Dai nerd sfigatelli che si rinchiudono in una stanza e stanno al pc fino alla mattina successiva o leggono manga o fumetti fino a diventare orbi, si è passati alla moda dei “”””nerd”””” che o si presentano come bellissime ragazze dai capelli rossi, occhialoni neri e magliette di gruppi rock, metal o ispirate a personaggi di videogiochi, ritratte in foto che mostrano chiaramente quanto facciano finta di giocare ad Halo, o, peggio ancora, come persone che pensano di essere “”””nerd”””” perchè hanno letto un fumetto di Batman o giocano a Call of Duty.
Come vera nerd, che ha passato l’adolescenza a essere etichettata come “strana” solo perchè parlava di quanto fosse figo Drakul Mihawk dagli Occhi di Falco di One Piece, delle difficoltà che aveva avuto a trovare i giusti capi d’abbigliamento per fare un Cosplay decente e di quanto fosse frustrata dal fatto di aver usato la Master Ball in modo sbagliato, mi sento profondamente offesa da questa cosa.
C’è un luogo, però, dove tutti i nerd autentici possono pascolare allegramente senza avere scatti d’ira nel momento in cui sentono parlare di Fifa o Pes come meravigliosi giochi per consolle o pc.
Sto parlando di Cartoomics, la fiera dei fumetti e del gioco che ogni anno raduna a Rho Fiera centinaia e centinaia di amanti dei video giochi, di giochi di carte e di fumetti, film e serie animate, provenienti da Milano (e non).
Tra spettacoli a tema, stand e Cosplay Contest, Cartoomics è quel luogo leggendario in cui i sogni diventano realtà… soprattutto perchè il biglietto costa 13 euro e non una fortuna come gli altri anni.
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Il 71% della superficie terrestre è ricoperto da 1.386×1024 litri di H2O, un’entità inimmaginabile; in più, la quantità di acqua presente nel sottosuolo è da 1.5 a 11 volte più grande di quella emersa.
L’approvvigionamento potabile della città di Milano avviene esclusivamente da acqua di falda, quindi da acque sommerse, su tre livelli di profondità: 0-40 metri, 40-100 metri, 100-200 metri.
Lo schema della falda acquifera milanese
L’acqua emersa presenta innumerevoli problemi: solo lo 0,014% del totale globale è immediatamente potabile e facilmente accessibile.
La sua pervasività tira fuori il meglio e il peggio dell’ingegno umano: il 65% del territorio dei Paesi Bassi sarebbe sott’acqua se non fosse per le dighe e le paratie opportunamente preposte al contenimento del Mare del Nord; di contro, Egitto ed Etiopia sono sull’orlo del conflitto a causa della decisione da parte di Addis Abeba di costruire la cosiddetta Grande Diga del Rinascimento Etiope sul Nilo Azzurro, tra l’altro commissionata alla multinazionale milanese Salini Impregilo, opera che presumibilmente taglierà vitali risorse idriche alla terra dei faraoni.
Persino Amsterdam non potrebbe esistere, se non fosse per il genio olandese
Oggi, le città più avanzate del mondo gestiscono il proprio fabbisogno idrico partendo dal sottosuolo. Certo, devono anche poterselo permettere, ma difficilmente una città importante può sorgere in un luogo dove non ci sono risorse per l’approvvigionamento dell’acqua: l’essenziale è invisibile agli occhi.
New York e Berlino sono tra gli esempi più virtuosi in questo ambito.
La Grande Mela sorge sull’Hudson e la capitale tedesca è attraversata dalla Sprea, ma entrambe le città poggiano su un sofisticato sistema di acquedotti sotterranei, idrovore, tunnel d’acqua artificiali, tubi, raccordi e serbatoi per soddisfare i bisogni vitali di milioni di persone.
A inizio 2018, l’amministrazione newyorkese ha inoltre annunciato un investimento di un miliardo di dollari per lo sviluppo e il mantenimento del proprio sistema idraulico, già tra i migliori al mondo.
Scontato? Non proprio, perché New York è una tra le sole cinque grandi città statunitensi (insieme a Tallahassee, Louisville, Miami e Cincinnati) dove è assolutamente sicuro bere l’acqua dal rubinetto.
Una grafica del NYT che mostra il sistema idrico di New York in relazione ad uno dei suoi serbatoi artificiali
In questo scenario, Milano se la cava bene.
E’ vero, abbiamo il problema dei farmaci che finiscono nei fiumi, ma stiamo parlando di 6.5 chili al giorno a fronte di 3 milioni di tonnellate d’acqua consumate, e di una questione che riguarda praticamente tutte le città d’Occidente.
L’acqua che esce dai nostri rubinetti rispetta tutti i parametri europei di controllo qualità, dal pH al cloro residuo, e in più, Milano è la miglior città d’Italia nell’ottimizzazione delle sue risorse idriche, utilizzandone efficacemente l’83.3% dei volumi immessi a fronte di una media nazionale del 64.4% (dati ISTAT 2015).
Un primato figlio della storia e della geografia.
Innanzitutto, occorre dire che la nostra città è stata fondata su una delle tante linee dei fontanili presenti nella Pianura Padana, cioè su di un punto dove vi è l’incontro di strati geologici di differente permeabilità idrica, caratteristica che favorisce la fuoriuscita dell’acqua presente nelle profondità della Terra, che come abbiamo visto è moltissima.
Questo particolare attributo geofisico dava già due vantaggi in partenza a chi avesse deciso di costruire una città in quel luogo: banalmente, il facile accesso all’acqua; secondariamente, dato il terreno paludoso per effetto del fontanile, rendeva più difficile l’accesso dalle aree limitrofe, il che ai tempi (si parla del 600 a.C. circa) significava spesso potersi difendere dai nemici.
Da quel momento, come sottolineato dagli studi del Professore di Geologia tecnica e Geologia applicata Andrea Cancelli, l’intervento umano ha forgiato l’impianto idrologico della zona in maniera netta e costante: i fiumi di modesta entità che passano nelle vicinanze, l’Olona, il Lambro Meridionale, il Seveso, la Vettabbia ed il Lambro, sono stati integrati da grandi navigli: la Martesana, la Fossa Interna, il Naviglio Grande, il Naviglio di Pavia, da grandi canali di irrigazione come la Muzza ed il Villoresi e da grandi colatori come il Redefossi e l’Addetta, ai quali va aggiunta una fitta rete di rogge.
Carta idrografica del centro di Milano
I fontanili quindi, oltre a fare da nutrici ai dintorni meneghini, mantengono anche la falda che ci dà innumerevoli privilegi, primi fra tutti la protezione dalle contaminazioni accidentali (più facilmente rilevabili) e la salvaguardia dalle siccità (un problema attuale, ci arriviamo), in quanto l’acquifero milanese non ne risente.
Da lì, l’acqua viene captata, potabilizzata, controllata e distribuita, con un sistema sulla falsariga di quelli sopracitati, a New York e Berlino.
Eppure, come molte cose a questo mondo, una grande falda acquifera non è un bene di per sé: Jakarta, una delle metropoli più importanti del pianeta, sta letteralmente affondando, a causa delle sue scellerate politiche edilizie e della trascuratezza con cui ha gestito la propria falda, alla quale gli abitanti attingono tramite pozzi illegali e non armonizzati, né fra di loro, né tra loro e la falda.
La mostruosa quantità di cemento (97% dell’area metropolitana) che ricopre la città impedisce all’acqua in superficie di filtrare nel terreno, e l’abusivismo dei cittadini (coadiuvato da un ormai fiorente mercato nero) sta svuotando il “gigante cuscino su cui Jakarta si poggia”, nelle parole del giornalista americano Michael Kimmelman.
La miope indifferenza del governo indonesiano nei riguardi delle tematiche ambientali ha inoltre portato ad una deforestazione selvaggia e ad una scarsa manutenzione dei bacini dei fiumi, tutti fattori che contribuiscono al mancato drenaggio dell’acqua, che così si disperde e fa un po’ quello che vuole.
Un olandese inorridirebbe.
Welcome to Jakarta
Il problema non è l’acqua che si alza: alcune aree della città si sono abbassate addirittura di 10 centimetri nell’ultimo anno. Nello stesso periodo di tempo, per fare un paragone, Venezia è scesa di circa 2 millimetri.
Come se non bastasse, il 96% dell’acqua degli otto fiumi che attraversano Jakarta è severamente inquinata. Le fogne, ove presenti, sono al collasso, mai toccate da anni.
Le reazioni al problema, per ora, sono confuse e poco lungimiranti: ad esempio, si è pensato di chiudere la baia sulla quale Jakarta si affaccia sbarrandola con delle dighe, ma così facendo si creerebbe una sorta di laguna tossica e potenzialmente mortale per moltissime persone. In alcune aree si è deciso di costruire comunque la barriera, opera che finirà anch’essa sott’acqua entro il 2030 se non si deciderà di intervenire sulle origini invece che sui sintomi del problema.
Occorrerebbe poi comunque agire sulla pratica ormai radicata dei prelievi illegali dalla falda acquifera.
Possibili soluzioni possono essere la massiccia reintroduzione di aree verdi di cui la città era piena fino a qualche decennio fa, lasciando proliferare le mangrovie endemiche, di pari passo con lo stop a nuove costruzioni.
Incredibilmente, nel panorama dell’attualità questa non è neanche la storia più grave che si può raccontare sui dilemmi tra una città e le sue risorse idriche, o per lo meno non è l’unica: per cause per certi versi simili, a Città del Capo l’acqua sta finendo.
L’incredibile e incontrollato collasso delle riserve idriche di Città del Capo
Non ci sono sensazionalismi. Ad oggi, il “Day Zero”, la data in cui si prevede si rimarrà completamente a secco, è fissato per il 9 Luglio 2018. Fino a poche settimane fa, era collocato al 12 Aprile. Qualora il fatto avvenisse, sarebbe una prima volta nella storia: mai una città con più di 3 milioni di abitanti è rimasta senza acqua.
Qui come a Jakarta, con il proliferare delle foreste di cemento, unite alla gentrificazione e ad un’esplosione demografica mal gestita, si paga la miopia e l’insensibilità ambientale: scienziati, meteorologi ed ingegneri captarono il pericolo già nel 1990, inascoltati.
Il record minimo di precipitazioni toccato nel triennio 2015-2017 ha fatto il resto, ma i segnali c’erano da tempo, figli tra l’altro di una dilettantesca gestione (non era e non è tuttora previsto nessun backup rispetto ai 6 serbatoi idrici della città, riempiti esclusivamente dall’acqua piovana) della risorsa più preziosa per la vita umana.
I cittadini sono ora chiamati ad affrontare mesi di grande resilienza, riducendo drasticamente il loro consumo di acqua giornaliero in attesa di palliativi per salvare la situazione.
Stiamo parlando di una città indicata più volte come meta turistica d’eccellenza, una città le cui infrastrutture, strade, aeroporto e centri commerciali, fanno invidia a molte megalopoli del mondo.
Un fiume nelle vicinanze di Città del Capo, a Gennaio 2018
Milano è immune da tutti questi estremi? Possiamo rispondere di sì.
Innanzitutto, la nostra falda acquifera è più “docile” rispetto a molte altre, e non aspetta di inghiottirci da un momento all’altro. Questo al netto dei numerosi allagamenti che puntualmente si verificano ad ogni grande acquazzone che colpisce la città. Se ne sono verificati 20 dal 2010, di cui ben 8 proprio in quell’anno.
Per affrontare la questione, Metropolitana Milanese, società che dal 2003 ha in gestione il servizio idrico integrato della nostra città (facile: la metropolitana viaggia sottoterra, e il sottosuolo milanese è pieno d’acqua) ha preposto la costruzione di un nuovo canale scolmatore, oltre a quello già esistente tra Paderno Dugnano (sul Seveso) e Abbiategrasso (sul Ticino).
Foto di repertorio degli allagamenti provocati dal Lambro a Monza tra il 1925 e il 1935
La nostra bestia nera è proprio il Seveso: dal 1976, è esondato ben 104 volte.
La strategia quindi, oltre ad affrontare gli allagamenti a monte col nuovo canale scolmatore, sarebbe quella di migliorare il sistema di drenaggio urbano e di sviluppare l’urbanizzazione in maniera più accorta. Non è tutto rose e fiori, insomma, ma non c’è nessun “rischio Jakarta”.
Storicamente, la nostra falda acquifera è stata costantemente monitorata e amministrata, per questo nonostante i problemi siamo lontani dalla clamorosa noncuranza che ha condannato Città del Capo: dal 2007, abbiamo la figura dell’energy manager di Metropolitana Milanese, che supervisiona l’analisi e l’ottimizzazione delle risorse e delle politiche inerenti alla gestione dell’acqua, preoccupandosi che siano sostenibili e razionali. Dal 2013, questa persona è il Dott. Antonio Sanfilippo, che si occupa inoltre dell’adozione della modernissima metodologia LLCA (Life Cycle Cost Analysis, analisi del costo nel ciclo di vita), oggi irrinunciabile nei sistemi di gestione dell’energia, prevedendo uno sguardo che deve andare dallo studio dei costi iniziali fino ai costi di smaltimento/recupero e al loro impatto, passando per i costi di gestione: un sinonimo di sostenibilità.
Milano, 2017: si può sempre migliorare
La tematica madre per i guardiani dell’acqua meneghina rimane il monitoraggio dell’innalzamento costante del livello della falda acquifera, iniziato nel 1990 e generato dalla chiusura di tutte le industrie idrovore pesanti nel nord della città, che hanno fatto venir meno un importante prelievo d’acqua, ora in ascesa di circa mezzo metro all’anno.
Gli allarmismi sono però del tutto infondati: le sopracitate azioni in contrasto agli allagamenti, se perseguite fino in fondo, saranno più che sufficienti per tenere la città al sicuro negli anni a venire.
Come l’anno scorso, in cui per l’occasione si sono tenuti molti tavoli sul tema, la Giornata Mondiale dell’Acqua, che ricorre ogni 22 Marzo, potrebbe essere un’opportunità per fare il punto della situazione, tenendo sempre a mente che tanto una Milano Marittima esiste già.
E’ considerata la terza strage del novecento milanese, insieme a quelle dell’Hotel Diana e di Piazza Fontana. Era il 12 aprile 1928, giorno dell’inaugurazione della Fiera Campionaria. Nella piazza principale della fiera, piazza Giulio Cesare, venne posizionata una bomba probabilmente diretta contro il re Vittorio Emanuele III che doveva presenziare alla cerimonia. Ma prima dell’arrivo del corteo la bombò scoppiò facendo venti vittime tra la folla. Della strage vengono accusati inizialmente degli studenti universitari appartenenti al mondo anarchico che verranno però successivamente scarcerati, a parte uno di loro, Umberto Ceva, che si avvelenò. Non si riuscì a risalire agli autori della strage.
Fonte: Milano d’Italia, Alberto Pezzotta- Anna Gilardelli, Bompiani
Non si è trattato di elezioni qualunque: probabilmente segnano la volontà popolare più di rottura nella storia della Repubblica italiana. Mai si era vista una spaccatura così netta tra nord e sud e tra presente e passato.
Partiti che fino a una decina d’anni fa o non esistevano o avevano su scala nazionale dimensioni irrisorie sono stati votati dalla maggioranza assoluta degli italiani.
Sono partiti in nulla tradizionali, hanno caratteristiche che per alcuni sono eversivi ma per altri sono totalmente innovativi rispetto a partiti storici e rispetto a qualunque riferimento internazionale. Se si guarda ai risultati delle elezioni, l’Italia si distingue da qualunque altra democrazia al mondo.
Non è mia intenzione dare un giudizio di valore sui risultati, ossia non mi permetto di dire se quanto sia accaduto sia un bene o un male per il futuro del Paese.
Quello che vorrei dimostrare è che è sbagliato sostenere che il popolo abbia agito in modo stupido, irrazionale o ottusamente egoista.
La mia convinzione è che la scelta del popolo italiano nella sua maggioranza non solo è comprensibile ma forse è quella più di buonsenso, se si considerano le condizioni reali in cui è maturata.
la scelta del popolo italiano nella sua maggioranza non solo è comprensibile ma forse è quella più di buonsenso, se si considerano le condizioni reali in cui è maturata
Sono in particolare tre le prese di posizioni principale di queste elezioni che hanno provocato ironia se non denigrazione.
#1 Quello per i 5 stelle al sud è stato un voto assistenzialista?
La prima notizia è il trionfo del Movimento 5 stelle nel sud Italia.
L’attacco principale che viene fatto è che i meridionali abbiano votato per il Movimento 5 stelle per avere il reddito di cittadinanza, ossia per poter ricevere uno stipendio mensile a spese dello stato senza dover fare nulla.
Partiamo dalle premesse per capire cosa avrebbe dovuto votare una persona che vive al sud e che è animata da intenzioni legittime, sia per il suo interesse personale che per i benefici per la comunità.
La premessa è che dopo governi tradizionali, di centro destra e di centro sinistra, che ne è del sud Italia? La Calabria oggi risulta la regione più povera d’Europa (1), il sud Italia negli ultimi 15 anni è arretrato in tutte le statistiche nazionali e internazionali (2). Cinque regioni del sud Italia hanno un tasso di disoccupazione più che doppio rispetto alla media Europea con una disoccupazione giovanile che in Calabria raggiunge la vetta europea con il 58,7% (3). Il sud è diventato il luogo da cui si scappa se si vuole perseguire le proprie aspirazioni.
Cosa avrebbe dovuto fare un elettore di buonsenso?
Molti denigrano il voto dei 5 stelle come il voto di persone ignoranti. Le uniche ricerche che hanno analizzato il voto per caratteristiche sociodemografiche hanno mostrato che l‘elettore 5 stelle è mediamente il più istruito (4). Già questo può seminare qualche dubbio. Dal punto di vista logico la domanda è: che cosa avrebbe dovuto fare un elettore del sud di buonsenso che persegue il bene proprio e della sua gente?
Partendo dal fatto che la situazione sta deteriorando anno dopo anno senza mai venire cambiata da un governo o da un altro, se la priorità è il cambiamento, che senso avrebbe avuto votare per il partito del governo attuale? O che senso votare Forza Italia che ha già governato in passato e che governa diverse parti del sud Italia?
A questo si aggiunga la piaga della corruzione che ha coinvolto in passato spesso politici e amministratori a livello locale del meridione che facevano parte dei partiti tradizionali, in primis PD e Forza Italia. Se la priorità è quella di mostrare l’esigenza di un cambiamento non opportunista, non egoista, non figlio di logiche clientelari e che in mancanza di una competenza raramente dimostrata a livello locale cerchi di ripartire almeno da un livello auspicabile di onestà civica, diventa difficile pensare di non votare 5 stelle.
La maggioranza degli elettori del sud con il loro voto hanno espresso un voto non clientelare, di novità e rottura rispetto a un sistema di potere che li ha governati male.
La maggioranza degli elettori del sud con il loro voto hanno espresso un voto non clientelare, di novità e rottura rispetto a un sistema di potere che li ha governati male.
#2 Quello per la lega al nord è stato un voto ignorante e razzista?
Nel giro di una sola tornata elettorale la lega è passata da partito fortemente locale a primo partito del centro destra nazionale.
La critica denigratoria è che il nord più ignorante ed egoista avrebbe ceduto agli istinti più bassi esprimendo un voto populista, demagogico e fortemente razzista.
Cosa avrebbe dovuto fare l’elettore del nord di buonsenso?
La premessa: la situazione in cui si è venuto a creare questo voto.
Se si guarda l’economia italiana, il nord è in ripresa dalla più violenta crisi economica del dopoguerra. Ma se si confronta il nord con le regioni europee con cui storicamente fa riferimento, il nord è in declino pesante, con 10 punti PIL persi in dieci anni rispetto alla media dell’Unione Europa (5).
La perdita del PIL nasce da aziende che o chiudono o si trasferiscono nelle nazioni confinanti. La Lombardia e il veneto sono le due ragioni italiani da cui partono più “cervelli”, persone istruite, per lo più di giovane età, che devono andare all’estero per poter cercare una carriera all’altezza delle loro capacità (6). A parte qualche isola felice, come il centro di Milano o il Trentino Alto Adige, il nord è in crisi in relazione alle dinamiche internazionali e il primo colpevole di questo si chiama stato italiano.
Stato italiano rappresentato da governi che hanno di fatto mantenuto se non accentuato la spesa pubblica e l’impiego delle risorse statali in modo inefficiente e improduttivo, tutelando le rendite, sia private che pubbliche, e posizioni di privilegi acquisiti, danneggiando fortemente la produzione di ricchezza da parte di imprese piccole e medie che sono l’ossatura della società del nord Italia.
Chi fa impresa in Italia oggi è un eroe, ostacolato da una tassazione alta e confusa, che nessun imprenditore riesce a capire esattamente quanto sia, perchè solo in Italia tra anticipi, spese non deducibili, tasse non correlate ai guadagni, è l’unico Paese dove alla fine dell’anno un’impresa non sa quello che deve pagare e spesso deve pagare di più di quello che si ritrova in banca.
Chi è lo stupido, chi vota per cambiare questo sistema o chi alimenta un meccanismo masochista che costringe molte imprese a chiudere, altre a cercare forme di evasioni per sopravvivere e altre a trasferirsi nei territori oltre confine, causando così una perdita netta per lo stesso stato?
Il territorio che era ai primi posti come tasso di imprenditorialità nel mondo, ha visto crollare progressivamente il numero di nuove aziende che aprono, ha perso la rivoluzione digitale ed è ormai marginale come quota di start up a livello mondiale.
Si dice che al sud in ogni famiglia ci sia un disoccupato, così in gran parte del nord in ogni famiglia c’è un imprenditore o un commerciante o una persona che lavora in una piccola azienda. Cosa avrebbe dovuto fare questa persona considerando i grossi problemi a tirare avanti che non sono stati scalfiti se non addirittura peggiorati da parte dei governi che si sono succeduti?
Avrebbe dovuto scegliere le forze di sinistra in nome di ipotetici motivi etici, come quello di un pericolo di fascismo, che le stesse elezioni hanno dimostrato di non esistere con i partiti fascisti che hanno preso meno dell’1%? Avrebbe dovuto premiare il partito che negli ultimi cinque anni non è riuscito a intervenire in modo strutturale per rendere vantaggiosa l’attività di impresa in Italia, almeno quanto lo è nei paesi confinanti? Tutto questo in nome di una retorica multiculturale e di pericolo di razzismo che in realtà chi vive a nord sa non solo che non esiste ma che sono proprio quegli imprenditori piccoli e ignoranti che votano lega a dare spesso lavoro agli immigrati?
Se queste sono le premesse diventa una scelta quasi obbligata esprimere come voto la lega, un voto che nasce da problemi quotidiani e dalle preoccupazioni che subisce ogni persona che vive d’impresa, rivolto all’unico partito che potrebbe rappresentare un cambiamento rispetto al governo esistente, ai partiti tradizionali o a logiche assistenzialiste di altri movimenti. Significa sottolineare che la priorità in questo momento non è la retorica, non sono paure immaginarie, ma sono problemi reali nati dall’impossibilità in questo paese di poter competere in modo sano nel fare impresa, che al nord è la principale fonte di reddito della stragrande maggioranza delle famiglie. E bisogna riconoscere che la lega, a parte toni che si possono rivelare fastidiosi è stata l’unico partito a porre l’accento sul cambiamento economico, con tre economisti, Bagnai, Borghi e Siri, messi in prima fila a illustrare il programma di Salvini.
IL VOTO DEL NORD ALLA LEGA sottolinea che la priorità in questo momento non è la retorica, non sono paure immaginarie, ma sono problemi reali nati dall’impossibilità in questo paese di poter competere in modo sano nel fare impresa, che al nord è la principale fonte di reddito della stragrande maggioranza delle famiglie.
#3 Quello di Milano è stato un voto snob ed elitario?
Terza evidenza clamorosa è stata che il Milano centro ha votato in modo radicalmente diverso rispetto al resto del Paese. C’è chi lo attacca come voto snob, eccessivamente conservatore ed egoista, sordo ai problemi del Paese. Premessa. Milano sta vivendo un momento di splendore. Sulla scia di un’Expo trionfale Milano sta venendo ben governata. A Milano il pubblico non interferisce nelle attività del privato, non interviene in modo assiestialista, ma funge spesso da facilitatore, con il risultato che Milano oggi presenta un’armonia tra i cittadini, tra pubblico e privato e un’economia in espansione. Che cosa avrebbe dovuto fare una persona di buonsenso e che tutela i suoi interessi e quelli del Paese?
Sicuramente il centro sinistra sta facendo bene a Milano. Per molti questo non basta a votarlo, perchè votare il centro sinistra solo perchè a Milano sta facendo bene mentre il resto del paese sta male, sarebbe un atto di egoismo, specie se dichiarato nelle elezioni nazionali.
Perchè Milano avrebbe dovuto voltare le spalle al governo?
In realtà Milano sotto certi aspetti ha davvero voltato le spalle a questo governo. Milano ha premiato il centro sinistra milanese, più che quello nazionale. Lo dimostrano due dati evidenti. Il primo è il successo straordinario dei radicali della Bonino che in centro hanno raggiunto l’11%, mentre in Parlamento erano e resteranno assenti. Il secondo è che negli unici tre seggi conquistati alla Camera dal centro sinistra sono stati eletti esponenti cittadini, mentre i candidati imposti dal PD nazionale sono stati bocciati.
Milano da un lato non aveva motivo di esprimere una critica netta a un governo che a livello cittadino danni non ne ha fatti, d’altra parte ha manifestato al paese l’esigenza di avere un altro centro sinistra, più vicino alla tradizione di un progressismo social democratico e inclusivo che a quello un po’ raffazzonato e personalistico della stagione del renzismo.
Questo è il messaggio che emerge e queste sono le persone che sono state inviate a Roma: Tabacci, che viene da una tradizione politica trasversale e non ideologizzata, Lia Quartapelle, quasi imposta dal PD milanese contro il PD nazionale che esprime una politica fatta dal basso e aperta al dialogo con chi la pensa diversamente, e anche Mattia Mor, con tutti i limiti sottolineati negli attacchi a lui rivolti in campagna elettorale è stato comunque un personaggio che si è saputo muovere nella realtà cittadina con un movimento d’opinione, forse un pochino elitario, ma aperto ad esponenti di tutte le forze politiche.
Quindi anche da Milano in realtà si è levato un messaggio di rottura: stop alla sinistra ideologizzata, ancorata alla divisione tra fascismo e antifascismo che probabilmente non rappresenta più la realtà del nostro paese, e settaria nel dividere il mondo tra buoni e cattivi, divisione che in realtà spesso nasconde solo delle logiche di potere. Sì invece a un nuovo centro sinistra, orientato alla soluzione di problemi reali, più libero dalla retorica, più aperto al dialogo con chi la pensa diversamente e che pone il suo altolà a spinte velleitarie antieruropeiste. Perchè Milano col suo voto ha detto questo: l’Italia deve avere una nuova sinistra, ma soprattutto Milano è Europa.
Il voto di Milano dice questo: l’Italia deve avere una nuova sinistra ma soprattutto Milano è Europa
Alzi la mano chi acquista ancora dei libri solo per piacere.
Pochi, suppongo… ed è un vero peccato.
Personalmente, preferisco perdermi nella lettura di libri cartacei piuttosto che scorrere un freddo ebook, che con lo sviluppo del digitale sono sempre più diffusi.
Vuoi mettere il profumo della carta, le sottolineature furiose per cercare di ricordare le frasi più belle che ti stanno passando sotto agli occhi, la soddisfazione di portarti sotto braccio i tuoi libri preferiti o di vederli infilati uno per uno sullo scaffale?
Purtroppo sembra che la lettura stia passando di moda… ma per scongiurare questa terribile evenienza, stanno nascendo molti eventi culturali improntati sul mondo della lettura e dei libri, tra i quali “Tempo di Libri”, la fiera del libro che si svolgerà da questo giovedì fino a lunedì alla Fiera Milano City.
Ogni giornata avrà un tema particolare da affrontare: all’inaugurazione dell’8 marzo, per esempio, per celebrare la Festa della Donna si parlerà… proprio della donna.
Tramite conferenze, presentazioni ed espositori, potrai conoscere e incontrare alcune grandi scrittrici, lasciarti trasportare dalle vicende femminili più avvincenti e, soprattutto, rendere omaggio alle creature complesse, profonde e meravigliose che sono le donne.
L’ingresso costa 10 euro e direi che per un evento del genere si possono spendere. Dopotutto, “chi legge avrà vissuto non una, ma dieci, cento, mille vite.”
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L’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa eppure la borsa di Milano (che è stata acquisita dalla Borsa di Londra) è indietro nelle classifiche mondiali per capitalizzazione e per numero di imprese quotate. Non è un mistero che molte delle imprese più redditizie non sono quotate. Alcune di loro potrebbero fare l’ingresso sul mercato. Ecco quelle che potrebbero diventare delle star del listino.
Il ballo delle debuttanti: 5 aziende molto interessanti che si quoteranno alla Borsa di Milano
Kolinpharma: leader to health
Kolinpharma S.p.A. opera nel mercato nutraceutico e i suoi prodotti hanno lo scopo di supportare i trattamenti farmacologici principalmente per le patologie nei campi ortopedico, fisiatrico e ginecologico. La società opera su tutto il territorio italiano. L’avvio delle negoziazioni sul mercato AIM Italia è previsto nel mese di marzo. Il Consiglio di Amministrazione della società ha individuato il range di prezzo delle azioni tra 6,5 e 7,5 euro, equivalente ad una capitalizzazione pre-money compresa tra 6,5 e 7,5 milioni di euro. Il lotto minimo è stato fissato in 200 azioni.
Kolinpharma ha archiviato il 2017 con un fatturato di circa 4.0 mln di euro (+60% rispetto all’analogo periodo 2016) e un’Ebitda margin in crescita del 45% rispetto ai dati registrati nello scorso esercizio. Con lo sbarco a Piazza Affari la società punterà a crescere rafforzando alcuni progetti di ricerca scientifica e lo sviluppo di nuovi e innovativi prodotti. Inoltre verrà incrementato portafoglio brevettuale di tutti i prodotti in sviluppo e posti in commercializzazione nel territorio nazionale e verrà potenziata la rete informativa in Italia.
iGuzzini: al servizio della luce
iGuzzini Illuminazione, con sede a Ravenna e fondata nel 1959, è un gruppo internazionale leader nel settore dell’illuminazione. iGuzzini ha attività operative in oltre 20 paesi distribuiti in 5 continenti. Nel 2017 il gruppo dovrebbe confermare risultati record in termini di ricavi con un fatturato consolidato di circa 231-232 milioni di euro (l’80% realizzato all’estero). iGuzzini dovrebbe sbarcare a Piazza Affari a fine 2018 o nel 2019.
Il gruppo, prima di approdare sul listino milanese, è intenzionata a cercare un partner. Nel frattempo lo scorso 22 dicembre iGuzzini ha acquisito il 70% del capitale di Sistemalux Inc.(società canadese); grazie a questa operazione il gruppo rafforza la sua presenza sul mercato nord americano. Inoltre è allo studio la tecnologia di comunicazione senza filo “LiFi” utilizzando lo spettro della luce visibile, ovvero un modo per rendere la luce un terminale per rilevare informazioni e trasmettere dati.
Itema Group: leader dell’industria meccano-tessile mondiale
Itema è una multinazionale italiana leader nella fornitura di soluzioni per la tessitura all’avanguardia, inclusi telai best-inclass, ricambi e servizi integrati. Itema ha una lunga tradizione di quasi 200 anni e ha messo in produzione più di 300.000 telai nel mondo. La società è presente in oltre 100 Paesi ed ha un fatturato di circa 350 milioni ogni anno. Dovrebbe fare il suo esordio sul listino milanese entro fine 2018.
Nel maggio del 2017 Itema ha reso noto la finalizzazione degli accordi che hanno sancito l’acquisizione del 61% delle quote di Lamiflex (azienda leader nella fornitura di materiali compositi) e la partecipazione in NoeCha (azienda produttrice di stampanti digitali). Queste acquisizioni che rientrano nei piani strategici della società (60 famiglia Radici, 40% fam. Arizzi e Torri) permetteranno ad Itema di espandersi in ulteriori territori di grande potenziale di crescita ed inoltre sono allo studio acquisizioni strategiche.
Eataly: il simbolo dell’enogastronomia italiana da esportazione
La catena di supermercati d’alta gamma (presente anche all’Expo di Milano) è pronta a sbarcare a Piazza Affari. Eataly nel 2018 dovrebbe portare il valore della produzione a circa 750 milioni di euro (+33% circa rispetto all’esercizio 2017)
Intermonte (investment bank ) prevede un Ebitdain crescita, un margine Ebitda -fatturatoin crescita dal 7,3% al 9,5% e l’utile nettodovrebbe triplicare sfiorando i 15 milioni di euro. Eataly è attualmente presente in Italia, Stati Uniti, Medio ed Estremo Oriente e Brasile con un network di circa 30 store. Previste nuove aperture a Monaco, Mosca, Londra, Parigi e Seul. Negli Stati Uniti è prevista l’apertura a New York (World Trade Center), Boston, Los Angeles e Washington.
Octo Telematics: “la scatola nera”
Octo T., società italiana specializzata nei sistemi telematici per il mercato assicurativo dell’automotive (leader di mercato a livello mondiale con quota mercato di circa il 36%) e conosciuta per la famosa “scatola nera” per auto e moto, si prepara a fare il suo esordio sul listino di Milano probabilmente entro maggio/giugno (flottante previsto almeno 35/40%).
La società ha archiviato il 2017 con un margine operativo lordo di 117 milioni. Il gruppo controllato dalla conglomerata russa Renova (68,5%) e partecipato dal fondo di private equity anglo-russo Pamplona (26,5%) grazie all’acquisizione degli asset assicurativi Ubi di Willis Towers rafforzerà la propria presenza nei mercati anglosassoni, inoltre il gruppo è pronto a sbarcare anche in Sudamerica. Octo T., che ha attualmente circa 4.8 milioni di clienti distribuiti in varie parti del mondo, ha archiviato il 2017 con un giro d’affari consolidato di circa 239 milioni di euro. Il valore del gruppo in Borsa potrebbe aggirarsi su 1-1,3 miliardi di euro. Octo Telematics detiene il brevetto della “scatola nera” e controlla il 45% del mercato mondiale di questo strumento sempre più diffuso. L’azienda ha sviluppato anche app mobili per una guida più sicura.
Altre società che dovrebbero debuttare a Piazza Affari:
VALENTINO: casa di alta moda fondata nel 1957 da Valentino Garavani.
FURLA: azienda di moda italiana che opera nel campo della pelletteria.
NTV: Nuovo Trasporto Viaggiatori è un’impresa ferroviaria italiana privata che opera nel campo dei trasporti ferroviari ad alta velocità.
ILLY CAFFE’: azienda specializzata nella produzione di caffè, con sede e stabilimento di produzione a Trieste, da dove viene seguito tutto l’iter del prodotto, dalla coltivazione alla preparazione nei bar.
RAINBOW: studio di animazione italiano. Rainbow è una content company dedita alla creazione di contenuti di intrattenimento per famiglie e bambini a livello internazionale, e attualmente è il più grande studio in Europa dedicato alla produzione televisiva e cinematografica d’animazione.
Rainbow è un’azienda completamente integrata, leader nella creazione, produzione, distribuzione & licensing delle proprie IPs.
SIA: azienda leader nella gestione di infrastrutture e servizi finanziari per banche e intermediari.
PASQUALE FERRARO
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Uno dei più stravaganti editori italiani fu il conte Valentino Bompiani. Si licenziò dalla Mondadori nel 1929 perché si rifiutò di pubblicare una parodia dei Promessi Sposi, dando così vita alla sua casa editrice. Fu l’editore in Italia di Mein Kampf di Hitler e di Conversazioni in Sicilia. Per risparmiare sui caratteri di stampa per un periodo eliminò l’acca dal verbo avere, sostituendo ho od ha con la versione accentata ò o à.
Fonte: Milano d’Italia, Alberto Pezzotta- Anna Gilardelli, Bompiani
Dall’8 al 29 marzo 2018, in occasione della festa delle donne, la Milano Art Gallery ospiterà la mostra collettiva L’Arte delle Donne. L’esposizione organizzata da Spoleto Arte verrà inaugurata giovedì 8 marzo, alle 18.00, nella storica sede di via Galeazzo Alessi 11, a Milano.
L’evento vedrà la partecipazione di Silvana Giacobini (già Direttrice di CHI e DIVA e DONNA), della giornalista del Messaggero Vanna Ugolini (autrice del libro “Non è colpa mia. Voci di uomini che hanno ucciso le donne”), del presidente di Spoleto Arte Salvo Nugnes, manager della cultura. Offriranno il loro prezioso contributo altre personalità di spicco, tra cui l’attrice Alba Parietti, il soprano Katia Ricciarelli, il fotografo Roberto Villa (amico di Pier Paolo Pasolini).
Vittorio Sgarbi con Salvo Nugnes a una mostra di Spoleto Arte
«La ricorrenza prossima dell’8 marzo è funzionale per mettere l’accento sulla violenza contro le donne e sul femminicidio- spiega Silvana Giacobini-. Occorre la condanna per gli omicidi delle donne, sempre più frequenti. Manca la cultura del rispetto della donna da parte di mariti, compagni, ex compagni, che non rispettano le loro decisioni e la loro dignità di persone. Spendo una riflessione anche sugli attacchi con l’acido, che mirano a sfigurare e deturpare brutalmente. Devono essere equiparati al reato di omicidio, in quanto uccidono l’identità della persona. Occorrono pene certe, condanne certe, in cui si attui piena giustizia».
«Ho deciso di intervistare uomini che hanno ucciso le donne -spiega Vanna Ugolini- perché è il modo più diretto per chi fa la mia professione per capire e conoscere a fondo il problema della violenza di genere. L’idea fondante del libro è che una lettura approfondita del problema deve passare opportunamente attraverso la raccolta delle parole degli uomini che esercitano violenza. Un tassello questo, importantissimo per chi abbia intenzione di capire a fondo questo problema».
Mildred Hayes è una donna che vive a Ebbing, nel Missouri, arrabbiata dal fatto che dopo ben sette mesi di ricerche non sia ancora stato catturato l’assassino di sua figlia.
Esasperata, decide di affiggere tre cartelloni per Ebbing al fine di sollecitare le autorità locali ad andare avanti con le indagini.
Questo suo gesto, però, scatena il disappunto non solo del corpo di polizia, ma anche di molti suoi concittadini.
La situazione si complica ulteriormente quando l’agente Dixon, un ragazzo immaturo e viziato, si intromette fra la donna e le forze del’ordine locali.
Nonostante le difficoltà, Mildred non ha alcuna intenzione di mollare: è pronta a tutto pur di ottenere giustizia…
Questa è un accenno di quello che potrai vedere durante la visione di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, il film che potrai vedere questo mercoledì al Cinema Ariosto dalle ore 21.15: il biglietto costa 10 euro e il film li vale tutti.
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Il cuore di Milano è la più grande cattedrale gotica del mondo. Basta solo questo per capire quanto siamo diversi.
Il centro di Milano non è Italia: ecco le prove
#1 Impossibile parcheggiare in divieto di sosta
Gli ausiliari più efficienti del mondo, tempo massimo di sosta in divieto: 5 minuti.
#2 I negozi fanno l’orario continuato
Non chiudono per la pausa pranzo, niente pennichella.
#3 Si vota in modo diverso
In Area C Tabacci ha preso più del 40%.
#4 Ci sono ancora i radicali
Manco sono entrati in Parlamento ma qui raggiungono il 10%. E’ l’unico posto dove i radicali vengono chiamati ancora radicali.
#5 Non ci sono segni di crisi
In pieno boom anni ottanta, disoccupazione negativa, compilano il quadro RL perché hanno la casa in Svizzera.
#6 I mezzi funzionano alla perfezione
Gli orari indicati corrispondono alla realtà. Ogni punto è distante massimo 200 metri da una stazione della metropolitana. Il centro è più servito di Seul.
#7 Si parla in inglese
Ogni tre parole devi usare almeno una word di English. Altrimenti sei nobody.
#8 I bambini con il trolley
Così si abituano a viaggiare nel mondo.
#9 Più sei ricco più vai in bici
E dici male di quelli che hanno la macchina, poveracci.
#10 Guardano con sospetto tutti quelli che vivono al di fuori dei bastioni
Ancora non si sa bene cosa ci sia fuori dall’Area C, molti ipotizzano che non ci sia niente.
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Gennaio 1928. Il milanese Giò Ponti fonda Domus, la prima rivista di architettura e decorazione di interni d’Italia. La dirigerà fino al 1979, anno della sua morte, e contribuirà a lanciare personaggi come Lucio Fontana, Franco Albini ed Ettore Sottsass. Nello stesso periodo nasce anche la principale concorrente: “Casabella”, ora edita da Mondadori.
Fonte: Milano d’Italia, Alberto Pezzotta- Anna Gilardelli, Bompiani
Le motivazioni “dell’essere vegano” sono tantissime, personalissime e tutte diverse.
C’è chi lo fa per salute, chi (purtroppo) per moda e chi per etica.
Qualunque sia il pensiero dietro a questa scelta, di certo un vegano a Milano non ha problemi a trovare un degno approvvigionamento, sia che si parli di spesa sia di ristoranti.
Le proposte sono tra le più varie, fornite e consapevoli… ma quando si parla di aperitivo… beh, diciamo che ci sono delle cosine da mettere a posto.
E te lo dico per esperienza: io sono vegana e devo dire che quando cerco un aperitivo che vada bene per me so già che uscirò o appesantita dalle troppe patate arrosto o quasi a digiuno per la sola presenza di misere ciotole di insalata.
Per questo quando ho letto dell’Aperiveg del Palo Alto Cafè ho voluto subito provarlo… e devo dire di esserci rimasta molto bene.
Dalle 19.30 alle 22.00, sono a disposizione pietanze che vanno dalle tartine all’insalata delicata al tofu, dalla morbida mousse di barbabietole rosse alle verdure fresche, dal farro alle polpette di spinaci, dai piatti a base di ceci al cous cous… e molto molto altro.
Per non parlare delle consumazioni alcoliche, che variano dai vini vegani e biologici e gli ottimi cocktail del Palo Alto Cafè.
Una serata che mi ha sempre resa felice e soddisfatta: se vuoi testare queste proposte vegane durante un aperitivo buffet a 10 euro, ti do appuntamento questa sera al Palo Alto Cafè, ma ricordati di prenotare chiamando il 339 3190062.
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Così come non sarebbe giusto imporre all’Italia ciò che vuole Milano, così non è giusto il contrario. L‘unica strada per rispettare le esigenze di una comunità è l’autonomia, in coerenza con l’articolo V della Costituzione italiana: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i princıpi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Per ottenere più autonomia per la città sembra oggi difficile per Milano passare per il governo: i contrasti sono evidenti con la giunta di Milano. Allo stesso modo sembra difficile poter ottenere autonomia dalla regione che difficilmente si priverebbe della sua area più ricca. Sembra che le porte siano tutte chiuse, invece si potrebbe tentare con un percorso nuovo, rivoluzionario. Per farlo ci può venire in soccorso un calciatore belga.
UNA LEGGE BOSMAN PER MILANO CITTÀ STATO?
Pochi lo ricordano come calciatore, molti lo ricordano come nome di legge. Una legge che ha sconquassato il mondo del pallone. Lui è Jean Marc Bosman.
Tutto nasce negli anni novanta, in Belgio. Bosman gioca nel Liegi. O meglio, non gioca nel Liegi. Già, perché da quattro anni non entra più in campo, il contratto con la sua squadra è scaduto nel 1990, mai più rinnovato e l’unica squadra che pare interessato a prenderlo è il Dunquerque.
Ma c’è un problema: il Dunquerque è francese e Bosman è belga. Quei pochi chilometri tra Liegi e Dunquerque a quei tempi costituivano un abisso, perché le leghe sportive separavano tra calciatori nazionali e stranieri, intendendo per stranieri anche i comunitari. Massimo tre calciatori stranieri, così recitavano i regolamenti, e per Bosman, più un ripiego che un calciatore, era un’utopia trovare posto tra i tre prescelti. In campo Bosman non era un granché, ma fuori era uno che non mollava. E visto che nel suo Paese si ritrovò tutti contro, la voglia di continuare a giocare lo spinse fino alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Bosman rivendicò il diritto di poter giocare ovunque in Europa, appellandosi all’articolo 39 dei trattati di Roma, che consentivano la libera circolazione delle persone.
La Corte di Giustizia gli diede ragione togliendo ogni tipo di barriera al trasferimento di giocatori comunitari all’interno dell’Unione Europea, impedendo alle leghe nazionali di porre dei tetti.
Fu una rivoluzione che ha portato molta fortuna a tanti calciatori- e ai loro procuratori-, ma non a Bosman. Alla fine infatti tutto questo casino non gli è servito a un granché: il Dunquerque gli ha girato la schiena e con lei tutte le altre squadre, forse perché nere di rabbia per la sua azione che toglieva loro molto potere o forse perché era davvero una schiappa. Fatto sta che Bosman non ha più lavorato nel mondo del calcio anche se è entrato nella storia dalla porta principale: al suo nome viene abbinata la legge che ha cambiato il volto del calcio europeo.
Bosman rivendicò il diritto di poter giocare ovunque in Europa, appellandosi all’articolo 39 dei trattati di Roma, che consentivano la libera circolazione delle persone.
La Corte di Giustizia gli diede ragione togliendo ogni tipo di barriera al trasferimento di giocatori comunitari all’interno dell’Unione Europea, impedendo alle leghe nazionali di porre dei tetti.
La storia di Bosman potrebbe ispirare la strada più ardita ma forse più affascinante per Milano città stato. Si è detto come la Costituzione italiana consenta, anzi promuova, le autonomie locali. L’articolo 132 dà la possibilità a Milano di diventare regione e l’articolo 116 assegna a ogni regione la possibilità di accedere a forme di autonomia avanzata. La realtà però è che l’articolo 116 non è mai stato applicato e che il nostro non è Paese per le riforme radicali. Già è difficile chiedere un’autorizzazione per una strada, figurarsi costituire una nuova regione che coincida con il territorio di una città.
Tutto il discorso della Costituzione, delle leggi regionali, del referendum, allo stato pratico temo si riducano a intellettualismi destinati a impaludarsi nella realtà politica italiana.
Eppure proprio perché il sistema di fatto non rende possibile per Milano rivendicare diritti di libertà e di autonomia che sono garantiti dalla Costituzione, proprio per questo Milano dovrebbe avere il coraggio di osare di più, traendo ispirazione dalla storia di un mediocre giocatore belga della metà degli anni novanta.
Cosa potrebbe fare allora Milano? Se la comunità desiderasse ottenere l’autonomia, si potrebbe puntare direttamente all’Europa. I riferimenti normativi sono il trattato di Lisbona e la carta di Nizza. Tra i principi fondamentali ci sono quelli della “buona amministrazione” e del “diritto dei cittadini di essere rappresentati”. Oltre a questi c’è il principio generale e costitutivo dell’Unione Europea, quella della libertà di circolazione per beni e persone. Da un punto di vista giuridico Milano è un bene. E come bene dovrebbe avere il diritto di poter circolare liberamente all’interno dei sistemi legislativi dell’Unione Europea per poter godere del diritto fondamentale alla “buona amministrazione”.
Da un punto di vista giuridico Milano è un bene. E come bene dovrebbe avere il diritto di poter circolare liberamente all’interno dei sistemi legislativi dell’Unione Europea per poter godere del diritto fondamentale alla “buona amministrazione”
Ispirandosi alla “legge Bosman”, Milano potrebbe rivendicare di fronte alla Corte di Giustizia europea il diritto di godere nel suo territorio unicamente delle leggi dell’Unione Europea e, per il resto, di potersi dotare in totale autonomia delle leggi che reputi ottimali per la gestione della comunità. Sembra un’ipotesi da fantascienza ma in realtà ci sono alcuni elementi a favore.
Provare a diventare città stato utilizzando le leve del diritto e della burocrazia italiana comporta di avere al di fuori della città solo nemici e ostacoli. Ma se si agisce a livello europeo le cose cambiano perché si potrebbe intercettare delle istanze che possano supportare il processo di autonomia di Milano. Già il Consiglio d’Europa si è espresso a favore della maggiore autonomia delle città perché strumento di democrazia e di partecipazione attiva dei cittadini.
Ispirandosi alla “legge Bosman”, Milano potrebbe rivendicare di fronte alla Corte di Giustizia europea il diritto di godere nel suo territorio unicamente delle leggi dell’Unione Europea e, per il resto, di potersi dotare in totale autonomia delle leggi che reputi ottimali per la gestione della comunità.
C’è un altro grande alleato potenziale per l’autonomia di Milano dallo stato centrale: le grandi città d’Europa.
Molti lamentano che l’Europa non abbia un’identità. E questo è un dato di fatto. Ma qual è la reale identità europea? Basta viaggiare nel mondo per accorgersi che il fattore identitario di maggiore forza che ha l’Europa sono le sue città. Non esiste altro luogo al mondo dove le città si differenzino tra loro così tanto, per cultura, cibo, tradizioni, linguaggi, anche se distano tra loro pochi chilometri. La storia dell’Europa è la storia delle sue città. Di più. L’Europa è stata fondata dalle sue città. Le radici dell’Europa moderna affondano nelle città stato dell’antica Grecia fino ad alimentarsi con la città stato che ha forgiato di più la stria del nostro continente: Roma. L’Impero romano era espressione di una città stato così come lo era anche il suo successore, il Sacro Romano Impero che era una costellazione di città stato. Il risultato di questa storia è sotto gli occhi di tutti con città che hanno un’identità spesso assai più forte rispetto quella della nazione a cui appartengono.
La storia dell’Europa è fatta di città ed è dalle città che deve ripartire il futuro dell’Europa. Questo non significa cancellare gli stati nazionali bensì rinnovarli nella loro concezione che deve passare da stati di difesa dello status quo contro invasori esterni a federatori di città e di territori. Gli stati devono trasformarsi da sistemi in ecosistemi per consentire a territori omogenei di fare leva sulle loro caratteristiche distintive all’interno di uno spazio comune. E dal punto di vista gestionale bisogna scendere al livello più basso possibile, alle città che sono l’espressione diretta della comunità.
Per una rivoluzione di questo tipo è impensabile immaginare che possa partire da uno stato nazionale attuale. Questo per due motivi. In primo luogo perché una volontà di riforma radicale portata avanti da un singolo stato innescherebbe automaticamente la reazione contraria di altri stati. Il secondo è ancora più immediato: aspettarsi che gli stati si adoperino per ridurre considerevolmente il proprio potere è un controsenso logico. Come spesso accade se le riforme non vengono dall’alto, è dal basso che possono arrivare.
Qui si ritorna a Milano che potrebbe diventare con la sua istanza alla Corte di Giustizia la città Bosman d’Europa. La città che intrappolata da un ordinamento deficitario, quello dello stato italiano attuale, si rivolge all’Europa per liberarsi, rivendicando il diritto di dotarsi da sé degli strumenti più opportuni per gestire la propria comunità. Ma con lo scopo di non fermarsi, rilanciando l’azione alle altre città che in Europa ritengono meglio potersi gestire con maggiore autonomia rispetto agli stati nazionali di cui fanno parte.
Milano potrebbe aprire la strada a una nuova rivoluzione, consentendo a ogni città di poter essere trattata come un bene, diventando libera di scegliere come gestirsi e a quali leggi fare affidamento, restando comunque all’interno dell’alveo normativo europeo. Sembra una follia ma credo che in fondo in fondo sarebbe questa la strada migliore da attuare. Nel momento almeno in cui vi sia una volontà diffusa e condivisa nei cittadini e nei governanti locali di diventare una città stato.
Milano potrebbe aprire la strada a una nuova rivoluzione, consentendo a ogni città di poter essere trattata come un bene, diventando libera di scegliere come gestirsi e a quali leggi fare affidamento, restando comunque all’interno dell’alveo normativo europeo
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So di andare controcorrente ma sono convinto che uno dei dati più evidenti di queste elezioni sia la sconfitta di Milano. Lo si nota anche dall’ondata di delusione e di critica che si leva da Milano contro il resto del Paese. Di critica, ma non di autocritica.
Invece Milano dovrebbe prendere atto che qualcosa di grave sta accadendo ed è qualcosa di cui Milano non è uno spettatore ma uno dei principali responsabili.
Questo perchè Milano non è stata all’altezza del suo ruolo e ora rischia seriamente che venga compromesso quanto di buono è stato fatto in Milano ma non da Milano.
Mi spiego meglio. In ogni nazione esiste almeno un luogo che ha la funzione di porta d’ingresso nella nazione. In Germania lo è Berlino, Londra in UK, Parigi in Francia. Sono la porta d’ingresso del loro paese per investitori, per lavoratori, in generale per attirare risorse dall’estero. Questa è l’essenza di un’economia di mercato dove la forza dei paesi passa attraverso la capacità di attirare ricchezza dal resto del mondo. Per motivi storici e per motivi economici è Milano che dovrebbe svolgere questo ruolo in Italia. La domanda è: Milano sta riuscendo a fare questo? E’ riuscita ad essere in questi ultimi anni la porta d’ingresso per attirare risorse e ricchezza in Italia?
In un’economia di mercato dove la forza dei paesi passa attraverso la capacità di attirare ricchezza dal resto del mondo. Per motivi storici e per motivi economici è Milano che dovrebbe svolgere questo ruolo in Italia. La domanda è: Milano sta riuscendo a fare questo?
Basta vedere i movimenti in entrata e in uscita dal nostro Paese per vedere che proprio questo è il nostro punto debole: l’Italia ogni anno perde imprese e talenti a favore dell’estero. I flussi sono questi: lavoratori e imprese si spostano dall’Italia per venire a Milano, ad esempio come accade alle aziende che trasferiscono la sede da Roma a Milano. Milano è prima per capacità di attrarre dal resto d’Italia però insieme alla Lombardia è anche il primo luogo in Italia da dove imprese e lavoratori se ne vanno, trasferendosi all’estero:
-“La Lombardia si conferma, con 23mila espatriati, la prima regione da cui si parte, seguita da Veneto (11mila circa), Sicilia, Lazio e Piemonte” (Fonte: Repubblica);
– Provengono dalla Lombardia il maggior numero di aziende estere a partecipazione italiana. Le attività sono ben 9.788, il 33,2 per cento del dato totale italiano (pari a 29.483) (Fonte: Regione Lombardia).
Invece di essere punto di approdo per il Paese, Milano è oggi uno snodo in uscita dal Paese. Ci si sposta qui prima di andarsene via dall’Italia. Invece di attrarre ricchezza da fuori per diffonderla poi nella nazione, Milano fa l’opposto: drena risorse dal resto del Paese grazie alla sua superiorità dentro ai confini nazionali.
Invece di essere punto di approdo per il Paese, Milano è oggi uno snodo in uscita dal Paese. Ci si sposta qui prima di andarsene via dall’Italia
Questi flussi sono motivati dal fatto che in un Paese economicamente in difficoltà come il nostro, che dal 2008 in poi sta arretrando in tutte le classifiche continentali, si tende ad andare via perchè fuori ci sono più opportunità. Quelli che vogliono restare in Italia, se la nazione è in crisi vanno dove si è più vicini alla linea di galleggiamento. Così Milano attira, ma attira solo dal resto del Paese.
La dura verità è che oggi la forza di milano è la debolezza dell’italia. Non solo. La forza di Milano è causa di debolezza dell’Italia, nel senso che in un’economia di mercato la ricchezza di una nazione si basa sulla capacità di attirare ricchezza, imprese e talenti dall’estero, se questo non accade la nazione si impoverisce progressivamente. Milano è causa di debolezza per l’Italia perchè non svolge il suo compito di attirare ricchezza dall’estero.
Qualche prova? Il nostro mercato delle start up è ridicolo se paragonato al resto d’Europa, abbiamo perso la rivoluzione digitale, tra le più importanti aziende del web del mondo non c’è traccia di aziende italiane, così come non c’è traccia di aziende italiane tra le principali aziende nate nel mondo negli ultimi vent’anni.
La dura verità è che oggi la forza di milano è la debolezza dell’italia. Non solo. La forza di Milano è causa di debolezza dell’Italiaperchè non svolge il suo compito di attirare ricchezza dall’estero
Che cosa ha fatto Milano di sbagliato e cosa potrebbe fare?
La sconfitta di Milano è stata quella di aver sempre abbassato la testa di fronte a un governo considerato come amico, aver sempre ceduto a considerarsi come migliore tra le tante, accontentandosi di prendere risorse dal resto del Paese.
E’ come se invece di rispondere all’esigenza storica ed economica di avere un aeroporto internazionale si fosse accontentata di avere il migliore tra gli aeroporti nazionali. Perdendo così tutto il traffico da diffondere nel paese.
Segno di questa mancanza di Milano a rispondere al suo ruolo non sono solo i flussi di mobilità in entrata e in uscita nel Paese ma lo è anche il risultato elettorale.
Milano è l’unico luogo che ha premiato un governo che è stato giudicato fallimentare dal resto del Paese. Un governo che non è stato capace di invertire la rotta di un declino che ha portato l’Italia alla periferia dell’Europa. Dal punto di vista economico non è riuscito a incidere strutturalmente in nulla, lasciando una disoccupazione giovanile alle stelle, un mercato di lavoro rigido e perdente su scala internazionale, una burocrazia e un sistema fiscale che tengono alla larga imprese estere e spingono fuori dal Paese imprese italiane.
L’Italia ha punito un governo che è riuscito a tutelare la rendita ma non la produzione. Che ha salvato chi ha, ma senza offrire più opportunità a chi non ha. Un governo che come Milano può vantare successi solo se evita di confrontarsi con l’esterno, ad esempio sottolineando una crescita economica che in realtà è all’ultimo posto tra i paesi europei.
Milano è l’unica ad aver premiato questo governo e può reagire in due modi: in modo arrogante, considerandosi nel giusto mentre tutti gli altri avrebbero sbagliato, oppure provare a chiedersi se non sia Milano non solo ad essersi sbagliata ma essere responsabile di una situazione così drammatica di cui il risultato elettorale è effetto non causa.
Milano è l’unica ad aver premiato questo governo e può reagire in due modi: in modo arrogante, considerandosi nel giusto mentre tutti gli altri avrebbero sbagliato, oppure provare a chiedersi se non sia Milano non solo ad essersi sbagliata ma essere responsabile di una situazione così drammatica di cui il risultato elettorale è effetto non causa
Milano deve prendere consapevolezza che riesce a prosperare solo perché prende risorse dal resto del Paese e che questo può consentirle solo un successo nel breve periodo. La grande sconfitta di milano è stata questa: accontentarsi e anzi compiacersi di primeggiare quando gli altri calano, senza rispondere alla sua vocazione di porta d’ingresso nazionale.
Se le affrontasse con la giusta autocritica, queste elezioni siano per Milano potrebbero essere uno schiaffo terapeutico, per capire che deve alzare la testa e chiedere quello che hanno ottenuto tutte le città con cui deve tornare a confrontarsi: Berlino, Madrid, Amburgo, San Pietroburgo, Londra o Parigi. Tutte città che hanno in comune il fatto di avere leggi che le differenziano dagli altri territori nazionali. Milano deve alzare la testa non contro il popolo italiano ma contro il governo di Roma, per avere un’autonomia amministrativa che la porti a competere alla pari con le altre metropoli internazionali. A quel punto Milano potrà rispondere al suo ruolo fondamentale di attirare risorse internazionali per aumentare la ricchezza di tutto il Paese.
E’ quel periodo della vita in cui non hai regole e puoi permetterti di uscire due, tre, quattro volte alla settimana senza nessun tipo di problema.
E’ quel periodo in cui non ti importa niente dei sentimenti degli altri e delle conseguenze delle tue azioni, perchè senti di poter conquistare il mondo.
E’ quel periodo in cui hai energie da vendere per fare qualsiasi cosa ti piaccia, ma scappi dalle responsabilità.
E’ quel periodo in cui cerchi definitivamente di affermare la tua identità di adulto bevendo, fumando ed esplorando la sessualità in modo più spensierato e sregolato possibile.
Anche Kris, dopo aver lasciato la sua ragazza, sente di dover sfruttare i suoi ven’anni.
Vuole godersi a pieno questa età che non tornerà mai più e comincia a vivere in quinta la nighlife della città, buttandosi in qualsiasi esperienza gli garantisca adrenalina e senso di libertà.
Chissà se questi saranno proprio i vent’anni che avrebbe voluto…
Se sei curioso di scoprire come andrà a finire la vicenda di Kris, allora di invito questo lunedì, alle 21.20, al Cinema Beltrade: prendi il biglietto a 7 euro e vieni a goderti la proiezione di “All These Sleepless Nights”.
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A un passo dal voto molti si sono trasformati in ultras da curva sud. Andando controcorrente, abbiamo provato invece a trovare delle buone ragioni per votare qualunque partito chiedendo aiuto a chi lo vota.
Tre motivi per votare ogni partito
Liberi e uguali
#1 Per chi si sente di sinistra ma non si riconosce nella politica di Renzi #2 Per chi crede nell’uguaglianza tra i cittadini come valore fondamentale #3 Per chi crede che il Paese abbia bisogno di più sinistra
“In un’Europa che ha ormai abbracciato quasi ovunque una destra liberale potrebbe essere un esperimento interessante differenziarsi con una posizione opposta: gli altri vanno a destra e noi li spiazziamo con una sinistra egualitaria, forse un po’ anacronistica, ma almeno ortodossa, non come quella annacquata che ha governato buona parte degli ultimi vent’anni”
PD
#1 Perchè è il partito che garantisce un livello di competenza mediamente maggiore #2 Perchè è il partito della continuità, contro rischiosi salti nel buio #3 Perchè il governo Gentiloni non è stato un cattivo governo
“Il PD e i suoi alleati possono mettere in campo le persone più competenti tra le forza politiche. Persone mediamente più capaci sia nei posti chiave del governo che per i tecnici che lavorano nell’ombra dietro ai politici. E’ poi il partito che offre più garanzie sullo status quo e contro cambiamenti che potrebbero rivelarsi pericolosi per il Paese”
+Europa
#1 Per chi si sente europeista e crede che i problemi dell’Italia derivino dalla nostra classe politica, non dall’Europa #2 Per chi si riconosce nelle lotte per i diritti civili dei Radicali #3 Perché sono gli unici che hanno in programma un freno alla spesa pubblica
“Avere radicali in Parlamento fa sempre bene: sono una garanzia contro soprusi della politica e possono attenuare sia una deriva statalista del centro sinistra che velleità antieuropeiste del centro destra”
Movimento 5 stelle
#1 Perchè sono gli unici ad avere restituito 25 milioni di euro dei loro stipendi #2 Perché rappresentano un freno ai privilegi e ai costi della politica #3 Perché sono il partito più determinato a difendere le categorie storicamente più svantaggiate dai governi italiani, come i giovani o le partite iva
“Rappresenta la forza politica più divisiva. Nel senso che divide la personalità di ognuno di noi. Provoca una schizofrenia, una dissociazione dell’Io. Ha infatti elementi che non possono non piacere: il fatto di restituire una parte degli stipendi, ad esempio, è qualcosa che ha del miracoloso in un Paese dove i politici hanno preso senza mai ridare un centesimo. E questa è già una ragione che mi potrebbe spingere a votarli. Altro punto a loro favore è che sono il movimento degli esclusi, innanzitutto dei giovani che devono pagare le pensioni dei loro padri o nonni, ancora calcolate con il metodo retributivo sull’ultimo stipendio percepito. Così come non si può non provare simpatia per la lotta ai privilegi che i politici elargiscono con generosità a se stessi”
Forza Italia
#1 Per chi crede che bisogna lasciare più libertà alle imprese per ridare fiato all’economia #2 Per chi si sente di destra ed europeista #3 Per chi crede che Silvio Berlusconi possa dare di più come “padre nobile” che come membro di un governo
“Silvio Berlusconi è in grado di azzerare ogni facoltà cognitiva. E’ pazzesco: ci sarebbero milioni di motivi per non votarlo. Prima di tutto perché tutto quello che promette ha già dimostrato di non metterlo in atto. Poi c’è che è incandidabile: stiamo assistendo alla prima campagna elettorale del mondo in cui si può votare per un partito con il nome di un “presidente” che non può essere eletto né entrare nel governo. Eppure proprio questo fatto potrebbe spingermi a fare quello che non ho mai fatto in vita mia: a dargli il mio voto. Perché forse Berlusconi il meglio di sé lo dà non quando è in prima linea ma quando si pone nelle retrovie. Forse ha sbagliato proprio in questo in passato, nel voler guidare il paese in prima linea, invece di fare l’allenatore o il presidente che sceglie i giocatori migliori. Forse è così o forse è semplicemente l’ennesima dimostrazione della sua capacità di azzerare ogni facoltà cognitiva in campagna elettorale”
Lega
#1 Per chi ritiene che lo stato vada riorganizzato in senso federale o con maggiore autonomia locale #2 Per chi vuole premiare le regioni più efficienti #3 Per chi vuole provare una riforma radicale della politica economica e fiscale
“Nel programma di Salvini ci sono idee che potrebbero servire al Paese se non altro perché sono opposte rispetto a quello che è stato attuato negli ultimi decenni e che ha avuto il risultato di portare l’Italia al fanalino di coda dell’Europa. Ridare più libertà alle imprese, lasciare più risorse ai privati con una fiscalità più snella e meno opprimente, contrastare l’invidia sociale che infesta il nostro Paese e agire sulla struttura dello stato capovolgendola, concedendo più autonomia ai territori e riducendo il centralismo di stato, mi sembrano idee valide. Così come anche se è vero che un governo guidato dalla Lega potrebbe essere un pericoloso salto nel buio, bisogna riconoscere che le regioni amministrate dalla Lega non stanno cadendo a pezzi, anzi”
Fratelli d’Italia
#1 Per chi si riconosce nei valori della destra ma non si riconosce in Berlusconi #2 Per chi si riconosce nei valori della destra ma non si riconosce nella lega di Salvini #3 Per chi ritiene che il Paese abbia bisogno di più destra
“E’ l’unico partito che da una donna come guida. E poi diciamoci la verità, tra i diversi leader politici Giorgia Meloni li batte tutti in simpatia”
Il ‘900 è stato il secolo delle evoluzioni, delle innovazioni e delle scoperte in tutti i campi.
E’ stato il secolo dei “perchè”.
Tante curiosità, quesiti e problemi hanno avuto la loro risposta. Una di queste, sempre interessante da porre, è la domanda “perchè le donne sono arrivati a indossare gli abiti che portano adesso?”
Dall’inizio alla fine del ‘900, si è passati dalla gonna lunga fino ai piedi alla minigonna che quasi non esiste, per quanto è corta.
Non so tu, ma io molte volte non posso fare a meno di chiedermi quali siano state le cause socio-culturali che hanno portato queste conseguenze nell’evoluzione del modo di abbigliarsi.
Per soddisfare le mie curiosità, penso che questo venerdì farò un giro alla mostra “Outfit ‘900” del Palazzo Morando, dedicata alle mode esistite tra il 1900 e gli anni ’90 del secolo scorso.
In questo modo, potrò scoprire tutti i cambiamenti avvenuti in relazione al vestiario diurno e notturno e conoscere la storia di ogni capo d’abbigliamento presente grazie a fotografie, racconti e scritti dei donatori di tali meraviglie sartoriali. Ma, cosa ancora più interessante, potrò conoscere le vite di chi indossò i vestiti esposti grazie alle immagini che li ritraggono.
Sarà un salto nella storia degli abiti che hanno segnato un’epoca… e penso che per un viaggio nel tempo del genere, 5 euro si possano spendere.
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Anche se era un dolce di antica tradizione milanese, si dice nato ai tempi di Ludovico il Moro, fu grazie a Motta che il panettone divenne famoso prima in Italia e poi in tutto il mondo come dolce simbolo del Natale.
Dalla pasticceria aperta in via della Chiusa nel 1919 Angelo Motta affermò il suo marchio, la cui emme divenne simbolò della milanesità, per promuovere il panettone come dolce di Natale. Tra le sue invenzioni ci fu anche la colomba che con un impasto simile a quello del panettone Motta riuscì ad affermare come dolce pasquale.
Fonte: Milano d’Italia, Alberto Pezzotta- Anna Gilardelli, Bompiani
L’Italia è l’unico tra i grandi stati europei a non avere una città stato, ossia un hub internazionale amministrativamente autonomo.
L’8 febbraio abbiamo chiesto a tutti i candidati un impegno scritto per Milano: qui l’articolo Cari candidati, mettete per iscritto il vostro impegno per Milano
Ci hanno risposto in quattro, due della coalizione del centro sinistra, due del centro destra. Se sei in corsa alle prossime elezioni, regionali o nazionali, e ti vuoi impegnare per Milano Città Stato, scrivici e renderemo pubblico il tuo impegno (se credibile): info@milanocittastato.it . Nota: anche se sosteniamo i politici che si impegnano a portare avanti l’istanza di Milano amministrativamente autonoma, Milanocittastato.it e i suoi rappresentanti non appartengono a nessun partito.
Questi sono i candidati consigliati per chi vuole più autonomia a Milano
Centro sinistra
Valerio Federico
51 anni, membro della Direzione di Radicali Italiani, è coautore della Proposta di Legge popolare “Più democrazia, più sovranità al cittadino” (2017) e coautore dello studio “Federalismo e sovranità dei cittadini”, ottobre 2016 (goo.gl/yK5qzV). E’ capolista in Lombardia per la lista +Europa con Emma Bonino.
“La nostra proposta, articolata negli ultimi anni in Radicali Italiani, prevede una forte autonomia tributaria ed amministrativa per le città insieme anche a una devoluzione di funzioni. Questa proposta è in linea con quanto proponete. Noi chiediamo questo non solo per una città-stato ma per tutte le grandi aree urbane, identificate anche da noi come centro di cambiamento, come ambito sovranazionale delle sfide del nostro tempo. Un federalismo dunque con devoluzione bidirezionale, verso l’Europa e verso le città”
Cristiana Zerosi
Cristiana Zerosi, odontoiatra, ha partecipato attivamente ad iniziative in difesa dei diritti civili e delle libertà dell’individuo. E’ referente dell’unità di strada di Fondazione Progetto Arca che si occupa di dare assistenza ai senza fissa dimora presenti nel territorio milanese. E’ candidata in Lombardia per la lista +Europa con Emma Bonino.
“Sostengo il progetto di Milano Città Stato sì, ma Europea, la cui autonomia deve essere basata non solo sulla devoluzione dei poteri e delle funzioni, ma anche sulla democrazia (con l’attivazione degli strumenti di partecipazione di democrazia ad ogni livello, anche in materia fiscale), e che auspico possa inserirsi in una futura rete di “città federaliste europee”. Quindi autonomia, ma finalizzata a rafforzare l’identità di Milano “con gli altri” e non “contro gli altri”, per una politica transnazionale ed il superamento del concetto di sovranità assoluta degli Stati nazionali”
Centro destra
Alessandro Morelli
Capogruppo della Lega a Palazzo Marino è candidato per la Camera nel Collegio Milano 3 (dai Navigli a San Siro). Ha presentato a Palazzo Marino un’istanza per l’autonomia di Milano votata da 36 consiglieri con un solo astenuto: Primo passo del Consiglio Comunale verso Milano Città Stato.
“Che Milano abbia tutte le caratteristiche per essere al pari di Londra, San Pietroburgo o Berlino è tanto evidente che tutti, in ogni campagna elettorale, promuovono una maggiore autonomia per la nostra città. Ora è il momento di passare dalle parole ai fatti, uscendo dagli steccati ideologici e dalle bandiere politiche. Adesso perché la crisi che abbiamo vissuto e la ripresa che sta facendo volare alcune economie europee ed è dello zero virgola in Italia non durerà per sempre ed è questo il momento per mettere le basi per far sì che Milano continui ad essere locomotiva del Paese. Sono orgoglioso di aver fatto approvare da tutte le forze di centrodestra e centrosinistra di Palazzo Marino un testo a favore dell’autonomia di Milano, ma dopo l’iniziale slancio il percorso si è purtroppo interrotto. Sostenere le aziende in crisi, attuare politiche di attrazione di capitali esteri, snellire la burocrazia legata a norme nazionali, non sono promesse elettorali ma obblighi morali per la città che guida il Paese. L’autonomia fiscale e amministrativa di Milano non è un successo della nostra città: è una risorsa per tutti”
Gianmarco Senna
Imprenditore nel campo della ristorazione, cofondatore dell’associazione Tra il dire e il fare, è capolista in Lombardia per la Lega.
“La mia storia di uomo ed imprenditore è legata indissolubilmente a Milano. Così come la mia passione politica è nata e cresciuta con salde radici nei principi dell’autonomia fiscale e della sussidiarietà.
Milano Città Stato è un progetto che in modo del tutto naturale fonde il mio percorso di imprenditore milanese con il mio progetto politico per Milano e per la Lombardia: immagino una Milano forte, moderna, innovativa e con i pieni poteri che una grande Città deve avere, in una Regione Lombardia finalmente libera, con l’autonomia, di scegliere e costruire il futuro delle proprie imprese e dei propri cittadini”
La musica Jazz arrivò in Italia con i soldati americani nella prima guerra mondiale. Nel 1918 aprì nei pressi dell’arco della Pace il primo locale di musica jazz, l’Ambassadors New Club di Arturo Agazzi. Milano divenne la capitale della scena jazzistica nazionale riuscendo ad attrarre negli anni trenta alcuni dei più grandi artisti mondiali.