Anche quest’anno, finalmente torna a Milano il Wired Next Fest, la manifestazione dedicata all’innovazione digitale nei settori più disparati.
Con questa sesta edizione, che inizierà questo venerdì alle 10 per poi terminare domenica, si prospettano novità sul fronte del digitale nell’economia, nella scienza e nella politica, ma anche nell’intrattenimento, nella cultura e in molti altri settori.
Relatori d’eccezione, performance artistiche e workshop costituiranno il programma del Wired Next Fest, ma non solo, perchè anche videogame, film e speed date sul lavoro riempiranno le tre giornate di questo evento atteso caldamente da tutti i milanesi.
Altra cosa da non dimenticare saranno le escape room, alle quali potrai iscriverti e partecipare per rendere la tua esperienza durante il Wired Next Fest ancora più entusiasmante e… adrenalinica.
A coronare questa edizione del festival dell’innovazione ci saranno anche momenti musicali, tra live music e dj set, perchè il weekend è pur sempre il weekend, soprattutto in un contesto affascinante come i Giardini Indro Montanelli al sorgere dell’estate.
Questo e molto di più sarà quello che potrai trovare durante l’edizione 2018 del Wired Next Fest, al quale potrai accedere – come tutti gli anni – gratuitamente.
Insomma, questo fine settimana sai già dove andare e cosa fare.
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Molti pensano che la musica sia qualcosa di marginale, della quale si può fare a meno… vallo a dire a chi sta sgomitando per accaparrarsi gli ultimi biglietti delMI AMI.
Per capire l’importanza del MI AMI, basti pensare che il Comune di Milano ha messo a disposizione addirittura una linea apposta per arrivare fino al Magnolia, il 188, che percorrerà la tratta compresa tra Porta Vittoria e… il Magnolia.
Questo Festival è una cosa seria, proprio perchè raccoglie tantissimi artisti e interpreti dello scenario musicale indipendente nazionale dei quali si può godere il concerto pagando decisamente meno – 23 euro + d.p. – di quanto si spenderebbe andando a un singolo live.
Insomma, quando dici MI AMI dici “rendere alla portata di tutti quanti la musica importante del nostro bel paese“, che si tratti di musicisti emergenti e non.
E finalmente, dopo un anno di attesa, il MI AMI festival farà rimbombare il Magnolia proprio questo weekend.
Si parte venerdìalle 17.00 (che, purtroppo, è già sold out) con artisti del calibro di Francesca Michielin, Ex Otago e Cosmo, senza dimenticarsi di Coma Cosa, Frah Quintale e Willie Peyote, per poi continuare sabato alla stessa ora con Tre Allegri Ragazzi Morti, Latente e Joe Victor, ma anche Colapesce, Go Dugong e… il dj set a cura della crew del Linoleum, che chiuderà in bellezza questo fine settimana esplosivo.
Tutti questi musicisti e molti altri in un posto solo: come puoi perderti un fine settimana del genere? Pronto a goderti tutti i concerti della quattordicesima edizione del festival MI AMI Festival?
Sbrigati a prenotare il biglietto, però: stanno andando letteralmente a ruba.
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Milano ha lo sguardo nel futuro. Vediamo quali caratteristiche vediamo a Milano nell’era dell’intelligenza artificale.
2049: come sarà la Milano dei ROBOT
Milano, 2049. Tutti i servizi pubblici sono automatizzati e arrivano in orario. Si ricorda con nostalgia di quando alla guida di tram e autobus c’erano degli esseri umani. Sulle strade poco traffico, costituito da macchine in sharing che si autoguidano e che scompaiono dalla strada una volta aver portato a destinazione i passeggeri.
La funzione dell’uomo è cambiata. La classe più numerosa è quella dei filosofi, equivale alla nobiltà nell’ancient regime. La borghesia non esiste più. La maggior parte delle persone si occupa di riempire l’infinito tempo libero rimasto a disposizione, producendo cultura. Tutti quei lavori che a inizio secolo consideravamo lavori sono stati soppiantati.
Aumento esponenziale di locali, di cinema, teatro e momenti di intrattenimento, più o meno intelligenti. Ci saranno simulazioni di lavoro vissute più come distrazione che come formazione.
Ai vertici della gerarchia sociale c’è ora una elite tecnologica che progetta e gestisce reti immense di intelligenza artificiale ormai introdotta in ogni ambito del vivere.
Le macchine sono capaci di sviluppare da sé il learning by doing e il ruolo principale dell’uomo è quello di controllare le macchine.
Sistema di assistenza spinto: molto di ciò che si pagava è ora gratuito, come i mezzi pubblici, la città si autoalimenta. I soldi sono diventati un hobby, un esercizio di potere e di creatività, più che uno strumento di sopravvivenza o di elevazione sociale. Per ottenere ciò che è davvero importante il denaro è stato sostituito da forme di baratto, spesso costituite da beni virtuali.
La malavita è costituita da hacker che corrompono i robot e cercano di deviare le reti di intelligenza artificiale a proprio vantaggio.
Tra le professioni più diffuse c’è quella degli psicologi e il ritorno dei profeti: ci sono tantissime religioni, con un rilancio del paganesimo.
Questo è ciò che abbiamo visto. Ma proviamo ad ascoltare una tipica conversazione durante un aperitivo nel 2049:
“Io ho scritto tre commedie, una tragedia e ho fondato due religioni. E tu?”
“Io ho hackerato la rete dei trasporti”
Anche lo sport non è più come un tempo. Nelle varie discipline si sfidano degli androidi, molto più prestanti e divertenti degli esseri umani. Ogni quattro anni ci sono le Olimpiadi dei robot, con le nazioni che si sfidano nel campo della innovazione tecnologica.
L’inter è tornata a vincere grazie all’acquisto di CR49 un campione della wes robotics che gioca benissimo. Tutti i bambini vogliono diventare come lui.
Una visione di DUILIO FORTE trascritta da ANDREA ZOPPOLATO
A due passi dal Duomo, la più grande chiesa gotica del mondo, si trova il suo opposto, la chiesa più corta di Milano. In via Giulini, all’angolo con via Porlezza, c’è la parrocchia ortodossa dei santi Sergio, Serafino e Vincenzo. Dietro la facciata alta 12 metri, si trova un locale di soli 72 mq, con l’altare, separato da una iconostasi, sulla destra rispetto al portone d’ingresso.
Si tratta di una chiesa tagliata in due: è infatti la parte superstite di una chiesa benedettina che in origine era molto più lunga ma è stata poi demolita.
La chiesa è stata presa in affitto dalla comunità ortodossa russa che negli anni novanta l’ha ricostruita e, da allora, ospita i fedeli del culto orientale.
L’Archimandrita è padre Dimitri, un medico italiano convertitosi all’ortodossia e fattosi sacerdote.
Nell’interno si trovano degli affreschi di Aurelio Luini, risalenti al Cinquecento.
La parrocchia vanta un altro primato: il fatto di essere intitolata a tre santi.
Non è un segreto che Milano stia facendo moltissimo per essere riconosciuta come capitale dell’architettura e del design europea (e non solo).
Effettivamente, la varietà e la creatività dell’architettura in senso lato presente nella città meneghina è innegabile, senza contare che nel nuovo quartiere CityLife sono sorti da pochi alcuni dei grattacieli più belli e articolati del mondo, progettati da architetti d’eccezione.
Vale la pena di citarli.
Addentrandosi nel quartiere di CityLife si può scorgere la Torre Isozaki, progettata da Arata Isozaki e Andrea Maffei e soprannominata Il Diritto, un edificio di 50 piani affacciato sulla piazza Tre Torri.
Dopodichè, si può scorgere il grattacielo di 44 piani chiamato Torre Hadid, soprannominato Lo Storto e progettato dall’architetto donna Zaha Hadid.
A terminare questo quartiere dall’architettura ambiziosa si ergerà la Torre Libeskind, soprannominata il Curvo.
E’ proprio sull’urbanistica che sarà dedicata la seconda edizione della Milano Arch Week, la settimana dedicata all’architettura che coinvolgerà tutto il capoluogo lombardo a partire da questo mercoledì fino a domenica.
Grazie a tutti gli appuntamenti previsti per questa manifestazione, potrai partecipare a workshop, inaugurazioni e conferenze, ma anche a visite guidate e molto altro, sul tema dell’urbanistica, ripreso dallo stesso titolo dell’Arch Week.
Ce ne sarà per tutti i gusti, per tutte le età e per tutte le esigenze, vedrai: l’architettura sarà a portata di tutti.
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Vi è mai capitato di camminare nei luoghi storici di Roma, ad esempio lungo i Fori Imperiali da piazza Venezia al Colosseo? E passo dopo passo “respirare” da ogni poro quell’energia, quella grandezza, quella magnificenza eredità del – probabilmente – più grande popolo vissuto sulla Terra tra le epoche a noi note? A me accade ancor oggi e fin da quella prima volta che ancora bambino mi ci portò mio nonno, anche se onestamente allora mi limitavo a saltellare felice tra quei “sassi” senza pensare ad altro.
Un bel po’ di tempo dopo sono capitato a Mosca. Era il 1997 e si festeggiavano con fierezza gli 850 anni della sua fondazione. Appena atterrato, da fiero romanaccio mi venne da sorridere, pensando che oltre a quanto già potessero essermi simpatici i russi al primo impatto, in più Roma quell’anno di candeline ne spegneva esattamente 2750. Come dire, voi per 1900 anni dove siete stati?
Novy Arbat, Mosca
Ma iniziando a camminare lungo la Novy Arbat sono tornato a sentire un’energia simile a quella romana. Ma con un’enorme, fondamentale differenza. Quella della Città Eterna era – purtroppo – frutto di un illustre passato che ancor oggi continua a brillare, però come la luminosità di una stella che posizionata a milioni di anni luce è probabilmente già implosa e destinata ad esaurirsi. L’energia di Mosca, invece, mi dava l’impressione di essere – e lo è – in crescita, in lievitazione, viva e pulsante.
Cosa c’entra Milano in tutto questo? Da romano arrivato per scelta lungo i Navigli, negli ultimi anni ho assistito come tanti altri a una città meneghina in grande crescita. Di energia ce n’è, lo sappiamo tutti, e paragonata a quanto detto sopra somiglia molto più a quella crescente di Mosca e quasi per niente a quella decadente e illusoria di Roma. Ottimo ma, cara Milano, attenzione a nun fa’ la stupida domani.
Milano by night
Tralasciando volutamente gli illustri trascorsi, l’errore che può fare Milano oggi non è paradossalmente sedersi sugli allori, seppur meritati, di un’ottima Expo, di epicentro della moda, del design sempre più internazionale, dei boschi verticali, della prima (a brevissimo) città con copertura 5G d’Europa e via dicendo.
Il pericolo è diventare una piccola Roma, adagiata su un modesto passato recente. Il pericolo è pensare di essere una piccola Mosca, e che il grande futuro prima o poi arriverà.
Il grande pericolo è non diventare contemporaneamente faro di se stessa, faro per l’Italia (pensate che belle sarebbero una vera grande Milano e una vera grande Roma), per l’Europa e per il mondo intero. Tutto insieme? Sì. Una città, un movimento di genti, un modus vivendi, una fucina di vitalità, un luogo dove tecnologia digitale, economia, politica, cultura, ricerca, sana alimentazione, arte, eleganza e – assolutamente non ultimo – Umanesimo moderno vadano a braccetto, funzionalmente integrati.
Leonardo da Vinci che tanto ha dato e tanto deve a Milano, era solo una delle punte di diamante di un’epoca aurea. Accanto e dietro di lui c’erano migliaia di persone frutto di un momento senz’altro magico. Oggi i tempi sono maturi, anzi lo impongono, per essere (o quantomeno provarci) ciascuno di noi un Leonardo da Milano.
Abbiamo anche una grande fortuna rispetto a tante città con più milioni di abitanti, dove quando si esce di casa si diventa una goccia di un fiume tumultuoso e quando si resta chiusi dietro l’uscio si è carcerieri di se stessi.
La nostra Milano, quella che ci accoglie e quella che abbiamo scelto, è ancora a dimensione umana.
In sintesi, a Milano migliorare non basta, le serve un salto quantico. E dobbiamo:
#1 Darle sempre più persone (donne e uomini) capaci
#2 Imporre il rispetto assoluto delle leggi, ma con la creazione di regole intelligenti, funzionali, al servizio dell’uomo. Non viceversa, come avviene “da tempo immemorabile” (citando “Io chi sono” di Franco Battiato)
#3 Fare della meritocrazia un caposaldo
#4 Integrare al massimo digitale e Umanesimo moderno (sempre col primo a funzione del secondo)
#5 Mantenere e innalzare la sua inconfondibile eleganza
#6 Alimentare e recuperare arti e mestieri antichi
#7 Mettere su ogni finestra un fiore, su ogni balcone un albero: l’ambiente condiziona l’uomo. E la bellezza della natura lo aiuta a essere il meglio di sé. Oltre a un “Bosco Verticale”, creiamone uno Orizzontale.
Per tutto quanto sopra la “conditio sine qua non” è avere una Milano Città Stato: perché la cosa più bella di Milano deve diventare il treno che dopo essere scesi nella Capitale ed essersela goduta un po’, ci riporta quassù… Ma non per il fatto che Roma sia (magari dopodomani non più) la brutta copia della Città Eterna. Ma perché Milano deve essere la città più Umana del mondo.
Finalmente è arrivato il momento che tutti gli abitanti della zona 7 stavano aspettando: riapre il cinema all’aperto del mare culturale urbano.
Chi non abita in quei quartieri non può capire quale salvezza sia avere un programma cinematografico fornitissimo sotto casa… e per giunta in un luogo suggestivo, vitale e completo come il mare culturale urbano.
Eh sì, perchè c’è chi durante l’estate se ne va al mare, in montagna o all’estero… ma c’è invece chi preferisce (o deve, purtroppo) rimanere in città. A quel punto, per alleviare il peso del caldo estivo non c’è niente di meglio di un bel film all’aperto.
Anche se in questi giorni il tempo non è dei migliori, nulla ha fermato il mare culturale, che questo martedì alle ore 21.45 inaugura la nuova stagione con “Chiamami col tuo nome“.
Questa storia parla del giovane americano Elio Perlman, il quale, nonostante abbia solo diciassette anni, si dimostra un musicista colto e sensibile. E’ figlio di un professore universitario e, per questo, ogni anno ospitano uno studente straniero impegnato nella testi post-dottorato.
Arrivata l’estate, Elio si trova ad attendere nella villa di famiglia il nuovo allievo del padre e il suo sguardo incontra quello di Oliver, un affascinante ragazzo americano di ventiquattro anni. Da quel momento, la sua vita viene sconvolta e tra i due si instaura un legame di un’intensità unica…
Ma non voglio dirti altro del film “Chiamami col tuo nome”, perchè potrai vederlo questa sera. Tutto quello che dovrai fare sarà comprare il biglietto a 6 euro direttamente al mare culturale urbano, prendere le tue cuffie wireless e accomodarti nel cortile esterno per assistere alla proiezione del lungometraggio.
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Ecco le 10 più belle statue di Milano con le incredibili storie che celano scolpite nel marmo, bronzo, pietra…
Le STATUE più belle e curiose di MILANO
#1 Vittorio Emanuele a Cavallo (Piazza del Duomo)
Ercole Rosa l’ha costruito con chiari fini politici tra il 1879 e il 1896 e forse non pensava che qualcuno, ripetutamente, un giorno, con un iPhone in mano, avrebbe dato appuntamento sotto “Napoleone”. Insomma, lui ci si era impegnato parecchio.
#2 Leonardo Da Vinci (Piazza della Scala)
Altro simbolo di Milano, altra icona non facilmente memorabile per i milanesi meno attenti. L’autore del Cenacolo volta le spalle a Palazzo Marino e con il busto alla Scala e il viso verso il basso è colto assorto, dallo scultore Pietro Magni.
La statua venne inaugurata il 4 settembre del 1872, in occasione della Seconda Esposizione Nazionale, con una cerimonia alla presenza del sovrano.
Perché Leonardo a Milano?
A ricordarlo ci sono i quattro bassorilievi in marmo di Carrara rappresentanti:
Leonardo pittore mentre dipinge il Cenacolo,
Leonardo scultore durante la realizzazione della statua equestre di Francesco Sforza,
Leonardo architetto e stratega nella realizzazione delle opere di fortificazione dei castelli del Duca Valentino in Romagna
Leonardo ingegnere nella costruzione dei canali lombardi navigabili.
Tutto intorno a lui, ecco i suoi discepoli: Cesare da Sesto (prospetto Nord), Marco d’Oggiono (prospetto Ovest), Giovanni Antonio Boltraffio (prospetto Sud), Andrea Salaino (prospetto Est).
#3 Garibaldi (Piazza Cairoli)
Perché una statua di Garibaldi quando la Piazza è intitolata a Cairoli?
Il monumento celebra i fratelli garibaldini e l’eroe dei due mondi insieme. Giuseppe nostro è colto nell’atto di entrare a Milano trionfante, mentre ai suoi piedi campeggiano “Rivoluzione” e “Libertà” in mezzo a corone d’alloro e palme.
Quando venne inaugurato, il 3 novembre 1895, intervenne anche il patriota Felice Cavallotti che qui tenne un eloquentissimo discorso di fronte ai presenti.
Una curiosità: a sancire proprio l’unione dei due mondi sono anche le provenienze degli autori. All’architetto lombardo Augusto Guidini si deve l’architettura, mentre è di mano del palermitano Ettore Ximenes la statua equestre in bronzo.
#4 Nelson Mandela (via San Giovanni sul Muro)
E’ di recente inaugurazione (ottobre 2015) e si trova di fronte all’Ambasciata del Sudafrica, poco lontano dal Teatro Dal Verme. A volerla e patrocinarla è stata Native Explorations, azienda sudafricana nel settore minerario “per celebrare la diplomazia dell’ubuntu come uno dei valori lasciati dall’ex presidente Nelson Mandela”. Insieme a questo, la comunità sudafricana intendeva “ringraziare i cittadini di Milano per aver sempre sostenuto il popolo sudafricano nella lotta per la libertà e la democrazia“.
#5 Monumento ai Caduti (Piazza Cinque Giornate)
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1881-94: quattordici anni di lavoro nel suo atelier in via Stella (Porta Vittoria), una vita eccezionalmente ritirata che non si addiceva al suo fare istrionico, una fatica così grande da ammalarsi e morire di tubercolosi tre mesi prima dell’inaugurazione dell’opera.
Aveva poco più di cinquant’anni Giuseppe Grandi e questa resta la sua più grande opera, a Milano. Nel luogo in cui nel 1848 si erigevano barricate e si lottava contro il dominatore austriaco, “gli artisti milanesi vollero rendergli omaggio facendo scoprire il 6 dicembre del ’94, almeno per mezza giornata, il monumento già finito, che sarebbe poi stato inaugurato ufficialmente, per commemorare le Cinque Giornate, solo il 15 marzo dell’anno dopo”.
Qualche curiosità: le donne ai piedi dell’obelisco raffigurano ciascuna una giornata di combattimento.
Inoltre, per essere quanto più fedele ai principi del Realismo, Grandi si procurò i modelli di cui aveva bisogno senza badare a spese: si fece mandare un’aquila da Budapest, andò ad Amburgo per comprarsi un Icone, che si portò dietro con relativo domatore, racconta Carlo Dossi: «Poiché gli occorreva che (il leone) apparisse belva feroce e non pelle impagliata da museo zoologico, lo eccitava in ogni maniera. Inenarrabili i suoi tiri, gli scherzi, che gli faceva attraverso le sbarre, gettandogli pezzi di scarpe e di carbone e gomitoli di filo in bocca. A forza di questo trattamento il leone era diventato addirittura feroce e … stitico ».
Ai piedi del gruppo scultoreo, un vano d’accesso porta alla sotterranea cripta dei Caduti.
#6 La Colonna del Verziere (Largo Augusto)
E’ una delle ultime “crocette” votive che punteggiavano Milano in epoca controriformistica e si trova nel “Verziere”, o “Verzée”, l’antico mercato ortofrutticolo che aveva sede attorno al luogo in cui sorge.
Venne iniziata nel 1580 come ex voto per la cessazione dell’epidemia di peste del 1577, ma solo nel 1673 fu completata con la collocazione della statua di Cristo Redentore che la sovrasta (la statua fu scolpita da Giuseppe e Gian Battista Vismara su disegno di Francesco Maria Richini).
Dell’autentico monumento manieristico-barocco resta un’elaborata colonna in granito di Baveno sovrastata da una statua di Cristo.
Sul suo basamento, in origine, le mensole servivano come altare per le messe all’aperto. Dopo il 1860 quella base venne trasformata in monumento per i meneghini caduti durante le Cinque giornate di Milano: i loro nomi sono incisi su tavole di bronzo, su tre delle quattro facce.
#7 Giuseppe Verdi (Piazza Buonarroti)
13 anni di lavoro per realizzarla. Due bandi di concorso indetti. Un autore morto prima del completamento della figura del maestro e una serie di spese straordinarie perché il monumento al genio di Busseto scomparso al Grand Hotel et de Milan il 27 gennaio 1901 fosse svelato entro il centenario dalla nascita. I tempi furono rispettati e il 10 ottobre 1913 tutti poterono rivedere Verdi con la barba e il completo scuro sorridere davanti alla Casa per Musicisti da lui voluta e dove riposano le sue spoglie.
#8 Il cavallo di Leonardo (Piazzale Lotto)
La più grande statua equestre del mondo, nascosta agli occhi dei milanesi e dei turisti in un anonimo cortile dell’Ippodromo. Avevamo raccontato la sua storia incredibile qui.
#9 Il dito di Cattelan a Piazza Affari
Il nome vero di questo blocco di marmo di Carrara alta 4 metri e 60 è L.O.V.E. ed è l’acronimo di «libertà, odio, vendetta, eternità». Maurizio Cattelan l’ha realizzata e la collocazione è avvenuta, provocatoriamente, di fronte a Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa, il 24 settembre 2010. Si pensava che lì sarebbe rimasto per poche settimane, e invece… quella mano che fa un saluto fascista e ha le dita mozzate, come se erose dal tempo, eccetto il dito medio, è diventato uno dei nuovi simboli di Milano.
#10 La Madonnina
Eccola, ‘la’ statua di Milano. Forse non tutti sanno che è in rame dorato, realizzata da Giuseppe Perego, dorata all’orafo Giuseppe Bini e posata il 30 dicembre 1774
La Assunzione della Vergine, questo il tema, presenta un’alabarda che è in realtà un parafulmine “mascherato”. E’ alta 4,16 metri e con lei il Duomo raggiunge quota 108,5 metri.
Durante la seconda guerra mondiale la statua venne ricoperta da teli, per ridurne la visibilità impedendo che diventasse un riferimento topografico di navigazione per i bombardieri alleati.
Ne esiste una copia, posata nel 2010 sulla sommità del Palazzo Lombardia, sede della Regione Lombardia, a 161 metri d’altezza.
Per legge e per tradizione, nessun edificio può essere più alto della Madonnina. Così avvenne per Torre Branca, Torre Velasca, mentre a rompere ogni indugio è stata, di recente, Torre Allianz, progettata dal celebre architetto giapponese Arata Isozaki. Nonostante i suoi 207 metri di altezza, 249 metri con l’antenna, il sesto palazzo più alto della Comunità Europea ha voluto issare una copia della Madonnina. Così resterà sempre lei la più alta de Milàn.
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Maggio 1976. Un violento terremoto rade al suolo diversi paesi del Friuli. La situazione è drammatica ma il popolo friulano prende alcune decisioni, spesso impopolari o contrarie alla retorica, che porteranno a una ricostruzione straordinaria, unica nella storia d’Italia.
Gli elementi che determinarono lo straordinario successo nella ricostruzione del Friuli furono tre:
#1 L’unione tra tutte le componenti della società
Dopo la tragedia un popolo tradizionalmente individualista si è compattato. Cittadini, imprenditori, politici, uomini di chiesa e forze dell’ordine si sono cementati in un corpo unico, non lasciando alcuno spazio alle lamentele o alle polemiche. Tutti a dare una mano e a prendersi la propria personale responsabilità della ricostruzione.
#2 Potere ai sindaci (non allo Stato)
A differenza di altre zone colpite da catastrofi, i friulani decisero che tutto il potere di organizzare la ricostruzione dovesse ricadere a livello locale. Lo Stato poteva aiutare ma la responsabilità delle decisioni finali doveva venire presa dai sindaci. Il principio era semplice: i sindaci erano nella posizione migliore per capire come organizzare gli aiuti secondo le esigenze del territorio. Burocrazia e protezione civile sono state tenute fuori dalla porta del Friuli.
#3 Prima le imprese, poi le famiglie, quindi le chiese
Questo fu il mantra della ricostruzione. Una linea strategica forte, contraria al pietismo o alla facile retorica. Una linea sposata per prima dagli stessi cittadini e dai preti che avevano chiaro in mente che la priorità dovesse essere data alle fabbriche, perchè da loro sarebbe arrivata la produzione di ricchezza e di lavoro necessari per far rialzare la testa al territorio.
Con un buon senso tipico di quelle terre, i friulani hanno adottato il principio marxiano secondo cui tutto è economia, mentre il resto è solo sovrastruttura, quindi non essenziale. Fatte ripartire le fabbriche, ci si è concentrati sulle case. Solo alla fine si è lavorato sulle chiese e, in generale, su tutto ciò che era considerato altro rispetto a fare ripartire l’economia e a salvaguardare la sopravvivenza delle persone.
Se l’Italia facesse come il Friuli
Rispetto ai friulani i governi che si sono avvicendati in Italia non hanno scelto una linea definita, ossia ordinando in priorità gerarchiche la strategia d’azione per rilanciare il Paese. La classe politica dei governi di Roma ha preferito la strategia di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ossia di intervenire in modo trasversale cercando di non scontentare nessuno. Strategia opposta ai friulani, con il risultato di lasciare invariato il problema base del nostro Paese: il declino economico.
Proviamo invece ad immaginare cosa potrebbe fare un governo affrontando il tema della ricostruzione dell’Italia come hanno fatto i friulani con il terremoto.
#1 Il presupposto è che si prenda coscienza di dover affrontare tutti insieme il problema. Significa fare fronte comune, deponendo l’ascia di guerra, delle polemiche e delle divisioni non solo tra i partiti ma in tutte le componenti della società.
#2 In secondo luogo occorre affidare le responsabilità ai decisori locali, rinunciando alla logica centralista che ha dominato lo Stato italiano nella sua storia più recente.
#3 Infine il tema forse più impopolare ma che è stato fondamentale per garantire la ripresa del Friuli: intervenire per prima cosa sulle imprese.
Prima le imprese
Se il governo adottasse il mantra dei friulani dovrebbe mettere in atto tutte le iniziative affinché le imprese italiane possano tornare a essere competitive con quelle all’estero. In particolare, cosa frena oggi le imprese, spingendole a trasferirsi oltre frontiera oppure a chiudere?
Per capire cosa servirebbe basta parlare con chiunque abbia un’attività in proprio. Le difficoltà sono la burocrazia, con lo Stato che controlla e reprime invece che agevolare chi fa impresa, un fisco avido e complesso, che rende meno conveniente fare impresa in Italia, una legislazione del lavoro rigida, per cui diventa costoso e rischioso assumere lavoratori, una giustizia lenta e incerta, per cui chi fa impresa rischia di trovarsi scoperto contro debitori insolventi.
Se si dovessero decidere delle azioni per tutelare “prima le imprese” queste sono le prime tre che si dovrebbero attuare:
1. Tassazione
Bisogna introdurre un regime di tassazione per le imprese allineato nella quantità e nelle modalità con i Paesi con cui competiamo, in primis Svizzera, Austria e Slovenia, in cui le nostre imprese tendono a fuggire. Significa ridurre l’aliquota fiscale sul reddito e sul lavoro. Non solo. Significa adottare un sistema di tassazione su quanto incassato non su quanto dichiarato in fattura, in modo da evitare che le aziende debbano versare tasse anche quando non vengono pagate. Significa adottare lo stesso sistema di deducibilità dei costi adottato negli altri Paesi, invece che complesse regole per cui solo una parte dei costi sostenuti possono essere dedotti.
2. Tutela dei crediti
I paesi a nord dell’Italia tutelano i creditori con automatismi che possono sembrare spietati ma che si traducono nella certezza del credito e nella punizione per chi non rispetta il debito. In Germania, ad esempio, chi non rispetta il pagamento di una fattura, se non salda entro 30 giorni, viene automaticamente iscritto su un apposito registro (Shufa) che comporta l’estromissione della persona o dell’azienda di fatto da qualunque attività economica, come aprire un conto corrente, per la durata di cinque anni.
3. Vantaggi per nuove aziende
Piuttosto che finanziare con un reddito di cittadinanza chi non ha un lavoro, se si vuole rilanciare l’economia servirebbe aumentare gli incentivi per tutti coloro che dovessero avviare un’attività. Questo comporterebbe infatti come minimo la creazione di un posto di lavoro, per chi avvia l’attività, e, in caso di successo, anche la creazione di altri posti di lavoro oltre che la produzione di ricchezza con cui pagare anche lo Stato.
Se gli italiani facessero come i friulani del dopo terremoto, farebbero un patto per focalizzarsi unicamente sul rilancio delle aziende nazionali. L’effetto di questo sarebbe una ripresa del PIL, con riduzione del debito, una crescita economica e la produzione di ricchezza e lavoro, uniche basi su cui poter ricostruire seriamente il Paese. Per fare questo servirebbe un cambiamento di mentalità o dei leader all’altezza, non solo nella politica.
Il sogno di Milano sembra essere arrivato alla sua fase di germinazione: sempre di più, infatti, si sta diffondendo l’idea, così audace, così figlia dei tempi, così in anticipo sui tempi, di regalare alla nostra città quell’autonomia che tanto le servirebbe per smarcarsi dalle storture di un’Italia dal futuro equivoco, dalle lentezze di una Roma dal presente voraginoso, e guidarle entrambe alla testa dell’Europa.
Milano attira la metà degli investimenti immobiliari stranieri in Italia: si parla di oltre 4 miliardi di euro l’anno, cifra che ci pone all’8° posto in Europa, dietro a realtà come Londra, Madrid, Dublino e Barcellona, aree urbane che godono di ampia autonomia rispetto agli stati centrali.
Addirittura, uno studio del 2017 redatto da Vittoria Assicurazioni in tandem con l’istituto indipendente Scenari Immobiliari pone Milano al secondo posto nel continente alla voce “indice di competitività”, preceduta solo dal Principato di Monaco. Nelle previsioni di questo report, entro il 2030 ci saranno qui oltre quindici milioni di metri quadrati da riprogettare, che potrebbero generare fino a 20 miliardi di valore.
Di più, Milano è ormai stabilmente sopra Roma per numero di turisti internazionali: la Città Eterna, nel 2017, è sotto di più di 1 milione di visitatori (8.17M a 7.09M) e di 400 milioni di euro nei ricavi dal settore (4.9 miliardi di dollari per Milano, 4.5 per Roma). Siamo tornati nel 400 d.C. quando Ravenna inaspettatamente superava l’Urbe come importanza, qualità della vita e preponderanza artistica e politica.
Milano è e fa per l’Italia ciò che Berlino è e fa per la Germania, Londra per il Regno Unito, Madrid per la Spagna. Potremmo allargarci al mondo intero, nominando Dubai, Shenzhen o Singapore, ma la fisionomia delle città-stato fuori dall’Europa non è paragonabile a quelle del Vecchio Continente.
E sì che Londra è inquadrata nella Greater London Authority, ente che gode di grande autonomia: ora il sindaco Sadiq Khan, in ottica Brexit, ne vorrebbe addirittura di più e, in un sondaggio risalente al 2016, l’11% dei londinesi si è espresso addirittura a favore dell’indipendenza della città. Non serve certo arrivare a tanto: l’area di Madrid è una delle diciassette comunità autonome spagnole. Berlino, in Germania, fa addirittura da Länder, e giuridicamente è sia uno Stato sia un comune.
Quindi, tornando a Milano, dicevamo, i tempi sono maturi: lo annunciano i numeri, lo annuncia l’atmosfera che si vive nelle strade, e ce l’ha annunciato Franco Bolelli, filosofo e scrittore milanese che ha parlato del nostro Sogno nelle pagine dell’edizione meneghina di Repubblica. Un endorsement importante, che ne segue alcuni altri molto prestigiosi e che fa eco al libro di Giuseppe Sala, Milano e il Secolo delle città, uscito a inizio 2018, auspicabilmente una sorta di manifesto programmatico che, infatti, anche Bolelli cita:
“E’ da un po’ che l’idea sta circolando. al principio sembrava giusto una brillante suggestione, poi man mano che se ne parlava ci si e’ accorti che e’ assolutamente plausibile, anzi necessaria…”
Per noi vegani è sempre un dramma trovare il posto giusto per godere di un ottimo pasto: per fortuna esiste il Lucky Seven!
Se non ci sei mai stato ti consiglio caldamente di farci un salto, soprattutto se ami il cibo etnico, in particolare quello indiano, Sri Lanka e… piccante.
Come descriverti il Lucky Seven… vediamo…
Per quanto riguarda il punto di vista estetico, appena entri in questo ristorante in Via Pasinetti ti trovi davanti a un enorme sala rossa, arancione e gialla, al quale muro sono appese bandiere, maschere e utensili.
A sinistra trovi il buffet, che prosegue con un’isoletta di contorni e, all’estema sinistra, con il bancone delle pietanze talmente piccanti da avere persino un avvertimento di fronte: “Attenzione: MOLTO PICCANTE!”
Il Lucky Seven è in grado di creare il perfetto connubio tra ottima cucina, preservazione dei sapori originali e atmosfera squisitamente orientale, quella che ti fa viaggiare con la mente verso posti esotici.
Insomma, è un luogo in cui chiunque può essere soddisfatto dal punto di vista culinario, ma soprattutto è un posto accogliente, che trasmette tranquillità e convivialità.
Io sono cliente fissa da anni e quando frequentavo l’università (eh sì, ho fatto Beni Culturali in Via Noto: se sei stato uno dei nostri o ne hai conosciuto qualcuno potrai capire il disagio recato dal 24) ci andavo spesso e volentieri, soprattutto perchè non era quel tipo di pranzo che attentava alle mie esigue finanze.
Data la natura del Lucky Seven, la quarta edizione del Giardino dell’Eden Festivalnon non poteva certo andare in un altro luogo: si tratta di una manifestazione musicale che questo martedì giungerà nella città della Madonnina direttamente da Roma.
Tra atmosfere psichedeliche e sonorità ipnotiche, dalle ore 21.00 potrai passare una piacevole serata all’insegna della cultura musicale e culinaria orientale, ma mi raccomando: se vuoi assistere a questo spettacolo etnico, non dimenticare di prenotare chiamando il numero 02 5740 1949, tramite il quale potrai chiedere tutte le informazioni che vuoi.
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Le guglie del Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele, le terrazze della Rinascente, sono tutti luoghi da cui ogni fedele milanese ha ammirato il panorama di Milano, vere icone del capoluogo meneghino: ma ci sono altre vette, più o meno note, che offrono un paesaggio mozzafiato.
Si può godere di una vista meravigliosa non solo sulle cime dei palazzi più alti, ma anche in angoli meravigliosi di altezze più modeste: lo dimostra questa lista di luoghi panoramici che, partendo da un locale a soli 20 metri di altezza, conclude in bellezza con il grattacielo più alto d’Italia.
Il Palazzo dell’Arte non ospita solo la Triennale, ma anche il ristorante Osteria con Vista: situato a 20 metri di altezza, permette di trascorrere un pranzo e una cena molto piacevoli, con tanto di panorama green su Parco Sempione.
#2 MONTE STELLA
Questa montagnetta del quartiere QT8, ricavata dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, si eleva fino a 50 metri e offre una vista non banale su una zona di Milano non ancora molto conosciuta, che vale la pena di scoprire da un punto sopraelevato.
#3 TORRE BRANCA
Ritornando in Parco Sempione, è impossibile non notare la Torre Branca, una struttura tutta di acciaio che invita i suoi visitatori a salire fino a 108,60 metri di altezza: un’attrazione originale per ammirare la città meneghina. Ogni tanto vengono anche organizzate degustazioni ed eventi speciali, per godersi un cocktail e una splendida vista.
#4 PALAZZO LOMBARDIA
Periodicamente di domenica apre al pubblico il Belvedere di Palazzo Lombardia, situato al 39° piano: dalle sue finestre la grande metropoli meneghina sembra una città in miniatura, uno spettacolo che non si vede tutti i giorni.
#5 UNICREDIT TOWER
Non poteva mancare in questa lista il grattacielo più alto d’Italia, che con la sua guglia raggiunge i 231 metri di altezza. Non è semplicissimo salire sull’Unicredit Tower, dato che le visite al pubblico vengono organizzate solo un paio di volte all’anno, ma ne vale decisamente la pena: dall’alto della torre si può ammirare la Milano più moderna e futuristica.
Un drammatico incidente ha riacceso il tema dei pericoli delle strade milanesi. Francesco Iennaco, rider di 28 anni, dopo essere caduto “per colpa delle pessime condizioni della strada”, come dichiarato, è finito sotto un tram che procedeva in direzione contraria. Portato al Policlinico gli è stata amputata una gamba. Qui la notizia.
Per motivi e cause diverse, nelle due maggiori città italiane tiene banco il tema della sicurezza e della manutenzione stradale, con al centro i due protagonisti del dibattito.
Parliamo delle buche di Roma, e del pavé di Milano.
Buche in centro a Roma
Buche a Milano: due app le segnalano
Non che a Roma non si reclami contro le strade in pavé e che a Milano non ci sia il problema delle buche, ma l’intensità del malcontento è senza dubbio diversa.
L’amministrazione comunale, tra ritardi, litigi interni e rimbalzi di responsabilità, stenta a varare un piano coerente e su larga scala per affrontare la questione.
Eppure, quello che ormai sta diventando il problema endemico è un altro: il pavé, che a Milano ha una lunga e gloriosa storia.
Tradizionale tipologia di pavimentazione stradale, apprezzata per la sua longevità e resistenza al deterioramento, introdotta dall’Impero Romano, il pavé a Milano fa il suo ingresso in scena tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, inizialmente posato lungo le strade attraversate dai binari dei tram, oltre che dai mezzi di trasporto più in voga all’epoca, carrozze, calessi e carretti vari.
La storica Farmacia alle Cinque Vie di Cordusio, e il pavé
Oggi, il pavé pare superato, e sempre più milanesi lo vorrebbero relegato, si fa per dire, esclusivamente alle vie pedonali del centro storico, meglio se con i sampietrini.
Nelle vie trafficate, da macchine, scooter e biciclette, il pavé è un’insidia (una delle più importanti corse di ciclismo su strada, la Paris-Roubaix, prevede tratti di strada in pavé, proprio per mettere in difficoltà i partecipanti). Un’insidia che diventa un grande pericolo, specie per chi va su due ruote, nei punti dove sul pavé corrono i binari: ai lati infatti acqua e usura scavano solchi che possono rivelarsi micidiali.
La classifica del pavé
I difensori del pavé utilizzano gli argomenti del valore storico, dell’identità urbanistica, del fascino della Vecchia Milano: legittimi, se non fosse che la realtà ci parla di lastroni sconnessi, traballanti e soprattutto molto pericolosi.
Le dieci strade del pavé più temibili da percorrere risultano: #1 Via Ludovico il Moro #2 Corso Genova #3 Via Torino #4 Via Manzoni #5 Foro Buonaparte #6 Corso Magenta #7 Via Mercato #8 Corso di Porta Romana #9 Via Mazzini #10 Via Orefici
Piazza Cinque Giornate è sotto i ferri dall’aprile 2017 e dovrebbe essere completamente asfaltata entro l’estate 2018.
Tutto lascia pensare che da qui ai prossimi anni il rimpiazzo con l’asfalto avverrà ovunque sarà necessario e che il pavé rimarrà un incantevole ricordo dei tempi andati, oltre che un pezzo da museo nei percorsi del centro storico. Questa può essere una soluzione di lungo periodo per ridurre la pericolosità del manto stradale. Ciò non toglie che nel breve termine bisogna riuscire ad assicurare una miglioremanutenzione, specie nei punti più critici, i solchi che si creano tra pavé e binari.
Purtroppo si sa: sempre meno gente, soprattutto se giovane, passa le proprie serate o si appassiona al Teatro.
Nonostante il mondo teatrale coinvolga anima e corpo, emozioni e diverta, la presenza sugli spalti è sempre più diradata…
E allora, sai una cosa? Se la gente non va a teatro, allora il Teatro andrà dalla gente.
No, non sono impazzita: sto parlando della Trattoria Teatrale, una giovane compagnia di attori che crea e porta i suoi spettacoli all’interno del ristorante.
Dopo una pausa di qualche mese, questo venerdì l’allegra brigata torna con il terzo capitolo della sua sit-com musicale, studiata appositamente per questa occasione… e noi siamo piacevolmente soddisfatti di ciò.
Dopo che avrai acquistato il biglietto a 35 euro, mentre dalle 20.45 gusterai la tua cena al Rovereto House & Lab, assisterai a uno spettacolo decisamente interessante, interpretato da ragazzi e ragazze che hanno ancora quel barlume luminoso negli occhi tipico di chi fa teatro… quello dell’anima.
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Di NoLo, che sta per Nord Loreto, ultimamente è stato scritto di tutto e di più. Da Bronx di Milano a nuova Soho in versione meneghina, regno degli hipster, dei giovani creativi e delle gallerie di moda, il passo è stato breve. Forse troppo. Di sicuro qualcosa sta cambiando, per il momento dal basso.
Ma NoLo esiste?
Qui nel nord-est di Milano nessuna “riqualificazione” è piovuta dal cielo, come nel caso dell’Isola, né ci sono stati interventi urbanistici da parte delle istituzioni come quelli di Chinatown. La trasformazione è spontanea e riguarda principalmente la composizione sociale del quartiere. Quella zona incastonata tra Greco, Casoretto e Turro, un tempo abitata da immigrati del Sud Italia poi sostituiti da latinoamericani, nordafricani e orientali, e solitamente nota alle cronache per fenomeni come spaccio, prostituzione, scippi, case occupate, viene sempre più spesso scelta da studenti, giovani professionisti e creativi attratti dai prezzi bassi delle case e degli affitti, ma anche da quell’atmosfera multiculturale che ora non fa più così paura, e viene anzi spesso vissuta come un plus.
Anche l’economia della zona sta un po’ cambiando. Al panettiere egiziano, alla pasticceria mediorientale, alla sartoria cinese e al venditore di kebab si affiancano qua e là nuove insegne. C’è chi approfittando degli affitti bassi ha aperto qui la sua gallerie d’arte o lo showroom, chi annusando l’aria ha trasformato negozi tradizionali in più moderni e trendy “concept store”, dove anziché vestiti si vendono “esperienze sensoriali” (Spazio Nolo 43), anziché fiori o biciclette si vendono entrambi anche in coppia, facendoti sentire pioniere di uno stile di vita più misurato e sostenibile (Bici e radici).
Al punto da far pensare che NoLo potrebbe diventare la nuova Isola. Del resto anche questo fino a pochi anni fa era un quartiere popolare con un passato critico, che trovava forza nella sua vita di comunità. Per ora qui di turisti se ne vedono pochini, ma il posto ha senza dubbio le sue peculiarità. Dove altro si potrebbe trovare una piazzetta intitolata al Governo Provvisorio (peraltro un gioiellino di palazzine basse e colorate), una Chiesa cristiana adiacente alla vetrina di un sexy shop, un’associazione che si chiama Salumeria del Design e che fra le altre cose anima la via Stazio con un mercatino del vintage dall’improbabile nome Le Pulci Spettinate. E ancora un bistrot sorto in un’antica fabbrica di cioccolata che fa anche da ostello, ciclofficina, spazio coworking e un po’ da portineria, e non ultimo la possibilità di fare un vero party di compleanno a chilometro zero, che non sia la festicciola di classe dei pargoli. Ma soprattutto solo NoLo può vantare, e qui l’orgoglio si pesa a chili, il capolinea del tram numero 1.
Non è detto che da tutto questo non nascerà davvero un quartiere nuovo e più inclusivo. E’ più che altro una scommessa, certo, ed è la scommessa che hanno fatto i suoi nuovi abitanti. E’ il caso di Sara e Daniele, detto il Sindaco, i due fondatori di NoLo Social District, che a forza di colazioni organizzate in strada hanno messo su un bel gruppo di gente appassionata e coesa che nella nuova NoLo ci crede eccome. C’è chi si è inventato un corso di giardinaggio, chi un corso di yoga, chi la biciclettata in notturna in quelle zone che di solito la sera si cerca di evitare, e le famose colazioni del sabato mattina ormai documentate persino dalla tivvù, il tutto con la finalità di riappropriarsi degli spazi con fini sociali a costo zero. Così sono natianche il coro, ovvero il CorNolo, il gruppo lavoro a maglia LaNolo, il gruppo di fotografia PhotoNolo e così via. C’è persino una radio di quartiere che ovviamente si chiama RadioNolo, e trasmette un radiogiornale che non poteva non chiamarsi GiorNoLo.
L’idea di base è quella di conoscersi, fare cose insieme e vivere il quartiere nella sua quotidianità, senza pregiudizi. Basta fare un salto nei locali più amati della zona all’ora dell’aperitivo per rendersene conto: qui si va da Zia Barbara, un po’ bar, un po’ zia e anche un po’ luogo di aggregazione, dove tutti o quasi si conoscono e almeno una volta al giorno devono passare di qua. Oppure al Ghe Pensi Mi e al NoLoSo, il locale con le pareti rosa e blue Tiffany diventato in poco tempo un punto di riferimento per la comunità gay friendlyma non solo, da quando Gianni, il nuovo proprietario, ha regalato più di 2’000 libri trovati nei locali dell’ex bar Sport rilevandolo nel 2017 in via Varanini.
Sono posti dove semplicemente stare bene, con serenità, ti raccontano i ragazzi della Social, che adorano scoprire i posti migliori dove rifarsi il palato. Per un ottimo hamburger con pane artigianale e maionese fatta in casa, da irrigare con un drink da manuale, consigliano il Clover (Viale Brianza 32), senza farsi troppo scoraggiare dall’aspetto esterno.
Per dolce invece una bella coppa da Ilgelatochenonce, dove i gelati vengono preparati al momento con l’azoto liquido: ingredienti freschi, piccole planetarie, un’annaffiata di azoto liquido e il gioco è fatto, il mastrogelataio riemergerà dai fumi per servivi un gelato leggero e gustoso.
La scuola chiude, andiamo al parco
Già che ci siete fate anche un giro nel quartiere, così da farvi una vostra idea personale di cosa sta accadendo laggiù. Magari sfruttando uno dei tour a tema del GiraNolo (che a dispetto del nome è una cosa seria), che vi porta a scoprire non solo le architetture più interessanti e originali, ma anche le storie che le hanno impregnate di vita. I punti nevralgici del quartiere? Piazza Morbegno con la sua atmosfera un po’ paesana, il cinema Beltrade, l’unico a Milano (e uno dei pochi in Italia) in cui è possibile trovare film indipendenti in lingua originale che nei multisala non li vedono neanche con il binocolo. Qui da un paio d’anni in aprile ci organizzano anche il Festival di San Nolo, competizione canora semiseria che ha potuto vantare però alcuni nomi di un certo prestigio.
E se riuscite a entrarci, giacché è aperto in settimana solo in orari da doposcuola e fino al tramonto, andate a vedere il Parco Trotter, dall’inconfondibile conformazione di galoppatoio come da sua destinazione originaria. In realtà è una vera e propria cittadella in cui sono immersi gli edifici storici delle scuole che lo hanno in gestione, e che fino a poco fa ha ospitato un farfallaio con decine e decine di farfalle meravigliose.
Collocato tra via Padova e viale Monza, specchio della complessa realtà che lo circonda, in passato il parco è stato precursore degli studi pedagogici più avanzati, simbolo di una didattica all’avanguardia e di una coraggiosa sperimentazione apprezzata e studiata in tutto il mondo. Una storia raccontata in modo quasi sognante da uno spettacolo teatrale di Davide Verazzani, che si chiama Te la ricordi la Casa del Sole? e che è stato rappresentato anche in occasione di Casa Nolo, la versione social del Fuorislaone di queste parti. Ora che i tempi sono cambiati la sfida è quella di offrire a tutta la cittadinanza un formidabile stimolo all’integrazione, un luogo dove bambini di diverse provenienze imparino a convivere fin dalla prima infanzia e consolidino le loro relazioni nel tempo dedicato alle numerose iniziative promosse dalle associazioni cui partecipano anche gli adulti.
Le potenzialità quindi ci sono. Probabilmente qui una casa non sarà mai venduta a peso d’oro come tanti anfratti poco ospitali dell’Isola, ma non sono certo i prezzi degli affitti che fanno sparire lo spaccio a cielo aperto. Del resto a che serve avere un appartamento che vale una fortuna se poi ti tocca lasciare il posto che ti fa sentire “a casa”?
Quando tutto va male, si perdono quasi tutte le certezze… ma non appena sento il dolce suono del piano, tutto torna ad avere i suoi colori, i suoi profumi e la sua bellezza.
La musica è la dolce compagna di vita, colei che sa sempre come risollevarti il morale, come assecondare il tuo disappunto e come festeggiare la tua euforia.
Soprattutto il piano, lo strumento più completo di tutti, ha quel “non so che” di magico in grado di rendere tutto più soave e leggero, arricchendo la realtà di sfumature che altrimenti non si sarebbero percepite.
Considerando tutto questo, immagina come sarebbe avere un mondo in cui la musica fa da protagonista. Sarebbe bello sentire il dolce suono del piano ad ogni angolo, il soffio leggiadro di un clarinetto proveniente da un autobus o il rombare delle percussioni al posto dei fischi delle metropolitane.
Un mondo del genere sarebbe sicuramente più divertente… ma, purtroppo, impossibile. Possiamo, però, accontentarci di Piano City, che questo weekend torna finalmente a Milano.
Da questo venerdì fino a domenica, in diversi luoghi della città si svolgeranno concerti di musicisti provenienti da tutto il mondo, che presenteranno repertori di ogni genere.
L’inaugurazione della manifestazione si svolgerà alle ore 21 di questo venerdì, presso il Piano Center della GAM – Galleria di Arte Moderna, in via Via Palestro 16: a esibirsi, sarà l’eclettica Aziza Mustafa Zadeh, pianista, compositrice, cantane e anche pittrice di origine azera.
La sua musica è caratterizzata da dolcezza, eleganza e creatività: sono certa che la sua esibizione ti lascerà senza parole… ma non voglio certo rovinarti la sorpresa.
Ti dico solo che sarà veramente un inizio col botto per questa Piano City, ma se vuoi assistere alla prima serata ti consiglio di arrivare presto: l’ingresso è libero… ma fino a esaurimento posti.
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La sede di Mediobanca è uno dei luoghi più leggendari e misteriosi di Milano. Mediobanca è stata a lungo (e forse lo è ancora oggi) l’istituzione più potente del mondo della finanza italiano. Negli anni in cui a capo di Mediobanca c’era Enrico Cuccia, politici e imprenditori venivano ad incontrarlo nella speranza di un sostegno.
Ogni giorno Enrico Cuccia varcava l’ingresso di via Filodrammatici, dietro la Scala, per trascorrere le sue lunghe giornate nell’ufficio al primo piano della palazzina. Non faceva vacanze, neppure ad agosto, e ha lavorato fino alla fine, avvenuta il 23 giugno 2000. Aveva 93 anni.
Da allora poco è cambiato nella sede di Mediobanca. Dopo aver superato l’ingresso, una rampa di scale conduce al primo piano a struttura rettangolare con vista sul cortile interno. Il silenzio è irreale. Percorrendo un corridoio con il pavimento di legno, da cui si aprono gli uffici, si arriva a uno di questi uffici che da 18 anni nessuno utilizza più.
cortile di mediobanca
E’ l’ufficio di Cuccia in cui nulla è stato toccato da quando lui non c’è più. Ci sono ancora due vecchi telefoni a disco rotante e tutto è rimasto inalterato, come fosse una reliquia. O come se, sotto sotto, si attendesse il suo ritorno.
In cosa consisterà la tappa milanese del Campari Academy Truck?
In quello che sto per proporti per dare un lieto fine al tuo giovedì.
In una serata all’insegna di shaker, alcool e creatività nel cuore di Milano.
Ma non farti ingannare dal nome “Campari“, perchè questa volta non si tratta di sbocciare (altrimenti con che faccia vai al lavoro, domani?), ma di assistere ad alcune presentazioni davvero interessanti.
Sto parlando delle presentazioni delle nuove masterclass Camparino 2.0 e Innovative menu design del tour 2018 del Campari Academy Truck.
A partire dalle 11.30 di questo giovedì, dieci talenti dell’universo mixology saranno disponibili in Piazza del Duomo per tutti gli aspiranti bartender, ma anche per gli appassionati di questo mondo, allo scopo di presentare i nuovi corsi organizzati per il tour Campari di quest’anno.
Direi che un salto lo si può fare, giusto per passare un pre-weekend diverso. E dopo? Camparino sotto alla Madonnina, chiaro.
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A metà di corso XXII marzo, all’altezza di piazza Grandi, c’è un rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale. Costruito nel 1936 per proteggere i civili è stato rimesso a posto e reso accessibile al pubblico per visite guidate gratuite nell’ambito di “Milano sotterranea” a cura di Neiade Immaginare Arte.
L’accesso è posto sotto la fontana monumentale e conduce a un labirinto in cemento armato composto da 25 stanze. Poteva ospitare fino a 400 persone. Uno degli aspetti più curiosi, e agghiaccianti, sono le scritte sui muri che rappresentano una testimonianza dei sentimenti delle persone che vivevano quei momenti così drammatici.
Per poterlo visitare è obbligatorio presentarsi 10 minuti prima dell’inizio. Necessaria la prenotazione qui: prenotazione visita rifugio.
Anche quest’anno, la Triennale di Milano organizza il Triennale Design Museum, una mostra dedicata al design che arriva così all’undicesima edizione.
Il protagonista sarà indubbiamente il design italiano, del quale verranno raccontatati la storia, i successi e la creatività.
La novità di quest’anno sarà il display della mostra, uno store vero e proprio nel quale si potrà entrare e girare: questo progetto è la metafora di una città contemporanea e immaginaria allo stesso tempo, un’utopia futurista aggrappata, però, alla realtà.
Sarà un connubio di neon, cemento e specchi, che diverranno vetrine di un design alla portata di tutti.
Se anche tu vuoi capire e conoscere meglio il design italiano, ricorda che hai tempo fino al 20 gennaio 2019 per poter visitare questa strabiliante mostra della Triennale di Milano: l’ingresso costa 12 euro e ti consiglio di prenotare il biglietto perchè, visti i progetti contenuti al suo interno, è previsto il pienone.
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