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“Poeti senza ombelico” al nuovo Festival della Poesia a Milano: 10 motivi per non perderlo!

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festival poesia di milano 2016
festival poesia di milano 2016

Dopo 24 anni di assenza, il 14 maggio 2016 torna il Festival Internazionale della Poesia di Milano.
La sfida è alta e duplice: da una parte mira a risolvere quel senso di distacco, svogliatezza, persino alle volte indifferenza di cui la poesia è vittima in Italia, dall’altra questo tentativo è svolto in contemporanea al XXIX Salone Internazionale del Libro (12-16 maggio 2016), ‘la’ manifestazione per eccellenza degli autori.
Perché preferire Milano a Torino, allora? Lo abbiamo chiesto a Milton Fernàndez, Direttore Editoriale presso Rayuela Edizioni e Direttore artistico del Festival, insieme ai 10 buoni motivi per partecipare.

Milton Festival Poesia Milano
Milton Festival Poesia Milano

Ecco che cosa mi ha risposto.

Perché un festival della poesia a Milano?
Girando i festival latinoamericani da diversi anni – quelli di Medellin, di Granada, di Cordoba, tanto per fare subito qualche nome -, alcuni di noi si sono chiesti come sia possibile che da quelle parti i poeti riempiano gli stadi.

Chi ti aiuta in questa missione?
Più che di dare una mano, qui si è trattato di prenderci per mano tutti, all’interno di un gruppo che è diventato sempre più numeroso e che è aumentato giorno dopo giorno, ad opera di chi sarà protagonista il 14 maggio, di chi lo già da tempo, di chi lavora in modo assolutamente volontario. Diceva Calvino che la Letteratura può vivere soltanto se si pone degli obbiettivi smisurati. Ecco, c’è un gruppo colpito di una bellissima follia che questo obiettivo non ha paura di porselo: ecco le mani che ci offriamo a vicenda da circa due mesi a questa parte con Festival di Poesia di Milano prenderà forma al Mudec.

L’attrattiva di questo festival è molto alta, non ci sono “soliti nomi”   
Non so quali siano i soliti nomi. Per me i nomi legati alla poesia “vera” perché mi fa vibrare, emozionare, commuovere – quella che mi accompagna nella mia indignazione e batte il piede al ritmo della mia tristezza o della mia gioia – la ritrovo nelle parole scritte dai poeti che hanno aderito al nostro progetto, che fanno fatica a farsi pubblicare e che continuano caparbiamente a navigare controcorrente.

Siete eversivi?
Forse sì. Ci piace immaginare che ci possa essere una diversa versione della realtà che ci viene propinata, giorno dopo giorno.

La novità più forte di questo festival?
L’essere una manifestazione ‘poeticamente indipendente’, cioè non legata a nessuna istituzione in particolare, a nessuna corrente, a nessuna forza politica o commerciale che possa rallentare il suo percorso. Nasce dalla sua propria volontà di esistenza, dall’incontro tra soggetti che da tempo si stavano cercando e che non aspettavano che un segnale per trovarsi e celebrare il fatto poetico.

Quanto dura il Festival di Poesia a Milano?
Appena 12 ore ma con 41 eventi in programma, tutti di alto livello, dal costo zero per le istituzioni e per i cittadini. Vuoi qualcosa di più rivoluzionario di questo?

Che cos’è il Cammino di Marcella di cui tanto si è sentito parlare e perché legarlo al Primo festival della poesia di Milano?
Il Cammino di Marcella è una bellissima iniziativa nata sulla scia della sofferenza, un’affermazione della vita contro il vuoto dell’indifferenza, un modo di affrontare il quotidiano a viso aperto, in marcia, presi per mano. Sono passati molti anni da quel giorno in cui Anna Rastello decise di mettersi in cammino, in un atto di speranza personale, che piano piano divenne collettivo. “Caminante no hay camino”, diceva Antonio Machado, “se hace camino al andar”. 24 ore di camminata – in questo caso a Milano – con soste poetiche in quei luoghi a molti sconosciuti dell’arcipelago della DiVersità, là dove molto spesso s’annida la parte più sensibile del nostro stare al mondo.
Quell’umanità dalla pelle sottile, dalla quale avremmo tanto da imparare. Potevano mancare al Festival Internazionale di Poesia di Milano?

Infine: 10 buoni motivi per seguire il festival di poesia di Milano
Potrei scriverne 41, e forse di più, perché sono tanti gli eventi che avremmo voluto inserire in questa rassegna, ma che abbiamo dovuto rimandare alla prossima edizione.
Intanto, quelli che elenco sono contenuti nelle nostre intenzioni di riportare la poesia là dove è nata: per strada, tra la gente, nei gesti quotidiani, nel quotidiano sentire. Una poesia che sia “un’arma carica di futuro”, come sognava Gabriel Celaya, fatta da “poeti senza ombelico”, diversi da quelli che l’ombelico ce l’hanno, e se lo guardano tutto il giorno.

Festival della Letteratura di Milano‎Festival Internazionale di Poesia di Milano - Prima Edizione
Festival della Letteratura di Milano‎Festival Internazionale di Poesia di Milano – Prima Edizione

Dieci buoni motivi per andare al Festival internazionale della poesia di Milano

  1. si svolge in un unico giorno: 14 maggio dalle 10,00 alle 22,30
  2. si svolge in un unico luogo: il Mudec – Museo delle Culture di Milano. Museo delle culture, Area Ex Ansaldo, Milano, Via Tortona 56
  3. è basato sul volontariato, non ci sono poteri forti
  4. è inclusivo: tutti possono partecipare
  5. è poetico ma senza retorica
  6. si trova la poesia metropolitana ma non solo
  7. ospita voci della poesia contemporanea provenienti da ogni parte del mondo
  8. propone nuovi modi di approcciare la materia poetica
  9. non solo poesia ma anche performances di arti differenti
  10. è un evento unico a Milano

 

Per informazioni sull’evento: Mudec | Facebook
foto cover: dettaglio da Artmoodon

BAGGIO 2.0: sono andata alla scoperta di uno dei quartieri meno considerati di Milano – IMMAGINI

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baggio

Se si digita su Google “Baggio Milano” la prima parola suggerita che appare è “droga”. Anche Google mortifica un quartiere che significava degrado per chi ci viveva e pericolo per chi dovesse passare di lì.  Ma è davvero così? Oppure come altre aree poco considerate, tipo NoLo o Gorlistan,  anche Baggio nasconde un grande potenziale? Per capirlo sono andata a visitarlo, complice un dizionario milanese-mondo.

baggio maioliche 1

 

baggio maioliche 2

VA’ A BÀGG A SONÀ L’ORGHEN.

Di Baggio so solo una cosa: Va’ a Bàgg a sonà l’orghen, cioè Vai a Baggio a suonare l’organo. E’ uno dei tanti modi di dire in lingua milanese per mandare a quel paese qualcuno. Solo che l’organo di Baggio non c’era, era dipinto. Ma anche se ci fosse stato, sarebbe stato così lontano da levare di torno qualunque scocciatore. In effetti Baggio è davvero lontano: sarebbero solo 9 km in linea d’aria dal centro, ma entrare in via Ceriani, nel centro ‘storico’ di Baggio, dà l’idea di varcare la soglia di un’altra epoca.

“Il detto Va’ a Bàgg a sonà l’orghen  nacque intorno al fatto che a Baggio, antico paese alle porte di Milano ed ora quartiere periferico della città, la chiesa di S. Apollinare era sprovvista dell’organo, pertanto nessuno lo poteva suonare” recita Ominibus, Proverbi e modi di dire per vecchi e nuovi milanesi. 

baggio_omnibus
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IL DIZIONARIO MILANESE-INTERNAZIONALE E’ NATO A BAGGIO (QUASI).

Ominibus, Proverbi e modi di dire per vecchi e nuovi milanesi è un tomo di 492 pagine, 500 frasi celebri in dialetto milanese che mi è capitato per le mani quasi per caso. A scriverlo sono stati gli ex colleghi Enrico Casati, Guglielmo Scandolara e Roberto Villa in un lavoro certosino durato quasi otto anni.

Il risultato è un’edizione 2015 pubblicata per la Fratelli Frilli Editori in cui detti, spiegazioni e guida alla pronuncia milanese sono stati tradotti in Italiano, Inglese, Tedesco, Spagnolo, Francese, Russo, Cinese, Giapponese, Arabo.

“Ci siamo fatti aiutare da professionisti e amici, con l’obiettivo di dare uno strumento in più per tutti, per i milanesi che volessero conoscere la loro tradizione linguistica, la loro storia, e per i turisti in visita” mi dice Roberto Villa. “C’è anche la versione ridotta tascabile in 127 pagine, il Mini Omnibus, già usato come dono meneghino da alcuni brand di dolci per le passate feste” spiega orgoglioso.

baggio_carta da zucchero
baggio_carta da zucchero

BAGGIO INNOVATIVA E, INASPETTATAMENTE, DELIZIOSA.

Con l’autore del dizionario, ci siamo dati appuntamento alla pasticceria, caffetteria e sala lettura Carta da Zucchero. All’ingresso sembra un pastry – bistrot shabby chic come tante ce ne sono sotto la Madonnina: nel 2014 ha vinto il bando del Comune di Milano “tra il dire e il fare”, messo in palio per favorire la riapertura di attività nelle aree meno centrali di Milano. 

Con quei soldi, le titolari Chiara Chisari e Chiara Palmigiani hanno dato forma a un locale che è un punto di ritrovo dei baggesi, delizioso sin dalla vetrina con quell’infilata di torte fatte in casa, una buona selezione di tisane e tè, libri per tutti e tavoli di legno con sedie color del cielo. Un esempio di riqualificazione del vecchio che, come una fenice, risorge e dà una bella forma al nuovo.

E da qui chiedo a Roberto di farmi da Cicerone sulla storia di Baggio.

baggio chiesa antica 2COSA VEDERE A BAGGIO.

Proprio dietro l’angolo, davanti S. Apollinare, sei maioliche raccontano le varianti dell’origine dell’organo di Baggio. “La Chiesa Vecchia ha subito un pesante rifacimento nel corso del XIX secolo, ma è apprezzabile ancora il portale in pietra e il campanile, che é quello che rimane di un’antica torre di una famiglia nobile baggese”, mi dice. All’interno, sotto gli affreschi di S. Apollinare, ha luogo la Primavera di Baggio, che propone concerti e momenti di incontro da febbraio a giugno.

A due passi dal portale della chiesa, un ingresso in legno svela la medievale Casa dei Baggi: si dice che il nome di Baggio derivi da qui e da qui parte un’infilata di case di ringhiera che pare di essere in un quadro dei pittori dei Navigli.

E’ una bella giornata: i fondi sono aperti e svelano antiche attività, la piazza dei gelsi, le antiche osterie. La villa gialla all’ingresso del vecchio paese “era la casa del sindaco”, mi spiega Roberto.

casa dei baggi 01casa dei baggi 02GLI ASINI DI BAGGIO.

Qua e là, il racconto è inframmezzato dalle maioliche donate da maestranze ora campane, ora venete, ora lodigiane, che raccontano brani della tradizione locale: dalle serate intorno al focolare ai lavori contadini a quella strana novella che dice che, un giorno, crebbe dell’erba in cima al campanile di S.Apollinare e un contadino stupido, per toglierla, issò un asino perché la brucasse.

“Me li ricordo gli asini: è tradizione qui la loro corsa la terza domenica di ottobre, durante la Sagra di Baggio” mi dice Roberto. Di fatto, il loro palio è stato anche recuperato l’anno scorso, nell’ultimo mese di celebrazioni di Expo. Ma torniamo al presente.

baggio parco delle caveIL PARCO DELLE CAVE.

Frutteti, oasi faunistica, ex cava di sabbia e un progetto per l’Esposizione Universale di Milano, la via dell’Acqua mai realizzata: siamo nel Parco delle Cave.
A salutare il paese prima dell’ingresso nel grande bosco verde c’è una grande casa a forma di castelletto che è quel che resta dell’esuberanza di un conte meneghino.

E’ una bella giornata e tanti sono sdraiati a prendere il sole con un bel libro in mano. Intuisco che è anche in questo verde la forza di Baggio.

#libraggio
#libraggio

LIBRAGGIO: A BAGGIO LA LIBRERIA DIFFUSA NEL QUARTIERE.

A dispetto della sua fama sinistra Baggio trasmette un senso di pace e di serenità. E quando meno te l’aspetti scopri che è un quartiere con un grande senso di comunità e di rispetto reciproco.  In chiusura di questo pezzo mi arriva la comunicazione di #LIBRAGGIO, un’iniziativa di viverebaggio.com nata per coinvolgere negozi, bar e locali all’insegna del senso civico e del rispetto tra i cittadini.
“Ad oggi nel quartiere hanno già aderito otto locali, ma presto il loro numero crescerà e LIBRAGGIO diventerà la prima libreria di quartiere della città”, spiegano i promotori che propongono un circuito di locali in cui fornire letture da leggere sul posto, godendosi una bevanda, sorseggiando un the o pranzando. Oppure può scegliere di portarsi il libro a casa per il weekend, per una lettura serale o in vacanza, gratuitamente e senza neanche il bisogno di registrarsi. “L’unica cosa che viene richiesta a tutti è quella di trattare bene i libri presi in prestito, di riportali nello stesso posto in cui sono stati prelevati o di consegnarli in un altro locale aderente all’iniziativa e, dove possibile, di arricchire la libreria con qualche libro che si ha a casa e che non serve più”.

Oggi fanno parte di #LIBRAGGIO: 

  • AL BAGGESE – Via Masaniello, 14 – 20152 Milano
  • CARTA DA ZUCCHERO – Via Antonio Maria Ceriani, 13 – 20152 Milano
  • COUNTRY HOUSE MILANO – Via Riccardo Lombardi, 19/10 – 20152 Milano
  • FA BALLA’ L’OEUCC – Via Pistoia, 19 – 20153 Milano
  • FROZEN GELATERIA – Piazza Anita Garibaldi – 20152 Milano
  • LA POSTERIA NEL BORGO – Via Delle Forze Armate, 403 – 20152 Milano
  • PAN CAFE’ – Via Val D’Intelvi, 14 – 20152 Milano
  • PIZZERIA 125 – Via Alberigo da Rosciate, 5 – 20152 Milano

Un’iniziativa che ci si aspetterebbe nelle città del Nord Europa e non in quella che viene ritenuta da molti una periferia malfamata di Milano. Aver vissuto con mano la realtà fa capire che anche questa zona sta vivendo una rinascita e che basta poco perchè possa esprimere il suo grande potenziale.

 

baggio ultima

i 10 (+1) giocatori di calcio più forti che hanno giocato a Milano

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CALCIATORI MILANO
CALCIATORI MILANO

Milano ospita la finale della Coppa Campioni. In quell’occasione alcuni dei più grandi campioni del calcio di oggi scenderanno in campo a San Siro. Un tempo i migliori giocatori del mondo li avevamo noi.
Per vincere l’invidia di vedere due squadre di Madrid contendersi la Champions, abbiamo immaginato la migliore formazione di tutti i tempi, formata da giocatori che hanno indossato la maglia di una suqdra milanese. Ecco il nostro wonder team.

#1. Julio Cesar

Partiamo subito dai fischi. Perché la scelta del portiere è stata molto dibattuta. Forse ci sono altri, come Sarti, Ghezzi, Albertosi o Cudicini che potrebbero ambire a questa maglia, ma il loro ricordo è troppo lontano e poi almeno uno degli eroi del triplete deve trovare spazio.
Poi, vuoi mettere iniziare la formazione con uno che si chiama così?
Per lui parlano i 14 trofei vinti con la maglia dell’inter e per 5 anni è risultato nella top 10 dei migliori portiere del mondo. Di questa lista è l’unico ancora in attività. Gioca nel Benfica.

#2. Beppe Bergomi

Altra scelta complessa. Alla fine il testa a testa è stato con Javier Zanetti, ma l’ha spuntata lo zio per il grido “Andiamo a Berlino!” nella semifinale al mondiale in Germania nel 2006.
E’ stato il giovane più vecchio del mondo a vincere il mondiale nel 1982 e ha continuato a giocare fino a 70 anni. Ha recitato come protagonista nel Curioso Caso di Benjamin Button.

#3. Paolo Maldini

La prima partita aveva 15 anni e la squadra più forte d’Italia era l’Hellas Verona. Ha continuato a giocare fino a 41 anni, sempre col Milan, con cui ha vinto 26 trofei, tra cui 5 coppe dei campioni. E’ il giocatore al mondo ad aver giocato più finali di coppa campioni e detiene il record di presenze in serie A e nelle competizioni Uefa per club.
Due volte è finito al terzo posto nella classifica del pallone d’oro e risulta un po’ in tutte le classifiche nella squadra dei migliori giocatori di tutti i tempi. Da quando ha smesso a giocare il Milan lo ha cacciato: per il conseguente kharma da scontare, la squadra che dominava il mondo si trova oggi a lottare con il Sassuolo per entrare in Europa League.

#4. Lothar Matthaeus

Ha guidato l’Inter allo scudetto dei record anche se di lui si ricorderanno soprattutto le interviste con un italiano da Sturmtruppen. Ha giocato 4 campionati europei e 5 coppe del mondo (di cui una vinta), è il giocatore al mondo per presenze in partite del mondiale. Ha il primato nel suo paese di presenze in nazionale (150).

#5. Alessandro Nesta

E’ riuscito a vincere un mondiale anche da infortunato (alla Playstation, dicevano i cattivi). Ha concluso la carriera in India.
Unico.

#6. Franco Baresi

La bandiera del Milan. Il più grande libero della storia d’Italia, con lui sbagliavano tutti i più grandi, perfino Bearzot che si era intestardito a farlo giocare mediano. Quando si sganciava palla al piede San Siro esplodeva. E’ stato eletto rossonero del secolo, ha sfiorato il pallone d’oro e soprattutto il mondiale, quando nel 1994 è ritornato apposta da un’operazione al menisco per sbagliare il rigore in finale con Brasile. E’ primatista nel campionato italiano per numero di autoreti: 8.

#7. Ruud Gullit

Nell’attacco per fare posto ai grandi, mischiamo un po’ le carte. Ai suoi tempi il numero 7 era Colombo, ma Colombo no, non si può vedere. E allora eco Gullit che giocava con il 10 ma sgroppava spesso sulla fascia. Un bestione gigantesco, celebre per le sue treccine rasta e per la sua voglia di sesso, come quando disse a Berlusconi che gli chiedeva astinenza prima di una partita decisiva: “Presidente, io con le palle piene non riesco a giocare”.

https://www.youtube.com/watch?v=Y-81Z9qkCPc

 

#8. Giuseppe Meazza

Qui rischiamo il linciaggio degli dei del pallone. Giuseppe Meazza al numero 8, lui che è stato il più grande attaccante italiano di tutti i tempi. Ha giocato con entrambi i club anche se la storia l’ha fatta con l’Inter. Due mondiali vinti, una carriera lunghissima anche se mozzata dalla seconda guerra mondiale.

 

#9. Marco Van Basten

Ecco il colpevole. E’ per lui che Meazza è stato spostato al numero 8. Ma è ancora troppo viva la memoria delle gesta di Marco Van Basten negli anni da favola del Milan di Sacchi. Nella sua breve carriera, conclusa a 28 anni, è riuscito a portare alla vittoria perfino la squadra nazionale più perdente di sempre: l’Olanda, segnando un gol memorabile contro l’Unione Sovietica. Ha vinto tre volte il pallone d’oro ed è stato inserito nella top 10 dei migliori giocatori del mondo da World Soccer. È stato il primo calciatore a segnare 4 gol in una sola partita di Champions League.

#10. Gianni Rivera

La sua carriera politica non è riuscita a macchiare le sue imprese da calciatore. Era il numero 10, il simbolo di un Milan a luci e ombre, che ha condotto a fine carriera alla stella. Ma è soprattutto l’eroe dell’Azteca, l’autore del 4 a 3 con cui l’Italia ha battuto la Germania in quella che è stata definita la più bella partita di un mondiale di tutti i tempi. Primo pallone d’oro italiano, nelle classifiche internazionale risulta quasi sempre il miglior giocatore italiano di tutti i tempi.

#11. Ronaldo

No, non è Cristiano che sta per giocare la finale di Champions. Di Ronaldo a San Siro ce n’è solo uno. Miglior giocatore per quasi un decennio, in cui ha vinto due mondiali e due coppe America. E’ innamorato di Milano, in cui ha indossato entrambe le maglie anche se è quella dell’Inter a cui resta più legato, pur avendo perso praticamente tutto. Tra cui uno scudetto buttato via perdendo l’ultima giornata con la Lazio. Era il 5 maggio, la giornata più nera per i tifosi interisti, quasi quanto quella per i milanisti della sconfitta con il Liverpool dopo che vincevano per 3 a 0 all’intervallo.
Erano quelli tempi straordinari, talmente gloriosi da fare ricordare più le rare sconfitte delle numerose vittorie.

https://www.youtube.com/watch?v=uVueW6X7TM0

Meditazione e Yoga in ufficio: l’innovazione della Branca per rendere più felici i dipendenti

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Mens sana in corpore sano, ma soprattutto relax, meditazione e consapevolezza. A dirlo non è un guru spirituale ma il titolare di un’azienda storica di Milano: Niccolò Branca, Presidente e Amministratore Delegato della nota distilleria.

Per chi avesse sempre pensato che per mandare giù i dispiaceri ci volesse un goccetto, l’erede dell’azienda nata 171 anni fa a Milano ha risposto con la proposta delle proposte: fornire ai suoi dipendenti un programma annuale di meditazione e Yoga Coaching per la realizzazione personale.

“Nella nostra epoca la vera sfida è l’economia della consapevolezza”, dice l’AD Branca.

Il suo approccio al business è frutto di 24 anni di applicazione alle discipline olistiche e alla spiritualità che lo ha portato a pubblicare per Mondadori il libro “Per fare un manager ci vuole un fiore. Come la meditazione ha cambiato me e l’azienda“.

“Per me la mia azienda è come un organismo vivente che vive della produzione, del rispetto dell’ambiente e delle persone e delle risorse e del profitto. La felicità deriva dalla consapevolezza che l’armonia può essere raggiunta in azienda. Il fine ultimo è quello di supportarli nella gestione quotidiana delle sfide legate al proprio ruolo professionale e alla vita privata”, spiega il conte, presidente di una delle aziende simbolo della milanesità del mondo.

Ad occuparsi del training sarà Alessia Tanzi, consulente di strategia aziendale e insegnante di Kundalini Yoga, una delle tipologie di yoga più veloci ed efficaci, “perché originariamente concepito per chi ha una vita piena di responsabilità e di sfide”, spiegano dalla Branca. E proseguono: “Il corso è indirizzato a tutti, singoli o gruppi, a chi soffre di stress management, di spossatezza, di scarsa motivazione, di mancanza di senso della realizzazione, e comprende combinazioni di respiro, posture e movimenti, mantra e focalizzazione visiva o mentale”.

Il lancio ufficiale ha luogo nell’ambito del convegno “Il benessere dell’anima”, dal 13 al 15 maggio a Rimini.

La ricerca al benessere dei dipendenti sembra sempre una tendenza della nostra epoca, finalmente anche nel nostro paese: c’è chi punta sulla componente spirituale, come la Branca, e chi a quella materiale, come la Brunello Cucinelli che, per Natale, ha ridistribuito ai suoi dipendenti 5 milioni di euro guadagnati dal marchio del cashmere con l’ingresso in Borsa.

 

Cover: dettaglio foto vintage campagna Fernet Branca

10 motivi perché Milano dovrebbe essere la capitale d’EUROPA

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milano citta stato sogno
milano citta stato sogno

L’Europa è in crisi perché è rappresentata da istituzioni in cui gli europei faticano a identificarsi. Ha creato una burocrazia farraginosa e lontana, è ostaggio degli interessi dei singoli stati nazionali, ha scelto una capitale che significa poco per gli europei.
Ciò che manca all’Europa è proprio questo: un senso. Un senso che Milano potrebbe servire a dare.

10 MOTIVI PERCHE’ MILANO DOVREBBE ESSERE LA CAPITALE D’EUROPA

#1. La posizione

Nomen omen. Milano significa città nel mezzo. E’ una città posta nel cuore storico dell’Europa: se si traccia una retta di mille chilometri Milano risulta connessa con tutte le grandi città dell’Europa continentale, Barcellona, Parigi, Berlino, Vienna, Budapest.
E’ città che fa da cesura tra Europa del nord e quella del sud, tra est e ovest, mentre Bruxelles è periferica, sbilanciata verso un mare (Mare del Nord) che è già frontiera con paesi scettici o al di fuori dell’Unione Europea.

#2. Una città più europea che italiana

Milano è probabilmente l’unica grande città europea che ha una sua identità senza essere capitale di uno stato (come Bruxelles, Parigi, Londra o Berlino) e senza identificarsi con la nazione o con la regione a cui appartiene (come Barcellona che è soprattutto catalana). Milano è forse l’unica città a sentirsi più europea che dello stato o regione di cui fa parte.

#3. Originata da tutte le culture europee

Milano ha subito forti influenze dalle culture che hanno fatto l’Europa. E’ stata capitale dell’Impero Romano, poi soggetta ai longobardi provenienti dal nord Europa, è stata un rilevante centro del Sacro Romano Impero di impronta germanica, poi dominata dalla Spagna, tornata capitale con Napoleone e l’occupazione francese, quindi città di spicco dell’impero asburgico e infine capitale morale d’Italia. Non esiste altra città in Europa che sia espressione di così tante culture europee.

#4. La tensione all’eccellenza

Milano è una città portata all’eccellenza. Ha dei primati che la rendono unica al mondo. E’ la capitale mondiale della moda, della lirica, del design, organizza un evento leader internazionale come il Fuorisalone. La sua forza nasce da una creatività straordinaria che non ha rivali in città della stessa dimensione.

#5. L’apertura internazionale

Milano è una città dove chi viene da fuori si sente a casa sua. E’ una città fatta in gran parte da milanesi di prima, seconda o massimo terza generazione. Quasi tutte le altre grandi città d’Europa sono molto scioviniste: pur aprendosi a lavoratori e investitori stranieri, li guardano comunque con un senso di superiorità, come il caso di Londra, Berlino o Parigi, invece Milano è orientata favorevolmente verso tutto ciò che proviene dall’estero.

#6. Valori autenticamente europei

I valori di Milano sono i valori autentici su cui ricostruire l’Europa, anche perché sono il risultato delle influenze che Milano ha ricevuto dalle altre culture: lavoro, libertà, spirito di iniziativa, creatività, estetica, tensione all’eccellenza, internazionalità e autonomia dagli Stati nazionali.

#7. Città che innova il pensiero

Milano è città d’azione, con le sue imprese e i suoi artigiani, ma è anche una città di pensiero. Ha innovato e rivoluzionato lo spirito dei tempi dando origine a movimenti che hanno fatto la storia d’Europa, nel bene o nel male, come il socialismo italiano, il fascismo, o il futurismo.

#8. Il modello di coesistenza tra pubblico e privato

A Milano il privato si occupa anche del bene pubblico. I cittadini hanno una coscienza civica molto sviluppata: è la città con i più alti tassi di associazionismo del mondo e spesso i servizi pubblici vengono garantiti attraverso l’opera di organizzazioni private. E’ un modello bottom up più moderno e funzionale rispetto a quello centralista imposto “dall’alto” dalle istituzioni di Bruxelles.

#9. Città simbolo del progresso

Anche se è una città che politicamente solo a tratti ha contato molto, a livello culturale è spesso stata al centro degli eventi. Francesco I e Carlo V, ai tempi padroni del mondo, hanno messo Milano come oggetto dei loro desideri, cercando di strapparsela di mano di continuo, ed arrivando a sfidarsi perfino a duello pur di ottenerla. E’ la città dell’Editto di Costantino, atto principe della tolleranza universale, la città rinascimentale che attirava geni come Leonardo e la città base in Italia per Napoleone e i principi della rivoluzione francese. E’ stata una capitale illuminista con gli Asburgo, la prima città in Europa a dotarsi di energia elettrica e città simbolo del movimento di liberazione dal Fascismo nella Seconda Guerra Mondiale.

#10. Dall’Europa delle nazioni all’Europa delle città

Ma forse la ragione più importante perché Milano dovrebbe essere la vera capitale d’Europa è nel suo messaggio implicito: Milano è città, prima che nazione. E come città ha saputo affermarsi nel mondo, non con l’aggressività del suo potere militare ma con l’intelligenza e la creatività. Proprio da qui dovrebbe ripartire l’Europa: dalle sue città, espressione della più alta cultura e magnificenza della storia dell’uomo.

ANDREA ZOPPOLATO

Foto cover: opera di Duilio Forte

7 casi di guerriglia marketing a Milano

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Guerrilla marketing nella sua definizione originale indicava una campagna pubblicitaria non convenzionale e a basso costo ottenuta attraverso l’uso creativo di strumenti e mezzi aggressivi che fanno leva sull’immaginario e sui meccanismi psicologici degli utenti finali.

Facciamo un esempio: la campagna portoghese del 2013 per sensibilizzare gli automobilisti a non parcheggiare sui parcheggi per disabili.

parcheggi disabili

Tutti i parcheggi furono occupati durante la notte con delle carrozzine e la mattina nessuno poté parcheggiare in quella zona della città. Direi che il messaggio è piuttosto esplicito.

 

Vediamo alcune campagne di guerriglia marketing realizzate a Milano.

 

#1 Masterchef.

Le strade di Milano si sono riempite di fornelli e fruste da cucina per annunciare l’edizione di Masterchef dello scorso anno.

guerriglia marketing masterchef

masterchef guerriglia

 

#2 Gruppo Generali.

Le assicurazioni hanno fatto spuntare un sottomarino in piazza Cordusio. Lo slogan, “tutto può accadere”.

Credits melissasaraceno IG – Sottomarino piazza Mercanti Milano

#3 Piaggio MP3

La Piaggio nel 2009 per lanciare il restyling del suo scooter a tre ruote ha ricostruito a Milano le scene del crimine holliwoodiane.

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#4 The Lego Movie.

La Lego nel 2014 per promuovere il suo film ha costruito degli omini di mattoncini Lego grandi come persone.

lego

 

#5 Geox.

Geox nel 2013 ha costruito tante nuvole di Fantozzi per ricoprire la testa dei suoi testimonial. Un bel modo per dire che le sue calzature sono totalmente impermeabili.

geox pioggia

 

#6 Wired.

Nel 2011 Wired ha lanciato l’iniziativa Sveglia Italia! per portare il wi fi libero in 150 piazze italiane. In quell’occasione il cartello con il nome Piazzale Cadorna era stato sostituito con questo:

Piazza-Wired

 

#7 WWF.

A fine 2014 sul piazzale davanti alla stazione di Cadorna è stato avvistato un rinoceronte morto, con il corno spezzato coperto dal classico lenzuolo bianco che viene sempre usato in queste circostanze. Come ha poi detto il WWF, il rinoceronte era finto ma il problema del bracconaggio è reale.

rinoceronte

ZanzaMapp: la prossima estate dalle zanzare ci salverà lo smartphone

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Addio ciabatta e racchetta: nell’estate 3.0 la caccia alle zanzare è via app. Si chiama ZanzaMapp la mappa che geolocalizza la posizione e la concentrazione delle zanzare e, grazie al monitoraggio di chi viene punto o vede degli insetti minacciosi pronti a mordere, invia i dati agli enti incaricati dalla disinfestazione. Ma sa anche rispondere ai quesiti dei cittadini pizzicati.

A pensarci è stata una startup dell’Università La Sapienza di Roma con la collaborazione fra il dipartimento di Fisica e di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, e con la startup GH.

L’impatto? Rivoluzionario: sono bastati tre giorni dall’avvio per registrare “seimila download (per Android) e quattromila via browser”, riporta Repubblica.it.

ZanzaMapp: Uno sfizio, un’estremizzazione o un’esigenza?

Innanzitutto c’è la questione sanitaria. Spiega Cesare Bianchi, ricercatore e co-fondatore della startup universitaria GH srl: “Collaborando con gli studiosi della Sapienza ho scoperto che la diffusione delle zanzare costituisce è un problema igienico sanitario legato all’esistenza di molti virus, diversi dal Zika, che in Italia sono responsabili di epidemie”. Incalza La Sapienza tramite Adnkronos: “Dopo l’allerta lanciata a marzo dal direttore del Dipartimento Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Zsuzsanna Jakab, è oggi ancora più importante creare uno strumento di facile usabilità che permetta di tenere sotto controllo la situazione e coordinare gli sforzi nella lotta alle zanzare”. Quindi, uno strumento per fermare le zanzare ci voleva. E non parliamo di spray e zampironi.

Poi, ci sono i costi di disinfestazione: “[…] vengono eseguite senza una pianificazione con un dispendio eccessivo di forze e senza risultati significativi”, commenta Bianchi, che prosegue, “I dati raccolti sono pubblici e possono essere scaricati(debitamente anonimizzati) da chi ne fa richiesta in vari formati aperti così da poter essere utilizzati da tutti i pubblici di riferimento” (fonte: AdnKronos).

L’impegno civico. In ZanzaMapp il contributo dei cittadini sarà fondamentale: ogni segnalazione fornirà il punto preciso in cui intervenire “con le sostanze giuste (non inquinanti), ottenendo risultati più efficaci. “Senza contare che la raccolta di dati permetterebbe alle amministrazioni locali,” ricorda Bianchi, “di attingere a dati scientifici per monitorare la situazione”. Insomma, le osservazioni dei privati potranno incrociarsi e collaborare con quelle scientifiche.

Come funziona ZanzaMapp è una app multipiattaforma Android, iOS, Windows Phone e su computer accedendo al sito web.zanzamapp.it.

Subito all’accesso viene chiesto il numero di zanzare nella posizione o se si desidera segnalare una disinfestazione (screeshot):

Schermata 2016-05-10 alle 17.59.31 E’ possibile segnalare numero di zanzare rilevate, luogo e orario della rilevazione, ed persino inviare una fotografia per l’identificazione certa della specie. Sono a disposizione schede informative, compilate dagli entomologi dell’ateneo romano, per riconoscere le specie di zanzare e sui modi per come combatterle.

Quale rivoluzione? ZanzaMapp mira ad essere un’iniziativa aperta e con dati liberamente fruibili, spiega il sito: grazie a questa start ‘app’, la prima in Italia, nel nostro Paese si potrebbe creare la prima banca dati sulla sulla diffusione e la localizzazione delle zanzare e gli utenti potrebbero “chiedere direttamente ad esperti del ‘settore’ informazioni a riguardo piuttosto che fare delle ricerche su Google, spesso portatrici di inesatta o incompleta risposta, è un valore aggiunto non indifferente. Qui risponde proprio l’Esperto, non l’opinionista”, concludono dal progetto.

Per contatti diretti: zanzamapp.it/Facebook ZanzaMapp

 

Le 6 domande che si fanno i giovani turisti prima di venire a Milano

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Reddit è il sito raccoglitore di domande e risposte più utilizzato su internet.

Sono andato su Reddit a indagare quali sono le domande che i giovani turisti che si recano in visita a Milano si pongono più spesso. Ovviamente vi riporto anche le risposte.

giovani stranieristrani#1 C’è qualche locale di Milano dove posso vedere la National Football League (NFL)?

Considerato che la NFL è lo sport più seguito al mondo direi che la domanda è lecita, anche se in Italia siamo più legati al calcio. Comunque il 442 Sport Pub di Via Procaccini mostra la NFL.

 

#2 Quali sono i migliori posti per fare shopping maschile a Milano (a prezzi ragionevoli)?

La risposta più dettagliata dice:

Corso Buenos Aires per i capi più economici delle grandi marche.

Duomo, via Torino, corso Vittorio Emanuele per trovare cose economiche ma di marche più fashion di quelle vendute in Corso Buenos Aires.

Corso Vercelli se al posto della marca cerchi la qualità.

Brera per cose costosissime di stilisti sconosciuti.

Via Montenapoleone se sei ricco.

 

#3 Partendo da Milano dove posso andare a sciare? Consigliate delle mete che siano raggiungibili con i mezzi pubblici.

Anche se la domanda non è pertinente con la bella stagione che avanza, merita comunque una risposta. E in risposta c’è che dice Cervinia e c’è chi dice Piani di Bobbio.

 

#4 Mi consigliate un ristorante dove cenare con la mia ragazza? Vorremmo gustare la tipica cucina italiana?

Per noi “cucina italiana” è un definizione molto vaga, ma sono comunque arrivati dei consigli.

L’albero fiorito in via Privata Andrea Pellizzone.

La Risacca in via Marcona.

Ristorante della zia in via Fara.

Ristorante Bianca in via Bartolomeo Panizza.

Angolomilano in via Gian Antonio Boltraffio.

Trattoria la Rava e la Fava in via Principe Eugenio.

 

#5 Qual è il periodo migliore per visitare Milano?

Aprile, Maggio o settembre. Altrimenti d’estate è troppo calda e d’inverno troppo fredda.

 

#6 Mi sapete consigliare un locale dove la domenica sera posso andare a divertirmi e incontrare gente senza spendere molto?

A questa domanda nessuno ha saputo rispondere.

10 modi per fare i SOLDI a Milano partendo da ZERO

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fare i soldi a milano
fare i soldi a milano

Milano è la città da bere, da lavorare, del business internazionale, dell’innovazione e delle idee ‘strane’. A Milano vedi cose e persone che non vedresti in nessuna altra regione d’Italia. E’ il luogo dove ognuno trova il proprio posto nonché la città delle possibilità, anche quella di fare un fracco di soldi.

10 modi per fare i soldi a Milano partendo da zero

#1. Fare i PR in discoteca

Le Iene hanno svelato che Corona chiedeva circa 7000 euro per una serata in discoteca. Il segreto non è che quei soldi glieli regalano, ma è calcolato sul fatto che i gestori calcolano che con la sua presenza verrà un sacco di gente che berrà come pazzi. E’ proprio da questo che guadagnano i locali: dalla gente che entra. Ogni persona è come se fosse una banconota e i pierre guadagnano di conseguenza, dal 10% fino al 50% sul pubblico che portano. Spesso fare il pierre è un punto di partenza per nuovi più esaltanti avventure imprenditoriali.

#2. Fare il fashion o food blogger

Hey, Johnny, abbiamo un budget per far parlare di questo prodotto sul media. Conosci qualche giornalista o qualche blogger disposto a farlo per soldi? Se un giornalista accetta di pubblicizzare un prodotto, viene radiato. Ma un blogger no, è libero e può fare quello che vuole. Per lui parlano i follower a cui non frega molto se quello che dice lo dice perchè ci crede o perchè è stato pagato da un brand. Anzi, forse è ancora più cool così. Vabbé, avete capito il meccanismo.

#3. Partecipare ai bandi per idee di start-up

Il Comune o i privati, gli acceleratori o le aziende straniere ne sfornano di continuano. Ormai ci sono più soldi per start up che start up. Davvero, basta andare in uno di questi contest o di incontri con investitori per vederli lamentare che ci sono poche idee davvero valide sul mercato. Ecco, se ne hai una, fatti avanti. Oppure fattene venire una. Spesso i soldi arrivano anche a chi ha solo uno straccio di business model.

#4. Partecipare a un crowdfunding civico

Se la tua idea è molto figa ma pensi che non ci sia nessuno che pagherà mai per i tuoi prodotti o servizi, non disperare. Altra moda del momento è il crowdfunding. Si può farlo con indiegogo o su altre piattaforme, oppure si può puntare direttamente a fondazioni o amministrazioni comunali, che spesso riservano finanziamenti a fondo perduto per iniziative a scopo sociale.

#5. Fare catering

E se non siete bravi si può usare la cucina di mamma. C’è chi lo fa.

#6. Fare una app

A Milano le usano tutti: per muoversi sui mezzi pubblici, per mangiare a domicilio, per prenotare un taxi o un’auto o una bici, per capire come fare serata, per trovare nuovi incontri. Potete anche inventarvi una app unica che mette insieme tutte queste cose.

#7. Aprire una start-up

Milano è la città dell’innovazione, degli incubatori, degli acceleratori, dei coworking, dello smart work. Insomma: se hai una buona idea “disruptive” questa è la città per concretizzarla. E magari diventi pure ricco.

8. Affittare un letto o una casa

Durante il Salone del Mobile o la Fashion Week potreste trovarvi pagate le spese del vostro prossimo viaggio in Brasile. Conosco gente che con Expo ha passato Capodanno a Rio e l’estate ha visto le aurore boreali – tutta estate. E chi non ha una casa? Può sempre affittare la casa degli altri

#9. Aprire un canale YouTube

Fare gli scherzi da bastardi al parco o a casa e pubblicarli in rete sta avendo successo.
Altra strada è quella di riprendervi mentre giocate ai videogames: c’è gente che fa le ospitate ai compleanni tanto è seguita sui social network.

#10. Fare il consulente

Un tempo si diceva sono freelance. Oggi si dice faccio il consulente. Per cominciare basta inviare messaggi sulla chat di Facebook o via mail ai propri contatti, consigliando loro di cambiare qualcosa nel loro lavoro o nella loro vita. Se seguono il vostro consiglio, mandategli la fattura.

E’ in Spagna la centrale fotovoltaica che produce anche quando il sole va giù

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Siamo in Spagna, più precisamente a Fuentes de Andalucìa, nei pressi di Siviglia. Qui c’è una ‘supercentrale’ a energia solare dotata di 2650 specchi orientabili, cioè che seguono il sole e si comportano come dei veri girasoli.
La loro particolarità? La capacità di trasformare i raggi del sole in energia, anche quando fa buio.
Si chiama Gemasolar, è situato a e ha un’ autonomia di 15 ore.

COME FUNZIONA LA SUPER CENTRALE A ENERGIA SOLARE.
Torresol Energy, l’azienda che l’ha costruita, l’ha creata sulla base di un sistema di sali fusi e con il concetto dell’energia H24.
Tutta la luce riflessa dagli specchi, che si muovono insieme al sole, viene catturata dalla torre centrale che è ricoperta da pannelli ricettori contenenti sali fusi.
I ricettori si riscaldano fino a 500 gradi Celsius, mentre il sale fuso stoccato dentro serbatoi può mantenere il calore a un livello da generare elettricità anche con il calare delle tenebre.

Gemasolar è in grado di generare 19,9 Megawatt di elettricità che non è tantissimo, ma proprio per il fatto che funziona ininterrottamente la sua potenza può essere paragonata a quella di una centrale solare di 50 Megawatt”, spiega la Focus.it.

Dopo Marocco e Svezia, ecco un altro Paese del mondo che ha investito nelle rinnovabili ed ha avuto ottimi risultati. gemasolar-plant-ph.www.torresolenergy.com

Soldi per tutti: a giugno in Svizzera il referendum che può rivoluzionare l’economia

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Un reddito di cittadinanza di 2.200 euro al mese. Per ogni cittadino, indipendentemente dal fatto che lavori o no, che sia ricco o povero. Questa la proposta che sarà votata da un referendum il prossimo 5 giugno e che in caso di vittoria dei suoi sostenitori potrebbe fare diventare la Svizzera il primo paese al mondo a pagare tutti i cittadini.

Chi critica il referendum dice che così non ci sarà più stimolo a lavorare. Ma i promotori, un gruppo di intellettuali del paese, affermano proprio il contrario, citando studi ed esperimenti analoghi. Che dimostrerebbero che le persone lavorerebbero e studierebbero di più. Perchè sceglierebbero ciò che amano di più. 

Come riporta StartupItalia, sono due gli esperimenti già effettuati nel mondo: uno in Olanda, a Utrecht l’altro in Canada.

UTRECHT. A inizio 2016, l’Università di Utrecht e l’amministrazione cittadina hanno diviso il campione della popolazione scelto per il test (circa 300 persone) distinguendoli per reddito: “900 euro per un adulto, fino a 1.300 per una coppia o una famiglia”, riporta la nostra fonte.

Dare soldi a tutti e non solo a chi ne ha bisogno comporta secondo gli amministratori diversi vantaggi: in primis quelli di evitare di premiare gli evasori, di non dover effettuare controlli sulle sovvenzioni e di evitare anche la riduzione della solidarietà tra i cittadini, generata dal risentimento da parte di chi non riceve soldi verso chi li riceve.

CANADA: IL MINCOME PROGRAM. Ma il primo esempio di questo tipo è avvenuto nella città canadese di Dauphin, 8 mila abitanti nella provincia di Manitoba, tra il 1974 e il 1979. “Allora, il “Mincome Program” offriva uno stipendio a ogni membro della popolazione che avesse un reddito basso. I ‘low income’, cioè quelli considerati con un basso reddito ottenevano un reddito di base che, rapportando le cifre al 2015, corrisponde a 16 mila dollari in caso di persona singola, un po’ più di 20 mila (20,443 per l’esattezza) annuali. Un anno prima Manitoba e il governo federale firmano un patto per dividersi i costi, i 17 milioni di dollari del progetto. Il 75% pagato dal governo, la parte restante dalla provincia”.

Secondo studi pubblicati nel 2011 questa scelta ha prodotto l’eliminazione della povertà in città, la soluzione di altri problemi sociali, l’aumento dell’istruzione soprattutto tra i cittadini di sesso maschile, “i quali invece di abbandonare la scuola giovanissimi per lavorare preferivano proseguire gli studi, circostanza che avrebbe avuto un’influenza nell’incremento dei loro redditi futuri […]”. Sono diminuite persino le spese sanitarie legate a cure di disturbi psicologici o psichiatrici” (cit. StartupItalia).

ALTRI CASI OLTRE LA SVIZZERABasicincome.org rivela che molti altri paesi si stanno muovendo sulla scia della Svizzera: la Finlandia, la provincia canadese dell’Ontario e perfino il governo francese stanno considerando di avviare un programma che ha aspetti molti simili.  Lo stesso sito afferma che solo il 2% delle persone dichiarano di voler smettere di lavorare se ricevessero il reddito di base.

Dopo la bocciatura in Parlamento, la Svizzera ha avviato un referendum: i primi sondaggi parlano di un quasi testa a testa, i più favorevoli al reddito di base sono gli svizzeri francofoni mentre i più contrari sono quelli di lingua italiana.

Se vincessero i sì potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione per il mondo dell’economia: si scoprirebbe se lavorare per piacere produce più vantaggi che lavorare per soldi. E soprattutto la Svizzera potrebbe diventare il primo paese della storia ad aver sconfitto la povertà.

Fonte: Smartmoney | Foto: una protesta in Svizzera il 30 aprile 2016 per l’applicazione del reddito di base (Facebook).

“Di che storia hai bisogno?”. Il cantastorie di Sant’Eustorgio e la sua Milano da favola INTERVISTA

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A Milano si va di corsa, di giorno come di sera, sempre, tranne che il giovedì in Piazza Sant’Eustorgio, dalle 18.30 in avanti, non tanto perché è finita l’Area C, ma perché spiccano il leggio e le storie di Luca Chieregato, con il cartello-invito per tutti: “Di che storia hai bisogno?”.

DAI MAGI AI DRAGHI.
Sant’Eustorgio è la piazza con la chiesa che raccoglie le spoglie dei Re Magi. Dalla stella cometa ai draghi il tempo è quello di circa 2000 anni e Luca Chieregato,  il cantastorie di Piazza Sant’Eustorgio, la sceglie ogni giovedì dalle 18.30 “perché è l’ora in cui finisce l’Ecopass”, scherza”, “ma soprattuto perché è spaziosa, non è molto battuta dagli artisti di strada, non è così centrale, è di passaggio ed è abbastanza larga per fermarsi, anche per permettermi di scaricare baule, sedie, scenografia, ed ha una bella atmosfera”.
Ma chi è il cantastorie di Piazza Sant’Eustorgio?

IL CANTASTORIE-PSICOLOGO.
40 anni, di Corsico “che è talmente attaccata a Milano che sono milanese anche io”, Luca Chieregato lavora in teatro da 20 anni e dopo una formazione presso il COMTEATRO – Scuola di teatro di Corsico con Claudio Orlandini ha intrapreso la strada dello scrittore, attore, regista, formatore in azienda. Oggi è un attore che scrive favole in scatola da 5-6 minuti ciascun -“sono troppo brevi per essere portate a teatro, abbastanza piccole da poterle ‘inscatolare’ e farne ‘Scatofavole’ illustrate dalla mia amica Alessia Bussini”.

luca chieregato cantastorie 00

“Scendere in strada è stato un grande atto di coraggio preso in un’estate di grande dolore di quattro anni fa”, mi spiega mentre prepara le prove del suo spettacolo (Cyrano sulla Luna, fino al 13 maggio al Teatro Leonardo di Milano, N.d.r.), “Non sono un artista di strada e mi fa anche un po’ paura stare sul marciapiede per quattro ore e aspettare che qualcuno si fermi, ma allora non volevo stare fermo e da quel momento non ho più smesso. Che soddisfazione vedere grandi, adolescenti, bambini, sedersi davanti al leggio, chi sulle due sedie e chi per terra, rapiti. Qualcuno si commuove perché non si ricordava più che impressione fa farsi raccontare una storia”.

Nel carnet del cantastorie di Piazza Sant’Eustorgio ce ne sono più di 80, tutte scritte di suo pugno. Le sue preferite sono “Il Principe Senza”, “Inverno e Primavera” e “Il Povero Grigio”, “nata grazie a un’intuizione di mia figlia Linda che piace ed è virale perché è un tormentone. Una volta non mi hanno dato una multa a Lugano, in Svizzera perché mi hanno riconosciuto come quello del ‘Povero Grigio'”, eppure Luca non parte se non c’è l’ascoltatore che dà il via.

Ogni storia racconta “qualcosa delle nostre paure, che vengono superate perché affrontate nella parentesi tra il ‘C’era una volta tanto lontano’ e ‘Vissero per sempre felici e contenti'”, e per far partire quel meccanismo è necessario che l’ascoltatore dia il via. Ma è davvero questo il lieto fine di questo artista di strada a Milano?

MILANO STRADA APERTA. Di certo la storia di Luca apre una finestra sul tema dei buskers meneghini. “In questo Milano è una città all’avanguardia”, e mi spiega del portale Strada Aperta: “al pari ne hanno solo alcune città d’Europa”.

Per iscriversi è necessario caricare i propri dati sensibili, il proprio sito Internet, il portfolio dei propri lavori. A quel punto viene rilasciata una password e con quella si può accedere alla mappa della città, purché sia verde, cioè libera, nelle fasce orarie prescelte.

“Milano è mappata con oltre 400 postazioni ed il servizio è interamente gratuito” mi spiega Luca, che qui vede “quanto Milano stia riuscendo ad avere una sua identità senza soffrire delle tipiche lentezze italiane. L’imprenditorialità e la possibilità di snellire dei meccanismi è una direzione che ho potuto verificare come cantastorie: me ne sono accorto quando ho visto che Strada Aperta ha un numero di telefono, ma che non serve. L’ho usato solo per andare a trovare per vedere chi c’era dall’altra parte”. E conclude: “La grande sfida è attingere dalle risorse personali e virtuose per lasciare che l’esempio di uno faccia bene alla cosa pubblica per tutti”.

PERCHé UN CANTASTORIE A MILANO. “Il tema di ogni ‘Principe Senza’ delle sue fiabe è quella dello sviluppo personale: sciogliere una paura, usare le proprie risorse interne e sfoderare il coraggio”, spiega Luca. Certo, le fiabe hanno sempre funzionato così,  ma l’aspetto più intenso di questa storia è quello di vedere che una piccola porzione di Milano sa riconoscerle e vuole fermarsi per regalarsi del tempo.

“La mia scelta artistica e umana è: fermati un minuto. Io sono una persona inquieta e irrequieta, fermarmi sulla sedia ed aspettare è un esercizio zen”. E allora, più cantastorie nelle piazze di Milano e per tutti.

www.lucachieregato.it

16 CANZONI su Milano per amarla ancora di più

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Sono state scritte moltissime canzoni su Milano, vorrei condividere con voi le mie preferite.

Se ne dimentico qualcuna mi farebbe piacere me le segnalaste nei commenti, così finalmente imparo qualcosa.

 

16 canzoni su Milano per amare ancora di più la città.

 

#1 Oh mia bela Madunina (Giovanni D’Anzi, 1935)

Qualsiasi lista del genere deve per forza partire da questa. L’inno della città. Vi consiglio anche la versione ironica fatta da Elio e le Storie Tese al dopofestival di Sanremo del 2008, cantata da Eugenio Bennato.

Ti piace? Vuoi comprare il CD? Fai click Qui…

#2 Porta romana (Giorgio Gaber, 1963)

Poche cose sono più milanesi di Giorgio Gaber.

#3 Il ragazzo della via Gluck (Adriano Celentano, 1966)

Là dove c’era l’erba ora c’è una città. Però, diciamolo, una bellissima città.

#4 Innamorati a Milano (Ornella Vanoni, 1969)

Sapessi com’è strano sentirsi innamorati a Milano.

#5 Luci a San Siro (Roberto Vecchioni, 1971)

Lacrime, groppo alla gola e ricordo di Tre uomini e una gamba.

#6 Lontana è Milano (Antonello Venditti, 1972)

La gente parte per far fortuna 2000 sogni più in su.

#7 Vincenzina e la fabbrica (Enzo Jannacci, 1974)

Composta per il film romanzo popolare di Mario Monicelli, questo brano è un pezzo di storia.

#8 Milano (Lucio Dalla, 1979)

Milano che quando piange piange davvero.

#9 Il duomo di notte (Alberto Fortis, 1979)

Piroette di sabbia e le guglie del Duomo differenza tra pietra e le voglie di un uomo.

#10 Milano (poveri bimbi di) (Francesco Guccini, 1981)

Poveri bimbi di Milano, numerosi come minuti, viaggiatori di mete fisse, spettatori sempre seduti…

#11 Milano circonvallazione esterna (Afterhours, 1999)

Quattro e mezza di mattino per la radio sono troppo triste e il dj non mi parlerà.

#12 Milano Milano (Articolo 31, 2002)

Tra la ringhiera e il sogno americano, ci sono anch’io, Milano Milano!

#13 Un romantico a Milano (Baustelle, 2005)

Porta ticinese piove ma c’è il sole quando il dandy muore fuori nasce un fiore…

#14 Ti amo anche se sei di Milano (Fabrizio Moro, 2007)

Ti ricordi che ti amo anche se sei di Milano.

#15 Boxe a Milano (Pacifico, 2009)

Boxe a Milano, Nebbia sudava il naviglio, Freddo in Stazione Centrale.

#16 Amo Milano (Dargen D’Amico, 2014)

Amo Milano perché quando il sole sorge nessuno se ne accorge.

FRANCESCO BOZ

Leggi anche:
10 città stato del mondo che possono ispirare Milano
* E ora Milano Città Stato! Se non lo fa l’Italia, si può chiederlo all’Europa
Milano Città Stato sarebbe un bene soprattutto per l’Italia
Primo passo del consiglio comunale verso Milano Città Stato
Corrado Passera: Milano Città Stato è il più interessante progetto che ci sarà in Europa nei prossimi anni
“Proviamoci. Mi impegnerò personalmente”. Beppe Sala a Milano Città Stato

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Dove sono finiti i due liocorni della Cappella Sistina di Milano?

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liocorni
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San Maurizio al Monastero Maggiore è una delle più belle chiese di Milano, è “la Cappella Sistina di Milano”, per qualcuno della Lombardia intera, ma nasconde un mistero: cosa ci fanno due liocorni a bordo dell’Arca di Noè?

La scena affrescata da Aurelio Luini, figlio del pittore-star del Cinquecento Bernardino, è nota: Noè ha preparato l’arca per salvare coppie di animali e la sua famiglia dal Diluvio Universale.
Ma non può non suonarci nella testa quella canzoncina della scuola materna: “solo non si vedono i due liocorni”.

Qui invece sono stati affrescati, e si presuppone che chi li ha dipinti l’abbia fatto a ragion veduta. Quindi nella versione di Luini Noé non ha dimenticato i liocorni!

Per capire la questione, bisogna fare un passo indietro nella storia.

san maurizio al monastero maggoire ph. londarmonica.file.wordpress
san maurizio al monastero maggoire ph. londarmonica.file.wordpress

PERCHé “AL MONASTERO”? Siamo nel cuore della Milano romana, in quello che oggi risponde al numero 13 di Corso Magenta.  Proprio accanto all’ingresso del Museo Archeologico di Milano, sin dall’età carolingia è documentato un monastero femminile benedettino. E’ San Maurizio, per questo “al Monastero Maggiore”: dall’esterno anonimo, con un interno preziosissimo, venne eretto riutilizzando in parte alcuni edifici romani di cui oggi restano una torre poligonale proveniente dalle antiche mura di Massimiano, e un’altra quadrata, che in origine faceva parte del circo romano.

Nel XVI secolo la potente famiglia dei Bentivoglio ne commissionò il rifacimento.

I BENTIVOGLIO. Era un Bentivoglio  Alessandro, governatore di Milano già figlio del Signore di Bologna Giovanni II Bentivoglio. Sua moglie era Ippolita Sforza, figlia di Carlo Sforza, un figlio illegittimo del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza. Della loro progenie, “quattro delle loro figlie furono destinate al convento di san Maurizio, e Alessandra ne fu per sei volte badessa” riporta Wikipedia. Vero on no, parliamo di una famiglia importante con una commissione importante.

E a chi avrebbe mai potuto affidare uno dei suoi lavori di maggiore rappresentanza se non all’artista -star del momento, quello più gettonato dall’aristocrazia di allora, Bernardino Luini?

Dal suo pennello arrivarono le raffigurazioni dei membri del casato Bentivoglio e  della badessa Alessandra accanto ai santi patroni del convento; la sua scuola e i figli si divisero navate, coro, e abside.

LA SCUOLA DEL LUINI. Proprio i “Luini junior”, Giovan Pietro, Evangelista e Aurelio Luini terminarono l’opera nella seconda metà del Cinquecento.
A loro andarono le scene dell’aula, quelle della Deposizione dalla croce, la Flagellazione, l’Ultima Cena e la Cattura, insieme alle due scene dipinte sulla parete divisoria sopra l’arcone.
Fu il terzo fratello, Aurelio, con uno stile fiammingo e molto attento ai particolari, a lavorare alle scene vivaci e movimentate, rendendo ancora più vivi i racconti delle Storie di Adamo ed Eva, dell’arca di Noè, e dell‘Adorazione dei Magi

I DUE LIOCORNI. Con uno stile che attinge dalla propensione tutta nordica per le leggende e i dettagli dei racconti, ecco i due liocorni affrescati da Aurelio Luini nella scena dell’arca di Noé.

Ma i due liocorni non erano spariti? Da dove ha saputo o sentito dire, in quale racconto ha tratto la notizia che si sarebbero salvati dal Diluvio Universale?

Alla scuola materna noi cantavamo con una certa sicurezza, e tramandando oralmente la verità della storia di Noé:

“E mentre continuava a salire il mare
e l’arca era lontana con tutti gli animali
Noé non pensò più a chi dimenticò:
da allora più nessuno vide i due liocorni”

Ma se dallo scoop di Luini, i due liocorni si sono salvati, allora resta il mistero: dove sono finiti i due liocorni!?!? 

Il picnic di 1 chilometro al Parco Sempione: le cose da sapere per partecipare

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picnic lungo un chilometro milano
picnic lungo un chilometro milano

Non appena arriva la primavera, non si vede l’ora di correre all’aria aperta per godersi il bel tempo tra picnic, tovaglie a quadri, capriole sull’erba e momenti di condivisione en-plein air. Domenica 8 maggio sarà ancora più divertente perché a partecipare saranno milanesi e non, armati di cestino con le prelibatezze della nonna, cuscini, e una tovaglia a pixel  – cioè a quadretti bianchi e rossi – lunga 1 km, capace di coprire il Parco Sempione dal fatidico mezzogiorno ‘in famiglia’ fino alle ore 22.00.

cene in bianco milano repubblica.it
cene in bianco milano repubblica.it

Il riferimento emotivo potrebbe essere quello delle “Cene in bianco[foto a sinistra], i flash mob in cui ci si trova ad una data ora, ognuno porta la mise en place, sedie tavoli e cibo, tutti vestiti di bianco, e ad una data ora si sbaracca per lasciare la piazza più pulita di prima.
Il risultato reale sarà più bucolico, ma anche in questo caso nulla sarà lasciato al caso.

Gli organizzatori hanno pensato a tutto: dalla musica alle performance collettive, dagli spettacoli sul prato per grandi e piccini ai digestivi. Persino a due ricette da portare, per chi vorrà sperimentarle.

Ecco un piccolo vademecum del picnic per non trovarsi impreparati.

5 cose da portare al Pixel-picnic

  1. la schiscetta (tradotto: buon cibo)
  2. i cestini da picnic
  3. cuscini per sedersi e ospitare gli altri
  4. se stessi e i propri amici
  5. apertura mentale, disponibilità a conoscere gente nuova e voglia di divertirsi in gruppo

12 cose che troveremo al Pixel-picnic

  1. i digestivi offerti dagli organizzatori.
  2. CriticalCity Live – Focus – forniranno i partecipanti di un caschetto con telecamera e un timer da legarsi al polso. I partecipanti dovranno pescare una missione dalla pila di buste segrete e da quel momento avranno 15 minuti di tempo per compierla e tornare indietro.
  3. Slow Run! – corsa benefica e goliardica sulla distanza di 5 metri, dove vince chi arriva ultimo, con tre regole: non si può cambiare stile di corsa; non si può stare fermi e non si può indietreggiare.
  4. Gradient – Progetto Città Ideale – un percorso a indizi in cui individuare 12 opere sparse nel Parco Sempione.
  5. Garten con Elena Campa e il workshop di “monotipia”: si realizza il primo erbario autoprodotto con piante commestibili.
  6. Asterisma e l’ortoterapista Cristiana Minoletti fornirannno tutti di una cassetta di frutta, sacchi di terriccio e materiale vario, sia inerte, che vivente, per realizzare il proprio “paradiso verde”.

    Bubble-Football
    Bubble-Football
  7. Il giardino magico urbano con Asterisma e l’illustratrice Serena Marangon –  laboratorio di disegno libero, collage, timbri tra l’illustrazione, la natura e la scienza, per bambini e adulti.
  8. Bubble Football – la rivisitazione del tradizionale calcetto a 5 con i giocatori dentro bolle gonfiabili [foto a destra]
  9. BioBlitz  – laboratorio diffuso in varie parti del mondo: cittadini, naturalisti e scienziati si riuniscono in un luogo per scoprirne flora e fauna.
  10. Teatro in cuffia con Mare Culturale Urbano: produzione teatrale in cui gli spettatori sono dotati di cuffie e gli attori recitano in relazione al tempo, allo spazio e al pubblico.
  11. Dramatrà e “I fantasmi di Parco Sempione” – momento teatrale in giro per il parco.
  12. L’urlo del Sempione, de Le Compagnie Malviste –  performance urbana aperta a persone di tutte le età, che mira al coinvolgimento collettivo e la mobilitazione sociale. L’atto finale è un urlo liberatorio collettivo.

Ricette da Pixel-picnic

La parmigiana di nonna.

INGREDIENTI

  • 1 kg di melanzane
  • 1 kg di pomodori pelati
  • 3 cucchiai di olio evo
  • Farina
  • 500 g di mozzarella
  • 100 g di parmigiano grattugiato
  • Olio di arachide per friggere tutto quello che vi capita a tiro
  • Sale

PREPARAZIONE: si frigge si impasta, si inforna, praticamente la vostra cucina dopo farà schifo e voi vi stenderete su un foglio di carta assorbente per asciugarvi.

Carneplastico (ricetta futurista)

Il carneplastico (interpretazione sintetica degli orti, dei giardini e dei pascoli d’Italia) è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro, disposto verticalmente al centro del piatto, è incoronato con uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia, che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo”, spiegano gli organizzatori sulla pagina dell’evento*.

Pixel-Picnic | 1 Picnic lungo 1KM Domenica 8 maggio dalle 12:00

musica, hacking urbano, sport, urban games, workshop e voi.
Parco Sempione | Teatro Continuo di Burri
Ingresso libero. Info: www.nonriservato.net | info@nonriservato.net
*Per informazioni sull’evento: https://www.facebook.com/events/1052567291451021/

7 maggio 2016: Open House Milano 2016, 77 luoghi di Milano aperti per la prima volta

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Open House Milano 2016 programma

Dove: in 77 luoghi di Milano, da piazza Duomo fino ai “confini amministrativi della città” dice il sito di OHM
Quando: sabato 7 e domenica 8 maggio 2016, dalla mattina alle 18.30 circa
Quanto costa: ingresso gratuito

Open House, già parte del circuito Open House Worldwide, è un evento internazionale che si sviluppa in 4 continenti e 31 città e che mira a mettere in contatto i cittadini con il proprio patrimonio architettonico.

Dopo aver conquistato Londra, nel 2016, sabato 7 e domenica 8 maggio 2016 arriva per la prima volta a Milano per offrire ai cittadini “due giornate per (ri)scoprire una Milano inedita fatta di edifici noti e meno noti, [spesso chiusi ai non addetti ai lavori, aggiungiamo noi] che assumeranno nuovi significati grazie alle visite guidate e gratuite tenute dai progettisti stessi, studenti delle facoltà milanesi e cultori d’architettura” dicono gli organizzatori.

Qualche nome? Case private di straordinaria fattura e case museo come Casa Boschi-Di Stefano, l’ Orto Botanico, la Torre Branca, Torre Velasca, e poi Futurdrome-Il museo che si abita, Bosco Verticale, l’Auditorium di Milano, Borgo Sostenibile, per un totale di 77 luoghi: ecco il programma.

5 motivi per andare

#1. Salire al 25° piano di Torre Velasca

#2. Vedere alcune delle più belle case di Milano (che si andrebbero ad aggiungere a quelle già elencate qui) o alcuni luoghi spesso chiusi

#3. Finalmente l’architettura di Milano spiegata anche ai non architetti

#4. Finalmente un evento internazionale, già virale, ma supportato dal punto di vista culturale: le visite saranno guidate e illustrate da Ciceroni competenti (nelle previsioni)

#5. Un’occasione in più per percepire la fortuna d vivere a Milano ed un altro lato della sua bellezza, quello meno noto e spesso sconosciuto.

5 cose che mi piacerebbe trovare

#1. Il sole, per salire in altissimo e scattare un sacco di fotografie

#2. Poca gente e avere un luogo di Milano, inedito, tutto per me

#3. Una guida preparata che sia anche una buona affabulatrice

#4. Lo stesso entusiasmo in città della Design Week ma senza il suo caos

#5. La prima Open House Milano di una serie ripetuta una volta al mese così da dare a tutti l’opportunità di impegnare il fine settimana “a lezione di Milano”

Prima Milano poi l’Italia: impariamo dai friulani come si ricostruisce un paese

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Maggio 1976. Un violento terremoto colpisce il Friuli. 45 paesi vengono rasi al suolo, 989 persone perdono la vita. Sono trascorsi 40 anni ma da quella tragedia possiamo imparare tanto.

Niente piagnistei, niente retorica

In quell’occasione i friulani hanno mostrato grande capacità di riprendersi, in faccia ai piagnistei e alla retorica.                                                                                                      I piagnistei sono quelli che fanno perdere tempo a lamentarsi, a imprecare contro il cielo, a cercare un colpevole, a chiedere che qualcuno venga in soccorso. Tutte cose che i friulani non hanno fatto. Anzi. Si sono immediatamente messi in azione per rimettere le cose a posto. Senza aspettare aiuti dall’esterno o senza prendersela con chi avrebbe potuto fare le cose diversamente.

Si sono messi subito da fare, fregandosene anche della retorica. Già, perché in caso di terremoto verrebbe da pensare subito alle case, ai bimbi, agli anziani, ai malati che devono al più presto trovare un tetto. Anche prefabbricato. Questo dice la retorica. Ma il Friuli degli anni settanta non era un luogo da retorica, era fatto di gente che lavorava duro per guadagnarsi il pane, dove invece degli starnazzi dei talk show regnava la semplice saggezza del vivere.

La retorica ti dice che prima bisogna pensare alle case, invece i friulani prima si sono occupati di quella che è la fonte di ogni fortuna, specie per terre povere come quella del Friuli. In qualunque comunità la cosa più importante è il lavoro, questo lo sanno i friulani che invece delle case si sono occupati di rimettere in sesto le fabbriche. Sì, perché una casa rende la vita migliore a una famiglia ma una fabbrica chiusa lascia in disgrazia tante famiglie. Prima il lavoro, poi la casa, questo il principio che ha guidato i friulani e che ha portato a rimettere a posto la loro terra dopo pochi mesi.

Ma c’è un altro episodio simbolo della ricostruzione. E’ che i friulani non solo si sono concentrati sulle fabbriche, ma hanno iniziato prima con una sola, con quella che era più importante: nel giro di tre giorni dal sisma la fabbrica più importante della zona ha potuto riprendere la produzione. Prima ancora di mettere mano alle altre fabbriche, di intervenire con dei piani che migliorassero in modo estensivo tutte le imprese o le case, i friulani sapevano che nelle macerie bisogna ripartire un passo alla volta, prima da ciò che è più importante e che può funzionare meglio e poi col resto. Questa è la chiave di una ricostruzione che è diventata una leggenda. In poco tempo il Friuli è rinato, meglio di prima, e senza sprechi di tempo e di soldi come è successo qualche anno dopo in Irpinia, dove si è seguita tutta un’altra logica: la logica del piagnisteo, della retorica del “prima una casa”, una retorica da applausi ma che ha mantenuto nel disastro un’intera regione, dissestando le finanze dello Stato.

La decisione più coraggiosa: prima Milano

L’anniversario del terremoto in Friuli è per noi il ricordo di uno straordinario esempio di capacità di risollevarsi. Un esempio che può essere utile per imparare a ricostruire l’Italia di oggi.

E’ inutile fingere che le cose stanno andando bene. L’Italia è in una condizione pessima. Sono quindici anni che arretriamo rispetto a qualunque altro paese. Arretriamo nell’economia, nella cultura, nella rilevanza politica. In ogni settore l’Italia sta segnando il passo e ogni anno di fatto perdiamo una città intera, costituita dalle centinaia di migliaia di persone che lasciano il nostro paese (170.000 nel 2015). Lasciano un paese dove il piagnisteo e la retorica la fanno da padroni. Il piagnisteo di quelli che si lamentano, che danno la colpa a qualcuno ma che evitano di darsi da fare, assumendosi la responsabilità di prendere decisioni coraggiose. Come quella di sfidare la retorica che dice che prima bisogna pensare alle famiglie, ai poveri, agli anziani e malati.

Serve coraggio di dire che in un paese in crisi economica, occorre ripartire dalle imprese, perché senza imprese non si produce lavoro e ricchezza con cui poter prendersi cura di famiglie, poveri, anziani e malati. Questa è stata la decisione chiave dei friulani per ricostruire la loro terra, questa è la decisione che dobbiamo prendere per risollevare il nostro paese riportandolo al rango che merita. Ma ancora non basta.          Come i friulani nelle macerie non sono ripartiti per riparare tutto indistintamente, così anche noi dobbiamo concentrarci per ripartire da dove funziona meglio e dove si può produrre la massima utilità anche per gli altri. In Italia è solo una l’equivalente della fabbrica friulana che si è cercato di rimettere in moto il prima possibile: Milano.

E’ Milano il luogo da cui occorre ricostruire il paese. In un paese che sta decadendo, la cui unica reale politica sembra quella di rallentare il declino, occorre una svolta coraggiosa: quella di riconoscere che l’intero sistema dello Stato italiano non funziona più, è un sistema che penalizza troppo chi fa, chi produce, chi crea fortuna anche per gli altri, e invece avvantaggia troppo chi vive a carico degli altri.

E’ un sistema che invece di mettere al centro l’individuo nella sua realizzazione, mette al centro la macchina che amministra e che impiega più risorse a reprimere e a controllare che ad agevolare l’individuo che crea lavoro. E’ un sistema che difende chi vive di rendita invece che aumentare le opportunità per chi vuole produrre. E’ un sistema che fa scappare i migliori talenti e i possibili investitori, invece di attrarne dall’estero. E’ un sistema che conserva le macerie invece di spronare a ricostruire un futuro all’altezza del mondo di oggi.

Milano Città Stato per ricostruire il Paese

Per tutto questo occorre una svolta, che può essere fatta soltanto partendo da un luogo circoscritto, dal posto però che merita di avere più libertà e responsabilità, perché più di altri ha dimostrato di essere capace. Questo ha fatto Milano che negli ultimi anni sembra aver preso le distanze da una certa Italia, da quella nazione che aspetta, che si lamenta e che nulla fa.                                                                                           Milano è un’altra cosa. Milano è tornata a guardare all’estero senza complessi di inferiorità, ma in cerca di soluzioni che possano migliorare la vita dei cittadini. E’ tornata a misurarsi con il resto del mondo senza rinunciare ad essere un faro per la nostra nazione. E’ una città che seppur imbrigliata da una burocrazia centralista sta cercando di ritagliarsi dei suoi margini di autonomia.

Ora è tempo di sciogliere queste briglie e di ripartire da Milano per poter costruire un nuovo modello di Stato che possa poi estendersi al resto d’Italia. Milano ha bisogno di trarre ispirazione dal Friuli, da un popolo che nella sventura più grande ha avuto il coraggio e la dignità di ripartire da ciò che c’era di più di valore per la comunità. Non solo noi milanesi ma tutti gli italiani dobbiamo avere quel coraggio e quella dignità per dare più autonomia alla città che, se lasciata libera, può dare inizio alla ricostruzione di un nuovo Paese.

10 luoghi dove trovare l’amore a Milano

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Milano è la città dei single. Per chi è solito apparecchiare tavola per una persona sola, esistono molte possibilità per prendersi una vacanza più o meno lunga da se stessi.

10 luoghi dove trovare l’amore a Milano

#1. Tinder

Ma vanno bene anche Meetic o Once, ultimo ritrovato per lasciare le vecchie forme del corteggiamento nel cassetto e andare subito al sodo. Un tempo era considerato una vergogna utilizzare questi metodi per rimorchiare. Oggi sta diventando perfino di tendenza.    Detto questo perchè fa figo, la verità è che il mezzo principe per rimorchiare è Facebook.

#.2 L’Esselunga di viale Papiniano

Qualcuno sostiene sia una leggenda, anche se l’ultima riunion di quest’ autunno è stato uno dei più riusciti flash mob di tutti i tempi.  Ora è stata appena rinnovata: da provare se il suo fascino funziona ancora.

#3. Nei locali, divisi per fasce d’età

Dai 16 ai 30 anni, massimo, si consiglia il Magnolia – Segrate, versione estiva.
Dai 30-50: N’Ombra de Vin, via San Marco. Molto frequentato da divorziate e separate, specie il giovedì sera.                                                                                                        30 rampanti: Tasca, Colonne di San Lorenzo.

#4. Le feste in casa

E’ un evergreen nell’evergreen. Funzionano sempre, specie per gli under 14.

#5. Le Schegge clandestine e altri flash mob

Se amate la mazurka ma non trovate un uomo che solo lontanamente ne abbia sentito parlare. Se cercate una passionale compagna di tango. Se volete scatenarvi con il rock e il boogie ma vi manca un partner coraggioso quanto voi. Partecipare ad un flash mob aumenterà la possibilità di trovare persone con gli stessi vostri interessi.

#6. La palestra

Per quelli che non hanno fantasia.

#7. In uffficio

Idem come sopra, solo che ci sono più possibilità di incontrarsi: uno scontro girando l’angolo in corridoio, uno sguardo furtivo all’ultima riunione, un paio di giri insieme in ascensore ed è fatta. Metodo molto gettonato dai fedifraghi e da chi ama storie ad alto tasso di rischio.

#8. Iscriversi a un corso

Altrettanto scontato, ma fondamentale se volete che la vostra prossima relazione si basi sul piacere degli stessi hobby e la voglia di viverli insieme. Per chi sogna una storia definitiva.

#9. Fare il pendolare con i mezzi pubblici

E’ il metodo più romantico. Da film francese della nouvelle vague. Per cuori da leone.

#10. Cambiare lavoro

Altra strategia molto gettonata. Specie per chi ha perso interesse per colleghi o colleghe. O per il proprio capo.

 

Foto cover: Strasingle by milano.repubblica

Per l’anniversario di Expo Montreal si regala una sfera: ecco cosa conterrà

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A Montreal amano molto le sfere. Non parliamo delle boule de neige che se le capovolgi fai nevicare su Milano, sull’Empire State Building, sulla Torre Eiffel o sul Taj Mahal. No, nella città canadese fanno le sfere in grande:  presto ne sorgerà una imponente, collocata nell’ampio Parc Jean-Drapea accanto alla già esistente Buckminster Fuller Institute opera realizzata quando Montreal aveva ospitato Expo nel 1967 (foto sotto).

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Se tanta ammirazione desta la grande sfera creata nel 1967 dall’architetto americano Buckminster Fuller e oggi museo dell’ambiente, oggi Biosphére, Musée De L’Environnement, ci si chiede come sarà, dal vivo, quella progettata dallo Studio Dror.

La nuova sfera, che dialogherà con la precedente ma sarà mimetizzata da un grande manto verde, composta da un reticolato di alluminio dal diametro di centocinquanta metri, ricoperto da fiori e rampicanti. Sarà un enorme parco aperto per attività culturali e sportive, con un auditorium dedicato all’ambiente e uno all’ecologia, spazi dedicati al relax e alla socializzazione, una ciclabile tutto intorno.

Un'”kolossal” scelto come simbolo dei festeggiamenti per il “trecentosettantacinquesimo anniversario della fondazione della città di Montreal, ma anche il cinquantesimo anno dall’Expo del 1967 che la città canadese aveva ospitato”, riporta Festivaldelverdeedelpaesaggio che fornisce anche i primi rendering.

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Una scelta questa che dice molto del valore che per Montreal ha l’ambiente vissuto come spazio pubblico che deve far star bene la propria cittadinanza. E noi, che a Milano esultiamo per un campo da basket coperto di legno, speriamo in altre tracce di Expo capaci di meravigliare il mondo. Magari, senza aspettare il 2065.

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Per seguire i lavori: www.parcjeandrapeau.com

Gorlistan, NoMa o South of Sesto: la Silicon Valley di Milano cerca nome

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Dopo aver parlato di NoLo, ecco un’altra area di Milano in grande trasformazione. E’ Gorla, ieri quartiere di fabbriche, oggi micro Silicon Valley costellata di manifatture 2.0.

Due pagine Facebook identificano questo quartiere come SOS – South of Sesto, chi ci lavora la chiama affettuosamente ‘Gorlistaneppure un nome ufficiale ancora non c’è, mentre c’è chi ne vuole proporre uno all’amministrazione. 

Uno dei pionieri di questa trasformazione è Nicola Brembilla (foto a destra).
Architetto bergamasco fondatore dello Studio Hypnos e da dieci anni a Milano, Nicola è titolare dello spazio di coworking Unità di Produzione che ha fondato in via Cesalpino 7. Si trova nell’ex Fabbrica Saviotti, officina che produceva forni industriali a due passi da Viale Monza e dal Naviglio Martesana e che Brembilla ha preferito al più mondano Corso di Porta Nuova.

E’ lui a parlarci di questo quartiere apparentemente anonimo e senza alcun elemento di identificazione: “Gorla è come Milano: è neutra, camaleontica, va attraversata e vissuta per amarla e nicola brembilla milanoquesto è la sua risorsa. Tutte le attività innovative che si sono create all’interno, o gli stessi coworking, dall’esterno sembrano dei capannoni e non si vedono”. 

 

Le fabbriche 2.0. di Gorla 

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Dentro Unità di Produzione ci sono sale ufficio e sale concerti, sale giochi, si scattano shooting fotografici, si tengono seminari, c’è una guest house. Poco più in là ecco What a Space, web company che è una sorta di airbnb per location, e poi Memethic Lab, società di ricerche di mercato e consulenza. C’è un ufficio stampa di musica e cultura metropolitana, la GPC, c’è Lasia, società di ingegneria industriale, ci sono diverse realtà di design, e ancora We Make, fab lab specializzata nella automazione e nel fare rete, “dove ti insegnano a costruire stampanti 3D, hanno macchinari per la tessitura, c’è una sartoria digitale: “A fondarla è Costantino Bongiorno, è uno degli allievi storici di Massimo Banzi, l’inventore di Arduino (soluzione open source nata nel 2005 a Ivrea per permette, a chi ha la passione dell’elettronica e ha a disposizione una strumentazione di base accessibile, anche economicamente, di creare soluzioni più o meno avanzate, N.d.r.)”, prosegue Nicola, che specifica, “parliamo di progetti sofisticati, ma con uno spirito di apertura grazie al noleggio delle proprie macchine: è la capacità di avviare il manifatturiero urbano in modo open, che è punta di diamante della zona“.

A meno di 200 metri dal suo coworking c’è l’unità di produzione c’è Sherwood di Giulia Trombin, l’airbnb per le attrezzature da utilizzare all’aperto. A 5 minuti a piedi ecco Talent Garden, altro grande spazio del lavoro condiviso in spazi comuni, e il Coworking Login,  coworking tecnologico. Poi c’è TAC, il teatro dentro la fabbrica dismessa che include corsi, gallerie d’arte.

Vive dello stesso spirito ‘sharing’ anche la birreria John Barleycorn aperta da poco in Piazza Aristotele 14 e che permette di inserire delle essenze a scelta nella propria birra: ogni avventore qui si beve una birra unica al mondo.

La nuova Gorla: ecco perché non sarà come NoLo

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Prosegue Brembilla: “Il concetto è dunque quello del ‘tutto all’interno. Noi stiamo cambiando passo per includere chi abita già in Gorla, perché possa continuare ad abitarci. Cosa che non accadrà a Nolo che era nato inteso in due sensi: quello geografico, come “North of Loreto”, quindi tutto quello che sta a nord di Piazzale Loreto, mantenendo quella storica propensione per cui ciò che dista dal centro di Milano vale di meno tanto più aumenta il raggio della distanza dal Duomo; e come “nolo nel senso di noleggio”, ovvero come spazio ad alto contenuto di sharing economy”.

“Di fatto”, prosegue, “il baricentro di NoLo si è spostato ancora più a sud, ovvero nella zona Piazzale Loreto, Piazzetta Morbegno, via Padova, Pasteur, e le vie subito a ridosso di Buenos Aires, delimitate nettamente dal Naviglio Martesana. NoLo ha assunto una connotazione più etnica, una specie di Belleville etnico-milanese rilanciata dalle gallerie e da una certa fetta di borghesi e creativi che stanno colonizzando il quartiere, con il conseguente innalzamento dei prezzi immobiliari e l’espulsione degli abitanti a fronte di un boom del caro vita”, continua Brembilla.

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 Gorla: la call per il nuovo nome. 

“Sull’analisi di quanto visto in NoLo”, SOS o Gorlastan o come si chiamerà “punterà sulla tradizione di lavoro, solidarietà, innovazione che sono sempre esistiti qui: all’interno di Gorla, e nessuno forse lo sa, c’è la casa editrice Bema che assume dentro di sé un coworking, e non molto diversamente si comporta anche l’Internet service provider, Enter“, spiega Nicola.

Valorizzare ciò che già c’è, senza che i suoi abitanti per questo siano costretti ad abbandonarla: ecco come sarà la nuova Gorla. 

Da lì nasce la call informale, che forse diventerà un evento, per coinvolgere tutti, dentro e fuori il quartiere, a dare un nome all’area: “Abbiamo diversi nomi sul piatto che stiamo valutando, da NoMa – Norh of Martesana, a South of Sesto, che ribalta il punto di vista geografico dalla già citata prospettiva Duomocentrica ad un riferimento nuovo. D’altronde, SoHo è South of Houston, mica South of Manhattan”.

L’appuntamento è online o presso Unità di Produzione, Nicola mi farà sapere. Intanto, mi dice: “si accettano nuove idee per allargare e raccogliere fino alle ultime pieghe di creatività sparsa la possibilità di avere un nome efficace”. C’è un mese di tempo.

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Per avere qualche informazione aggiuntiva, sono attive le pagine Facebook SouthofSesto e South of Sesto – SOS.


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