E’ lui l’uomo del giorno, dopo l’alleanza con Parisi. Noi lo abbiamo intervistato qualche giorno fa, quando ancora l’accordo non c’era o comunque non era stato ancora reso pubblico. Alla luce dei fatti accaduti questa intervista risulta ancora più intrigante.
C’è chi pensa che milanocittastato.it sia una sua iniziativa. E’ un dubbio comprensibile anche perché il progetto di dare autonomia a Milano è uno dei cavalli di battaglia del suo programma e, come noi, anche lui è convinto che questa sia la strada giusta per rendere Milano e l’Italia più forti in Europa. Di fronte a questi sospetti, come reagiamo? Facendo un’intervista a Passera, chiedendogli quello che abbiamo domandato e che domanderemo ad altri personaggi: Milano Città Stato sì o no?
Vediamo cosa ci ha risposto.
Corrado Passera definisce Milano ‘la mia casa. Il luogo delle opportunità’. Quelle personali: comasco, con un’attività di famiglia ben avviata nel ramo alberghiero, appena diciottenne si iscrive alla Bocconi di Milano e sbarca nella grande città. Da lì, McKinsey & Company, Olivetti... i grandi incarichi nelle grandi aziende.
A sessantuno anni torna a Milano: ha appena concluso due anni come Ministro dello sviluppo economico e Ministro delle infrastrutture e dei trasporti nel governo Monti (2011-2013) e ha scelto Milano come luogo dove far venire alla luce anche la sua quinta figlia, Eugenia, il 14 marzo scorso, terzogenita sua e della seconda moglie Giovanna Salza, dopo Luce e Giovanni e a 28 anni dall’arrivo di Sofia e Luigi, nati dal primo matrimonio con Cecilia Canepa.
Per Corrado Passera Milano è il luogo dove ‘Ricomincio da Cinque’, esattamente come il titolo del libro-intervista scritto con la giornalista Sara Faillaci, edito da Bur, in cui l’uomo, il dirigente, il politico, si mette a nudo: “non lo avevo mai fatto: ho dovuto fare uno sforzo su me stesso per raccontarmi a Sara Faillaci. Il “Ricomincio” è nel senso che, quando si ha una nuova vita in casa, la piccola Eugenia, si ha una prospettiva di vita diversa e una clamorosa voglia di impegnarsi per il lungo periodo”.
A chi vorrebbe arrivasse in mano?
A tutti coloro che vogliono avere una prova in più che Milano può essere la città delle opportunità.
Perché ora?
Chi vuole un sindaco a Milano non deve scegliere semplicemente una sigla o uno schieramento ideologico: alla fine sceglie una persona. Fa parte della nuova politica essere a disposizione e conosciuti dai propri cittadini. Questo è uno dei modi per farlo. Credo che Milano abbia bisogno di un sindaco indipendente, che sappia portare ambizione internazionale, affrontare i problemi, che creda nella solidarietà e nutra certi valori. In questi libri affronto questi temi, ma non in teoria: ho parlato delle cose che ho fatto nella mia vita [dalla carica alla Olivetti al miracolo alle Poste, arrivando alla fusione e nascita di Intesa Sanpaolo e all’approdo nel mondo politico, N.d.r.]. Avendo conosciuto nella vita, il resto del mondo, e avendo fatto esperienza nel pubblico, nel privato, nella finanza, nell’industria, nel non profit, per creare il meglio d’Europa, io miro a puntare su Milano che ha tutti i pezzi per essere città del XXI secolo che crea lavoro, che rende possibili le opportunità – come lo è stato per me. Milano è proprio lo scegliere il progetto più interessante in Europa nei prossimi anni.
Dopo questa intro, passiamo al format già utilizzato per altri personaggi, tra cui i candidati alle primarie del PD.
Il domandone. Che domanda vorrebbe fare ai nostri lettori?
Avete veramente voglia, come io credo, di puntare in alto? Abbiamo voglia di non accontentarci di dove siamo? Abbiamo voglia di cambiare anche le regole del gioco, amministrative, di ambizione questa città? Lo chiedo perché non è quello che percepisco sempre. C’è tanta gente che si accontenta, si confronta con chi va peggio di noi. Invece Milano può essere molto di più: può essere una delle capitali d’Europa. E allora: siete pronti a giocarvi la partita per diventare capitali d’Europa? Perché non basta dirlo; bisogna cambiare tanto se vogliamo diventarlo.
La proposta impossibile. Deve fare una proposta impossibile per Milano.
Perché ‘impossibile’? Tutti – o almeno, sicuramente gli altri candidati a queste elezioni a Milano – considerano impossibile fare di Milano una città stato, cioè una città con l’autonomia di una regione e con quell’autonomia che le grandi città d’Europa hanno già. Milano può essere una città che parla direttamente, e non mediata, con Roma e con Bruxelles: quindi deve almeno godere di uno status di regione con poteri legislativi, fiscali e di autonomia; gli stessi che hanno già le altre regioni italiane a norma di costituzione. Quello che propongo è il meccanismo: puntiamo in alto; non ‘aggiungiamo qualcosina’; facciamo di Milano una regione a tutti gli effetti con l’autonomia e le risorse per investire sulla sanità e diventarne una delle capitali mondiali, sulla formazione per attirare i migliori studenti da tutto il mondo, su un sistema di trasporti eccellente, e così via …. La Costituzione ce lo permette. Dovranno decidere i milanesi e i milanesi della grande Milano.
Noi saremo comunque la regione più bella, più forte, più grande d’Italia, e una delle regioni più belle, più grandi, più forti d’Europa.
Siamo il 10% dell’economia italiana.
Siamo 3,5 milioni di persone super attive.
Siamo in un posto meraviglioso strategicamente in mezzo all’Europa. Possiamo diventare “la” regione di riferimento in Europa; niente di meno.
Quali sarebbero i confini?
Per rendere possibili delle cose che appaiono impossibili cominciamo con il dire che abbiamo una Città Metropolitana: questa potrebbe essere la Regione Metropolitana di Milano. Sono sicuro (e lo ribadisco) che il giorno in cui saremo regione, e quindi con i poteri, l’economia, la fiscalità di una Regione, tanti vorranno unirsi a noi.
Domanda da 1 miliardo di euro. Se avesse un miliardo di euro a disposizione per Milano che cosa farebbe?
Noi ne avremo di più grazie alla cessione delle partecipazioni finanziarie, come A2A e SEA, per cominciare, ma diciamo di averne solo un miliardo. Partirei dalla realizzazione di scuole bellissime, con impianti sportivi aperti tutto il giorno, anche nelle ore serali a favore delle associazioni sportive e dei quartieri; farei quattro campus di livello internazionale per le nostre università; darei un colpo fortissimo a favore di housing sociale e case popolari; la Nuova Brera non deve essere solo il più bel museo d’Italia ma certamente almeno d’Europa; cambierei tutti gli autobus non ecologici. E questo, solo per cominciare.
Una persona, un luogo e una data.
Questa settimana non mi può chiedere altro: Milano, mia figlia Eugenia, 14 marzo 2016.
Una cosa che toglierebbe a Milano?
Se intendo una zavorra fisica, allora direi di togliere lo smog atmosferico: un problema vero, ma risolvibile se affrontato con le giuste mosse e dando un segnale fortissimo che non c’è stato in questi ultimi anni. Ma c’è di più, ovvero lo smog mentale: dobbiamo toglierci quella tendenza a paragonarci a chi va peggio di noi, e invece abituarci a dire: ‘Noi possiamo essere tra le migliori città del mondo’, valorizzando così l’orgoglio milanese per puntare in alto, senza accontentarsi.
E una cosa che aggiungerebbe a Milano?
Una cosa concreta: centomila studenti dai Paesi OCSE e in tutti i settori della formazione professionale, artistica e universitaria.
In termini ideali: Milano può e deve essere più ambiziosa negli obiettivi che si pone.
Lei ha vissuto tantissimi momenti della sua vita personale e professionale. C’è stata per lei una grande rinuncia?
Nel novembre del 2011 ero un uomo felice. Stava arrivando il mio secondo figlio, avevamo appena affittato una nuova casa. Amavo il mio lavoro. Era un lavoro piacevole e comodo. In due ore ho messo tutto in discussione e sono andato a giurare come Ministro in Quirinale. Quindi se vogliamo chiamarla “rinuncia” o scelta di rimettere tutto in discussione questo è stato.
Viceversa, alla fine dei cinque anni in Olivetti che sono stati – li definirei – ‘eroici’ ed ero nel momento di portare a casa tutti i benefici di questo enorme lavoro, io ho detto di no perché chiaramente non condividevo più gli obiettivi di vita, prima ancora di quelli di affari, del mio azionista di maggioranza: allora me ne sono andato per ricominciare da capo da un’altra parte.
Ha mai avuto la sensazione di fare un salto nel vuoto o è sempre stato sicuro del suo futuro?
Quando finiva una cosa non c’era il piano B. Però uno prende le sue decisioni se sono giuste o sbagliate; non se conviene o non conviene. E’ un misto di un pizzico di presunzione, un po’ di senso di Provvidenza e gusto dell’inventarsi la vita.
La domanda su misura. ll suo ricordo di Umberto Eco, l’amico e l’intellettuale con cui ha condiviso anni di lavoro su Encyclomedia.
Nessuno come Eco ha impersonato la capacità di mettere insieme lo scibile umano. Credo che il mondo andrà avanti su due assi: l’iper specializzazione – che serve, per fare certe cose -; e il saper mettere insieme le specializzazioni, una ‘gestione della complessità’, una ‘visione sistemica’ che sarà la motrice del mondo. Una dote rara e preziosa: ecco, Umberto Eco, nella cultura, è la persona che le si avvicina di più.
La domanda finale. Qual è il suo fine per Milano?
Fare di Milano la città più dinamica d’Europa.
Fare di Milano l’esempio paradigmatico di cos’è una città bella, attraente, nel XXI secolo.
Fare di Milano il punto di riferimento per le altre città. Noi oggi siamo malmessi dalle classifiche di ogni tipo: dalla sicurezza all’inquinamento, dalla creazione di posti di lavoro alla attrattività.
Milano, se fa le cose che può fare, in cinque anni potrà collocarsi in cima in tutte queste classifiche, non solo tra le altre città d’Italia ma anche sopra l’intera Europa.