A Milano Città Stato l’alimentazione è considerato un tema importante, al pari di istruzione, economia, autonomia [IL PROGETTO].
Ecco la prima mappa di Milano in cui ogni fermata è associata a un ristorante, bistrot, negozio, alimentari, indirizzo consigliato da chi è attento al tema del cibo, inteso come strumento del benessere. L’abbinamento è stato fatto perché il luogo è in prossimità se non proprio presso la fermata della metropolitana corrispondente. Biologico, vegano, vegetariano: ecco la mappa dei luoghi vicini alle fermate della metro.
La fermata Porto di Mare mi ha sempre incuriosito: perché si chiama così, non c’è manco un lago ed è incastonata tra la Rogoredo presa d’assalto dai pendolari e una Corvetto così urbanizzata?Cosa c’entra il mare?
Ogni volta che parlo della fermata di Porto di Mare mi vengono in mente i toto scommesse con gli amici di gioventù, ovvero di quando si prendeva la linea gialla verso Duomo e si provava a indovinare quante persone sarebbe salite o scese. Le cifre si aggiravano su nessuna, una, due, tre al massimo, e in genere ci azzeccavamo.
A distanza di qualche anno, qualche utente in più c’è grazie alla presenza di una palestra alla moda, la recente apertura di un american diner, l’inarrestabile suono del Karma e qualche cascina resistente al tempo che passa, con trattoria al seguito. Tutto intorno sono rimasti i casermoni e un quartiere – tra via Cassinis, via Fabio Massimo, via Gaggia – tagliato a metà dal raccordo tra Piazzale Bonomelli e l’imbocco alle autostrade. Molte novità, ma ancora niente mare e neppure un fossile di qualche precedente era geologica.
Il rilancio di Porto di Mare (che non inizia mai)
Il 6 aprile 2016, la fermata e per esteso il quartiere Porto di Mare sono tornati alla ribalta per la visita del Ministro Pier Carlo Padoan e la proposta di un progetto di riqualificazione urbana che, riporta IlGiorno riguarderà la messa a punto di “un’area pulita […] dall’amianto e da tutto, tranne che gli edifici storici come la Cascina San Nazzaro e Cascina Casottel […], spazio per attività artigianali e produttive, per strutture sportive, ma non per il residenziale, se non in particolari forme come studentati e alloggi per le famiglie degli ospedalizzati”. Costo complessivo: tre milioni di euro “che il Comune ha risparmiato nella transazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze (fonte. ilGiorno.it).
Solo a novembre 2013, MilanoToday titolava: “Milano: La rinascita della zona di Porto di Mare. […] Il nuovo piano regolatore prevede che entro Expo 2015 si procederà con la realizzazione di housing sociali, con la costruzione di un villaggio dello sport, comprensivo d’impianti di atletica, golf e tennis, e una parte sarà destinata a parco (almeno il 50% della superficie territoriale). La travagliata storia di questa immensa area risale però al lontano 1941.”
Facciamo allora un tuffo nel passato per capire la vicenda per intero.
Le origini del mistero di Porto di Mare
1884. Il piano regolare (PRG) Beruto è in atto: si prevede la scomparsa dei canali dal centro città. “In questi anni l’Ing. Paribelli del Genio Civile propose di creare un nuovo porto che mettesse in comunicazione Milano al mare (naturalmente via Po)”, spiega il portale Vecchiamilano, che spiega come questa area collocata tra Rogoredo e il primo confine di Milano fosse ritenuta una zona appetibile, perché ‘vergine’, spaziosa, rurale e quindi adatta a far convogliare tutte le acque del milanese.
1907. Il Genio civile di Milano presenta il progetto per cui il porto a Rogoredo a sud di Porta Romana sia il naturale punto di convergenza delle acque che defluiscono dalla città. In pratica si trattava di creare nella zona una nuova Darsena.
Perché una nuova Darsena a Milano?
La risposta è ben spiegata da Storiedimilano: “La Darsena era infatti ormai insufficiente per la mole enorme di materiali trasportati via barconi dal Po e dal Lago Maggiore, tramite rispettivamente il Naviglio Pavese e il Grande. Il numero di imbarcazioni (oltre 70 al giorno) superava quello di porti affermati come quelli di Brindisi, Bari e Messina. Si trattava però di imbarcazioni di modesta portata (40/80 tonnellate) molto inferiori ai battelli di 600 tonnellate che percorrevano i canali francesi e che avrebbero potuto navigare da Milano a Venezia lungo il Po. Il Pavese era caratterizzato da 12 chiuse per superare il dislivello che rallentavano enormemente il tragitto. Anche il percorso dal Lago Maggiore era lunghissimo, giorni di navigazione e traino. Il Genio Civile presentò quindi il progetto di una enorme serie di darsene localizzate nel punto ove tutte le acque di Milano, di superficie e di falda, tendono a colare, la zona a sud dell’attuale Piazzale Corvetto.”
Il grande bacino avrebbe compreso 5 enormi moli di attracco, subito dopo ridotti a 4, sarebbe continuato verso nord, allacciandosi alla Martesana, passando ad est dell’Idroscalo, per connettersi con le linee ferroviarie di Rogoredo e di Porta Romana.
La storia non finita del Porto di Mare di Milano
1917. E se l’attuale via Fabio Massimo e limitrofe ospitassero una nuova Darsena per dismettere definitivamente quella Ticinese? Il Comune dice di sì: il piano Beruto e la copertura dei Navigli si avvia alla sua seconda fase, con buona pace dei mercantili che, arrivando a sud di Milano, non avrebbero dovuto varcare le dodici conche del Naviglio Pavese.
1918. Viene costituita l’azienda portuale.
1919. Inizio dei lavori di scavo del Porto di Milano per creare il grande bacino portuale e di spezzoni di canale diretto verso Cremona per 20 chilometri. Si scava. L’acqua di falda riempie lo scavo. Corvetto diventa un’area gradita ai pescatori e, d’estate, ai bagnanti.
1922. Blocco dei lavori. Inizio della trafila.
Dal 1925 al 1928: l’area viene anche sfruttata come cava per la ghiaia da utilizzare per la costruzione del nuovo quartiere popolare Regina Elena che stava sorgendo in piazza Gabrio Rosa sotto la direzione dell’architetto Giovanni Broglio (fonte: Wikipedia).
Anni ’30. L’Ing. Baselli del Comune amplia il progetto in vista della realizzazione di un nuovo grande canale, il Naviglio Grande, di collegamento tra il Naviglio Pavese e l’area di Rogoredo, dal Lago Maggiore e fino a Cremona così da raggiungere il Po. Progetto approvato.
1941. Tutto è pronto per partire, ma l’Italia è entrata in guerra.
1953. La nuova Darsena di Corvetto-Rogoredo è compresa nel nuovo piano regolatore. Il Comune torna nuovamente sul progetto, ma per la terza volta tutto si ferma.
1972. Viene il turno di Regione Lombardia che dichiarando la priorità dell’opera per i commerci. Per questo viene fondato il Consorzio Canale Milano-Cremona. Nuovi terreni vengono acquistati. Si scavano 20 chilometri di Canale tra Cremona e l’Adda.
31 marzo 1979: nella Darsena di Ticinese arriva l’ultimo barcone con il suo carico di sabbia. “Milano da quel giorno rimarrà una città senza porto”, Vecchiamilano .
1991. Arriva la metropolitana. Qui si dispone una fermata, la “Fabio Massimo”, ma si preferisce dedicarla all’opera mai conclusa.
Ecco la risposta. La fermata e l’intero quartiere Porto di Mare sono un omaggio ad un mai finito progetto milanese.
Il resto, è storia più recente.
Il Consorzio Canale Milano-Cremona viene messo in liquidazione del 2000. Il canale Cremona- Adda giace tra i campi inutilizzato, “addirittura negli ultimi anni si è reso anche responsabile di danni ai campi vicini a causa dell’assenza totale di manutenzione e la Regione dovrà sborsare altri soldi per risistemare l’alveo” scriveva la nostra fonte nel 2013, che conclude, “nel 2009, infine, il colpo di grazia venne dal progetto di costruire nella zona la “Cittadella della Giustizia” andando così a far naufragare definitivamente il progetto del porto e a distruggere un’ulteriore area verde di Milano”. Nei piani si sarebbe trattato di 1.200.000 metri quadrati di uffici e servizi, poi slittato di un anno, con l’avallo del ministero della giustizia, ripresentato nel 2010 e nuovamente messo da parte.
Ora una nuova bonifica tra amianto, allontanamento degli inquilini occupanti o senza contratto, sfruttamento di minori e prostituzione.
Un mare di problemi, insomma. Nessun tuffo nella nuova Darsena di Milano che è tornata ad essere quella di Ticinese.
Foto cover – dettaglio di via Marochetti angolo Brizi fotografata nel 1937 da Antonia Pozzi (fonte: Digilander.libero.it)
VUOI CONTRIBUIRE ANCHE TU A TRASFORMARE IN REALTA’ IL SOGNO DI MILANO CITTA’ STATO? SERVE SCRIVERE PER IL SITO, ORGANIZZARE EVENTI, COINVOLGERE PERSONE, CONDIVIDERE GLI ARTICOLI, PROMUOVERE L’ISTANZA, AIUTARE O CONTRIBUIRE NEL FUNDING, TROVARE NUOVE FORME UTILI ALL’INIZIATIVA. SE VUOI RENDERTI UTILE, SCRIVI A INFO@MILANOCITTASTATO.IT(OGGETTO: CI SONO ANCH’IO)
Se vi hanno stupito i vagoni dei treni della metropolitana coreani dagli straordinari trompe l’oeil, se vi è piaciuta l’idea di fare Milano-Genova in 15 minuti comodamente trasportati da un ‘siluro’, allora non potrà non sorprendervi il treno invisibile già Pritzker Architecture Prize, il Nobel dell’architettura.
Sono passati sei anni da quando l’architetto giapponese Kazuyo Sejima, cofondatore dello studio Sanaa, presentava al mondo il primo treno in grado di mimetizzarsi con l’ambiente.
Il Seibu Railway, questo il suo nome, è realizzato con un materiale semiriflettente dall’effetto trasparente, quasi invisibile, “un’originale discrezione minimalista che non rovina il paesaggio e merita un applauso”, lo descrive chi, tra i primi in Italia, ha rilanciato questa storia, Futurix.it.
Esterno semi invisibile grazie alla sua superficie tecnologica. Interno più che rilassante e comfortevole, pensato per garantire il massimo dell’assorbimento nell’ambiente circostante da parte dei passeggeri.
L’idea è partita per il centenario della società ferroviaria, “e creare un concetto di treno con un aspetto senza precedenti dentro e fuori”, spiega la Seibu Railway.
Per provarlo, bisognerà tenersi pronti: partenza dal Giappone e tutti in carrozza entro il 2018.
E se le strisce pedonali creassero una barriera di luce per spingere gli automobilisti a fare più attenzione ai pedoni? O ancora: e se i pedoni più sbadati o di corsa fossero protetti da una lama di luce quando attraversano la strada?
Questi ‘se’ hanno trovato una risposta nel progetto Smart Citypubblicato a inizio 2014 dalla società iberica Llumtraffice di recente rimbalzato ai clamori della cronaca.
Alcune città della regione spagnola della Catalogna, ovvero Cambrils, il Comune di Barcellona, a Figueres, Llieda, Solsona, stanno applicando delle “zebra smart“, ossia delle strisce pedonali intelligenti. Intelligenti perchè si illuminano.
L’iniziativa consiste nell’utilizzo di una vernice rifrangente abbinata ad un sofisticato sistema di rilevazione del movimento dei pedoni: quando il pedone raggiunge l’attraversamento, dei sensori di pressione ne registrano il peso e inviano l’ impulso di illuminazione a led posizionata ai margini delle strisce, rendendo immediatamente visibile il pedone anche alle in auto in arrivo.
Questo video spiega il funzionamento del dispositivo, che per una volta non è un caso confinato all’estero. [continua dopo il salto]
Una tecnologia poco conosciuta forse per il costo? Non proprio: il costo dell’installazione è di 10.000 euro. Queste strisce pedonali a Led e intelligenti potrebbero essere efficaci su molti vialoni di Milano o sulle statali poco illuminate. Non a Milano ma a Masciano, Perugia, poco tempo fa è partita una sperimentazione simile, e lo racconta il servizio di questa emittente locale:
Da Milano a Perugia mancano circa 450 chilometri: con la tecnologia è una distanza che si può colmare in fretta.
C’è una torre di vetro e cemento che svetta in via Galvani angolo via Fara, a pochi passi dalla trafficatissima via Melchiorre Gioia e da Stazione Centrale. Imponente, alta come il bosco verticale, nella zona di Milano che si è rilanciata di più negli ultimi anni. Eppure basta una veloce occhiata per cogliere la sua caratteristica più evidente: è deserta.
Già. Dentro non c’è nessuno. Ed è così da molti anni.
Dopo la storia della mancata riqualificazione di Corso Sempione e lo scempio fatto del Ponte Vecchio di Milano, vi raccontiamo un’altra storia incredibile: quella di uno spreco con vista sui nuovi palazzi di Porta Nuova. Si tratta della Torre GalFa.
Torre GalFa: com’era
Milano, 1958. Boom economico, edilizio, architettonico. Dopo le privazioni della Guerra c’è una tensione verso l’alto e, ancora una volta, Milano è capolista del rinnovamento. Milano cambia, si alza. Torre Velasca e il Pirellone vengono eretti a breve distanza l’uno dall’altro.
Alla fine degli anni ’50,all’angolo tra via Galvani e via Fara nasce la Torre GalFa. Prende il nome dalle prime lettere delle due vie su cui è costruita. Melchiorre Bega, l’architetto che nel suo palmares ha pure il Palazzo dell’ONU a New York, l’ha progettata come un blocco razionale di cemento e vetro alta 31 piani, più 2 interrati. A seguire i lavori sono gli ingegneri Luigi Antonietti, Pier Antonio Papini, Antonio Rognoni, Arturo Danusso. A tagliare il nastro, nel 1959, è la società petrolifera Sarom.
Nel 1980 – la proprietà passa alla Banca Popolare di Milano che usa la Torre GalFa come sede operativa e centro servizi.
1 of 3
L’agonia della Torre Galfa
2001. Nel 2001 il palazzo viene abbandonato. 2006. Banca Popolare di Milano vende alla Immobiliare Lombarda, società del gruppo Fondiaria Sai di Salvatore Ligresti. La cifra è da capogiro, 48 milioni di euro, ma il palazzo viene lasciato vuoto. I suoi 31 piani, di cui 27 abitabili, non sono sfruttati, i 27.000 mq, l’elegante facciata a vetrata continua (curtain wall) da cui la struttura portante della torre risulta arretrata rispetto al suo filo esterno e quindi “invisibile”, l’ascensore per l’accesso “senza barriere” al livello -1 della scala elicoidale, tutto lasciato in mano all’incuria.
5 maggio 2012. Il centro per le arti di Milano, Macao, occupa la torre seguita da uno stuolo di media e autorevoli personalità del mondo dello spettacolo e della cultura, tra i quali spicca Dario Fo. L’occupazione dura fino al 15 maggio, quando l’immobile viene sgomberato.
Milano, 2012. Fondiaria-Sai è stata acquistata nel 2012 dal Gruppo Unipol. E’ lui ad avviare lo studio del progetto di riqualificazione e valorizzazione insieme al Comune di Milano. Data inizio lavori: 2014.
Gennaio 2015: Torre Galfa è ancora vuota e inutilizzata.
29 aprile 2015: una nota del Comune di Milano scrive:
“UnipolSai inizierà la riqualificazione nel gennaio 2016. Investimento complessivo di circa 100 milioni di euro. Avrà una vocazione ricettiva/alberghiera fino al 12° piano e residenziale fino al 31° con servizi dedicati e ingressi separati”. Il progetto di riqualificazione viene curato dall’architetto Maurice Kanah dello Studio bg&k associati: “sta per rinascere la Torre GalFa, il grattacielo di 103 metri costruito nel 1959 su progetto dell’architetto Melchiorre Bega” acclama Palazzo Marino. Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco e assessore all’Urbanistica e Edilizia privata del Comune di Milano, durante la conferenza stampa congiunta svoltasi in quella data all’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele, commenta: “Questo progetto rappresenta un altro importante obiettivo raggiunto dall’amministrazione comunale nell’ambito della politica di rigenerazione del patrimonio esistente, inutilizzat. […] È emblematico che si tratti proprio della Torre GalFa, per la cui riqualificazione avevamo promesso l’approvazione del progetto in tempi brevi“. Controribatte Gian Luca Santi, Direttore Generale Immobiliare e Società Diversificate di UnipolSai: “Dopo 16 anni di inutilizzo Torre GalFa tornerà ad essere uno dei simboli della città. L’incuria e l’abbandono ne avevano deturpato l’immagine snaturandone il suo alto valore architettonico. Grazie all’intervento di Unipol, si è provveduto alla riqualificazione di questo storico edificio che sarà caratterizzato da destinazioni funzionali miste con criteri all’avanguardia di ottimizzazione degli spazi”. (fonte: sito Comune di Milano).
La Torre GalFa, oggi
La situazione oggi
Macao è attivo. In viale Molise.
L’amministrazione comunale sta per cambiare.
La Torre GalFa è sempre abbandonata.
“Guardate il cartello dei lavori: dice 150 giorni con inizio 1 giugno 2015. E’ scaduto da mesi, ma nessuno in zona ne sa niente e la situazione è quella delle foto” (fonte: Affari Italiani).
Aggiornamento del 03 maggio 2016 Al momento della pubblicazione, i lettori ci avvertono che i lavori di ristrutturazione sono partiti da poco. Cercheremo di seguire da vicino la vicenda per fornirvi i prossimi sviluppi.
In principio erano semplici mattoncini colorati per stimolare la nostra fantasia. Poi venne la Lego mania: chi non si cimentava a erigere palazzi e costruzioni fatti di lego non aveva futuro.
Più di recente, la Lego-follia è sbarcata ad Arese, nel più grande shopping center d’Italia. Ma ora arrivano due notizie che portano i lego dal mondo della fantasia alla realtà del quotidiano, per renderla migliore.
L’artista Jan Vormann vive a Berlino e sul suo sito ufficiale si trova la mappa di tutti i palazzi in oltre 40 città del mondo che ha riparato utilizzando dei mattoncini lego. Un esempio tra tutti? Venezia. Nella gallery qui sotto si mostra come l’artista è intervenuto contro la corrosione da salsedine di cui sono vittima da secoli i palazzi della Serenissima.
1 of 3
La seconda notizia è ancora più dirompente e può riguardare direttamente ognuno di noi.
Se servirà una parete in più in un appartamento, se ci si dovrà costruire un riparo di fortuna, potremo farcela senza malta, calce, polvere o rivestimenti: basterà acquistare dei mattoni a incastro, fatti proprio come i classici Lego. Solo che in formato gigante.
In questo caso non siamo di fronte ad un’applicazione tout-court dei mattoncini danesi, ma di uno spin-off architettonico che ne emula le forme e la tecnologia a incastro: “L’ho pensata anche per chi è in difficoltà a montare un mobile dell’Ikea” ha detto l’inventore, l’ingegnere di Aosta, Flavio Lanese.
Un’idea rivoluzionaria, molto comoda e garantita (“alle sollecitazioni di trazione, compressione e pressoflessione“, N.d.r.) e, aspetto ancora più interessante: antisismica.
Gli SpeedyBrick, questo il loro nome, si smontano, rimontano, e “sono già pronti per l’installazione di reti tecnologiche , come impianti elettrici, reti telematiche, impianti idraulici, all’interno dei muri”, spiega il portale Dailybest.
La notizia è stata a sua volta rilanciata dal magazine ItaliaCheFunziona: un nome che speriamo sia presto una realtà per il nostro paese.
Le invenzioni della scienza e del design possono rivoluzionarci la vita oppure sanno renderci più piacevole qualcosa che ci piace fare. Per esempio: perché non immergersi in un bosco ed ascoltare i rumori della natura amplificati da un altoparlante di legno? In Estonia l’hanno fatto – e noi ne abbiamo parlato qui. Oppure: perché non frequentare una biblioteca, in Giappone, in cui potersi addormentare tra i libri? Ecco le immagini di chi lo può fare.
L’ultimo regalo dei geni del design potrebbe rendere più suggestive le nostre prossime vacanze.
Si tratta di una tenda igloo trasparente, prodotta da Holleyweb, ad oggi in uso solo per fini promozionali ma, presto la “Bubble Tent”, letteralmente tenda a bolla sarà a disposizione unendo i vantaggi della tenda con la libertà del sacco a pelo.
Due sono le condizioni necessarie perché la si possa sfruttare al meglio: la prima, che si sia dotati di un’enorme presa di corrente o di una buona batteria durevole nel tempo, la seconda è che non si soffra di eccessivo pudore: Bubble Tent infatti è completamente trasparente.
Per il resto, trovato il giusto spazio, si può gonfiare questo igloo trasparente dal diametro di 4 metri e completamente in PVC. La tecnica per dargli forma è la stessa dei palloni da calcio o di un materassino da spiaggia, per intenderci: un ventilatore laterale la gonfia, mentre una porta pre-ingresso impedisce la fuoriuscita di aria e blocca il funzionamento non richiesto del ventilatore stesso.
Resistente all’acqua e al fuoco, può contenere due persone a volta. E per i più temerari potrebbe essere un’idea da sperimentare anche in città: per provare l’ebbrezza di vivere una notte sotto le stelle di Milano.
Fino a poco tempo fa viale Padova era simbolo di degrado. Ma Milano è fantastica perchè cambia di continuo e luoghi un tempo malfamati possono diventare di tendenza. E’ successo per l’Isola, per Lambrate e ora sta accadendo per la prima periferia nord di Milano che non solo ha cambiato volto: ha cambiato anche il nome. Ora si chiama NoLo, che vuol dire North of Loreto. Very international, very cool.
Per capire la portata rivoluzionaria di questa riqualificazione urbana ripercorriamo in breve la storia di questa parte di Milano.
Ai primi del ‘900 via Padova era l’arteria che portava alle osterie e alle case affacciate sul naviglio, in direzione Monza. Negli anni ’60 è cresciuta come quartiere operaio, popolandosi di immigrati provenienti soprattutto dalle zone meridionali d’Italia.
Negli ultimi due decenni si è persa al punto da diventare una specie di area 51, la grande kasbah di Milano con un melting pot di etnie di paesi in via di sviluppo e covo di rifugiati in fuga dalla disperazione. Una via lunga e popolosa, teatro di micro-macrocriminalità in cui era considerato pericolo addentrarsi di sera.
Ad abitarla quasi interamente c’era una popolazione così compatta e talmente poco incline alla integrazione da aver prodotto [ERRATA CORRIGE]* una sorta di ghettizzazione autonoma dei cittadini stranieri. Così massiccia da portare al progressivo abbandono della zona da parte degli italiani, lo sprofondamento della via e di quelle limitrofe in un progressivo stato di degrado fino alla drastica riduzione dei valori degli immobili. Insomma: dalla zona a nord di Loreto ci si teneva alla larga.
L’area intorno a via Padova ha preso il nome di NoLo, crasi di North of Loreto, a nord di Loreto, e sta diventando un luogo di tendenza.
Se solo ieri il Parco Trotter era un luogo noto per il problema della droga, oggi è il fulcro intorno a cui ruotano hipster, florist designer, bikers e biciclettai, artisti di ogni genere con lunghi cappelli e cappelloni, baffi, come vuole la moda 3.0. Un’intera generazione di artisti e creativi che ha riconquistato l’area.
I muri solitari sotto il sole imbrattati di scritte e graffiti si sono tramutati in vivaci strade con eventi di quartiere, laboratori di creativi, gallerie d’arte e persino uno spazio di coworking (Talent Garden).
NoLo è oggi un posto dove gli immigrati di nuova generazione collaborano con i cinesi locali. Dove gli artisti producono oggetti anche dalle forme erotiche più palesi e solo a pochi passi dai luoghi di preghiera dei musulmani locali. NoLo è dove il miracolo dell’integrazione non è più tanto tale, perché sta diventando un dato di realtà. E’ dove i giovani architetti scommettono e progettano. Si inaugurano locali, mercatini e attività terziarie.
NoLo, un quartiere di passaggio che ben testimonia la nuova rinascenza di cui è protagonista in questi anni Milano. La leva è stata simile a quella che ha determinato il rilancio di Berlino: l’abbinata di ambiente internazionale e prezzi bassi degli affitti ha attirato giovani creativi e costituito un terreno fertile per le start up.
A raccontarlo via social ci sono Susanna Tosatti e Elena Biagi dalla pagina Facebook YoLo in Nolo, ovvero “You only live once in NoLo”, che hanno postato le foto (sopra).
Un angolo di Milano fino a ieri dimenticato e di cui un po’ ci si vergognava, che oggi è paragonata a New York e che tutti cominciano a riscoprire.
Una nuova fotografia di Milano che, numeri e foto alla mano, è stato oggetto di un ben documentato reportage firmato D.Repubblica nell’articolo di Francesca Sironi con immagini di Andrea Frazzetta, come questa:
79.796 È il numero totale dei residenti nella zona via Padova/Loreto.
Se Milano negli anni si è spopolata, qui la densità è aumentata, rispetto ai 69mila residenti del 2003.
33% È la percentuale degli stranieri (27.105 persone) fra gli abitanti, della zona. Mentre gli autoctoni sono diminuiti, gli extracomunitari sono raddoppiati.
+107. I neonati stranieri sono più dei coetanei: 1.166 contro 1.059.
È “sorpasso” anche fra i 25 e i 34 anni: gli extracomunitari sono 6.326, i milanesi 5.570.
Sono invece solo 400 gli stranieri con più di 65 anni. Le provenienze più frequenti sono dall’America Latina (maschi e femmine in ugual misura), dall’Africa del nord (i maschi immigrati da lì sono il triplo delle donne) e l’Asia orientale (dalla Cina arrivano più donne che uomini).
NoLo sta diventando metafora di una Milano che non ha paura di cambiare e di puntare in alto, non solo con i grattacieli, ma anche con la creatività.
*”la cosiddetta ‘gentrificazione'” > ERRATA CORRIGE. Come correttamente fatto notare dai lettori, il termine ‘gentrificazione’ è stato inserito in modo inappropriato. Mi scuso con loro e ringrazio per la segnalazione.
Se credete sia un po’ presto per iniziare a parlare di vacanze, vi sbagliate di grosso. Perché qui a Milano la domanda “dove andrai in vacanza quest’estate?” ha cominciato già ad insinuarsi nelle conversazioni della pausa pranzo, complici la mite temperatura delle ultime settimane e il fatto che i milanesi amano programmare con anticipo le proprie ferie.
Ma quali sono le mete preferite dai milanesi per la prossima estate 2016?
Sia che tu voglia evitarli, sia che tu voglia invece incontrarli, non puoi esimerti dal leggere il trend vacanza 2016.
ESTATE 2016: ITALIA
#1. Puglia
Per i milanesi che scelgono il bel Paese, la Puglia ed in particolare il Salento, rimane ancora in testa alla classifica. Una terra che i milanesi hanno di fatto adottato, confermandola di anno in anno con il gran piacere dei pugliesi, che con loro gentilezza e ospitalità hanno conquistato i meneghini a suon di friselle, pizzica e mare cristallino.
#2. Sardegna
In crescita la Sardegna, soprattutto quella meridionale, a Est e Ovest di Cagliari. Una bella gara tra i due mari fiori all’occhiello d’Italia. Di certo la Sardegna, per la sua vastità, offre non poca scelta e, la possibilità, a volte anche ad Agosto, di trovare spiaggette nascoste semideserte. Vale la pena avventurarsi!
#3. Liguria vista Conero (#4)
In lieve crescita la Liguria con entrambe le Riviere, e le Marche…una new entry. Sebbene la Liguria sia da tempo criticata per la “calda accoglienza” dei suoi abitanti, resta sempre una delle regioni più affascinanti d’Italia. Con i suoi borghi, la sua cucina, le sue terrazze caratteristiche, è meta di turismo locale ed internazionale.
Le Marche entrano finalmente nella classifica: un tuffo in mare come nella storia grazie ai suoi monumenti e ai borghi medievali. Una natura rigogliosa incornicia questa regione, terra di vini e di buon cibo.
#5. Le isole
In calo le Isole della Sicilia, Costiera Amalfitana, Toscana.
Rari milanesi in Romagna, rarissimi in Veneto. Difficile incontrarli anche in montagna. Poche tracce sui laghi.
ESTATE 2016: EUROPA
#1. Quest’estate tutti in Grecia.
Sugli scudi Antiparos (tasso di milanesità attorno al 90%), Sifnos, oltre alle solite Santorini, Myconos & C. Sarà per il bianco tipico dei paesini, per il mare d’incanto, per i prezzi onesti e l’amorevolezza della gente, che la penisola ellenica non smette di esercitare il suo ascendente sul popolo italico e milanese in particolare.
#2. Baleari in calo
Lieve calo per Formentera – il troppo stroppia-, in ripresa Ibiza, si perchè i gggiovani trovano ancora e sempre in quest’isola la massima espressione del viveur di ultima generazione!
#3. Le Capitali europee
Calo in generale delle capitali europee, di fatto più visitate nei weekend durante l’anno, grazie a offerte e voli low cost.
#4. Mediterraneo occidentale
Calo netto della Spagna continentale ma Costa Azzurra in ripresa: i milanesi sono sempre stati attratti da questa terra dove ancora, in certi luoghi, si riesce a respirare l’atmosfera della belle epoque!
#5. La Croazia
Stabile la Croazia, che alla fine è sempre una garanzia di buon rapporto qualità prezzo.
ESTATE 2016: POSTI ESOTICI
Dopo il boom della Thailandia e i vicini Vietnam-Cambogia-Laos, il vento si sposta ad Ovest: Stati Uniti e Caraibi. Meno zen e più concreti i milanesi del 2016? Chissà, sta di fatto che nel tiro alla fune hanno vinto i grattacieli e le steak house, i parchi del centro e l’appeal della Silicon Valley, il Mojito della Bodeghita e le distese di sabbia bianca.
L’articolo 132 della Costituzione Italiana consente la creazione di una autonomia per Milano.
Milano città stato mira a diventare la prima città d’Italia autonoma, modello di efficienza e cultura di vita, come già sono Berlino,Madrid, Amburgo, i cantoni svizzeri, Singapore e Hong Kong, esempio di come una città stato possa essere da stimolo per la nazione di cui fa parte.
Fine di questa campagna è di organizzare le MILANARIE, dando la possibilità ai milanesi di poter dire SI o dire NO a Milano Città Stato.
Milano ci piace così. Al centro della storia. Ecco in ordine sparso 10 protagonisti del suo glorioso passato.
10 PERSONAGGI CHE HANNO FATTO LA STORIA DI MILANO
#1. Alessandro Manzoni
Forse il più grande romanziere italiano, autore de I promessi sposi, letto in tutte le scuole. A Milano è nato (il 7 marzo 1785) e morto (22 maggio 1873) e vi ha trascorso l’intera vita. Ha contribuito a diffondere in tutto il paese l’illuminismo cattolico e la lingua italiana.
#2. Ludovico Maria Sforza (Il Moro)
Nato a Milano il 3 agosto 1452 è stato duca dal 1494 al 1499. Nei suoi soli 5 anni di regno, Milano divenne una capitale del Rinascimento attirando alcuni tra gli artisti di maggior rilievo dell’epoca, tra cui Leonardo Da Vinci a cui Ludovico commissionò l’Ultima Cena. Con la sua caduta per mano dei francesi, Milano perse l’indipendenza e rimase sotto domino straniero per 360 anni. Ludovico visse gli ultimi anni da prigioniero in terra di Francia, fino alla morte avvenuta nel 1508.
#3. Aurelio Ambrogio (Sant’Ambrogio)
Il santo patrono di Milano era un tedesco. Nato a Treviri, l’attuale Trier, nel 339 è uno dei quattro dottori della Chiesa, assieme a San Girolamo, San Gregorio e a Sant’Agostino che lui stesso battezzò a Milano. La città gli deve le sue chiese più antiche, tra cui San Nazaro, San Simpliciano e la basilica che porta il suo nome. In suo onore si tiene la prima della Scala, a lui si ispira l’Ambrogino d’oro, il premio del Comune di Milano per i suoi cittadini più emeriti e a lui dobbiamo il Carnevale più lungo del mondo, che termina il Sabato Santo, in piena quaresima.
#4. Tommaso Marinetti
Nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1876, visse in diverse città e solo dopo la laurea si trasferì a Milano. La fondazione del Futurismo ha un che di leggendario: dopo essere finito con la sua Isotta Fraschini dentro un fossato poco fuori Milano, Marinetti elaborò il manifesto del futurismo affermando che dal fossato ne era uscito “un uomo nuovo” che aveva chiuso i ponti con il passato. Il manifesto venne inviato da numerosi giornali italiani e stranieri e diede il via a una corrente culturale che da Milano si diffuse in tutto il mondo. Morto a Bellagio nel 1944, riposa al Monumentale.
#5. Giuseppe Verdi
Un altro genio nato fuori, ma che a Milano ha raggiunto la sua grande fama. Compositore e tra i massimi operisti di tutti i tempi, le sue opere vengono rappresentate ancora oggi in tutti i teatri del mondo. Era un sostenitore dell’unità d’Italia e a Milano soggiornava al Grand Hotel et de Milan. Oltre le sue opere immortali ci ha lasciato la casa di riposo per artisti che porta il suo nome.
#6. Cesare Beccaria
Nato (15 marzo 1738) e morto (28 novembre 1794) a Milano. Considerato uno tra i massimi esponenti dell’illuminismo italiano che a Milano ha raggiunto il suo livello più elevato. La sua opera principale, Dei delitti e delle pene, costituisce ancora oggi il trattato ispiratore del codice penale del mondo occidentale, specie per essere stato contro la pena di morte, allora diffusa ovunque, e per aver inserito l’obiettivo della rieducazione nel trattamento dei carcerati. Era convinto che la cultura potesse ridurre la criminalità. Era il papà di Giulia, madre di Alessandro Manzoni.
#7. Gian Galeazzo Visconti
Il suo sogno era di unificare l’Italia con alla guida Milano. Nel 1395 fu elevato al rango di duca imperiale e diede inizio a molti conflitti: il suo progetto era di unificare l’Italia in un grande stato nazionale con alla testa Milano. Sotto di lui lo stato di Milano raggiunse la sua massima estensione, comprendendo gran parte del nord e del centro Italia, estendendosi in quasi tutta la Lombardia, gran parte del Veneto, parti del Piemonte, dell’Emilia, dell’Umbria e della Toscana, dove conquistò Siena e Pisa. Fece costruire la Certosa di Pavia e diede avvio all’edificazione del Duomo di Milano. Morì di peste nel 1402 nel castello di Melegnano dove si era rifugiato per cercare di scampare al contagio.
#8. Francesco Sforza
Fu il primo duca di Milano della dinastia degli Sforza, grazie al matrimonio con Bianca Maria figlia di Filippo Maria Visconti. Fu artefice della pace di Lodi tra gli Stati italiani e della rinascita politica, economica e culturale del Ducato di Milano, guadagnandosi l’ammirazione dei suoi contemporanei, tra cui Nicolò Machiavelli. Diede inizio alla costruzione del Castello Sforzesco.
#9. Leonardo Da Vinci
L’uomo che è considerato uno dei più grandi geni della storia si è formato a Firenze ma è Milano la città dove diede il meglio di sé. A Milano trascorse i suoi anni più creativi dal 1482 al 1500 nella cerchia di Ludovico Il Moro. Solo quando Ludovico dovette scappare e Milano perse l’indipendenza, Leonardo fu costretto a lasciare la città da lui così tanto amata.
#10. Indro Montanelli
Concludiamo con un altro grande toscano, un’icona del giornalismo e del pensiero liberale italiano che nel nostro paese ha avuto fugace fortuna. Nato a Fucecchio ha vissuto quasi tutta la sua vita a Milano da lui amata spassionatamente. I suoi luoghi preferiti era quelli attorno ai giardini di Porta Venezia, denominati in suo onore Giardini Montanelli. Morto nel 2001 dopo aver fondato il suo ultimo giornale a oltre 90 anni, ha forgiato le coscienze di molti di noi.
Queste sono le nostre prime scelte in ordine temporale. Vi proponiamo una seconda lista di personaggi significativi.
VUOI CONTRIBUIRE ANCHE TU A TRASFORMARE IN REALTA’ IL SOGNO DI MILANO CITTA’ STATO? SERVE SCRIVERE PER IL SITO, ORGANIZZARE EVENTI, COINVOLGERE PERSONE, CONDIVIDERE GLI ARTICOLI, PROMUOVERE L’ISTANZA, AIUTARE O CONTRIBUIRE NEL FUNDING, TROVARE NUOVE FORME UTILI ALL’INIZIATIVA. SE VUOI RENDERTI UTILE, SCRIVI A INFO@MILANOCITTASTATO.IT(OGGETTO: CI SONO ANCH’IO)
La prima cosa che il non milanese nota quando sbarca a Milano per la prima volta è l’incredibile concentrazione di cani. Sono ovunque e scodinzolano un sacco. Si vede che sono a loro agio.
Io adoro i cani, quindi la cosa mi piace pure, ma immagino che per una persona con la fobia di questo animale vivere a Milano sia un incubo.
Da forestiero di questa grande città, mi sono chiesto quale sia il motivo di tutto questo amore per i cani.
Dopo un’intensa riflessione e un piccolo sondaggio ho individuato 12 motivi per cui i milanesi comprano un cane.
Eccoli qui.
#1 Portare il cane al parco è un piano infallibile per fare nuove conoscenze.
#2 Fare nuove conoscenze è la condicio sine qua non per rimorchiare. Quindi portare il cane al parco aiuta a rimorchiare.
#3 Passeggiare con lui è una sicurezza perché ti segnala in anticipo pozzanghere, buche sul marciapiede o escrementi di altri cani.
#4 Quando qualcuno gli rivolge la parola – ma come stai bel cagnolino – lui ti guarda con l’aria di chi pensa, “ma come sta messo questo?” e tu capisci perché gli vuoi bene.
#5 Perché legarlo fuori dall’ingresso dei supermercati è una cosa brutta. Meglio dire al tuo ragazzo, “entra tu a fare la spesa mentre io resto fuori con il cane”.
#6 Altrimenti a cosa servirebbero Parco Sempione, Pagano o i giardini di Porta Venezia?
#7 Il tuo cane è l’unico in tutta la città che qualunque cosa tu faccia ti è sempre riconoscente.
#8 Finisce che vi assomigliate. E fa sempre piacere avere un complice.
#9 Per evitare di fare jogging da soli. Il cane funziona come un personal trainer: ti motiva, ti segue nell’attività sportiva e ti ringhia se batti la fiacca.
#10 È un modo alternativo per ostentare il tuo potere d’acquisto. Lo dice anche l’ISTAT.
#11 Si tuffa su tutte le cagnoline che incontra. E di solito le cagnoline hanno una padroncina alla fine del guinzaglio.
#12 A Milano per vedere un amico devi prendere appuntamento un mese prima e rimandare quindici volte prima di riuscirci. Un cane è un migliore amico a portata di guinzaglio.
Uno dei luoghi più romantici di Milano, più tipici, più fotografati. In mancanza di grandi ponti su cui attaccare un lucchetto di mocciana memoria, lo storico ponte del Naviglio in Ripa di Porta Ticinese (angolo via Paoli) si trasforma in Poetry Bridge, il Ponte della Poesia.
5 motivi per non perderlo
#1. E’ l’ultimo giorno: l’installazione è stata inaugurata il 20 aprile
#2. Vedere più di 4.000 componimenti appesi come promesse d’amore, nel prosieguo della Giornata Mondiale della Poesia (21 marzo – ne avevamo parlato qui)
#3. Partecipare ad un evento che, nello stesso momento, si tiene anche a Londra, nel formato del “Poetry Tree”
#5. Un caffè offerto anche dopo la Giornata Mondiale della Poesia in cui “Pay with a Poem“, un caffè veniva offerto per ogni poesia composta e lasciata nei bar e luoghi di incontro di Milano
5 cose che mi aspetto di trovare
#1. La giusta ispirazione per scrivere la mia poesia da lasciare al post-it, al vento, all’opera corale
#2. La stessa atmosfera di festa pacifica e voglia di arte che troverei a Londra
#3. Silenzio e le poesie lette dal rumore del vento
#4. La decisione del Comune di conservare questo ponte, con la dovuta cura e manutenzione
Quello dell’inquinamento è uno dei problemi più percepiti dall’immaginario collettivo, insieme a fame, povertà e guerre. Secondo una stima della World Health Organization, ogni anno 7 milioni di persone muoiono in tutto il mondo a causa dell’inquinamento atmosferico. A Milano sono oltre 5.000 le vittime ogni anno, ponendoci ai primi posti per mortalità in Europa. Uno strumento per salvarle c’è ed è un enzima che depura l’organismo umano dal benzene, la particella tossica che provoca l’insorgenza di tumori causati dall’inquinamento.
Lo dice una ricerca della John Hopkins University a partire dalla quale due imprenditori, under 30, italianissimi, hanno pensato ad un prodotto facile ma vitale, come bere un bicchiere d’acqua. Anzi, un drink, sì by AREEA, la loro azienda.
Ad avere avuto l’idea sono Antimo Farid Mir e Jacopo Mele. Tanto per intenderci: “Jacopo Mele è uno dei giovani sotto i 30 anni più influenti d’Europa secondo Forbes e a 22 anni ha già fatto consulenza per alcune tra le maggiori multinazionali al mondo. Inoltre è il presidente di Ex Machina una fondazione che ha fornito il team iniziale ad AREEA e che conta tra i suoi membri Massimiliano Maria Longo, uno dei creativi pubblicitari più premiati al mondo” spiega Startupitalia. Farid Mir è Romano, Mele è di Salerno mentre Longo è di Milano: tre dei molti talenti che lasciano l’Italia per trovare maggior fortuna all’estero. “Jacopo è sempre stato attivo nel monitoraggio dell’aria con il suo progetto Sensoma“, prosegue Farid Mir: “Ho immediatamente pensato di coinvolgere Jacopo (Mele, N.d.r.) data la sua passione per la materia e la sua grande rete di contatti”.
Come è nato il drink che scioglie l’inquinamento
Primo passo: “spulciare tutte le ricerche accademiche sul tema, via Google Scholar“, racconta Starupitalia.
Secondo: consultare un tecnologo alimentare, ovvero un esperto che sappia trasformare l’idea in un nutrimento edibile e che faccia meglio di prima. I ragazzi di AREEA lo trovano “presso la più grande azienda alimentare italiana, della quale però non possiamo rivelare il nome”, comunque, c’è.
Terzo: verificare l’efficacia del drink realizzato in versione-beta utilizzando test accademici. Devono portare agli stessi risultati della prima ricerca John Hopkins. Terzo-punto-uno: è necessario che un professionista aiuti la AREEA a farlo. Ecco arrivare Carmine Landi, ricercatore dell’Università di Salerno con alle spalle numerose pubblicazioni scientifiche sul tema.
Quarto: una volta imbottigliato il liquido, cosa scrivere sulla etichetta? Le norme europee sono molto strette. La risposta la fornisce un altro esperto, new entry anche lui in squadra: Paolo Patruno, “uno dei maggiori esperti di food labeling (l’etichettatura degli alimenti)”.
Quinto: ora il drink che combatte l’inquinamento deve diventare un bene di largo consumo, deve essere “trasformato in un’azienda“.
La palla torna ad Antimo che ha studiato a Londra, si sa muovere, ed entra in contatto con la “Cinnamon Bridge“, un acceleratore dedicato al food technology più importante del Regno Unito e potenzialmente d’Europa”, spiega la nostra fonte. Qual è il pregio della Cinnamon Bridge? Ogni anno, per due volte, seleziona 5 startup da oltre 500 application provenienti da tutto il mondo. La partita qui entra nel vivo.
Chi ha già scommesso sul drink italiano che combatte l’inquinamento del mondo
Il primo: Kastytis Kemezys CEO di Cinnamon Bridge, che accoglie il prodotto by AREEA perché lo considera “centratissimo per il mercato asiatico, […] dove c’è una cultura millenaria riguardante il consumo di prodotti naturali per il benessere” e dove si raggiungono anche le percentuali più alte di inquinamento al mondo aggiungiamo noi. Kemezys incalza: “In Europa i trend attuali parlano per lo più di senza glutine, senza lattosio ecc. AREEA invece purifica l’organismo e in occidente tendiamo ad essere scettici verso queste cose”.
Il secondo, anzi, i secondi. Arrivare a Londra significa anche saper attirar i primi investitori: AREEA viene messa sotto la lente di ingrandimento da Daniele Nuovo, Andrea Pietrini e Andrea De Bartolis.
A maggio 2015, una volta usciti dalla “zona franca” della modalità stealth, cioè di ombra per non farsi vedere troppo sul mercato, nasce così AREEA.
Il futuro del drink italiano rivoluzionario?
Una raccolta fondi per il grande salto dopo il lancio previsto a settembre 2016, quando AREEA farà la sua prima uscita pubblica per provare il drink in anteprima mondiale. Appuntamento a Milano, con SeedAndChips, 11-14 Maggio.
Chissà che in quella occasione drink e pittura antinquinamento, quella di Airlite, non siano di slancio anche per altri creativi a caccia nuove strategie visionarie per rendere questo mondo un luogo migliore.
Con questa testimonianza, cominciamo la rubrica dei tutorial per risolvere pratiche con la pubblica amministrazione. Se qualcuno ha testimonianze e consigli su altre pratiche, può contattarci scrivendo a: info@milanocittastato.it
A fine marzo ho deciso di dimettermi da dove lavoravo.
Giorno 1. Il giorno dopo scopro che per dare le dimissioni non basta darle mandando una raccomandata all’azienda, ma esiste una procedura obbligatoria: le dimissioni telematiche. Questo come effetto del Jobs Act. A questo punto mi informo e vedo che ho due possibilità: o lo faccio personalmente ma, per farlo, devo procurarmi il codice Pin dell’Inps, oppure posso chiedere supporto da quelli che nella legge sono stati definiti “soggetti abilitati”, ossia i patronati (i cosiddetti CAF) o le organizzazioni sindacali. Non il rappresentante sindacale d’azienda perché lui non può fare nulla, ma devi andare alla sede del sindacato che preferisci. Non avendo il codice INPS e pensando che sia più lungo come iter, decido di rivolgermi all’organizzazione sindacale consigliatami dal mio rappresentante sindacale.
Giorno 2. Mi reco nella sede di un sindacato in zona Cadorna. Arrivo e inizio a chiedere informazioni sulla procedura per ‘fare’ le dimissioni. Rimangono tutti perplessi e mi dicono di aspettare qualche minuto per dirmi chi era “aware” di questa novità. Dopo 5 minuti mi mandano all’ufficio di questa signora che appare abbastanza contrariata di essere stata indicata come responsabile e mi dice che “purtroppo non le possiamo essere di aiuto”. Alle mie insistenze replica: “Scusi, ma lei è iscritta?”. No. “Mi spiace ma questo è un servizio che diamo ai nostri iscritti”. Ed io: “Supponiamo che io mi iscriva, possiamo fare tutto subito?” “No, purtroppo abbiamo già provato a fare questo, pur avendo i codici. Non funziona”
Giorno 3. In azienda vado dall’ufficio del personale e faccio notare che dopo due giorni sono ancora allo stadio di partenza. Mi dicono: “Se vuoi provo a contattare il CAF che ci aiuta col 730 e vediamo se loro sono in grado a inserirti con le dimissioni telematiche”. Per due ore silenzio. A quel punto mi metto al telefono a chiamare qualche altro CAF. Dopo un paio che mi fanno capire che ci sono dei problemi, finalmente uno mi dice: “Sì, siamo in grado di farlo, funziona tutto. Venga però entro le 16.30 perché poi chiudiamo tutto”. Siccome si erano fatte già le 16, mi fiondo in taxi e appena entro mi ritrovo in Africa. Sì, perché nella sala ad attendere c’erano tutti immigrati africani. A un certo punto una signora viene da me e mi chiede cosa mi serve. Alla mia risposta mi dice: “Sì, lo facciamo, ma mi deve compilare una serie di moduli e si deve iscrivere alla CISL. Sono 60 euro”. “Ma io non mi voglio iscrivere a un sindacato per potermi dimettere!” “Se non si iscrive il servizio non glielo diamo”. Al che chiamo il mio ufficio del personale per sapere se avevano avuto aggiornamenti dal loro CAF. Ma ancora no.
Mi ricollego al sito del governo per trovare un altro soggetto abilitato. Trovo una lista di patronati. Ne scelgo uno e chiamo. Una ragazza mi risponde: “Sì, lo so. Purtroppo non ci hanno ancora fornito i codici di accesso”. Mi spiega che comunque per iniziare la pratica mi devo iscrivere. Ma io mi rifiuto di dovermi iscrivere per poter esercitare un mio diritto. Torno in azienda che sono passate le 17. Purtroppo non sono ancora riuscita a dare le dimissioni. Protesto e in azienda mi dicono di presentare dimissioni in bianco, anche se non hanno valore. “Tranquilla te le faremo valere”. Ma io non sono tranquilla anche perché per la legge esiste solo la modalità telematica. Quindi chiamo quella del CAF convenzionato. Mi dicono “se vuole la aiutiamo e le facciamo un prezzo speciale di 20 euro”. Ma ancora dico che non voglio pagare per esercitare un mio diritto. E lei dice “lo so, ma vede il governo ci ha assegnato una pratica senza darci alcuna risorsa, quindi noi ce le dobbiamo trovare da noi”. A questo punto decido per l’altra opzione.
Giorno 4. Faccio delega al mio suocero per recuperare agli uffici INPS il PIN dispositivo. Attenzione! Il Pin può essere anche chiesto via internet. Peccato che delle 16 cifre di cui è composto, 8 arrivano subito via mail e le altre 8 arrivano via posta e ci vogliono circa 10 giorni. E anche quando hai tutte le 16 cifre, il PIN non è dispositivo ma lo devi attivare per renderlo dispositivo. Alle ore 11, in possesso del mio PIN dispositivo accedo al servizio via internet e scopro che il PIN dispositivo di 16 cifre ha una durata di 2 secondi perché appena lo inserisci il sistema ne genera uno nuovo che sostituisce quello che hai in mano. A quel punto riesco ad inserire le mie dimissioni telematiche. Però attenzione: non sono ancora definitive perché lo diventano solo dopo altri sette giorni, tempo necessario perché tu possa esercitare il diritto di recesso.
Nota: Il giorno dopo un mio collega è stato spostato internamente da un ufficio all’altro dello stesso gruppo, ma collocato in un’altra nazione. Per la legge deve dare le dimissioni. Su mio consiglio va all’INPS e si fa dare il codice. Io l’ho affiancato nella procedura di inserimento delle dimissioni telematiche ma il sito non andava. Usciva che il server non funzionava o si bloccava. Questa cosa è andata avanti dalle 10 fino al pomeriggio. C’è riuscito solo alle 16, dopo aver perso la giornata intera. Quindi anche col PIN non è detto che tu riesca ad dimetterti.
RICAPITOLANDO
Cosa si deve fare per dimettersi? E’ obbligatorio dare le dimissioni telematiche. Per farlo ci sono due modi:
Farlo da soli, ma per farlo occorre procurarsi il PIN andando negli uffici dell’INPS oppure chiederlo per via telematica su www.inps.it (sconsigliato, vedi sotto) 2. Rivolgersi a un soggetto abilitato (sindacati o patronati) ma per farlo occorre iscriversi da loro.
Cosa non fare assolutamente Chiedere il PIN per via telematica (www.inps.it). 8 cifre arrivano via mail, ma le altre 8 arrivano via posta. Potrebbero passare anche più di 10 giorni prima di avere un PIN che si dovrà poi rendere dispositivo.
Sconsigliato Iscriversi a pagamento a un’organizzazione sindacale o a un soggetto abilitato per la procedura, esclusivamente per poter procedere alla pratica. L’iscrizione dura poi un anno.
Consigliato Recarsi all’INPS (eventualmente delegando qualcuno) per ottenere il codice dispositivo e poi inserirlo via web sul sito indicato.
IL SUGGERIMENTO DI MILANO CITTA’ STATO AI LEGISLATORI PER RENDERE PIU’ SEMPLICE LA PROCEDURA
Per rendere tutto più semplice basterebbe poter ottenere il PIN Dispositivo completamente per via telematica, ricevendo tutte le 16 cifre del codice via mail o via sms e non metà via mail e metà con posta ordinaria.
Bruno Ferrin ha 79 anni. Forte accento veneto. Guanciotte rubizze. E ha fatto qualcosa che in piccolo contribuisce a rendere il mondo migliore. “Chiaramente non mi reputo un Leonardo da Vinci“, dice con umiltà e lo spirito di un bambino. E’ l’inventore dell’Osteria ai Pioppi, il parco ecologico annesso alla sua attività ristoratrice, con la quale fa sognare grandi e piccini.
“Io non sono capace di scrivere o di disegnare: io l’idea me la devo stampare nella mente, allora vado avanti mesi e mesi a studiarla e modificarla, in mente. Quando sono maturo e pronto: provo”.
Le idee gli vengono al mattino presto, dice, “così, osservo dei movimenti”. I movimenti sono quelli della natura: una foglia che cade o che trema, per esempio. Quella è uno degli spunti dell’elaborazione delle sue idee.
“A livello fisico purtroppo mi accorgo di avere sempre meno forza, ma a livello di entusiasmo, eh, sono caricatissimo”. Ed anche i bambini del suo parco giochi ecologico lo sono come si vede nel video di Zoomin.TV Italia.
Il suo segreto? E’ lui stesso a dirlo: “Mi diverto”.
Dalle poche ore che bastano per fare un’altalena a qualche mese di lavoro per le giostre nuove o più complesse, oggi il suo parco giochi in cui tutto funziona con le sole forze della natura – cinetica, gravitazionale, elettrostatica e umana -. Sono 45 le attrazioni in tutto, tutte costruite a mano e senza l’impiego di alcun filo di corrente.
Ci ha messo 40 anni per costruirle tutte, dalla Contraerea al Giro della Morte, dalle Campane allo Scivolo con Salto e pure a Tre Corsie, e sono sia per grandi che piccini, dislocate sull’intera area della sua Osteria Ai Pioppi.
1 of 7
La sua giostra preferita? “Sai com’è: a un padre di famiglia con 10 figli non puoi chiedere quale sia il suo preferito”.
Fatto sta che oggi, “la Gardaland dei Poveri”, come ha scritto impropriamente qualcuno, del “luna park senza elettricità, dove ci si sganascia dalle risate” come ha spiegato qualcun altro, funziona che è una meraviglia.
Giostre artigianali e dunque pericolose? Macché, è tutto omologato: “da un ingegnere e vengono sottoposte ad una continua manutenzione da parte dello staff dei Pioppi, in modo da poter garantire un’esperienza di gioco in completa sicurezza”, spiega subito dalle prime righe il sito ufficiale del primo parco giochi al mondo, forse, di certo d’Italia completamente fatto a mano, ecologico, e anti spreco.
Lo dimostra anche il seguito social dell’Osteria ai Pioppi, con i suoi quasi 20mila fan su Facebook, continui video-racconti di fruitori di ogni età iper entusiasti e recensioni felici, la prima delle quali è tutta per il Sig. Ferrin, che non si risparmia nelle interviste, come si può vedere in questo altro video su YouTube:
Dove trovarlo? Il Parco giochi Ai Pioppi di Bruno Ferrin (1937*) è via VIII Armata 76, a Nervesa della Battaglia, Treviso, fa parte dell’omonima osteria, ed è fruibile gratuitamente durante gli orari di apertura del locale – aipioppi.com.
Fonte cover: http://aipioppi.com/ | Si ringraziano per le foto l’ufficio stampa di “Ai Pioppi”
“Quello che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia“, scrisse Gaetano Salvemini, spiegando che “ a Milano sono accaduti fatti di portata rivoluzionaria, si sono poste le basi di movimenti e intere onde culturali, sono nati credo – religiosi, politici -, sono morti imperi e nate libertà.”
Spesso Milano è stata al centro della storia. Innanzitutto è stata capitale:
dell’Impero Romano d’Occidente: dal 286 al 402
del Regno Lombardo Veneto durante la Repubblica Cisalpina di Napoleone Bonaparte: dal 1797 al 1802
del Regno d’Italia: dal 1805 al 1814
E’ la città che nel 1607 ha inaugurato la prima biblioteca in Italia aperta e fruibile al pubblico, l’Ambrosiana di Federico Borromeo, ed è la città della prima linea metropolitana d’Italia, inaugurata il° 1 novembre 1964: i lavori, iniziati all’altezza della fermata di Buonarroti nel giugno 1957, proseguirono in direzione ovest verso piazzale Lotto, e verso est e nord per raggiungere il Duomo e il comune di Sesto San Giovanni con la fermata Marelli.
Ma quali sono state le 10 giornate più storiche di Milano? Ecco la nostra selezione.
10 giornate storiche di Milano
#1. 30 gennaio 313
Editto di Costantino
Milano è la capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Prima della battaglia di Ponte Milvio contro l’autoproclamatosi imperatore Massenzio, Costantino vide una croce con la scritta “in hoc signo vinces”. Costantino decise di sospendere le persecuzioni contro i cristiani e, una volta a Milano, emise un Editto che proclamò la libertà di culto in tutte le regioni dell’Impero. Fu questo un atto storico, simbolo universale di tolleranza religiose, che contribuì a portare nuovo splendore alla civiltà romana e alla sua capitale Milano che raggiunse un incredibile splendore [come abbiamo visto nelle 10 cose di Milano archeologica], come racconta Ausonio, nel 380-390:
« A Mediolanum ogni cosa è degna di ammirazione, vi sono grandi ricchezze e numerose sono le case nobili. La popolazione è di grande capacità, eloquenza ed affabile. La città si è ingrandita ed è circondata da una duplice cerchia di mura. Vi sono il circo, dove il popolo gode degli spettacoli, il teatro con le gradinate a cuneo, i templi, la rocca del palazzo imperiale, lazecca, il quartiere che prende il nome dalle terme Erculee. I cortili colonnati sono adornati di statue di marmo, le mura sono circondate da una cinta di argini fortificati. Le sue costruzioni sono una più imponente dell’altra, come se fossero tra loro rivali, e non ne diminuisce la loro grandezza neppure l’accostamento a Roma. »
(Ausonio, Ordo urbium nobilium, VII.)
#2. 3 agosto 1778
Inaugurazione del Teatro La Scala
Tempio della musica ben prima della sua costruzione: qui sorgeva il Teatro Ducale che venne distrutto da un incendio e fu fatto nuovamente erigere su volontà dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. Era il 1776 e dopo due anni venne inaugurato. In scena venne rappresentata l’Europa, riconosciuta di Antonio Salieri. Il nuovo nome deriva dal luogo sul quale il teatro viene edificato, su progetto dell’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini: il sito della chiesa di Santa Maria alla Scala”. Qui si è fatta la storia della lirica, dell’opera, del balletto. Sono nate stelle come Rossini, Verdi, Toscanini, e poi Maria Callas, Luciano Berio, Carla Fracci, Roberto Bolle. E’ stato il primo edificio d’Europa ad essere illuminato artificialmente.
#3. 26 maggio 1805
Incoronazione di Napoleone
Napoleone è stato a Milano, mentre non è mai stato a Roma. A Milano venne anche incoronato: il 26 maggio 1805. Quattro giorni prima, tre carrozze di corte furono mandate al Duomo di Monza a prendere la Corona Ferrea che, portata a Milano, fu deposta sull’altare maggiore del Duomo di Milano. “Quella mattina di maggio, sotto un sole splendido, la folla affollava piazza Duomo di Milano durante l’attesa del corteo; tutte le campane della città suonarono a festa e le artiglierie spararono a salve”. Si narra che abbia anche fatto giuramento sulla cosiddetta “Colonna del Diavolo” in Piazza San’Ambrogio, dove per tradizione tutti i regnanti dovevano giurare fedeltà a Milano e al suo patrono, là dove aveva sconfitto Satana.
#4. 18 marzo 1848
5 giornate di Milano
Si dice che in Italia le rivoluzioni si dicano ma non si facciano. Questo non vale per i milanesi che in cinque giornate, dal 18 al 22 marzo 1848, insorsero per liberare Milano dal dominio austriaco. Un movimento liberal-nazionale che si affianca a quelli che hanno fatto la gloria di altri Stati europei e preludio alla prima guerra di indipendenza: la rivolta infatti influenzò le decisioni del re di Sardegna Carlo Alberto che dopo aver a lungo esitato, approfittando della debolezza degli Austriaci in ritirata, dichiarò guerra all’Impero austriaco.
#5. 17 maggio 1882
Nasce il Partito Operaio Italiano.
Tutto ebbe inizio con il circolo operaio, la rivista “La Plebe”, e un programma di lotte e rivendicazioni salariali. Su iniziativa locale vennnero gettate le basi di quello che sarebbe diventato il futuro partito socialista italiano, destinato a scrivere una parte importante della storia del nostro paese. Tra i fondatori ci fu Filippo Turati.
#6. 8 marzo 1883
La prima centrale elettrica d’Europa
Ai tempi nostri ci si lamenta che l’Italia è rimasta a guardare la rivoluzione di internet, lasciando il ruolo di protagonista ad altre nazioni. Così non accadde invece nella seconda metà dell’ottocento, quando Milano era in prima fila nella tecnologia destinata a cambiare il mondo: l’elettricità. Nel 1883 in via Santa Radegonda entrò in funzione la prima centrale elettrica d’Europa. Oggi una targa al confine tra La Rinascente di Piazza Duomo e il Cinema Odeon ricorda una data importante per il progresso tecnologico: a capodanno del 1884 fu illuminata l’intera La Scala. Gli sono Giuseppe Colombo, professore di geometria e meccanica alla scuola di arti e mestieri di Milano, e Giovanni Battista Pirelli che dopo la laurea al Politecnico di Milano si convinse che “l’elettricità sia importante proprio perché può essere applicata alla pratica e all’industria” e fondò nel 1772 la G.B. Pirelli e C..
#7. 23 marzo 1919
Nasce il Fascismo
Piazza San Sepolcro. Sotto, da qualche settimana, è stata recuperata la cripta dei templari. A destra, al fianco dell’Ambrosiana, c’è quel che resta del forum romano. Davanti, dove insiste una torre quadrangolare, un giovane Benito Mussolini arringa la folla dopo aver fondato, il 23 marzo 1919, il Movimento dei Fasci italiani di combattimento. Ad essere più precisi, tutto ha origine all’interno: nella sala del Circolo dell’Alleanza Industriale. “I partecipanti a questa prima organizzazione furono detti sansepolcristi e godettero di particolari privilegi sotto l’amministrazione fascista, rafforzati e ribaditi nel regolamento del 1939″ recitano le fonti. Per l’occasione, si unì all’adunata anche il futurista Filippo Tommaso Marinetti, che compose Il poema dei sansepolcristi.
#8. 25 aprile 1945
La liberazione di Milano e d’Italia
Il 25 aprile, festa nazionale della Liberazione, ricorda l’insurrezione generale partigiana che portò alla liberazione di Milano, come del resto d’Italia, dal Fascismo.
Quattro giorni più tardi, il 29 aprile 1945, i corpi di 18 gerarchi fascisti tra cui Mussolini e la sua amante, Claretta Petacci, vennero esposti in Piazzale Loreto, appesi a testa in giù alla pompa di benzina che qui si trovava, e sottoposti al pubblico scempio.
#9. 12 dicembre 1969
La strage di piazza Fontana
Dopo quasi cinquant’anni ancora non si sa chi sia stato. Erano le 16.37 quando una bomba esplose nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana. La sala era piena di clienti, venuti soprattutto dalla provincia, in attesa di completare le loro incombenze. I 7 chili di tritolo contenuti nella bomba uccisero 16 persone e ne ferirono altre 87. Negli stessi minuti, una seconda bomba, inesplosa e fatta brillare solo in un secondo momento, viene ritrovata nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala. Altre due bombe esplodono a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in piazza Venezia, per un totale di 16 persone ferite. Tra le prime persone fermate per la bomba di Piazza Fontana ci fu l’anarchico Giuseppe Pinelle che morì precipitando da una finestra della questura di Milano. Era il 15 dicembre 1969. Quel giorno ebbero inizio gli anni di piombo, fatti di stragi e di violenza che portarono l’Italia sull’orlo della guerra civile.
#10. 17 febbraio 1992
Tangentopoli
O Mani Pulite: è la serie di inchieste giudiziarie degli anni novanta condotte da un pool della Procura della Repubblica di Milano formato dai magistrati Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Francesco Greco, Gherardo Colombo, Tiziana Parenti, Ilda Boccassini, dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli e dal suo vice Gerardo D’Ambrosio. Quelle indagini portarono alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti ai livelli più alti del mondo politico e finanziario italiano.
Tutto è cominciato il 17 febbraio 1992, quando, con un mandato d’arresto, al Pio Albergo Trivulzio fu prelevato il presidente, l’ingegner Mario Chiesa, esponente del Partito Socialista Italiano. Venne trovato in possesso di una tangente di sette milioni, la metà del pattuito, dal proprietario di una piccola azienda di pulizie che, come altri fornitori, deve versare il suo obolo, il 10 per cento dell’appalto che in quel caso ammontava a 14 milioni.
Erano le ore 17:30: Magni aveva un microfono e una telecamera nascosti e, appena Chiesa ripose i soldi in un cassetto della scrivania, dicendosi disponibile a rateizzare la transazione, nella stanza irruppero i militari, che notificarono l’arresto. Chiesa, a quel punto, afferrò il frutto di un’altra tangente, stavolta di 37 milioni, e si rifugiò nel bagno attiguo, dove tentò invano di liberarsi del maltolto buttando le banconote nel water. Un ‘mariuolo isolato’, lo definì Bettino Craxi. Ma così non fu: da quell’episodio, si dipaneranno a macchia d’olio le successive inchieste che coinvolgeranno partiti e i massimi esponenti della politica e dell’industria del paese, fino a dichiarare finita la cosiddetta “prima repubblica”.
Milano è la capitale dei single. Pare siano oltre il 50%, in continuo aumento. E il single milanese è all’avanguardia nelle strategie di sopravvivenza.
#1. Spesa all’Esselunga
La salvezza sono le monoporzioni e soprattutto i pronti in tavola. È un luogo dove il single non si sente mai solo. E stanno sorgendo supermercati aperti 24 ore su 24 che insidiano il primato dell’Esselunga.
#2. Jogging al parco
Single da soli, in coppia o in gruppo sgambettano al parco, in testa Sempione poi giardini di Porta Venezia. Per i più atletici c’è il monte Stella. Abbondano anche le corse più o meno competitive a misura di single come le color run.
#3. Facebook
Ha ucciso più coppie lui che la legge sul divorzio. Su Facebook il single si illude di avere un sacco di amici e di amori in corso, senza le menate della vita di coppia.
#4. Le librerie
Un rifugio sicuro per i single. La libreria. Tra le più gettonate, la Mondadori in centro, la Feltrinelli in Gae Aulenti, la Rizzoli in galleria Meravigli.
#5. Il cinema d’autore
Resiste grazie ai single. Il vecchio cinema di essai. I single amano ritrovarsi a vedere film che è quasi impossibile possano piacere a due persone contemporaneamente (ossia in coppia). Tra i luoghi più alternativi ci sono la cineteca di Piazza Oberdan, l’auditorium San Fedele e l’Anteo, anche se ha sedie un po’ scomode.
#6. L’aperitivo al Radetzky
Single recidivi, coppie scoppiate, divorziati e divorziate si ritrovano al Radetzky e nei locali attorno a Moscova.
#7. Il lavoro
Il passatempo preferito dei single incalliti: lavorare duro.
#8. Le inaugurazioni
Immancabili. Motivo di noia e spesso di litigio per le coppie, perché si incontra sempre chi non si vorrebbe incontrare, sono invece un’oasi felice dove il single regna sovrano e indisturbato.
#9. Il cibo a domicilio
Molti single vivono con ansia un solo momento (feste a parte): la cena al ristorante. Mangiare da soli li espone a sensi di colpa spesso autoinflitti. Per evitarli ci sono le app di consegna cibo a domicilio.
#10. La bicicletta
Milano offre molti percorsi intriganti per chi va in bici, tra cui la mitica pista ciclabile che parte da Melchiorre Gioia e arriva a Cassano d’Adda, lungo il naviglio Martesana.
Ma soprattutto andare in bici a Milano consente di scaricare rabbia e frustrazioni contro gli automobilisti.
Dove: Spazio Mil, area industriale degli stabilimenti Breda, 52 mila metri quadrati contenenti questo Spazio come il Carroponte, la locomotiva e la Porta Breda
Costo: 2 euro a lanterna, previ prenotazione al n° di telefono 3477614244 (no sms) oppure via e-mail (info@codue.com), contattando l’Associazione Spettacolazione. Ritiro delle lanterne alle ore 21.00 al ristorante Il Maglio.
L’anno scorso incendiarono, per modo di dire, la Darsena e furono a migliaia le persone che lasciarono le lanterne cullare nel ‘mare di Milano’, non senza problemi di ordine pubblico e tuffi in Darsena fuori programma. Stavolta l’atmosfera sarà un po’ più tranquilla: la Notte delle Lanterne Volanti si terrà a Sesto San Giovanni. Ecco cosa c’è da sapere.
5 cose per cui mi piacerebbe andare
#1. assistere allo spettacolo di 500 lanterne luminose che salgono verso il cielo come piccole lucciole beneauguranti
#2. lanciare i miei sogni verso le stelle
#3. vedere com’è il Carroponte
#4. assistere con più tranquillità all’emozionante spettacolo dell’anno scorso, rovinato dalla troppa calca
#5. parlare con qualche monaco buddista, tra i promotori dell’edizione 2015
5 cose che mi piacerebbe trovare
#1. una lanterna anche per me (l’anno scorso non ce n’erano)
#2. meno gente dell’evento in Darsena 2015
#3. un dopo-lancio con musica dal vivo al Carroponte
#4. un party post evento per tutti gli affezionati delle Lanterne
E’ tempo di pensare alle vacanze estive. Alzi la mano chi non lo fa. Purtroppo c’è chi la mano non la alza perchè ha altro a cui pensare: sono i malati gravi che sono ricoverati in ospedale. Milano Città Stato ha come priorità quella di favorire la realizzazione di ogni persona ampliando ogni opportunità. Questo vale anche per chi è malato e in particolare per i bambini malati di tumore. Per questo seguiamo con grande attenzione il progetto nato per i bambini del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, Tennessee, Stati Uniti.
Loro non possono muoversi per mesi o, nella peggiore delle ipotesi, per anni. Sono bambini che non possono viaggiare nè vedere il mondo. E allora Expedia, il noto vettore di viaggi, si è detto “onorato” di collaborare con l’agenzia 180LA per fare in modo che fosse il mondo ad entrare tra le mura dell’ospedale e dentro gli occhi dei piccoli pazienti.
Nasce così il progetto “Dream Adventures” che ha regalato momenti di svago e felicità ai baby malati, portandoli nel cuore di una corsa di cavalli a perdifiato; a spasso nei fondali marini con banchi di pesci pagliaccio; tra gli scavi archeologici impegnati a riportare alla luce le ossa di un dinosauro; o in mezzo ai giochi delle scimmiette della Florida della Monkey Jungle di Miami.
Alcune persone dello staff di Expedia, Sara, David, Chera e Reenie, si sono messe in viaggio attrezzati con una “videocamera a 360 gradi, una tecnologia streaming testata per ridurre al minimo interruzioni ed eventuali difetti di proiezione e uno spazio esperienziale allestito all’interno dell’ospedale: un lavoro che ha richiesto del tempo, ma che è stato ampiamente ripagato dalle espressioni di gioia e stupore dipinte sui volti dei quattro pazienti coinvolti nel progetto” spiega Thenexttech.startupitalia.eu. Così sorprendente che, se c’è stato chi non ce l’ha fatta, qualcun altro ha potuto avere anche dei leggeri miglioramenti sul proprio stato di salute perché stimolato dalle emozioni felici date dal contatto diretto con esperienze così uniche e irripetibili.
Sara, David, Chera e Reenie: i quattro viaggiatori con alle spalle storie di malati oncologici tra i loro affetti o che sono sono riusciti a sconfiggere un tumore (Sara, al cervello). Le loro esperienze di vita e la loro energia ha dato ulteriore slancio a questi videoracconti, affinché i bambini potessero vivere ancora più a 360 gradi la loro “avventura da sogno” immersi in un ambiente, quello dell’ospedale, appositamente ri-creato per loro.
Si tratta di un’installazione che, a mò di un libro, si apre di fronte e tutto intorno, sopra e sotto il paziente, avvolgendolo e proiettando su pareti, pavimento e soffitto immagini in streaming, riprese dalla videocamera a 360 gradi.
Un’installazione divenuta permanente perché, come spiega la presentazione dell’iniziativa, “vedere il mondo è un’esperienza talmente forte che tutti dovrebbero avere la possibilità di provarla”. Anche tra le mura di una struttura ospedaliera nel Tennesse.
Chissà che non possa diventare un’esperienza a cui aderire – come volontari o come parenti di malati oncologici – anche per le strutture italiane.