spazia dal centro visionario e pulsante di innovazione e creatività sino ad una semplice nuova visione degli spazi lavorativi. E, sottolineo, il concetto di cani sciolti – innovative stray dogs.

Ecco, se dovessi esprimere le mie preferenze, andrebbero senz’altro verso una più approfondita analisi dell’aspetto dei “creative stray dogs” che in questi ultimi 5 anni hanno costituito e costituiscono ancora, senza ombra di dubbio, un humus esplosivo dal punto di vista ideativo e visionario. Ma come si fa a trattare di cose che sono in continuo divenire, molto spesso senza copywriter o brevetto, ma caratterizzate da una fluidità che risponde più ad una sorta di “Logica dell’Acqua” che ad una pianificazione organizzata? E’ necessaria una visione liquida che è quella più adatta alla comprensione di una realtà in uno stato di perenne cambiamento: sembrerebbe una vera e propria lezione di Taoismo ma siamo a Milano, in una vera e propria “water smart city” a elogio della duttilità, apertura ed elasticità testimoniate dalla propria lunga storia pronta alle sfide della sharin’ economy, speriamo.

copernico milanoAggregatori

Due le più particolari realtà aggregative (anche perché, ahimè, lo spazio non ci permette di più).

Il primo è Talent Garden (Tag), network europeo di coworking, che conta su un totale di 13 campus tra l’Italia e il resto del Continente: dopo la sede di via Merano, inaugura il nuovo campus Calabiana della via omonima (qui, nel 1842, c’era la tipografia che stampò la prima copia dei Promessi Sposi), a pochi metri dalla Fondazione Prada che è allo stesso tempo luogo di formazione, sviluppo, lavoro e incontro per chiunque lavori nel mondo digitale (nel senso extended del termine).
Apertura 24 ore su 24, al suo interno vive anche Digital Magics, incubatore di progetti digitali.

Come secondo, parliamo di Copernico Milano, nella via omonima. Vicinissimo alla stazione Centrale, lo spazio coworking Copernico è accessibile 24 ore su 24 e propone offerte “personalizzabili” di spazi con un concetto di smart working e collaborative spaces, al cui interno si sono mosse persone ed organizzazioni che hanno partecipato attivamente all’innovazione targata 2014-2016. Tra i servizi inclusi, concierge, connessione, accesso al “club” (bar e lounge) e utilizzo di spazi per condividere progetti con la cittadinanza, comunque sempre a sfondo sociale.

Lista di aggregatori

(non completa e ci scusino gli esclusi ma viviamo in momenti convulsi dal punto di vista dell’aggiornamento continuo).

  • Cowo, Milano Lambrate, via Ventura, è il primo co-working ad aver aperto i battenti nel 2008, con un’offerta totale di sette formule per i soci;
  • Avanzi, in via Ampère, fondata nel 2011 e parte dell’associazione omonima;
  • Impact Hub, via Paolo Sarpi, circuito di incubatori e spazi da 75 città al mondo;
  • Piano C, via Simone d’Orsenigo, un centro integrato di servizi per lavoro, riunioni e “servizi salva tempo” come una lavanderia e negozi biologici;
  • Regus, con 3mila sedi al mondo, dagli “uffici temporari” agli spazi di coworking veri e proprio;
  • Login, via Stefanardo da Vimercate, Coworking tecnologico;
  • If – Idea Factory, via Carlo Torr e via Ascanio Sforza, un coworking indirizzato (soprattutto) al popolo dei “creativi digitali”, dalla fotografia al marketing;
  • inCowork, via Montegani, con una veranda da 150 metri quadri.

Ognuna di queste esperienze meriterebbe un capitolo a parte!

Una settimana simbolo di una città che si muove

La domanda importante è: siamo al centro di un’onda che ci porterà concretamente sulle spiagge di una nuova cittadinanza? Tutto questo fermento, così inaspettato sulle ceneri di un 2008 da crack, è illusorio?

Per questo abbiamo scelto due settimane tipo della vita cittadina: la prima è quella che va dal 13 al 22 giugno 2015, in cui sono avvenuti incontri straordinari in quanto a numeri e qualità (e badate bene che quelli elencati sono solo gli eventi che personalmente conosco, in realtà sono stati molti di più).
E’ altresì evidente che l’Esposizione Universale abbia fatto da volano a tutta questa abbondanza di progettualità.

FOODAMI
La settimana dal 13 al 22 giugno 2015

Eccoli questi eventi, tutti concentrati in un brevissimo periodo (provate a leggerli velocemente uno dopo l’altro per ‘sentire’ l’effetto che fa).

22 maggio 2015: “Good design, food design – Interior and exterior food landscapes”, by INTERNI. Uno tra i 20 eventi in un percorso tematico attraverso i flagship store del design Made in Italy.

Fino al 21 giugno, “A occhi aperti. Sguardi d’autore”, Cascina Triulza. Mostra di foto realizzate da dodici talenti dell’Istituto Italiano di Fotografia che hanno raccontato il Made in Italy.

Dal 10 al 30 giugno, Mediateca Santa Teresa. “Meet the Media Guru Special Edition – Future Ways of Living” alla quale hanno partecipato decine di guru del digital ed esperti di innovazione, di nuovi linguaggi e di nuove branche del sapere, dalla geografia emozionale alla realtà aumentata ai maker.

20 giugno, “Linking food security to sustainable agricultural policies in the Mediterranean”, workshop in tre sessioni, Cascina Triulza.

14 giugno nel Padiglione Cibus le 79 Camere di Commercio Italiane all’Estero si sono incontrate per condividere le future strategie digitali.

Dal 17 al 21 giugno alla Fabbrica del Vapore tutti hanno potuto partecipare alla costruzione di quella che sarebbe diventata la torre Lego più alta del mondo.

Mercoledì 17 giugno, seminario di WAME (World Access to Modern Energy) “Le rinnovabili e l’innovazione per fornire energia sostenibile a tutti”, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia.

17 giugno, Palazzo ai Giureconsulti: Assocamerestero e le CCIE hanno incontrato Piero Bassetti per parlare di “italici” e “glocalismi”.

17 giugno, Expo Milano 2015, National Day del Regno Unito e il giorno dopo quello della Germania con incontri, divertimento ma anche firme, accordi e cooperazione.

20 e 21 giugno, EXPOP, 4° edizione, un’iniziativa di Vivaio, al 39esimo piano del Palazzo della Regione Lombardia e nel Vivaio Riva. Con 14 nuovi progetti da votare e finanziare. Le parole chiave di questa iniziativa fortemente articolata e disseminata sono stati: PASSATO-PRESENTE-FUTURO.

20 e 21 giugno, Hackathon di Microsoft: si è tenuta una due giorni orientata al futuro del cibo e all’uso delle nuove tecnologie per migliorare il settore agro-alimentare grazie ai Big Data e a Internet of Things (IoT).

19 giugno, FOODAMI (Rassegna con produttori, contadini ed esperti del settore agro – alimentare), Expogate.

13 giugno, “Cenaconme!”. L’incontro conviviale e dress coded dal titolo “The ‘Earth’ without ‘Art’ is just ‘Eh’” si è svolto in Sant’Ambrogio con migliaia di partecipanti.

16 – 20 Giugno, Edison Innovation Week, Edison Center. Una settimana interamente dedicata all’innovazione tecnologica e alla creatività di ricercatori, startupper e artigiani digitali.

Attivo il “Refettorio Ambrosiano” ideato dallo chef Massimo Bottura, una iniziativa di 40 chef stellati, insieme al Politecnico Milano e alla Caritas per riutilizzare i cibi avanzati in Expo. 

18 giugno, continuano i meeting dopo l’incontro “MILANO 2030-MI030” della settimana precedente con giovani tra i 15 e i 25 anni riuniti dall’ex assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri.

18 giugno, convegno “Servi e signori” con Walter Siti, Pinacoteca di Brera, all’interno di una condivisione del mondo della cultura.

20 giugno, Energizer Night Run, Cascina Triulza: la campagna UNICEF contro la malnutrizione.

20 giugno, Tavola rotonda “Nuovo umanesimo: i lineamenti, le sfide, le frontiere”, Cascina Triulza; promossa da MCl e Università Cattolica del Sacro Cuore.

22 giugno-16 luglio, al Festival “La Milanesiana. Letteratura Musica Cinema Scienza Arte Filosofia e Teatro” si susseguono più di 50 incontri.

Teniamo pure conto che, contemporaneamente, in quello stesso giugno dello scorso anno, si è mossa su più piani una vera e propria fibrillazione composta da idee e progetti imprenditoriali e non: 878 idee presentate ai Tavoli Tematici, 867 progetti inviati alle Best Practises, 100 progetti presentati a “We – Women For Expo”, 99 a Expo Scuola, 125 a Childrenshare, unitamente a 1.500 start-up innovative che hanno visto la luce in Italia (non ho dati su quelle localizzate a Milano ma comunque in Lombardia ce ne sono state più di mille su un totale di circa 5.000), un dato impressionante se confrontato con le sole 30 start-up innovative registrate in tutto il 2009. E con treni, auto e aerei, 20 milioni di persone provenienti da tutto il mondo stavano per incontrarsi in un abbraccio targato “Esposizione Universale” e contraddistinto da centinaia di altri piccoli e grandi eventi privati di cui non sapremo mai l’esistenza né i particolari.

Quello che è successo in questa iper-creativa settimana del 2015 potrebbe sembrare una realtà passeggera e quindi effimera ma se guardiamo ai nostri giorni, prendendo la settimana dal 29 giugno al 7 luglio 2016, vediamo che si è realizzata un’altra serie straordinaria di eventi sullo sfondo di una Milano tornata vorticosa.

la-milanesianaLa settimana dal 29 giugno al 7 luglio 2016

Appena conclusi il “Kuka open traces”, un workshop nell’ambito di un progetto di ricerca Robotrip (by Wemake, centro pulsante della Milano Makers), il “Social Media Marketing Day” e la “Edison Innovation Week 2016 – Il battito dell’innovazione”, prendiamo ora in considerazione la suddetta settimana partendo da “21st Century. Design After Design“: dopo vent’anni torna la grande esposizione internazionale della Triennale di Milano, che si articola in un programma di mostre, eventi, call, festival e convegni diffusi in tutta la città, dalla Triennale alla Fabbrica del Vapore, dal Pirelli Hangar Bicocca ai Campus del Politecnico e dello IULM al MUDEC, dal Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci a BASE, dal Palazzo della Permanente all’Area Expo, dal Museo Diocesano fino alla Villa Reale di Monza, sede storica delle prime Mostre Internazionali.
Il periodo? Maggio – settembre 2016.

Ecco che parte anche la “Class Digital Experience Week” (conferenze, mostre, workshop e iniziative diffuse dedicate all’alfabetizzazione dei cittadini) e Meet The Media Guru che ha portato il 29 giugno al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Luigi Ferrara, direttore dell’Institute without Boundaries – George Brown College di Toronto, che si occupa di design generativo e collaborativo.

E ancora: “La Milanesiana. Letteratura, Musica, Cinema, Scienza”, un Festival diretto da Elisabetta Sgarbi creato nel 2000, dalla forte vocazione internazionale con circa 60 appuntamenti; la “Festa dei Musei” sabato 2 e domenica 3 luglio e, subito dopo, il 7 luglio, il Digital360 Awards, in cui si sono valutati 39 progetti finalisti.

A far da potente collante di questa settimana dalle mille sfaccettature, il primo luglio ha segnato la riapertura dell’ “Albero della Vita” e del “Palazzo Italia” dentro Expo, unitamente al grande ‘Orto planetario’, al progetto “Experience-rEstate” e “City after the City” della Triennale: si può parlare di effimeri momenti?

Come una specie di “milanessss wave”

Nel nostro breve articolo la ribalta spetta quindi, in qualche modo, a quel flusso costante di idee creative che producono servizi e innovazione in molti ambiti; ci piace notare che dopo la consacrazione di Milano a capitale mondiale del Design e della Moda, secondo Italo Rota, autore fra l’altro del Museo del ‘900 di Milano, “il capoluogo lombardo è ormai una delle capitali del mondo digitale” mentre il mitico Gualtiero Marchesi e Marco Gualtieri di Seeds&Chips indicano la metropoli meneghina come futura capitale del cibo.

Aggiungo, in relazione alla Milano digitale, i nomi di 4 grandi personaggi fondamentali nella costruzione della sua storia che sono mancati da poco: Marco Zamperini, Alberto D’Ottavi, Enrico Gasperini e, per ultimo, Gianroberto Casaleggio, tutti a loro modo folli e visionari e sul campo sino alla fine da veri  ‘digital evangelist’ quali erano. A questi si aggiunga pure il trasferimento a Londra di Marco Camisani Calzolari e si ha un quadro preciso dell‘enorme vuoto che si è venuto a creare nella nostra città.  

Metropolitan deep soul

Se sprofondiamo nella ‘metropolitan deep soul’, troveremmo iniziative che sfuggono a qualsiasi classificazione se non a quella di appartenere alla grande famiglia della tecno-creatività, contemplando anche “aree ibride” in cui si situa la produzione creative-driven, che va dalla manifattura evoluta, appunto, all’artigianato artistico (molto consigliata in questo caso la lettura della ricerca “Io sono cultura” firmata Symbola e Unioncamere).

Mi piace traslare su Milano un recentissimo commento di Daniel Libeskind sul nostro paese: “l’Italia non è soltanto un paese, è molto di più: è una cultura, un fenomeno spirituale. E non si tratta solo della geografia, dell’arte, dell’architettura, del design. È la completa profondità che l’Italia rappresenta nel mondo, in ogni campo, dall’arte alle scienze, dalla letteratura alla bellezza che, in qualche modo, tutti abbiamo ereditato”.

 

Inizio modulo

Cani sciolti, nuove economie e duende (il creativo fuoco sacro per Garcia Lorca)

Si sta creando una specie di geografia del talento ma ormai anche la migliore geografia è sempre più liquida, con nuovi continenti delineati più dall’appartenenza ad un social network che da un confine materiale; i personaggi stanziali e/o di passaggio spaziano dai nuovi giovani imprenditori (vedi il centro Copernico nell’omonima via come catalizzatore), veri e propri innovative stray dogs come Adriano Giannini ed il suo progetto di food design “Narratè”, o Gabriele Mina, antropologo e creatore dei “Costruttori di Babele. Sulle tracce di architetture fantastiche e universi irregolari” a nuove entità come il Social District NOLO (a nord di Loreto), che sta spopolando per iniziative e creatività a colpi di feste, cene e cotillons di quartiere.

Molte le organizzazioni che coniugano il sociale (atomi) e il social (veri bit doc, direi), che si moltiplicano e tratteggiano una vera onda nell’onda.

Qualche esempio: Swappen è una piazza virtuale e fisica per scambiare qualunque cosa ed ha come motore Serena Luglio; Wonder Way è un’organizzazione per tours votati al “training della meraviglia” di Milano e il cui cuore pulsa grazie a Sara Atelier (coinvolta anche in Soppalco e in NOLO Discrit) e Giulia Capodieci; #Cenaconme (di Rossana Ciocca che proviene dal campo dell’arte, con l’aiuto di Alessandra Cortellazzi) che richiama nel cuore della città migliaia di commensali in magici rituali tutti rigorosamente con dress code oppure nuovi talenti musicali come Federica Abbate, autrice e cantante di parecchie Hit, con numerose iniziative discografiche all’attivo nell’ultimo anno; proviene dalla zona sud ovest di Milano dove abitano anche due tra i più grandi rapper nazionali e molti sound designers.

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Non è tutto Rinascimento quello che luccica

Finiamo con una nota riflessiva, che spero aiuti a dare ‘profondità’ e contrasto a questo (per forza di cose) parziale articolo. Siamo tutti convinti (noi che lavoriamo o forse è meglio dire noi che ‘agiamo’ l’ambito creativo-innovativo a Milano) di vivere in un momento irripetibile, unico, ma si tratta soltanto di una percezione che la conoscenza della storia può collocare in una migliore prospettiva.

Torniamo per un attimo al ‘500. “Mundus Furiosus” era il nomignolo affibbiato all’Europa dopo la scoperta delle Americhe. “Mundus Furiosus”: questo era il clima tra Rinascimenti, nuove frontiere, nuovi continenti, nuove religioni e nuove tecniche di comunicazione. Si trattava di un’Italia percorsa in ogni dove (Milano, Ferrara, Mantova, Urbino, Firenze, Roma, Napoli, Padova e Venezia) dal fremito rinascimentale, che comprendeva anche una stampa scoperta nel 1455 che si stava diffondendo alla velocità della luce (solo sei anni dopo a Bondeno di Ferrara nacque la prima stamperia a caratteri mobili italiana) e, fuori dai nostri confini, l’avvento della religione protestante, la scoperta delle Americhe con veri e propri scontri di civiltà e la conseguente contaminazione, la meraviglia costituita dalla Scuola Fiamminga nei Paesi Bassi e mille altre scoperte, arti e avvenimenti che fecero dell’Europa intera un convulso, eclettico, straordinario centro mondiale dell’innovazione. Probabilmente un’Europa più complessa, creativa e innovativa di quella odierna: sarà Milano la sorpresa del III millennio?

 

(foto cover: Ordinearchitetti.mi.it)

Una notte d’estate a Milano aspettando l’alba

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Le notti che ho trascorso a Milano sono sempre state tra le più memorabili. Mi sono goduto  passeggiate in solitaria lungo i Navigli. Autentici photoshooting con la Galleria Vittorio Emanuele deserta a fare da Cicerone ad amici stranieri, elettrizzati per il contrasto della mia città così affollata di giorno e assai deserta notte. Ricordo ancora di quella volta che decisi di aspettare l’alba in Corso Buenos Aires. Ma mentre tutti dormono per prepararsi all’ennesima giornata di lavoro, che cosa fa la Milano di chi vuole godersi una notte da leoni in piena regola?

Una notte da leoni a Milano in 10 punti

#1. Preparativi.

Ci si trova per un happy hour, o apericena che dir si voglia. Quindi, ci si diverte fino alla chiusura dei locali, intorno alle ore 2 del mattino. Verso quell’ora, armati di gambe buone e una giacchetta per ripararsi dall’umidità della notte, siamo pronti per l’avventura della nostra notte milanese.

#2. Ore 2:00 Darsena.

Se c’è un tram-bus notturno, prendetelo, altrimenti inforcate la vostra bici o meglio, dirigetevi a piedi verso Piazza 24 Maggio – Porta Ticinese. Nel silenzio della notte potrete immergervi nei riflessi della città sull’acqua dei navigli. Per tappare la malinconia o i postumi dei drink prendetevi delle Patate Amsterdam e spostatevi in Corso di porta Ticinese.

#2. Ore 2:30 Colonne di San Lorenzo.

Solo a Milano puoi trovare un autentico porticato romano in pieno centro città che ti dia la possibilità di sederti sotto i suoi architravi senza pagare.
A rendere indimenticabile quel momento, poi, c’è Beck’s Man, l’omino servi-drink delle Colonne. Se lo vedete ancora in giro potete salutarmelo: è un’istituzione da queste parti. Lo riconoscete dal box con le birre al collo e dagli applausi scroscianti che fa partire ogni tot, e che rimbalzano qua e là per tutto il corso.

#3. Ore 3:00 Via Torino.

Proseguite in via Torino, dando un’occhiata alle vetrine. Con i negozi chiusi le merci in esposizione hanno il fascino del ‘vorrei ma non posso’. Quando arrivate in Duomo la vista sulla piazza vuota vi lascerà di stucco per la sua immensità.
Andate in Galleria e fatevi incantare da come si presenta: deserta, è li solo per voi e forse qualche turista notturno o qualche cittadino insonne.

#4. Ore 3:30 Via Dante.

Dopo aver svoltato davanti alla Scala, girate a sinistra per la loggia dei Mercanti, dove si respira nel silenzio l’atmosfera della Milano medievale. Quindi proseguire in via Dante, passando da piazza Cairoli, attraverso l’Expo Gate fino al Castello.
Milano è anche questo: sa regalarti un viaggio nel tempo dal passato al futuro in pochi passi.

#5. Ore 3:40 Il Bivio.

Se non siete ancora stanchi avete due opzioni: andare a destra o a sinistra.

Opzione sinistra
Se girate a sinistra lungo Foro Buonaparte arrivate a Cadorna e buona notte. Il vostro viaggio termina qui. Volete questo?!?
Opzione destra
Girando a destra il vostro viaggio si allunga.

#6. Ore 4:00 Parco Sempione.

Dovrete costeggiarlo perché é chiuso di notte.
Iniziano a scorgersi le prime venature di luce nella notte, con i runner più mattinieri già sgambettanti gli operatori dell’Amsa che ripuliscono le strade.
Fate l’ultimo sforzo, imboccate Corso Garibaldi, Corso Como e arrivate fino in Piazza Gae Aulenti. Le vetrate di Milano non sono mai state così scintillanti.

#7. Da qui ammirate l’alba che sboccia di fronte a voi, i riflessi sui palazzi di Via Melchiorre Gioia, sono circa le ore 5:20.

 

#8. La città è vostra, colazione al Red in Gae Aulenti.

 

#9. Ore 5:55 a questo punto le metrò si stanno aprendo, potete proseguire o tornare a casa. Ma perché, poi?

 

#10. Ore 6. Prendete la Lilla in direzione San Siro.

Scendete a Portello e proseguite per ammirare le bellezze di come il tetto della MiCo che si colora dell’alba e un po’ più in su la Collina nel Parco Industria Alfa Romeo, vi passerà sotto il naso Piazza Gino Valle una Piazza particolare per la sua architettura con forme geometriche che colpiscono per come sono accentuate, per chi è abituato alle forme di Melchiorre Gioia o Gae Aulenti, Gino Valle offre un alternativa.

7:00 Non so voi ma io sono già a letto, per la città questo è solo l’inizio del ciclo che si ripeterà.

#RestlessMilan

10 momenti indimenticabili della festa di Milano Città Stato all’Atelier Forte

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Duilio Forte aspetta gli invitati
Duilio Forte aspetta gli invitati

Martedì 5 luglio. Nella tradizionale festa di fine stagione di Vivaio c’è stata una novità in più: la prima festa di Milano Città Stato. Sede dell’evento è stato l’Atelier Forte, il luogo più gotico e surreale di Milano. Ecco 10 momenti che ci piace condividere con chi non c’è stato.

10 momenti indimenticabili della festa di Milano Città Stato all’Atelier Forte

#1 Il giro sui cavalli volanti

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Il giardino dell’Atelier è popolato di enormi cavalli di legno sospesi. Sono gli Sleipnir. A cui si accede in modo rocambolesco.

#2 Le polemiche per il coreano che ha copiato i cavalli di Duilio Forte

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La rivista Domus ha pubblicato le creazioni (nella foto) di uno studio coreano che dice di ispirarsi ai lavori di Enzo Mari. Nessuna menzione di Duilio Forte il padre dei cavallucci di legno più celebri nel mondo del design. Basta cliccare sull’articolo per leggere nei commenti le proteste degli appassionati: Articolo Domus

#3 Il tavolo che autoproduceva cibo

tavolaPer organizzare l’evento si è decisa una formula evergreen di sicuro successo: ogni partecipante doveva portare cibo e bibite. Chi arrivava entrava in un grande salone e metteva ciò che aveva portato sul tavolo. In questo modo chi entrava in sala vedeva ogni momento qualcosa di nuovo e sembrava che fosse il tavolo a produrre cibo, senza sosta.

#4 Il moltiplicarsi del vino

vinoIdem per il vino. Più se ne beveva e più apparivano nuove bottiglie. Una quantità infinita che ha reso tutti brillanti.

#5 Gente persa e mai più ritrovata

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La casa officina di Duilio Forte ha questa caratteristica: chi ci entra è perduto. Nel senso letterale del termine.

#6 I draghi meccanici

dragoPer vincere la noia spaventano i viandanti.

#7 I cancelli invalicabili

grind-cancello (1)Lasciate ogni speranza voi che restate fuori.

#8 Il dibattito post elettorale

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Dopo aver messo pepe nella campagna elettorale ed esserci presi apprezzamenti e insulti dalle diverse parti, uno dei temi più gettonati era: adesso il sindaco Sala terrà fede al suo impegno preso con Milano Città Stato?

#9 Proposte per l’opportunità della Brexit

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Alla fine negli incontri di Milano Città Stato ha sempre la meglio la voglia di progettare. Sono state ideate proposte per consentire a Milano di prendere il posto di Londra.

#10 La flanella d’estate e altre storie

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In dirittura d’arrivo si è ceduto a un altro evergreen: i racconti d’estate. Tra i più gettonati quello di un gruppo di amici che sono stati controllati alla frontiera una ventina di anni fa: i gendarmi francesi hanno trovato nella cassetta del pronto soccorso dell’automobile un plico di riviste pornografiche. Oppure il ricordo di un’estate da militare, con il capitano che ha ordinato a una recluta: “Prendi là uno e portate via l’immondizia”. E la recluta ha riempito di spazzatura la Uno del capitano. Cose così.

10 film che accendono la voglia di mare: le nostre psicorecensioni

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La voglia di mare è un sentimento ben preciso. Anche perchè spesso rappresenta un desiderio inconscio che si vuole soddisfare. Per capire di quale desiderio si tratta ecco 10 film riletti in modo psicologico.

voglia di mare10 film che accendono la voglia di mare

 

#1 Sapore di Mare – Carlo Vanzina

Dal punto di vista ontologico Sapore di Mare riprende la spinosa diatriba dialettica tra Hegel e Kierkegaard: l’esistenza è solo del singolo oppure può essere ricondotta a una unità sistemica sovraindividuale?

 

#2 Lo Squalo – Steven Spielberg

I bambini in spiaggia urlano e alzano la sabbia, ma Spielberg ricorda a tutti noi che c’è sempre una speranza.

 

#3 Titanic – James Cameron

Film fortemente osteggiato dalle principali compagnie di crociere di lusso ma molto apprezzato da chi ha la voglia inconscia di usare la vacanza per sbarazzarsi del partner.

 

#4 La vita di Pi – Ang Lee

Cosa c’è di peggio che andare alla deriva? Andare alla deriva con una tigre e vivere nel costante terrore di diventare una scatoletta di Friskies. Per chi se la passa male ma ha bisogno di sapere che c’è chi sta peggio.

 

#5 Alla deriva – Hans Horn

Un film dall’alto contenuto pedagogico che insegna un concetto molto semplice: il guidatore designato, cioè il tizio che rimane sobrio, è utile averlo in ogni situazione della vita.

 

#6 Open Water – Chris Kentis

Meglio essere dimenticati da vostro padre al campetto che dalla barca d’appoggio in mezzo all’oceano.

 

#7 Point Break – Kathryn Bigelow

Regista donna, Keanu Reeves e Patrick Swayze come attori. Per chi nel mare cerca non solo onde ma anche tanto testosterone.

 

#8 Travolti da un insolito destino… – Lina Wertmüller

La rivincita dello stato di natura. Cioè prendete un uomo e una donna e improvvisamente eliminate le sovrastrutture sociali. Per chi ha bisogno di una vacanza dal proprio super io.

 

#9 The Beach – Danny Boyle

Per chi ha voglia di spiagge ancora selvagge, lontane dai bagnini, dalle famiglie che grigliano alle due quando il sole è allo zenith e sopratutto lontane dai pedaggi degli stabilimenti.

 

#10 Cast Away – Robert Zemeckis

Mollare tutto e scappare su un’isola deserta? E’ un’idea ancestrale che cova nell’animo di ogni milanese. Sembra fantastico ma in Cast Away il regista dà una lettura un po’ diversa.

La Croazia ci piace perché ha ciò che l’Italia ha perduto

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Kamenjak, Istria

Sono stato in Croazia cinque giorni. Le vacanze fanno bene allo spirito, al corpo, e alla mente perché consentono di vedere la realtà da nuove prospettive. Specie andare in Croazia di questi tempi.

L’ultima volta che ero stato da queste parti era il tempo prima della guerra in Jugoslavia. Ero un ragazzo e anche se la guerra era ancora impensabile, si percepiva la tensione che sarebbe poi sfociata in eventi così tragici. Ora ovviamente è tutto un’altra storia. A vedere quanti italiani c’erano su queste terre mi viene da pensare che ora siamo noi in fuga: può essere una battuta o una provocazione, invece ho visto che proprio questa è la ragione per cui si va in Croazia.

Cosa ha la Croazia che noi non abbiamo? Le coste non hanno paragone con le nostre: ne abbiamo molte di più, per tutti i gusti. Non ci può essere neanche quel gusto per l’esotico, visto che troviamo lo stesso mare Adriatico che abbiamo noi. In Istria si trova poi un popolo simile al nostro, per lingua e cultura, che abita città eredi della tradizione veneziana. Sembra di essere a casa nostra eppure tanti vogliono andare lì e, standoci, si scopre che sembra tutto uguale ma c’è qualcosa di radicalmente diverso: la Croazia ha un elemento fondamentale che l’Italia non ha più.

La Croazia ha la libertà.

L’apice di questo lo si trova a Kamenjak. E’ una lingua di terra in mezzo al mare, la penisola più bella e selvaggia dell’Istria. Da noi in un luogo così avrebbero costruito l’impossibile, ceduto lotti per ville e le spiagge le avrebbero assegnate a stabilimenti privati.
I croati non hanno fatto nulla di questo. Anzi. Ne hanno ricavato un parco naturale dove si pagano all’ingresso 5 euro per ogni macchina, ti consegnano un sacchetto per l’immondizia e poi dentro puoi fare quello che vuoi.  Ci sono decine e decine di spiagge, tutte libere. Chilometri di verde selvatico, dove l’unico insediamento sono baracchini anarchici immersi nella natura. C’è gente in costume, gente che prende il sole nuda, giovani che si accampano tra gli alberi, motociclisti che girano senza casco.  Nessun cartello di divieto, nessun vigile, nessun vincolo. La libertà è totale.

In questo luogo si trovano persone di tutto il mondo ma in questi giorni ho visto che gli italiani sono la maggioranza. Italiani che in mezzo alla natura e alla libertà ci vivono benissimo. Non esiste cartaccia buttata in terra, niente caos, i molti turisti italiani qui mi hanno fatto capire che non sono i cittadini il problema, o meglio: il problema dell’Italia sono il governo e la sovrastruttura di regole che noi cittadini abbiamo contribuito a creare. Ma ancora di più il problema è una cultura del controllo che ci ha fatto perdere di vista il valore fondante della libertà.
Abbiamo costruito un Paese dove la libertà degli individui è sacrificata in nome di paure infondate o di ossessioni innaturali come quella di poter controllare le persone.

Il parco di Kamenjak è la punta di diamante di una terra che anche per il resto è gelosa della propria libertà. Girare per l’Istria è come trovarsi nell’Italia dei sogni: gente simpatica e gentile, che cucina benissimo ma soprattutto esprime in tutto quello che fa una libertà che da noi non esiste più.  In Croazia la libertà è il bene sommo. Lo si capisce ovunque.
Anche perchè il popolo croato la libertà se l’è conquistata con il sangue: innanzitutto la libertà di autodeterminazione, di gestirsi in autonomia. E ora la libertà di ogni persona di poter vivere la sua vita con onestà e rispetto per gli altri senza essere imprigionato da regole, burocrazia o da un ordine superiore.

E non è la Croazia l’eccezione: l’eccezione nel mondo cosiddetto civile siamo noi. Quando stavo in Germania ricordo un articolo di una rivista che all’arrivo dell’estate presentava l’Italia come la terra dei divieti, il luogo dove tutto è proibito.
Purtroppo ormai non ci facciamo più caso. Per noi ormai è normale essere governati da un governo centralista che non ha eguali in Europa, è normale avere limitate delle libertà che altri popoli invece le vivono in modo totale: libertà di fare impresa o di fare qualunque attività senza dover pagare balzelli assurdi o essere trattato da criminale potenziale, poter vivere rispettato dalla burocrazia, non dover sottostare a migliaia di regole o autorizzazioni di funzionari ma poter vivere tenendo come unico limite la libertà degli altri.

Devo confessare che sono andato in Istria pieno di pregiudizi. Pregiudizi da membro di una famiglia istriana: mio nonno un giorno da Umago ha preso una barca a remi ed è scappato a Venezia, da un paese che aveva perduto la libertà per andare nella terra che a quei tempi della libertà era un baluardo.
Sono andato in Croazia con l’idea che quelle terre che hanno la nostra stessa architettura, abitate dalla nostra stessa gente, fosse un peccato che non appartenessero più al nostro paese. Ma mi è bastato vedere stranieri di ogni nazione in una quantità impressionante che nessun posto di mare in Italia potrebbe immaginare, è bastato vedere la marea di italiani soprattutto del Veneto che preferisce fare molta più strada per ritrovarsi in luoghi simili a quelli che hanno lasciato, con gente che parla la loro stessa lingua, ma per trovare qualcosa di diverso. È bastato vedere per cinque giorni coste che sono un vero bene pubblico e sono lasciate disponibili gratuitamente alle persone, è bastato vedere l’assenza di polizia, vedere la faccia di chi fa impresa, di piccoli negozianti liberi di fare, è bastato girare libero da divieti e costrizioni per vincere ogni pregiudizio ed arrivare a dire questo: io credo sia un bene se l’Istria e la Dalmazia sono oggi governati dal governo di Zagabria.

E’ una fortuna per quelle terre che non siano più sotto un governo che ha devastato le nostre coste, che ha sperperato il bene comune e che ha levato molta libertà ai suoi cittadini, sostituendola con regole e controlli oppressivi. Un governo di un Paese che 150 anni fa è nato sulla spinta dell’autodeterminazione e della voglia di libertà da governi stranieri ma che oggi ha perso questo suo valore fondante e costringe le persone ad andarlo a cercare all’estero in vacanza o come scelta di vita.  
Possono bastare anche pochi giorni in Croazia, così come a Berlino, in Spagna, a Dublino o in tante altre terre più o meno lontane dalla nostra per capire che il valore più grande di una persona è la libertà.

E’ tempo di rientrare. E il motivo che mi spinge ad essere ottimista nonostante tutto e a lasciarmi le spalle ieri Berlino e oggi le coste dell’Istria, è il sogno di una Milano e di un’Italia in cui la libertà sia il valore fondante del vivere comune, per tornare ad essere quel Paese verso cui scappava mio nonno.

10 cose interessanti che si possono fare senza uscire dalla metro milanese

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Nel film The Terminal di Steven Spielberg, Tom Hanks resta intrappolato per alcuni giorni all’interno dell’aeroporto di New York. E’ una storia vera, ispirata a una persona che quando hanno messo l’obbligo di timbrare il biglietto anche ai tornelli in uscita è rimasta intrappolata nella metropolitana milanese.

Ecco allora la guida utile per chi volesse fare il turista senza mai uscire dalla metropolitana.

metro milanese10 cose che si possono fare senza uscire dalla metro milanese

 

#1 Fare colazione al bar

Per lo straniero la colazione è un concetto molto diverso dal nostro. Per esempio intinge un panino con la bresaola nel cappuccino.

#2 Farti la fototessera (consigliata: Cordusio)

Quale migliore ricordo di una vacanza di foto scattata da una macchina sottoterra?

#3 Shopping tecnologico da Mediaworld

Tranne i turisti giapponesi. Per loro Mediaworld è un negozietto vintage.

#4 Comprare una rivista

Tra i souvenir di viaggio più gettonati c’è la rivista in italiano. Perché non si sai mai che un giorno me lo studio. Confessa, l’hai fatto anche tu all’estero!

#5 Visitare il Diurno fermata Porta Venezia

Un fila angosciante di bagni sottoterra che fa molto set di un film dell’orrore.

#6 Fare shopping nel tunnel tra Cordusio e Duomo

Se non esistesse lo shopping compulsivo non esisterebbe l’economia mondiale.

#7 I reperti romani sotto la metropolitana del Duomo

Se l’Italia fosse un brand unico davanti ai reperti romani i sarebbe un cartello con scritto “Non ti bastano? Visita Roma”.

#8 Guardare gli oblò della fermata Amendola Fiera

Di solito quando guardi il mondo da un oblò significa che ti annoi un po’.

#9 Vedere la metropolitana all’aperto ad Assago o a Cascina Gobba

Mi sono sempre chiesto perché una metropolitana che viaggia all’aperto fa più scalpore di un treno che viaggia in galleria.

#10 Fare il percorso dalla metro al passante ferroviario a Cadorna

Ottimo per liberare le coronarie dopo una settimana di piatti tipici.

MILANO CITTA’ STATO

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Primo passo del consiglio comunale verso Milano Città Stato
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“Proviamoci. Mi impegnerò personalmente”. Beppe Sala a Milano Città Stato

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10 giochi che i bambini di Milano non fanno più

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Una volta quando arrivavano i prima caldi i bambini si aggrappavano alla gamba del papà o della mamma e chiedevano di essere portati al parco.

Lì incontravano i loro amici e giocavano fino a quando le ginocchia non diventavano nere per un miscuglio di sangue e terra e i vestiti non diventavano roridi di sudore.

Oggi, anche se l’estate arriva come sempre, ne vedo sempre meno. Ma ricordo quei giorni.

bambini di milano10 giochi che i bambini di Milano non fanno più

 

#1 I gavettoni

I palloncini sono solo la Coca Zero del gavettone, quello vero si fa con la camera d’aria della bicicletta.

#2 I bussolotti (cerbottana)

Se le palline di carta sono ben intrise di saliva e il tubo è abbastanza lungo, questa cerbottana rudimentale è in grado di provocare un ematoma di tre centimetri sul polpaccio del bersaglio.

#3 Le biglie con i ciclisti

Una volta ho rubato la paletta da giardino a mia mamma e le ho divelto il cortile insieme a quattro amici per costruire la pista più lunga del mondo. Mia mamma non l’ha presa tanto bene.

#4 Quadrati che saltellavano

Bleah! Questo era un gioco da femmine! [si chiamava ‘mondo’]

#5 Nascondino

Pur di non farsi trovare i bambini erano disposti a infilarsi nei pertugi urbanistici più impervi. Praticamente quello che fanno ora i grandi che non hanno voglia di uscire la sera.

#6 Guardie e ladri

Dovremmo organizzarci e andare tutti a Parco Sempione. Noi siamo le guardie, chi fa jogging i ladri.

#7 Frisbee

Una volta ho visto un mio amico lanciare un frisbee da una parte all’altra di un campo da calcio. Mi sono slogato il braccio nel tentativo di emularlo ma non ci sono mai riuscito.

#8 Ce l’hai

Chissà se al San Raffaele fanno gli studi in doppio cieco per sperimentare l’efficacia delle dita incrociate contro il virus Zika.

#9 Muretto

Tirare pallonate a un muro alle due di pomeriggio e sperare che i condomini ti tirino una secchiata d’acqua per rinfrescarti.

#10 La lippa

È un gioco un po’ difficile da spiegare. C’è molto baseball nelle sue regole. Ma soprattutto bisogna rubare una scopa alla mamma e spezzarla in due per fare la mazza.

Milano, contaminazioni e visionarietà (parte II): gli anni ’60

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Milano anni ’60: contaminazioni+visionarietà. Il design diventa ‘altro’
Quest’articolo va a zig zag tra la storia recente, non vuole e non può essere esaustivo. E’ quindi essenzialmente uno spunto per osservare come, con la vocazione alla contaminazione ed alla visionarietà, la metropoli meneghina sia riuscita a produrre un ‘miracolo’ dalla vaste implicazioni non solo commerciali ma anche sociali.

Contaminazione, condivisione di idee, creatività, eccellenza manifatturiera

Approfondiamo come la contaminazione tra l’ondata di designers e architetti (quelli diciamo di genio convenzionale come Castelli, Dorfles, Gardella, MunariAulenti, Magistretti, Frattini, Portaluppi, Castiglioni, Giò Ponti, Marco Zanuso ed Enzo Mari – non me ne vogliano i tanti che non cito – e quelli iconoclasti e radicali capitanati dal più famoso Ettore Sottsass) e la maestria e la conoscenza della Brianza industriosa, fece scaturire il miracolo del design anni ’60 tutt’ora in pieno sviluppo come ci confermano i dati più sotto.

Qualche cifra per capire meglio

Il Salone Internazionale del Mobile è il più importante punto d’incontro, a livello mondiale, per gli operatori del settore dell’abitare. La sua prima edizione, a Milano, risale al 1961 e vi parteciparono 328 espositori e 12.100 visitatori; nell’ultima edizione 2016 vi hanno partecipato 2.407 espositori e 372.000 visitatori con una presenza nel ‘Fuori Salone’ che ha superato le 400.000 persone nei 1.260 eventi disseminati nella città ed in Brianza.

Dal taglio di Lucio Fontana in poi…

Possiamo dire – forse azzardando un po’ – che l’edizione 1968 della Triennale di Milano in contemporanea con la Biennale d’Arte di Venezia, alla luce della totale chiusura e contestazione in ambedue le occasioni, abbia segnato il punto catartico di tanti movimenti che volevano – a volte solo in modo velleitario – che il design e la cultura più in generale diventassero qualcosa di più di un mero fatto estetico ed ergonomico, un mix sulfureo di lotte sociali, di visione, di stili e costumi, di laboratorio permanente. Quindi altri spazi e territori non sempre di immediata comprensione. Il design semi artigianale “firmato”, tra le altre cose, se la deve vedere con la produzione industriale. Sta cambiando il modo dell’abitare gli spazi, sia che essi siano commerciali, espositivo-artistici piuttosto che familiari. Ma sappiamo bene quanto questo “abitare gli spazi” abbia un significato trasversale a moltissimi altri ambiti, una nuova vision che innesca nuovi comportamenti e nuovi stili di vita.

Ed ecco emergere varie personalità o collettivi che impressero quel valore aggiunto che definì con più chiarezza la portata del movimento: il designer Sambonet proponeva alla Rinascente, dopo un soggiorno volontario in un ospedale psichiatrico brasiliano, un albero di Natale capovolto, con le palline che pendevano dalle radici contro un’estetica “di addobbo”; Gaetano Pesce stupiva con le sue provocazioni in resina poliuretanica; Fornasetti padre (mentre il figlio Barnaba editava ‘Get Ready’, un magazine underground) spiccava il volo con la sua produzione ai limiti del movimento surreale, mentre Fiorucci apriva la sua prima boutique pop a Milano e Nanda Vigo connetteva aree diverse in bilico tra arte, design e qualcosa di altro difficilmente definibile.

Molti personaggi e gruppi che avevano fatto della genialità iconoclasta il loro mood emersero contribuendo al “Laboratorio Milano“, anche se avevano luoghi di elezione diversi: Gaetano Pesce, ad esempio, era un designer e scultore diviso tra Milano, la Liguria, il Veneto e New York; il Gruppo Strum proveniva da Torino mentre da Firenze partivano gli Archizoom, il SUPERSTUDIO e il Gruppo 9999. Per la costruzione di questo storytelling avvincente e intricato mi viene facile pensare che uno dei punti di svolta che in qualche modo accomunò tutta la classe creativa che orbitava intorno a Milano fosse “il taglio” di Lucio Fontana (il primo datava 1958): tutti questi operatori della creatività contaminata sono passati, quasi per forza, attraverso questa fenditura che permetteva di intravedere l’ “altrove”. Diceva il fondatore dello Spazialismo: “… L’arte sarà un’altra cosa… Non un oggetto, non una forma… L’arte diventerà infinito, immensità materiale, filosofia” (ricordiamo che Fontana ha superato, recentemente, i 21 milioni di dollari di quotazione).

Proprio legato a questa “experience”, cioè alla sua adesione al movimento di Fontana, Ettore Sottsass diventava figura emblematica e driver di questa Milano portatrice di nuove visioni: era architetto, pittore, designer e fotografo ma anche art director, visual designer, promotore di innovazione, allestitore.

Visionario e artista, coglie perfettamente il senso dei tempi in questa citazione: “la preoccupazione, in quei momenti, era disegnare oggetti che non avessero confini precisi dal punto di vista biologico o culturale ma oggetti che accogliessero l’indecisione che c’era nel mondo”, tanto visionario quanto la moglie, quella Fernanda Pivano che tanto ha fatto per tradurre, supportare, diffondere il verbo della rivoluzione letteraria statunitense capeggiata prima da Hemingway e poi dai poeti della beat generation (ma non solo)… Ecco che la casa dei Sottsass in via Manzoni si trasformò in un centro di cultura avanzata con la frequentazione sempre più assidua dell’intellighenzia statunitense, appartenente soprattutto alla beat generation: Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti e Peter  Orlowsky. Il tutto sempre in quella via Manzoni che vedeva strani nuovi negozi accanto alla sede del Centro Domus e della grande rivista omonima, la cui direzione era in mano al Giò Ponti che aveva iniziato la sua poliedrica attività milanese negli anni ‘30, per passare alla sede della Galleria del Naviglio (qui negli anni ’50 nasce il Movimento dello Spazialismo) in cui, nel 1970, Renato Cardazzo ospita “Naviglioincontri – Dove l’arte incontra l’Industria, la Moda, la Chimica, la Musica, l’Architettura, il Cinema” (primo esperimento di grande contaminazione culturale con il mondo delle aziende).

Un’altra figura trainante sulle scene di quegli anni fu Bruno Munari, che con la propria versatilità ha operato in un continuum senza soluzione affrontando in stile libero: pittura, scultura, cinematografia, disegno industriale, grafica, design, scrittura, poesia, didattica e rifuggendo, come molti altri personaggi maturati nel “laboratorio Milano”, ad ogni stretta classificazione.

Parliamo di via Manzoni come scusa per poter elencare il puzzle in apparenza scomposto della città: la ‘Gallerie d’arte Annunciata’ e quella de ‘Il Milione’ che tenne a battesimo astrattisti nell’ante-guerra; la sede della libreria Feltrinelli che a sua volta diffondeva, nelle sale del primo piano, un altro tipo di cultura – quella “Guevariana” unitamente a oggetti del “beat londinese” (in parziale contaminazione con la visione pop di Fiorucci in piazza San Babila) – che avrebbe avuto il suo drammatico punto di arrivo nella morte del suo artefice, Giangiacomo Feltrinelli, durante la preparazione di un attentato da lui portato alle estreme conseguenze personalmente nel marzo 1972 sotto un traliccio a Segrate.

Tutti questi erano i “segni del tempo” con cui si doveva far conto nella città in un turbinio di nuove idee, violenti scontri sociali, rivoluzione sessuale e arte d’avanguardia e nuovi costumi. In qualche modo collegata con la Pivano ed il free Magazine ‘Pianeta Fresco’, molte sono le fanzine e i giornali underground che fiorirono a Milano: oltre al noto Re Nudo, Get Ready, Om, Puzz, Cerchio Magico, Il Giornale Sotterraneo e molti altri) distribuite per strada; la produzione editoriale in qualche modo di frontiera comprendeva però anche riviste come Caleidoscopio che, se pur era editata dal Gruppo Busnelli, ha avuto sempre vita assolutamente libera da vincoli, una libertà garantita a partire dal 1969, da Gianni Sassi e Sergio Albergoni, geniali innovatori e fondatori dell’agenzia ALSA e di numerose altre iniziative culturali innovative (l’etichetta discografica Cramps, il trimestrale di tecnologia e poesia ‘Frankenstein’ e la rivista di letteratura ‘Alfabeta’); la rivista IN che trattava di arte, moda, architettura e design distribuita dal 1970 e fondata da Pierpaolo Saporito e ‘Azimuth’ (durata solo due numeri), una rivista di arte d’avanguardia fondata nel 1959 da Piero Manzoni e Enrico Castellani.

Sul versante ufficiale dei magazine di architettura e design, spiccavano quelli ormai affermati nel mondo come ‘Casabella’ sotto la direzione di Ernesto Nathan Roger, l’eco-istema editoriale di ‘Domus’ che trova nel ‘68 Giò Ponti come direttore, il magazine ‘Interni’ vivo dal 1954 e il mensile ‘Ottagono’ operante dal 1966 …

La scena milanese era in ogni caso fiorente anche di giovani talenti “nativi trasversali” come Maurizio Turchet, designer, artista, fotografo e video maker che passò, in giovanissima età, attraverso esperienze multiple confluite nella preparazione di quella che sarebbe stata la mostra “svolta” della creatività italiana, cioè l’Italian Domestic Landscape, presentata al MOMA di Yew York e alla collaborazione lo studio Mario Bellini che lavorava per il brand Cassina.

Ed è proprio con Cassina che troviamo la preview, agli inizi degli anni ’70, del Fuori Salone che stava prendendo consistenza proprio in via Durini, attraverso una serie sempre innovativa di show room, mostre e performance.

Una smart city introversa

Milano, come ho accennato prima, è una ‘smart city introversa’: trascura o nasconde spesso e volentieri i suoi tesori, di cui moltissimi ancora da scoprire. Due piccole annotazioni a questo riguardo: Nanda Vigo, insieme a Lucio Fontana ed Enrico Castellani, lavorarono sull’androne di un anonimo palazzo per uffici in via Palmanova e Mario Schifano, alla vigilia dell’inaugurazione di una mostra, inviò allo Studio Marconi alcune tele e chiese al titolare di portarle nel parco di Milano perché la mattina seguente le avrebbe fotografate mentre venivano scaricate nel verde: queste foto sarebbero diventate anch’esse opere indipendenti.

Ecco, questa era Milano: questo “carico” di visioni, tensioni, valori ed anche lati oscuri diventa il “segno” che avrebbe rimodellato lo skyline della cultura e del design sino alle sue fondamenta coniugando una doppia parola chiave fondamentale: contaminazioni+visionarietà.

Foto: LucioFontana, ritratto di von Lothar Wolleh – Milano, 1967

Capire la personalità di un milanese dalle sue lampade

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A Milano quando il sole splende, splende davvero. Però a volte piove, a volte il cielo è grigio, a volte perfino cala la notte. Allora è il momento delle lampade.

Ma come in ogni cosa, anche nell’illuminazione il milanese vuole affermare la sua unicità. Per questo dal tipo di lampade che si mette in casa si possono capire molte cose su di lui.

lampadeCapire la personalità di un milanese dalle sue lampade

 

#1 Lampada di design

Da scrivania o a terra. Denota rendita o reddito alto splendente e vicinanza con zone di pregio.

#2 Plafoniera con circolina neon

No, non sei finito in un film degli anni Settanta. E’ il tuo affittuario che si è dimenticato dell’evoluzione delle lampadine.

#3 Led

Tecnologia e risparmio energetico. Potresti essere sulla buona strada per raggiungere uno standard di vita all’altezza delle tue potenzialità.

#4 Tubo neon

O sei in un ufficio o ami la luce psichedelica. Ami gli ambienti freddi. Se è un neon bianco fai uso di droghe.

#5 Lampadina d’annata

D’annata/dannata. Sei sull’elenco del WWF per lo spreco d’energia del tuo filamento incandescente. Oppure sei classe 1930.

#6 Faretti

Sappiamo benissimo che il tuo scopo non era avere luce, ma l’effetto funziona. I faretti possono essere sul soffitto o in terra. Faretto a terra è solo per esibizionismo però fa ambiente. Il faretto a soffitto: non ti spaventa il costo dell’elettricista e cerchi l’apparenza più della sostanza.

#7 La luce riflessa (lama di luce)

Segui le tendenze del mercato e ti piace a luce diffusa. Sei un tipo solare, ami la vita.

#8 Lampadario

Complimenti alla donna delle pulizie che ogni mese lo deve ripassare. Complimenti a te perché per mettere un lampadario adeguato avrai 100 metri quadrati di soggiorno. Nobili.

#9 Candele

Se usi le candele sei una donna. Profumate, ricercate, spesso più costose di un vestito. Purtroppo non aiutano a trovare l’uomo giusto. Vedo-non-vedo… la fregatura.

#10 Lampade a sospensione

O abiti in un loft o tuo padre ha un’officina. Pratiche da pulire, luce ad alto rendimento. Per gente pratica, concreta.

 

#11 Lampade dell’Ikea.

Nomi incomprensibili, talvolta pratiche, talvolta inutilizzabili. Per studenti o per chi rompe spesso le lampade.

Genitori single: a Berlino arriva il buono scuola per chi lavora

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Famiglie composte da un unico genitore, lavoro sempre più precario, o per meglio dire ‘flessibile’ che copre anche le ore in cui gli asili sono chiusi e non si sa a chi lasciare la prole. Avviene in Italia come avviene in Germania, anche se in quella città stato di Berlino le cose vanno meglio che da noi.

Per facilitare la vita a genitori single o con turni di lavoro diversi dagli orari di asilo tradizionali, l’amministrazione berlinese per la formazione e i giovani, il Senatsjugendverwaltung, ha attivato un servizio dedicato a chi lavora la sera tardi, di notte, il mattino presto, e non sa a chi lasciare i figli.

Si tratta di un asilo h24, gratuito come quello tradizionale, con prestazione a domicilio ad opera di un educatore – attenzione, non un babysitter pubblico o a spese del comune.

Ecco come funziona.

Chi decide se attivare il servizio? Un ufficio mette in contatto genitori, aziende e personale educativo. Da questo luogo verranno coordinate domanda e offerta, valutando la legittimità delle richieste.

Chi può aderire al progetto? Il genitore o i genitori che lavorano in orari in cui le strutture per l’infanzia siano chiuse, e devono dimostrare che lavorano in orari particolari e che hanno bisogno di assistenza per i loro figli.

Chi paga? Il Kita-Gutschein, “il buono asilo totalmente gratuito nei tre anni che precedono l’iscrizione del bambino alla scuola dell’obbligo” spiega BerlinoCacioePepe.

Welfare allo stato puro.

Questa assistenza alla infanzia e alle sue famiglie, soprattutto provenienti dalle fasce più deboli, permetterà di trovare un’occupazione per chi voglia fare l’educatore e al contempo darà maggiori opportunità di trovare un lavoro anche ai genitori più ingolfati con la gestione della prole.

Di un esperimento simile avevamo parlato qualche tempo fa a proposito del primo asilo di Milano aperto di notte, che aveva destato non poche critiche. Insomma,  un seme è stato gettato anche qui da noi, ma, come ci confermavano anche le educatrici, siamo molto lontani da un servizio statale aperto a tutti i cittadini.  “In passato si erano proposti per Berlino gli asili aperti 24 ore su 24, ma il Senato berlinese aveva bocciato l’iniziativa. L’idea di garantire educatori a domicilio sembra invece molto più promettente, e così l’amministrazione cittadina ha già messo a disposizione 681.000 euro all’anno per realizzarla”, conclude la nostra fonte. Milano-Berlino 1 a 1, palla al centro.

Fonte: Berlinocacioepepemagazine | foto: magazinedelledonne.it

Quando nelle strade di Milano si faceva il vino

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Fino alle soglie del 1900 era possibile vedere fare il vino ai lati delle strade. 3 o 4 persone pigiavano a piedi nudi l’uva nei tini. Una delle vie in cui si poteva assistere a questo spettacolo era via del Senato.

(Fonte: Corriere della Sera)

 

 

Dalla Svezia la rivoluzione del barcalavaggio

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Una società di Östhammar, in Svezia, ha ideato un sistema di pulizia delle imbarcazioni, sia a motore che a vela. Si chiama RentUnder AB il progetto a caccia di partner europei che vuole lanciare le sue stazioni di autolavaggio per natanti in grado di rivoluzionare il comportamento dei lupi di mare e della loro gamma di servizi.

Il sistema Drive-in Boatwash™ – questo il suo nome – è un’ingegnosa opera meccanica che prevede il movimento di un braccio metallico in grado di pulire contemporaneamente sia lo scafo che il motore in appena 10-15 minuti.

L’idea di Drive-in Boatwash™ è semplice, rapida nell’utilizzo e capace di indurre un comportamento virtuoso in chi possiede una barca o ne gestisce alcune. Insomma:c’è chi si è chiesto come mai nessuno ci abbia mai pensato prima.

Dove sta la rivoluzione?

PER I PROPRIETARI DI BARCHE. RentUnder AB pensa ai proprietari di piccole e grandi barche perché riesce a rimuovere tutte le incrostazioni della chiglia, come i denti di cane, e lo sa fare in poco tempo. Andando ad agire anche sul motore, rapidamente e inducendo la voglia di applicarcisi ripetutamente, ne aumenta l’efficienza. Inoltre, evita l’utilizzo della famosa vernice anti vegetativa, tossica per l’uomo e molto inquinante.

PER GLI IMPRENDITORE DEL TURISMO NAUTICO. Ma a godere di un servizio di questo genere sarebbe anche l”altra faccia della barca’, gli operatori di marina o gli imprenditori del servizio marittimo.
Dotare le proprie darsene di tali servizi significherebbe migliorare i servizi del proprio indirizzo con strumenti user-friendly, moderni, unici in alcune zone dei Paesi, aspetto quest’ultimo non da poco per giocare sull’attrattività del porto e quindi fare profitto.

Questi elementi da soli sarebbero sufficienti a convincere eventuali stakeholders, ma c’è di più: vogliamo parlare del lavoro di rimessaggio che risulterebbe ottimizzato, più rapido e di minor impatto ambientale?

Per chi fosse interessato, ecco un’animazione capace di spiegare bene il sistema:

Per tutti gli altri, la rivoluzione dei mari è partita e ancora una volta sono i Paesi del Nord Europa ad aver buttato l’ancora su un porto che sa di attenzione all’ambiente e voglia di innovare la tradizione.

Per ulteriori informazioni: riveinboatwash.com/en/

Firmiamo l’appello a Renzi per cogliere i benefici della Brexit (Linkiesta)

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Fonte: linkiesta

La Brexit può far ripartire l’Italia, ma servono riforme per attrarre investimenti. Questo in sintesi l’appello rivolto a Matteo Renzi pubblicato da Linkiesta e firmato inizialmente da imprenditori, professionisti e opinionisti. Nell’appello si invita Renzi a dare la possibilità all’Italia, e a Milano in particolare, di poter competere con il resto d’Europa, lanciando un programma di riforme per semplificare il fisco e incentivare l’arrivo di talenti e imprese. Altrimenti, dell’uscita del Regno Unito dall’Europa ne approfitteranno solo gli altri.

Per aggiungere la propria firma all’appello, è sufficiente scrivere una mail a: redazione@linkiesta.it, preferibilmente aggiungendo in oggetto “Firma appello Renzi (Milano Città Stato)“.
In questo link si può vedere il testo dell’appello: Lettera aperta a Renzi

Milano faccia qualcosa per la Scozia: gemelliamoci con Edimburgo

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“Non abbandonate la Scozia”, l’appello di Alyn Smith, eurodeputato scozzese al parlamento. “Il posto della Scozia è in Europa” ha dichiarato Nicola Sturgeon, la premier scozzese, dopo che la maggioranza dei suoi connazionali ha votato per restare nell’Unione Europea.

In questi giorni a Milano si parla di come la nostra città deve ambire a prendere il posto di Londra. Per questo occorre muoversi ora e chiedere a Edimburgo il gemellaggio con Milano.
Sarebbe un gesto tipicamente milanese, di grande significato. Un gesto che segnerebbe la storia di Milano.

Sono almeno 5 i motivi per cui il nostro sindaco dovrebbe chiedere il gemellaggio con Edimburgo.

#1 Firenze non basta 

Il gemellaggio è un legame simbolico stabilito per sviluppare strette relazioni politiche, economiche e culturali. Edimburgo è gemellata con Firenze. Aggiungere Milano in questo momento significa affermare che alla vicinanza culturale rappresentata da Firenze si aggiunge quella internazionale ed economica incarnata da Milano

#2 Marketing pazzesco

Sala ha sempre detto che Milano deve fare di più per promuoversi a livello internazionale. Ha subito una grande occasione per farlo: muoversi ora in soccorso degli scozzesi avrebbe una ricaduta gigantesca in tutto il mondo. Mostrandosi per quello che la nostra città dovrebbe essere: paladina della libertà e dei diritti civili.

#3 Monito per Roma

Gli scozzesi sono un popolo che ha sempre rivendicato la sua autonomia dal potere centrale, pur restando sempre fedeli alla Corona d’Inghilterra: hanno combattuto per lei e hanno contribuito al potere del Regno Unito. Sono in più gli unici ad aver resistito all’impero romano. Sono un popolo fiero, leale, che ora dichiara di volersi staccare da Londra non per vis indipendentista ma perchè gli inglesi li hanno traditi decidendo di portare la Scozia fuori dal suo territorio naturale: l’Europa. Anche Milano è sempre stata leale verso il governo di Roma ed è forse la città in Italia che ha contribuito di più allo Stato italiano. Ma appoggiare gli scozzesi in questo momento storico significa far sapere a Roma che se esagera e va contro la libertà e la volontà dei milanesi, Milano potrebbe dire di no.

#4 Osare di più: cittadinanza estesa 

Ma i tempi spingono per un’azione di maggiore coraggio rispetto al gemellaggio. Milano dovrebbe fare ancora di più. Ad esempio dovrebbe proporre la concedere la cittadinanza onoraria di Milano a tutti gli scozzesi. Sarebbe un gesto di grande significato: gli inglesi vi portano fuori? Vi rendiamo milanesi così resterete in Europa.

#5 Milano capitale d’Europa

In un momento in cui l’Europa è in confusione, Milano può farsi portavoce di tutti gli europei che vogliono aprire le braccia agli scozzesi in fuga da Londra. Con un’azione così tempestiva e di straordinario significato, Milano potrebbe ergersi come la vera capitale d’Europa. Capitale dell’alta politica, della cultura della fratellanza tra i popoli, della libertà dagli Stati nazionali e del diritto degli individui di scegliersi il loro destino.

Un viaggio nella storia

Basta poco per fare accadere tutto questo. Basta convincere il nostro sindaco a prendere un volo per incontrare Donald Wilson, il suo collega scozzese. Con soli 80 euro di biglietto aereo Milano potrebbe scrivere una pagina importante per il futuro dell’Europa, da festeggiare tutti in kilt davanti a Palazzo Marino.

volo

Nel 2016 il sindaco Sala dopo il Brexit attivò il gemellaggio con Edimburgo, tendendo la mano per primo in Europa al popolo scozzese (Libro di storia, 2116)

In Olanda nascono villaggi visionari

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Entro il 2050 quasi 10 miliardi di persone vivranno sulla terra. Questa consapevolezza  richiede la necessità urgente di abitazioni di tipo auto-rigenerative e che seguano sviluppo della comunità. Le materie prime, come l’acqua che è sempre più preziosa, l’approvvigionamento di cibo sano e la sempre minore quantità di terra coltivabile sono le prime questioni globali da affrontare. Dove andremo a finire? Nei villaggi di Regen già potrebbe essere un buon punto di partenza.

small-regen-villageSiamo in Olanda, che del modello visionario e dell’approccio olistico ha fatto lo strumento delle fondamenta di un nuovo stile di vita.

Nei villaggi basati sul modello Regen i nuclei abitativi sono da poco arrivati a 100 unità. Dalle diverse tipologie, è chiaro, ma tutte pensate per una comunità autosufficiente nelle quali le case sono orti, progettate per coltivare frutta e verdura.

Non per sé: ogni elemento di Regen contribuisce al benessere e al fabbisogno dei compagni di di villaggio.

Il sistema vede interconnesse le case le une con le altre e tutto si muove sulla base della  condivisione sociale.

regen village 03Passando dall”ego‘, il più stretto individualismo, per arrivare all’eco, la comunità è stata fondata per produrre ciò che può sostenere e gli piace.

Il valore sociale, le famiglie sostenibili, la responsabilità sociale sono importanti quanto il rispetto delle regole condivise.

Il perché di tutto questo lo spiega la schermata dal sito ufficiale del progetto, questa:

regen village 01

La opportunità. Entro i prossimi 30 anni la dimensione della classe aspirante raddoppierà a 4 miliardi, creando un’enorme domanda per i disegni di quartiere integrati.

La soluzione. La sostenibilità e la sharing economy.

regen village 04‘E’ questo il futuro delle comunità e del loro stile di vita?‘ pone come domanda Collective Evolution a proposito del progetto Regen Village. ‘Voi ci vivreste?’, conclude [fonte: pagina Facebook].

Una smart city in piena regola.

www.regenvillages.com

Classifica del Times 2015-16. Disastro Milano: nessuna università nelle top 200 del mondo.

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Migliori università del mondo. Nelle prime 200, 63 sono americane, 34 inglesi, 20 tedesche, solo 3 sono italiane, di cui nessuna nelle prime 100. Per Milano è un disastro: nessuna delle nostre università risulta nelle prime 200 al mondo secondo la classifica 2015-16 della Times Higher Education (THE), considerata la più importante e più completa al mondo nella misurazione della qualità dell’insegnamento accademico.

La classifica. Al primo posto c’è la California Institute of Technology, seguita da Oxford, Stanford, Cambridge, il MIT e Harvard.

Milano e le altre città europee. Il confronto con le principali città europee è impietoso. Londra ne piazza 6 nelle prime 30 (a cui si potrebbero aggiungere anche Oxford e Cambridge). Berlino ne ha due nelle prime 100 (Humboldt e Freie). Cinque delle migliori 200 sono a Parigi, Stoccolma ne ha 3, Amsterdam 2, così come Barcellona. Milano è a zero, superata in Italia da Pisa (con 2) e Trento.

 

ranking italia

 

I parametri di misurazione. La classifica del Times, considerata la più importante del mondo, valuta la qualità dell’insegnamento in base a 5 parametri: insegnamento, pubblicazioni, risultati degli studenti nel mondo del lavoro, internazionalità e ricerca.

E le milanesi? Milano risulta staccata e di molto da tutte le città con cui dovrebbe misurarsi in questo settore. L’unica nelle prime 300 è il Politecnico. Statale e Bicocca sono entro quota 400, la Cattolica è attorno alla 500ma posizione. Nella classifica è evidente lo stato di crisi del sistema universitario italiano. Se Milano vuole competere con le migliori città d’Europa deve riuscire ad affrancarsi da un sistema che risulta perdente e provare a proporre un nuovo modello, che le consenta di attrarre i migliori studenti, i più bravi ricercatori e di mettere in luce i suoi insegnanti più qualificati.

Per una proposta di riforma del modello di istruzione a Milano Città Stato: ISTRUZIONE ACCELERATORE DELL’INDIVIDUO

I 10 modi migliori per prendere una MULTA a Milano

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A Milano danno una multa ogni 9 secondi. Facciamoci tutti un bell’applauso. Non tanto perché siamo disattenti o antisociali, quanto per la pazienza di venire munti in questo modo.

Comunque le multe non sono tutte uguali. Adesso ci facciamo un bel ripassino delle classicone.

multa a MilanoI 10 modi migliori per prendere una multa a Milano

 

#1 Parcheggiare sul marciapiede

Devi capire l’umore del vigile e se è tollerato, perché in molti posti è più facile venire multati parcheggiando negli appositi spazi che sulle aiuole.

#2 Strisce bianche, blu e gialle

Bianche, niente multa. Blu paghi e la multa te la fa l’ausiliario. Giallo: residente o portatore di handicap. Il fatto è che le bianche non le ha mai viste nessuno.

#3 ZTL

Con telecamere fissate in alto e cartelli ben visibili. Tuttavia, per quanto uno studi la geografia della ZTL prima o poi ci cade dentro.

#4 Divieti di accesso

Divieto esclusi mezzi strani o orari. Nemmeno sulla Divina Commedia c’erano tutte queste esclusioni. Dopo che hai letto tutto hai più dubbi di prima.

#5 Cartello con lunghe descrizioni

Per leggere tutte le esenzioni, gli orari, le deroghe all’accesso, hai preso la multa per divieto di sosta.

#6 Corsie preferenziali

Ho scoperto mio malgrado che non si chiamano preferenziali perché puoi fare come preferisci.

#7 Area C

Non hai guardato l’orologio, hai superato il numero di ingressi o ti sei dimenticato di pagare.

#8 Autovelox

Non sei milanese se non hai preso almeno una volta una multa sul Ghisallo all’arrivo dell’autostrada. Il flash non è quello di Corona.

#9 Multe seriali

Entri più volte nello stesso accesso non consentito e ti arrivano trenta verbali. Alla quantacinquesima multa ti rendi conto che non potevi passare di lì. Lavori forzati, mutuo o fuga all’estero.

#10 Multa per multe non pagate o pagate in ritardo

Multa della dimenticanza. Pensi di qui, pensi di là, e ti sei dimenticato la multa. Un classico.

IVAN SAL

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