Reddit è il sito raccoglitore di domande e risposte più utilizzato su internet.
Sono andato su Reddit a indagare quali sono le domande che i giovani turisti che si recano in visita a Milano si pongono più spesso. Ovviamente vi riporto anche le risposte.
strani#1 C’è qualche locale di Milano dove posso vedere la National Football League (NFL)?
Considerato che la NFL è lo sport più seguito al mondo direi che la domanda è lecita, anche se in Italia siamo più legati al calcio. Comunque il 442 Sport Pub di Via Procaccini mostra la NFL.
#2 Quali sono i migliori posti per fare shopping maschile a Milano (a prezzi ragionevoli)?
La risposta più dettagliata dice:
Corso Buenos Aires per i capi più economici delle grandi marche.
Duomo, via Torino, corso Vittorio Emanuele per trovare cose economiche ma di marche più fashion di quelle vendute in Corso Buenos Aires.
Corso Vercelli se al posto della marca cerchi la qualità.
Brera per cose costosissime di stilisti sconosciuti.
Via Montenapoleone se sei ricco.
#3 Partendo da Milano dove posso andare a sciare? Consigliate delle mete che siano raggiungibili con i mezzi pubblici.
Anche se la domanda non è pertinente con la bella stagione che avanza, merita comunque una risposta. E in risposta c’è che dice Cervinia e c’è chi dice Piani di Bobbio.
#4 Mi consigliate un ristorante dove cenare con la mia ragazza? Vorremmo gustare la tipica cucina italiana?
Per noi “cucina italiana” è un definizione molto vaga, ma sono comunque arrivati dei consigli.
L’albero fiorito in via Privata Andrea Pellizzone.
La Risacca in via Marcona.
Ristorante della zia in via Fara.
Ristorante Bianca in via Bartolomeo Panizza.
Angolomilano in via Gian Antonio Boltraffio.
Trattoria la Rava e la Fava in via Principe Eugenio.
#5 Qual è il periodo migliore per visitare Milano?
Aprile, Maggio o settembre. Altrimenti d’estate è troppo calda e d’inverno troppo fredda.
#6 Mi sapete consigliare un locale dove la domenica sera posso andare a divertirmi e incontrare gente senza spendere molto?
Milano è la città da bere, da lavorare, del business internazionale, dell’innovazione e delle idee ‘strane’. A Milano vedi cose e persone che non vedresti in nessuna altra regione d’Italia. E’ il luogo dove ognuno trova il proprio posto nonché la città delle possibilità, anche quella di fare un fracco di soldi.
10 modi per fare i soldi a Milano partendo da zero
#1. Fare i PR in discoteca
Le Iene hanno svelato che Corona chiedeva circa 7000 euro per una serata in discoteca. Il segreto non è che quei soldi glieli regalano, ma è calcolato sul fatto che i gestori calcolano che con la sua presenza verrà un sacco di gente che berrà come pazzi. E’ proprio da questo che guadagnano i locali: dalla gente che entra. Ogni persona è come se fosse una banconota e i pierre guadagnano di conseguenza, dal 10% fino al 50% sul pubblico che portano. Spesso fare il pierre è un punto di partenza per nuovi più esaltanti avventure imprenditoriali.
#2. Fare il fashion o food blogger
Hey, Johnny, abbiamo un budget per far parlare di questo prodotto sul media. Conosci qualche giornalista o qualche blogger disposto a farlo per soldi? Se un giornalista accetta di pubblicizzare un prodotto, viene radiato. Ma un blogger no, è libero e può fare quello che vuole. Per lui parlano i follower a cui non frega molto se quello che dice lo dice perchè ci crede o perchè è stato pagato da un brand. Anzi, forse è ancora più cool così. Vabbé, avete capito il meccanismo.
#3. Partecipare ai bandi per idee di start-up
Il Comune o i privati, gli acceleratori o le aziende straniere ne sfornano di continuano. Ormai ci sono più soldi per start up che start up. Davvero, basta andare in uno di questi contest o di incontri con investitori per vederli lamentare che ci sono poche idee davvero valide sul mercato. Ecco, se ne hai una, fatti avanti. Oppure fattene venire una. Spesso i soldi arrivano anche a chi ha solo uno straccio di business model.
#4. Partecipare a un crowdfunding civico
Se la tua idea è molto figa ma pensi che non ci sia nessuno che pagherà mai per i tuoi prodotti o servizi, non disperare. Altra moda del momento è il crowdfunding. Si può farlo con indiegogo o su altre piattaforme, oppure si può puntare direttamente a fondazioni o amministrazioni comunali, che spesso riservano finanziamenti a fondo perduto per iniziative a scopo sociale.
#5. Fare catering
E se non siete bravi si può usare la cucina di mamma. C’è chi lo fa.
#6. Fare una app
A Milano le usano tutti: per muoversi sui mezzi pubblici, per mangiare a domicilio, per prenotare un taxi o un’auto o una bici, per capire come fare serata, per trovare nuovi incontri. Potete anche inventarvi una app unica che mette insieme tutte queste cose.
#7. Aprire una start-up
Milano è la città dell’innovazione, degli incubatori, degli acceleratori, dei coworking, dello smart work. Insomma: se hai una buona idea “disruptive” questa è la città per concretizzarla. E magari diventi pure ricco.
8. Affittare un letto o una casa
Durante il Salone del Mobile o la Fashion Week potreste trovarvi pagate le spese del vostro prossimo viaggio in Brasile. Conosco gente che con Expo ha passato Capodanno a Rio e l’estate ha visto le aurore boreali – tutta estate. E chi non ha una casa? Può sempre affittare la casa degli altri
#9. Aprire un canale YouTube
Fare gli scherzi da bastardi al parco o a casa e pubblicarli in rete sta avendo successo. Altra strada è quella di riprendervi mentre giocate ai videogames: c’è gente che fa le ospitate ai compleanni tanto è seguita sui social network.
#10. Fare il consulente
Un tempo si diceva sono freelance. Oggi si dice faccio il consulente. Per cominciare basta inviare messaggi sulla chat di Facebook o via mail ai propri contatti, consigliando loro di cambiare qualcosa nel loro lavoro o nella loro vita. Se seguono il vostro consiglio, mandategli la fattura.
Siamo in Spagna, più precisamente a Fuentes de Andalucìa, nei pressi di Siviglia. Qui c’è una ‘supercentrale’ a energia solare dotata di 2650 specchi orientabili, cioè che seguono il sole e si comportano come dei veri girasoli. La loro particolarità? La capacità di trasformare i raggi del sole in energia, anche quando fa buio. Si chiama Gemasolar, è situato a e ha un’ autonomia di 15 ore.
COME FUNZIONA LA SUPER CENTRALE A ENERGIA SOLARE. Torresol Energy, l’azienda che l’ha costruita, l’ha creata sulla base di un sistema di sali fusi e con il concetto dell’energia H24. Tutta la luce riflessa dagli specchi, che si muovono insieme al sole, viene catturata dalla torre centrale che è ricoperta da pannelli ricettori contenenti sali fusi. I ricettori si riscaldano fino a 500 gradi Celsius, mentre il sale fuso stoccato dentro serbatoi può mantenere il calore a un livello da generare elettricità anche con il calare delle tenebre.
“Gemasolar è in grado di generare 19,9 Megawatt di elettricità che non è tantissimo, ma proprio per il fatto che funziona ininterrottamente la sua potenza può essere paragonata a quella di una centrale solare di 50 Megawatt”, spiega la Focus.it.
Dopo Marocco e Svezia, ecco un altro Paese del mondo che ha investito nelle rinnovabili ed ha avuto ottimi risultati.
Un reddito di cittadinanza di 2.200 euro al mese. Per ogni cittadino, indipendentemente dal fatto che lavori o no, che sia ricco o povero. Questa la proposta che sarà votata da un referendum il prossimo 5 giugno e che in caso di vittoria dei suoi sostenitori potrebbe fare diventare la Svizzera il primo paese al mondo a pagare tutti i cittadini.
Chi critica il referendum dice che così non ci sarà più stimolo a lavorare. Ma i promotori, un gruppo di intellettuali del paese, affermano proprio il contrario, citando studi ed esperimenti analoghi. Che dimostrerebbero che le persone lavorerebbero e studierebbero di più. Perchè sceglierebbero ciò che amano di più.
Come riporta StartupItalia, sono due gli esperimenti già effettuati nel mondo: uno in Olanda, a Utrecht l’altro in Canada.
UTRECHT. A inizio 2016, l’Università di Utrecht e l’amministrazione cittadina hanno diviso il campione della popolazione scelto per il test (circa 300 persone) distinguendoli per reddito: “900 euro per un adulto, fino a 1.300 per una coppia o una famiglia”, riporta la nostra fonte.
Dare soldi a tutti e non solo a chi ne ha bisogno comporta secondo gli amministratori diversi vantaggi: in primis quelli di evitare di premiare gli evasori, di non dover effettuare controlli sulle sovvenzioni e di evitare anche la riduzione della solidarietà tra i cittadini, generata dal risentimento da parte di chi non riceve soldi verso chi li riceve.
CANADA: IL MINCOME PROGRAM. Ma il primo esempio di questo tipo è avvenuto nella città canadese di Dauphin, 8 mila abitanti nella provincia di Manitoba, tra il 1974 e il 1979. “Allora, il “Mincome Program” offriva uno stipendio a ogni membro della popolazione che avesse un reddito basso. I ‘low income’, cioè quelli considerati con un basso reddito ottenevano un reddito di base che, rapportando le cifre al 2015, corrisponde a 16 mila dollari in caso di persona singola, un po’ più di 20 mila (20,443 per l’esattezza) annuali. Un anno prima Manitoba e il governo federale firmano un patto per dividersi i costi, i 17 milioni di dollari del progetto. Il 75% pagato dal governo, la parte restante dalla provincia”.
Secondo studi pubblicati nel 2011 questa scelta ha prodotto l’eliminazione della povertà in città, la soluzione di altri problemi sociali, l’aumento dell’istruzione soprattutto tra i cittadini di sesso maschile, “i quali invece di abbandonare la scuola giovanissimi per lavorare preferivano proseguire gli studi, circostanza che avrebbe avuto un’influenza nell’incremento dei loro redditi futuri […]”. Sono diminuite persino le spese sanitarie legate a cure di disturbi psicologici o psichiatrici” (cit. StartupItalia).
ALTRI CASI OLTRE LA SVIZZERA. Basicincome.org rivela che molti altri paesi si stanno muovendo sulla scia della Svizzera: la Finlandia, la provincia canadese dell’Ontario e perfino il governo francese stanno considerando di avviare un programma che ha aspetti molti simili. Lo stesso sito afferma che solo il 2% delle persone dichiarano di voler smettere di lavorare se ricevessero il reddito di base.
Dopo la bocciatura in Parlamento, la Svizzera ha avviato un referendum: i primi sondaggi parlano di un quasi testa a testa, i più favorevoli al reddito di base sono gli svizzeri francofoni mentre i più contrari sono quelli di lingua italiana.
Se vincessero i sì potrebbe essere l’inizio di una rivoluzione per il mondo dell’economia: si scoprirebbe se lavorare per piacere produce più vantaggi che lavorare per soldi. E soprattutto la Svizzera potrebbe diventare il primo paese della storia ad aver sconfitto la povertà.
Fonte: Smartmoney | Foto: una protesta in Svizzera il 30 aprile 2016 per l’applicazione del reddito di base (Facebook).
A Milano si va di corsa, di giorno come di sera, sempre, tranne che il giovedì in Piazza Sant’Eustorgio, dalle 18.30 in avanti, non tanto perché è finita l’Area C, ma perché spiccano il leggio e le storie di Luca Chieregato, con il cartello-invito per tutti: “Di che storia hai bisogno?”.
DAI MAGI AI DRAGHI. Sant’Eustorgio è la piazza con la chiesa che raccoglie le spoglie dei Re Magi. Dalla stella cometa ai draghi il tempo è quello di circa 2000 anni e Luca Chieregato, il cantastorie di Piazza Sant’Eustorgio, la sceglie ogni giovedì dalle 18.30 “perché è l’ora in cui finisce l’Ecopass”, scherza”, “ma soprattuto perché è spaziosa, non è molto battuta dagli artisti di strada, non è così centrale, è di passaggio ed è abbastanza larga per fermarsi, anche per permettermi di scaricare baule, sedie, scenografia, ed ha una bella atmosfera”. Ma chi è il cantastorie di Piazza Sant’Eustorgio?
IL CANTASTORIE-PSICOLOGO. 40 anni, di Corsico “che è talmente attaccata a Milano che sono milanese anche io”, Luca Chieregato lavora in teatro da 20 anni e dopo una formazione presso il COMTEATRO – Scuola di teatro di Corsico con Claudio Orlandini ha intrapreso la strada dello scrittore, attore, regista, formatore in azienda. Oggi è un attore che scrive favole in scatola da 5-6 minuti ciascun -“sono troppo brevi per essere portate a teatro, abbastanza piccole da poterle ‘inscatolare’ e farne ‘Scatofavole’ illustrate dalla mia amica Alessia Bussini”.
“Scendere in strada è stato un grande atto di coraggio preso in un’estate di grande dolore di quattro anni fa”, mi spiega mentre prepara le prove del suo spettacolo (Cyrano sulla Luna, fino al 13 maggio al Teatro Leonardo di Milano, N.d.r.), “Non sono un artista di strada e mi fa anche un po’ paura stare sul marciapiede per quattro ore e aspettare che qualcuno si fermi, ma allora non volevo stare fermo e da quel momento non ho più smesso. Che soddisfazione vedere grandi, adolescenti, bambini, sedersi davanti al leggio, chi sulle due sedie e chi per terra, rapiti. Qualcuno si commuove perché non si ricordava più che impressione fa farsi raccontare una storia”.
Nel carnet del cantastorie di Piazza Sant’Eustorgio ce ne sono più di 80, tutte scritte di suo pugno. Le sue preferite sono “Il Principe Senza”, “Inverno e Primavera” e “Il Povero Grigio”, “nata grazie a un’intuizione di mia figlia Linda che piace ed è virale perché è un tormentone. Una volta non mi hanno dato una multa a Lugano, in Svizzera perché mi hanno riconosciuto come quello del ‘Povero Grigio'”, eppure Luca non parte se non c’è l’ascoltatore che dà il via.
Ogni storia racconta “qualcosa delle nostre paure, che vengono superate perché affrontate nella parentesi tra il ‘C’era una volta tanto lontano’ e ‘Vissero per sempre felici e contenti'”, e per far partire quel meccanismo è necessario che l’ascoltatore dia il via. Ma è davvero questo il lieto fine di questo artista di strada a Milano?
MILANO STRADA APERTA. Di certo la storia di Luca apre una finestra sul tema dei buskers meneghini. “In questo Milano è una città all’avanguardia”, e mi spiega del portale Strada Aperta: “al pari ne hanno solo alcune città d’Europa”.
Per iscriversi è necessario caricare i propri dati sensibili, il proprio sito Internet, il portfolio dei propri lavori. A quel punto viene rilasciata una password e con quella si può accedere alla mappa della città, purché sia verde, cioè libera, nelle fasce orarie prescelte.
“Milano è mappata con oltre 400 postazioni ed il servizio è interamente gratuito” mi spiega Luca, che qui vede “quanto Milano stia riuscendo ad avere una sua identità senza soffrire delle tipiche lentezze italiane. L’imprenditorialità e la possibilità di snellire dei meccanismi è una direzione che ho potuto verificare come cantastorie: me ne sono accorto quando ho visto che Strada Aperta ha un numero di telefono, ma che non serve. L’ho usato solo per andare a trovare per vedere chi c’era dall’altra parte”. E conclude: “La grande sfida è attingere dalle risorse personali e virtuose per lasciare che l’esempio di uno faccia bene alla cosa pubblica per tutti”.
PERCHé UN CANTASTORIE A MILANO. “Il tema di ogni ‘Principe Senza’ delle sue fiabe è quella dello sviluppo personale: sciogliere una paura, usare le proprie risorse interne e sfoderare il coraggio”, spiega Luca. Certo, le fiabe hanno sempre funzionato così, ma l’aspetto più intenso di questa storia è quello di vedere che una piccola porzione di Milano sa riconoscerle e vuole fermarsi per regalarsi del tempo.
“La mia scelta artistica e umana è: fermati un minuto. Io sono una persona inquieta e irrequieta, fermarmi sulla sedia ed aspettare è un esercizio zen”. E allora, più cantastorie nelle piazze di Milano e per tutti.
Sono state scritte moltissime canzoni su Milano, vorrei condividere con voi le mie preferite.
Se ne dimentico qualcuna mi farebbe piacere me le segnalaste nei commenti, così finalmente imparo qualcosa.
16 canzoni su Milano per amare ancora di più la città.
#1 Oh mia bela Madunina (Giovanni D’Anzi, 1935)
Qualsiasi lista del genere deve per forza partire da questa. L’inno della città. Vi consiglio anche la versione ironica fatta da Elio e le Storie Tese al dopofestival di Sanremo del 2008, cantata da Eugenio Bennato.
VUOI CONTRIBUIRE ANCHE TU A TRASFORMARE IN REALTA’ IL SOGNO DI MILANO CITTA’ STATO? SERVE SCRIVERE PER IL SITO, ORGANIZZARE EVENTI, COINVOLGERE PERSONE, CONDIVIDERE GLI ARTICOLI, PROMUOVERE L’ISTANZA, AIUTARE O CONTRIBUIRE NEL FUNDING, TROVARE NUOVE FORME UTILI ALL’INIZIATIVA. SE VUOI RENDERTI UTILE, SCRIVI A INFO@MILANOCITTASTATO.IT(OGGETTO: CI SONO ANCH’IO)
San Maurizio al Monastero Maggiore è una delle più belle chiese di Milano, è “la Cappella Sistina di Milano”, per qualcuno della Lombardia intera, ma nasconde un mistero: cosa ci fanno due liocorni a bordo dell’Arca di Noè?
La scena affrescata da Aurelio Luini, figlio del pittore-star del Cinquecento Bernardino, è nota: Noè ha preparato l’arca per salvare coppie di animali e la sua famiglia dal Diluvio Universale. Ma non può non suonarci nella testa quella canzoncina della scuola materna: “solo non si vedono i due liocorni”.
Qui invece sono stati affrescati, e si presuppone che chi li ha dipinti l’abbia fatto a ragion veduta. Quindi nella versione di Luini Noé non ha dimenticato i liocorni!
Per capire la questione, bisogna fare un passo indietro nella storia.
PERCHé “AL MONASTERO”? Siamo nel cuore della Milano romana, in quello che oggi risponde al numero 13 di Corso Magenta. Proprio accanto all’ingresso del Museo Archeologico di Milano, sin dall’età carolingia è documentato un monastero femminile benedettino. E’ San Maurizio, per questo “al Monastero Maggiore”: dall’esterno anonimo, con un interno preziosissimo, venne eretto riutilizzando in parte alcuni edifici romani di cui oggi restano una torre poligonale proveniente dalle antiche mura di Massimiano, e un’altra quadrata, che in origine faceva parte del circo romano.
Nel XVI secolo la potente famiglia dei Bentivoglio ne commissionò il rifacimento.
I BENTIVOGLIO. Era un Bentivoglio Alessandro, governatore di Milano già figlio del Signore di Bologna Giovanni II Bentivoglio. Sua moglie era Ippolita Sforza, figlia di Carlo Sforza, un figlio illegittimo del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza. Della loro progenie, “quattro delle loro figlie furono destinate al convento di san Maurizio, e Alessandra ne fu per sei volte badessa” riporta Wikipedia. Vero on no, parliamo di una famiglia importante con una commissione importante.
E a chi avrebbe mai potuto affidare uno dei suoi lavori di maggiore rappresentanza se non all’artista -star del momento, quello più gettonato dall’aristocrazia di allora, Bernardino Luini?
Dal suo pennello arrivarono le raffigurazioni dei membri del casato Bentivoglio e della badessa Alessandra accanto ai santi patroni del convento; la sua scuola e i figli si divisero navate, coro, e abside.
LA SCUOLA DEL LUINI. Proprio i “Luini junior”, Giovan Pietro, Evangelista e Aurelio Luini terminarono l’opera nella seconda metà del Cinquecento. A loro andarono le scene dell’aula, quelle della Deposizione dalla croce, la Flagellazione, l’Ultima Cena e la Cattura, insieme alle due scene dipinte sulla parete divisoria sopra l’arcone. Fu il terzo fratello, Aurelio, con uno stile fiammingo e molto attento ai particolari, a lavorare alle scene vivaci e movimentate, rendendo ancora più vivi i racconti delle Storie di Adamo ed Eva, dell’arca di Noè, e dell‘Adorazione dei Magi
I DUE LIOCORNI. Con uno stile che attinge dalla propensione tutta nordica per le leggende e i dettagli dei racconti, ecco i due liocorni affrescati da Aurelio Luini nella scena dell’arca di Noé.
Ma i due liocorni non erano spariti? Da dove ha saputo o sentito dire, in quale racconto ha tratto la notizia che si sarebbero salvati dal Diluvio Universale?
Alla scuola materna noi cantavamo con una certa sicurezza, e tramandando oralmente la verità della storia di Noé:
“E mentre continuava a salire il mare e l’arca era lontana con tutti gli animali Noé non pensò più a chi dimenticò: da allora più nessuno vide i due liocorni”
Ma se dallo scoop di Luini, i due liocorni si sono salvati, allora resta il mistero: dove sono finiti i due liocorni!?!?
Non appena arriva la primavera, non si vede l’ora di correre all’aria aperta per godersi il bel tempo tra picnic, tovaglie a quadri, capriole sull’erba e momenti di condivisione en-plein air. Domenica 8 maggio sarà ancora più divertente perché a partecipare saranno milanesi e non, armati di cestino con le prelibatezze della nonna, cuscini, e una tovaglia a pixel – cioè a quadretti bianchi e rossi – lunga 1 km, capace di coprire il Parco Sempione dal fatidico mezzogiorno ‘in famiglia’ fino alle ore 22.00.
Il riferimento emotivo potrebbe essere quello delle “Cene in bianco” [foto a sinistra], i flash mob in cui ci si trova ad una data ora, ognuno porta la mise en place, sedie tavoli e cibo, tutti vestiti di bianco, e ad una data ora si sbaracca per lasciare la piazza più pulita di prima. Il risultato reale sarà più bucolico, ma anche in questo caso nulla sarà lasciato al caso.
Gli organizzatori hanno pensato a tutto: dalla musica alle performance collettive, dagli spettacoli sul prato per grandi e piccini ai digestivi. Persino a due ricette da portare, per chi vorrà sperimentarle.
Ecco un piccolo vademecum del picnic per non trovarsi impreparati.
5 cose da portare al Pixel-picnic
la schiscetta (tradotto: buon cibo)
i cestini da picnic
cuscini per sedersi e ospitare gli altri
se stessi e i propri amici
apertura mentale, disponibilità a conoscere gente nuova e voglia di divertirsi in gruppo
12 cose che troveremo al Pixel-picnic
i digestivi offerti dagli organizzatori.
CriticalCity Live – Focus – forniranno i partecipanti di un caschetto con telecamera e un timer da legarsi al polso. I partecipanti dovranno pescare una missione dalla pila di buste segrete e da quel momento avranno 15 minuti di tempo per compierla e tornare indietro.
Slow Run! – corsa benefica e goliardica sulla distanza di 5 metri, dove vince chi arriva ultimo, con tre regole: non si può cambiare stile di corsa; non si può stare fermi e non si può indietreggiare.
Gradient – Progetto Città Ideale – un percorso a indizi in cui individuare 12 opere sparse nel Parco Sempione.
Garten con Elena Campa e il workshop di “monotipia”: si realizza il primo erbario autoprodotto con piante commestibili.
Asterisma e l’ortoterapista Cristiana Minoletti fornirannno tutti di una cassetta di frutta, sacchi di terriccio e materiale vario, sia inerte, che vivente, per realizzare il proprio “paradiso verde”.
Il giardino magico urbano con Asterisma e l’illustratrice Serena Marangon – laboratorio di disegno libero, collage, timbri tra l’illustrazione, la natura e la scienza, per bambini e adulti.
Bubble Football – la rivisitazione del tradizionale calcetto a 5 con i giocatori dentro bolle gonfiabili [foto a destra]
BioBlitz– laboratorio diffuso in varie parti del mondo: cittadini, naturalisti e scienziati si riuniscono in un luogo per scoprirne flora e fauna.
Teatro in cuffia con Mare Culturale Urbano: produzione teatrale in cui gli spettatori sono dotati di cuffie e gli attori recitano in relazione al tempo, allo spazio e al pubblico.
Dramatràe “I fantasmi di Parco Sempione” – momento teatrale in giro per il parco.
L’urlo del Sempione, de Le Compagnie Malviste – performance urbana aperta a persone di tutte le età, che mira al coinvolgimento collettivo e la mobilitazione sociale. L’atto finale è un urlo liberatorio collettivo.
Ricette da Pixel-picnic
La parmigiana di nonna.
INGREDIENTI
1 kg di melanzane
1 kg di pomodori pelati
3 cucchiai di olio evo
Farina
500 g di mozzarella
100 g di parmigiano grattugiato
Olio di arachide per friggere tutto quello che vi capita a tiro
Sale
PREPARAZIONE: si frigge si impasta, si inforna, praticamente la vostra cucina dopo farà schifo e voi vi stenderete su un foglio di carta assorbente per asciugarvi.
Carneplastico (ricetta futurista)
“Il carneplastico (interpretazione sintetica degli orti, dei giardini e dei pascoli d’Italia) è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro, disposto verticalmente al centro del piatto, è incoronato con uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia, che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo”, spiegano gli organizzatori sulla pagina dell’evento*.
Pixel-Picnic | 1 Picnic lungo 1KM Domenica 8 maggio dalle 12:00
Dove: in 77 luoghi di Milano, da piazza Duomo fino ai “confini amministrativi della città” dice il sito di OHM Quando: sabato 7 e domenica 8 maggio 2016, dalla mattina alle 18.30 circa Quanto costa: ingresso gratuito
Open House, già parte del circuito Open House Worldwide, è un evento internazionale che si sviluppa in 4 continenti e 31 città e che mira a mettere in contatto i cittadini con il proprio patrimonio architettonico.
Dopo aver conquistato Londra, nel 2016, sabato 7 e domenica 8 maggio 2016 arriva per la prima volta a Milano per offrire ai cittadini “due giornate per (ri)scoprire una Milano inedita fatta di edifici noti e meno noti, [spesso chiusi ai non addetti ai lavori, aggiungiamo noi] che assumeranno nuovi significati grazie alle visite guidate e gratuite tenute dai progettisti stessi, studenti delle facoltà milanesi e cultori d’architettura” dicono gli organizzatori.
Qualche nome? Case private di straordinaria fattura e case museo come Casa Boschi-Di Stefano, l’ Orto Botanico, la Torre Branca, Torre Velasca, e poi Futurdrome-Il museo che si abita, Bosco Verticale, l’Auditorium di Milano, Borgo Sostenibile, per un totale di 77 luoghi: ecco il programma.
#2. Vedere alcune delle più belle case di Milano (che si andrebbero ad aggiungere a quelle già elencate qui) o alcuni luoghi spesso chiusi
#3. Finalmente l’architettura di Milano spiegata anche ai non architetti
#4. Finalmente un evento internazionale, già virale, ma supportato dal punto di vista culturale: le visite saranno guidate e illustrate da Ciceroni competenti (nelle previsioni)
#5. Un’occasione in più per percepire la fortuna d vivere a Milano ed un altro lato della sua bellezza, quello meno noto e spesso sconosciuto.
5 cose che mi piacerebbe trovare
#1. Il sole, per salire in altissimo e scattare un sacco di fotografie
#2. Poca gente e avere un luogo di Milano, inedito, tutto per me
#3. Una guida preparata che sia anche una buona affabulatrice
#4. Lo stesso entusiasmo in città della Design Week ma senza il suo caos
#5. La prima Open House Milano di una serie ripetuta una volta al mese così da dare a tutti l’opportunità di impegnare il fine settimana “a lezione di Milano”
Maggio 1976. Un violento terremoto colpisce il Friuli. 45 paesi vengono rasi al suolo, 989 persone perdono la vita. Sono trascorsi 40 anni ma da quella tragedia possiamo imparare tanto.
Niente piagnistei, niente retorica
In quell’occasione i friulani hanno mostrato grande capacità di riprendersi, in faccia ai piagnistei e alla retorica. I piagnistei sono quelli che fanno perdere tempo a lamentarsi, a imprecare contro il cielo, a cercare un colpevole, a chiedere che qualcuno venga in soccorso. Tutte cose che i friulani non hanno fatto. Anzi. Si sono immediatamente messi in azione per rimettere le cose a posto. Senza aspettare aiuti dall’esterno o senza prendersela con chi avrebbe potuto fare le cose diversamente.
Si sono messi subito da fare, fregandosene anche della retorica. Già, perché in caso di terremoto verrebbe da pensare subito alle case, ai bimbi, agli anziani, ai malati che devono al più presto trovare un tetto. Anche prefabbricato. Questo dice la retorica. Ma il Friuli degli anni settanta non era un luogo da retorica, era fatto di gente che lavorava duro per guadagnarsi il pane, dove invece degli starnazzi dei talk show regnava la semplice saggezza del vivere.
La retorica ti dice che prima bisogna pensare alle case, invece i friulani prima si sono occupati di quella che è la fonte di ogni fortuna, specie per terre povere come quella del Friuli. In qualunque comunità la cosa più importante è il lavoro, questo lo sanno i friulani che invece delle case si sono occupati di rimettere in sesto le fabbriche. Sì, perché una casa rende la vita migliore a una famiglia ma una fabbrica chiusa lascia in disgrazia tante famiglie. Prima il lavoro, poi la casa, questo il principio che ha guidato i friulani e che ha portato a rimettere a posto la loro terra dopo pochi mesi.
Ma c’è un altro episodio simbolo della ricostruzione. E’ che i friulani non solo si sono concentrati sulle fabbriche, ma hanno iniziato prima con una sola, con quella che era più importante: nel giro di tre giorni dal sisma la fabbrica più importante della zona ha potuto riprendere la produzione. Prima ancora di mettere mano alle altre fabbriche, di intervenire con dei piani che migliorassero in modo estensivo tutte le imprese o le case, i friulani sapevano che nelle macerie bisogna ripartire un passo alla volta, prima da ciò che è più importante e che può funzionare meglio e poi col resto. Questa è la chiave di una ricostruzione che è diventata una leggenda. In poco tempo il Friuli è rinato, meglio di prima, e senza sprechi di tempo e di soldi come è successo qualche anno dopo in Irpinia, dove si è seguita tutta un’altra logica: la logica del piagnisteo, della retorica del “prima una casa”, una retorica da applausi ma che ha mantenuto nel disastro un’intera regione, dissestando le finanze dello Stato.
La decisione più coraggiosa: prima Milano
L’anniversario del terremoto in Friuli è per noi il ricordo di uno straordinario esempio di capacità di risollevarsi. Un esempio che può essere utile per imparare a ricostruire l’Italia di oggi.
E’ inutile fingere che le cose stanno andando bene. L’Italia è in una condizione pessima. Sono quindici anni che arretriamo rispetto a qualunque altro paese. Arretriamo nell’economia, nella cultura, nella rilevanza politica. In ogni settore l’Italia sta segnando il passo e ogni anno di fatto perdiamo una città intera, costituita dalle centinaia di migliaia di persone che lasciano il nostro paese (170.000 nel 2015). Lasciano un paese dove il piagnisteo e la retorica la fanno da padroni. Il piagnisteo di quelli che si lamentano, che danno la colpa a qualcuno ma che evitano di darsi da fare, assumendosi la responsabilità di prendere decisioni coraggiose. Come quella di sfidare la retorica che dice che prima bisogna pensare alle famiglie, ai poveri, agli anziani e malati.
Serve coraggio di dire che in un paese in crisi economica, occorre ripartire dalle imprese, perché senza imprese non si produce lavoro e ricchezza con cui poter prendersi cura di famiglie, poveri, anziani e malati. Questa è stata la decisione chiave dei friulani per ricostruire la loro terra, questa è la decisione che dobbiamo prendere per risollevare il nostro paese riportandolo al rango che merita. Ma ancora non basta. Come i friulani nelle macerie non sono ripartiti per riparare tutto indistintamente, così anche noi dobbiamo concentrarci per ripartire da dove funziona meglio e dove si può produrre la massima utilità anche per gli altri. In Italia è solo una l’equivalente della fabbrica friulana che si è cercato di rimettere in moto il prima possibile: Milano.
E’ Milano il luogo da cui occorre ricostruire il paese. In un paese che sta decadendo, la cui unica reale politica sembra quella di rallentare il declino, occorre una svolta coraggiosa: quella di riconoscere che l’intero sistema dello Stato italiano non funziona più, è un sistema che penalizza troppo chi fa, chi produce, chi crea fortuna anche per gli altri, e invece avvantaggia troppo chi vive a carico degli altri.
E’ un sistema che invece di mettere al centro l’individuo nella sua realizzazione, mette al centro la macchina che amministra e che impiega più risorse a reprimere e a controllare che ad agevolare l’individuo che crea lavoro. E’ un sistema che difende chi vive di rendita invece che aumentare le opportunità per chi vuole produrre. E’ un sistema che fa scappare i migliori talenti e i possibili investitori, invece di attrarne dall’estero. E’ un sistema che conserva le macerie invece di spronare a ricostruire un futuro all’altezza del mondo di oggi.
Milano Città Stato per ricostruire il Paese
Per tutto questo occorre una svolta, che può essere fatta soltanto partendo da un luogo circoscritto, dal posto però che merita di avere più libertà e responsabilità, perché più di altri ha dimostrato di essere capace. Questo ha fatto Milano che negli ultimi anni sembra aver preso le distanze da una certa Italia, da quella nazione che aspetta, che si lamenta e che nulla fa.Milano è un’altra cosa. Milano è tornata a guardare all’estero senza complessi di inferiorità, ma in cerca di soluzioni che possano migliorare la vita dei cittadini. E’ tornata a misurarsi con il resto del mondo senza rinunciare ad essere un faro per la nostra nazione. E’ una città che seppur imbrigliata da una burocrazia centralista sta cercando di ritagliarsi dei suoi margini di autonomia.
Ora è tempo di sciogliere queste briglie e di ripartire da Milano per poter costruire un nuovo modello di Stato che possa poi estendersi al resto d’Italia. Milano ha bisogno di trarre ispirazione dal Friuli, da un popolo che nella sventura più grande ha avuto il coraggio e la dignità di ripartire da ciò che c’era di più di valore per la comunità. Non solo noi milanesi ma tutti gli italiani dobbiamo avere quel coraggio e quella dignità per dare più autonomia alla città che, se lasciata libera, può dare inizio alla ricostruzione di un nuovo Paese.
Milano è la città dei single. Per chi è solito apparecchiare tavola per una persona sola, esistono molte possibilità per prendersi una vacanza più o meno lunga da se stessi.
10 luoghi dove trovare l’amore a Milano
#1. Tinder
Ma vanno bene anche Meetic o Once, ultimo ritrovato per lasciare le vecchie forme del corteggiamento nel cassetto e andare subito al sodo. Un tempo era considerato una vergogna utilizzare questi metodi per rimorchiare. Oggi sta diventando perfino di tendenza. Detto questo perchè fa figo, la verità è che il mezzo principe per rimorchiare è Facebook.
#.2 L’Esselunga di viale Papiniano
Qualcuno sostiene sia una leggenda, anche se l’ultima riunion di quest’ autunno è stato uno dei più riusciti flash mob di tutti i tempi. Ora è stata appena rinnovata: da provare se il suo fascino funziona ancora.
#3. Nei locali, divisi per fasce d’età
Dai 16 ai 30 anni, massimo, si consiglia il Magnolia – Segrate, versione estiva. Dai 30-50: N’Ombra de Vin, via San Marco. Molto frequentato da divorziate e separate, specie il giovedì sera. 30 rampanti: Tasca, Colonne di San Lorenzo.
#4. Le feste in casa
E’ un evergreen nell’evergreen. Funzionano sempre, specie per gli under 14.
#5. Le Schegge clandestine e altri flash mob
Se amate la mazurka ma non trovate un uomo che solo lontanamente ne abbia sentito parlare. Se cercate una passionale compagna di tango. Se volete scatenarvi con il rock e il boogie ma vi manca un partner coraggioso quanto voi. Partecipare ad un flash mob aumenterà la possibilità di trovare persone con gli stessi vostri interessi.
#6. La palestra
Per quelli che non hanno fantasia.
#7. In uffficio
Idem come sopra, solo che ci sono più possibilità di incontrarsi: uno scontro girando l’angolo in corridoio, uno sguardo furtivo all’ultima riunione, un paio di giri insieme in ascensore ed è fatta. Metodo molto gettonato dai fedifraghi e da chi ama storie ad alto tasso di rischio.
#8. Iscriversi a un corso
Altrettanto scontato, ma fondamentale se volete che la vostra prossima relazione si basi sul piacere degli stessi hobby e la voglia di viverli insieme. Per chi sogna una storia definitiva.
#9. Fare il pendolare con i mezzi pubblici
E’ il metodo più romantico. Da film francese della nouvelle vague. Per cuori da leone.
#10. Cambiare lavoro
Altra strategia molto gettonata. Specie per chi ha perso interesse per colleghi o colleghe. O per il proprio capo.
A Montreal amano molto le sfere. Non parliamo delle boule de neige che se le capovolgi fai nevicare su Milano, sull’Empire State Building, sulla Torre Eiffel o sul Taj Mahal. No, nella città canadese fanno le sfere in grande: presto ne sorgerà una imponente, collocata nell’ampio Parc Jean-Drapea accanto alla già esistente Buckminster Fuller Institute opera realizzata quando Montreal aveva ospitato Expo nel 1967 (foto sotto).
Se tanta ammirazione desta la grande sfera creata nel 1967 dall’architetto americano Buckminster Fuller e oggi museo dell’ambiente, oggi Biosphére, Musée De L’Environnement, ci si chiede come sarà, dal vivo, quella progettata dallo Studio Dror.
La nuova sfera, che dialogherà con la precedente ma sarà mimetizzata da un grande manto verde, composta da un reticolato di alluminio dal diametro di centocinquanta metri, ricoperto da fiori e rampicanti. Sarà un enorme parco aperto per attività culturali e sportive, con un auditorium dedicato all’ambiente e uno all’ecologia, spazi dedicati al relax e alla socializzazione, una ciclabile tutto intorno.
Un'”kolossal” scelto come simbolo dei festeggiamenti per il “trecentosettantacinquesimo anniversario della fondazione della città di Montreal, ma anche il cinquantesimo anno dall’Expo del 1967 che la città canadese aveva ospitato”, riporta Festivaldelverdeedelpaesaggio che fornisce anche i primi rendering.
Una scelta questa che dice molto del valore che per Montreal ha l’ambiente vissuto come spazio pubblico che deve far star bene la propria cittadinanza. E noi, che a Milano esultiamo per un campo da basket coperto di legno, speriamo in altre tracce di Expo capaci di meravigliare il mondo. Magari, senza aspettare il 2065.
Dopo aver parlato di NoLo, ecco un’altra area di Milano in grande trasformazione. E’ Gorla,ieri quartiere di fabbriche, oggi micro Silicon Valley costellata di manifatture 2.0.
Due pagine Facebook identificano questo quartiere come SOS – South of Sesto, chi ci lavora la chiama affettuosamente ‘Gorlistan‘, eppure un nome ufficiale ancora non c’è, mentre c’è chi ne vuole proporre uno all’amministrazione.
Uno dei pionieri di questa trasformazione è Nicola Brembilla (foto a destra). Architetto bergamasco fondatore dello Studio Hypnos e da dieci anni a Milano, Nicola è titolare dello spazio di coworking Unità di Produzione che ha fondato in via Cesalpino 7. Si trova nell’ex Fabbrica Saviotti, officina che produceva forni industriali a due passi da Viale Monza e dal Naviglio Martesana e che Brembilla ha preferito al più mondano Corso di Porta Nuova.
E’ lui a parlarci di questo quartiere apparentemente anonimo e senza alcun elemento di identificazione: “Gorla è come Milano: è neutra, camaleontica, va attraversata e vissuta per amarla e questo è la sua risorsa. Tutte le attività innovative che si sono create all’interno, o gli stessi coworking, dall’esterno sembrano dei capannoni e non si vedono”.
Le fabbriche 2.0. di Gorla
Dentro Unità di Produzioneci sono sale ufficio e sale concerti, sale giochi, si scattano shooting fotografici, si tengono seminari, c’è una guest house. Poco più in là ecco What a Space, web company che è una sorta di airbnb per location, e poi Memethic Lab, società di ricerche di mercato e consulenza. C’è un ufficio stampa di musica e cultura metropolitana, la GPC, c’è Lasia, società di ingegneria industriale, ci sono diverse realtà di design, e ancora We Make, fab lab specializzata nella automazione e nel fare rete, “dove ti insegnano a costruire stampanti 3D, hanno macchinari per la tessitura, c’è una sartoria digitale: “A fondarla è Costantino Bongiorno, è uno degli allievi storici di Massimo Banzi, l’inventore di Arduino (soluzione open source nata nel 2005 a Ivrea per permette, a chi ha la passione dell’elettronica e ha a disposizione una strumentazione di base accessibile, anche economicamente, di creare soluzioni più o meno avanzate, N.d.r.)”, prosegue Nicola, che specifica, “parliamo di progetti sofisticati, ma con uno spirito di apertura grazie al noleggio delle proprie macchine: è la capacità di avviare il manifatturiero urbano in modo open, che è punta di diamante della zona“.
A meno di 200 metri dal suo coworking c’è l’unità di produzione c’è Sherwood di Giulia Trombin, l’airbnb per le attrezzature da utilizzare all’aperto. A 5 minuti a piedi ecco Talent Garden, altro grande spazio del lavoro condiviso in spazi comuni, e il Coworking Login, coworking tecnologico. Poi c’è TAC, il teatro dentro la fabbrica dismessa che include corsi, gallerie d’arte.
Vive dello stesso spirito ‘sharing’ anche la birreria John Barleycorn aperta da poco in Piazza Aristotele 14 e che permette di inserire delle essenze a scelta nella propria birra: ogni avventore qui si beve una birra unica al mondo.
La nuova Gorla: ecco perché non sarà come NoLo
Prosegue Brembilla: “Il concetto è dunque quello del ‘tutto all’interno. Noi stiamo cambiando passo per includere chi abita già in Gorla, perché possa continuare ad abitarci. Cosa che non accadrà a Nolo che era nato inteso in due sensi: quello geografico, come “North of Loreto”, quindi tutto quello che sta a nord di Piazzale Loreto, mantenendo quella storica propensione per cui ciò che dista dal centro di Milano vale di meno tanto più aumenta il raggio della distanza dal Duomo; e come “nolo nel senso di noleggio”, ovvero come spazio ad alto contenuto di sharing economy”.
“Di fatto”, prosegue, “il baricentro di NoLo si è spostato ancora più a sud, ovvero nella zona Piazzale Loreto, Piazzetta Morbegno, via Padova, Pasteur, e le vie subito a ridosso di Buenos Aires, delimitate nettamente dal Naviglio Martesana. NoLo ha assunto una connotazione più etnica, una specie di Belleville etnico-milanese rilanciata dalle gallerie e da una certa fetta di borghesi e creativi che stanno colonizzando il quartiere, con il conseguente innalzamento dei prezzi immobiliari el’espulsione degli abitanti a fronte di un boom del caro vita”, continua Brembilla.
Gorla: la call per il nuovo nome.
“Sull’analisi di quanto visto in NoLo”, SOS o Gorlastan o come si chiamerà “punterà sulla tradizione di lavoro, solidarietà, innovazione che sono sempre esistiti qui: all’interno di Gorla, e nessuno forse lo sa, c’è la casa editrice Bema che assume dentro di sé un coworking, e non molto diversamente si comporta anche l’Internet service provider, Enter“, spiega Nicola.
Valorizzare ciò che già c’è, senza che i suoi abitanti per questo siano costretti ad abbandonarla: ecco come sarà la nuova Gorla.
Da lì nasce la call informale, che forse diventerà un evento, per coinvolgere tutti, dentro e fuori il quartiere, a dare un nome all’area: “Abbiamo diversi nomi sul piatto che stiamo valutando, da NoMa –Norh of Martesana, a South of Sesto, che ribalta il punto di vista geografico dalla già citata prospettiva Duomocentrica ad un riferimento nuovo. D’altronde, SoHo è South of Houston, mica South of Manhattan”.
L’appuntamento è online o presso Unità di Produzione, Nicola mi farà sapere. Intanto, mi dice: “si accettano nuove idee per allargare e raccogliere fino alle ultime pieghe di creatività sparsa la possibilità di avere un nome efficace”. C’è un mese di tempo.
Sono milanese da poco, troppo poco per capire gran parte delle dinamiche della città. Però mi piace indagare e devo dire che i milanesi amano raccontare storie, soprattutto quando i protagonisti di queste storie sono loro e la loro città. I milanesi soffrono di narcisismo metropolitano.
L’altro giorno stavo tornando a Milano in treno, così ho attaccato bottone con il passeggero accanto a me. Un uomo sulla cinquantina milanesissimo. Abbiamo parlato un po’, a un certo punto gli ho chiesto cosa mi sono perso di Milano.
Lui ha risposto che la cosa che gli manca di più è il Burghy di Piazza San Babila.
Certo non parlava dei panini, né del locale. Quello che più gli manca è quella botta di colore che improvvisamente aveva decretato la fine degli anni 70. Il Burghy era disimpegno, disinteresse per la politica, era anche un modo per protrarre l’adolescenza.
Colore è la parola chiave. Milano è una città un po’ grigia che si colora come può, lo fa con i cocktail, con le luci delle discoteche, con la moda e con i mille eventi che organizza. Basta pensare ai mille colori dell’EXPO.
Burghy era una catena italiana, italianissima perché apparteneva ai supermercati GS (che facevano capo alla finanziaria pubblica SME). Strizzava l’occhio all’America ma chi lo frequentava non pensava di imitare nessuno, era qualcosa di originale.
Nel 1995 fu venduto a McDonald’s e l’anno scorso è stato chiuso per sempre.
3,3 chilometri: è la distanza tra Calabria e Sicilia. 16 chilometri: è la larghezza dello stretto di Øresund, tra Svezia e Danimarca. Nel tempo in cui in Italia si buttavano soldi per progetti mai realizzati, in Scandinavia su un tratto di mare di oltre 5 volte maggiore rispetto allo stretto di Messina, hanno costruito un ponte capace di sorreggere un’autostrada a quattro corsie e una linea ferroviaria a due livelli.
E così è stato.
La prima porzione del ponte termina su un’isola artificiale nel bel mezzo dello stretto. A questo punto è stata realizzata un’altra meraviglia: il ponte degrada dolcemente sotto il mare per inabissarsi in un tunnel sotterraneo.
Perché un design così inusuale? Per evitare di ostruire il passaggio degli aerei che atterranno nel vicino aeroporto di Copenhagen, così come per mantenere il traffico marittimo attraverso lo stretto.
E l’impressione dall’alto lascia senza fiato.
In questi giorni si sta parlando dell’installazione sul Lago d’Iseo di Christo che per qualche giorno consentirà di camminare sul lago. La meraviglia per queste opere è almeno pari all’umiliazione che proviamo per l’assenza di ponte tra Calabria e Sicilia: su un lembo di mare che in qualunque parte del mondo, qualunque nazione avrebbe già realizzato da decenni.
Una delle promesse di Expo Milano sarà mantenuta: “Manca poco alla sistemazione dell’area sportiva che sorge nei pressi del Parco Robinson” scriveva pochi giorni fa Milanosiamonoi.it.
Di qui a qualche settimana, passando per le vie Moncucco, La Spezia e Famagosta, zona sud ovest di Milano in direzione della Milano-Genova, si potrà rivedere il padiglione Expo di Coca Cola.
L’avveniristica infrastruttura color legno andrà a ricoprire due campi da basket, rendendoli nuovamente e meglio fruibili a tutti, d’ora in avanti anche alle persone disabili.
Il nuovo Parco Robinson è un parallelepipedo di 35 metri per 20, alto 12 metri, capace di coprire in tutto 1000 metri quadrati.
La multinazionale del beverage ha infatti mantenuto la promessa un anno fa e, complice anche il suo fisiologico legame con il mondo dello sport, ha permesso che il Comune di Milano usasse la sua installazione per coprire alcuni campi di basket già esistenti e incentivare la loro riqualificazione.
Ad occuparsi della collocazione e della inaugurazione del nuovo campo da basket di Milano è Palazzo Marino d’accordo con Coca Cola: “per trasportare colonne e travi di legno lamellare serviranno cinque camion. A differenza dell’edificio originario il “playground” coperto […] non avrà richiami all’azienda che lo ha donato”. (ph. Askanews.it).
Una bella novità che andrà a incidere, in meglio, anche sulla vita del quartiere, come ha evidenziato di recente l’assessore al Benessere, Qualità della vita, Sport e tempo libero del Comune di Milano Chiara Bisconti che, a proposito del lancio della notizia, ha parlato di roseo lascito di Expo e di un rapporto Coca Cola-Milano come “sano legame tra pubblico e privato“.
I temi legati all’alimentazione e alla sostenibilità ambientale messi sul piatto da Expo saranno nuovamente ripercorsi nel design dell’installazione, che è realizzata al 100% con materiali ecosostenibili: 142,38 tonnellate di legno, e poi vetro, acqua.
Circa un paio di anni fa avevo sentito parlare di una legge che permetteva di certificare una startup come ‘innovativa‘. Il mio pensiero è stato subito: “ok, la mia è un’idea fantastica, quindi non può che essere innovativa”, adesso cosa devo fare per registrarla?
Le cose non erano così semplici e i criteri sono molto diversi da quelli che possiamo immaginarci.
Cercando in rete, oggi, ho trovato molti siti e blog che parlavano di “che cosa è una startup innovativa” e dei requisiti base per definirla tale: peccato che nessuno fosse così preciso e di semplice lettura – come quello del registro delle imprese – al tempo in cui ho cominciato io. Da quando ho provato ad effettuare la registrazione le cose sono un po’ cambiate, per fortuna in meglio, le informazioni sono aumentate e questo rende l’operazione molto più facile. Vediamo insieme la procedura completa.
Step 1. Informarsi
Prima di tutto bisogna essere aggiornati sulla normativa per comprendere quali sono i criteri e le agevolazioni per le startup “innovative” .
Per le Agevolazioni vi rimando al link dello Sviluppo Economico. I Criteri li trovate qui di seguito:
1. E’ costituita da non più di 60 mesi dalla data di presentazione della domanda e svolge attività di impresa. In poche parole se la vostra azienda è più vecchia, casomai potete rientrare come PMI innovativa, ma per quello avete bisogno di un altro tutorial.
2. Ha la sede dei propri affari e interessi in Italia. Quindi, se avete registrato un LTD in Inghilterra perché costava meno, scordatevi di rientrare come Startup innovativa in Italia.
3. A partire dal secondo anno di attività il totale del valore della produzione annua, così come risultante dell’ultimo bilancio approvato entro sei mesi della chiusura dell’esercizio, non è superiore ai 5 milioni di euro. Scusate ma in caso contrario vorreste definirvi ancora startup?
4. Non distribuisce e non ha distribuito utili. Idem come sopra.
5. Ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Della serie ci potete far rientrare un po’ tutto quello che volete.
6. Non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.
E adesso arriva il bello: se fino a questo punto avete esultato, flaggando ogni punto con ce-l’ho, ce-l’ho, ora vediamo se riuscite a superare il punto 7.
Il punto 7 è quello più complesso e starà a voi autocertificare che almeno uno dei tre requisiti che sto per elencare è in vostro possesso:
7.1 Le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15% del maggiore valore tra costo e valore totale della produzione della startup.
7.2 i due terzi della “forza lavoro” della startup deve avere una laurea magistrale o sta svolgendo un dottorato di ricerca (semplificato ma in grandi linee è così )
7.3 E’ in possesso di un brevetto.
se rientrate nei 7 punti sopra elencati potete definirvi una startup innovativa. Adesso dovete solo formalizzare il tutto.
Step 2. La modulistica necessaria
Ho ancora in mente il sapore del successo di aver superato il primo step. A quel punto credevo mi bastasse autenticare un modulo per registrare la mia startup nell’elenco delle startup innovative. Quindi, vado avanti e scarico il modulo dall’apposito link del Registro Imprese per le startup, questo.
Adesso inizia la parte complicata, seguire tutti gli step dei sistemi informativi del registroimprese. Ripetevo dentro di me, Puoi farcela, puoi farcela, ripetetelo con me, Puoi farcela, puoi farcela. Andiamo al punto due, e vi allego passo per passo tutti gli step, reperibili anche dalla seguente guida online.
Per predisporre e spedire una pratica è necessario disporre di:
1. un dispositivo (Smart Card o Token USB) per la firma digitale; 2. una casella di posta elettronica certificata. L’accesso ai servizi di registroimprese.it è disponibile; 3. Dopo la connessione a ComunicaStarweb (starweb.infocamere.it), va selezionata in alto, a sinistra, l’opzione “Variazione” del Menu “Comunicazione Unica Impresa”.
Allora compare una pagina: dovrete compilare i campi relativi alla CCIAA destinataria ed al codice fiscale dell’impresa oppure al numero di iscrizione REA presso la CCIAA della provincia ove ha sede dell’impresa.
Selezionando il bottone “Dati Impresa” viene automaticamente individuata l’impresa presente negli archivi del registro delle imprese della provincia selezionata.
4. A questo punto, selezionando “Dati Impresa”, dopo il ribaltamento dei dati dell’impresa, viene proposta una lista di gruppi di possibili comunicazioni di variazione come sotto indicato: le voci che interessano ad una impresa startup sono nel gruppo “Startup innovativa / Incubatore certificato”.
Step 3. Se siete giunti sino a questo punto potete considerarvi quasi arrivati al traguardo.
1. Fare l’iscrizione alla Sezione Speciale: Dal gruppo “Start-up innovativa/Incubatore certificato/Piccola-Media Impresa innovativa” selezionare l’opzione “Iscrizione alla Sezione Speciale Startup innovativa” e il bottone “Continua”.
2. Se l’impresa non ha ancora comunicato l’indirizzo del proprio sito Internet, sarà necessario farlo contestualmente, selezionando anche la voce “Variazione indirizzo della sede nello stesso Comune” del gruppo “Dati sede”.
3. Nella pagina dedicata all’iscrizione alla Sezione è necessario indicare la data di avvio della startup innovativa e, nei rispettivi campi di testo, tutte le nuove informazioni previste dalla legge:
l’attività e le spese in ricerca e sviluppo;
i titoli di studio e le esperienze professionali dei soci e del personale che lavora nella startup innovativa;
l’elenco dei diritti di privativa su proprietà industriale e intellettuale;
l’esistenza di relazioni professionali, di collaborazione o commerciali con incubatori
certificati, investitori istituzionali e professionali, università e centri di ricerca;
Dichiarazione possesso del requisito art.25 comma 2 lett. g) n.1 relativo alle spese in ricerca e sviluppo;
Dichiarazione possesso del requisito art.25 comma 2 lett. g) n.2 relativo alla forza lavoro;
Dichiarazione possesso del requisito art.25 comma 2 lett. g) n.3 relativo ai brevetti;
l’elenco delle società partecipate estere;
l’autocertificazione di veridicità dell’ elenco dei soci, con trasparenza rispetto a fiduciarie, holding;
i settori di attività esclusive in caso di Startup a vocazione sociale.
4. Ora bisogna alle gare l’autocertificazione di cui parlavo nel punto “1” e che vi ripropongo al seguente link: stampatelo, compilatelo, firmatelo e scansionatelo.
5. Quindi si allega l’autocertificazione prodotta in formato pdf/A-1B/2B con firma digitale, con codice documento D30 e descrizione “STARTUP-DICHIARAZIONE REQUISITI (DL 179/12 ART.25 C.3-9-15)”
6. Al termine il sistema richiede la firma digitale della comunicazione unica. La fase d’invio si conclude con l’indicazione dell’esenzione da diritti e bolli e con la conferma della trasmissione telematica. Tutti gli avvisi di conferma di ricezione e iscrizione giungeranno alla casella PEC del mittente.
FATTO!!
Concludendo: posso dire che non è stato poi così difficile.
A Milano Città Stato l’alimentazione è considerato un tema importante, al pari di istruzione, economia, autonomia [IL PROGETTO].
Ecco la prima mappa di Milano in cui ogni fermata è associata a un ristorante, bistrot, negozio, alimentari, indirizzo consigliato da chi è attento al tema del cibo, inteso come strumento del benessere. L’abbinamento è stato fatto perché il luogo è in prossimità se non proprio presso la fermata della metropolitana corrispondente. Biologico, vegano, vegetariano: ecco la mappa dei luoghi vicini alle fermate della metro.
La fermata Porto di Mare mi ha sempre incuriosito: perché si chiama così, non c’è manco un lago ed è incastonata tra la Rogoredo presa d’assalto dai pendolari e una Corvetto così urbanizzata?Cosa c’entra il mare?
Ogni volta che parlo della fermata di Porto di Mare mi vengono in mente i toto scommesse con gli amici di gioventù, ovvero di quando si prendeva la linea gialla verso Duomo e si provava a indovinare quante persone sarebbe salite o scese. Le cifre si aggiravano su nessuna, una, due, tre al massimo, e in genere ci azzeccavamo.
A distanza di qualche anno, qualche utente in più c’è grazie alla presenza di una palestra alla moda, la recente apertura di un american diner, l’inarrestabile suono del Karma e qualche cascina resistente al tempo che passa, con trattoria al seguito. Tutto intorno sono rimasti i casermoni e un quartiere – tra via Cassinis, via Fabio Massimo, via Gaggia – tagliato a metà dal raccordo tra Piazzale Bonomelli e l’imbocco alle autostrade. Molte novità, ma ancora niente mare e neppure un fossile di qualche precedente era geologica.
Il rilancio di Porto di Mare (che non inizia mai)
Il 6 aprile 2016, la fermata e per esteso il quartiere Porto di Mare sono tornati alla ribalta per la visita del Ministro Pier Carlo Padoan e la proposta di un progetto di riqualificazione urbana che, riporta IlGiorno riguarderà la messa a punto di “un’area pulita […] dall’amianto e da tutto, tranne che gli edifici storici come la Cascina San Nazzaro e Cascina Casottel […], spazio per attività artigianali e produttive, per strutture sportive, ma non per il residenziale, se non in particolari forme come studentati e alloggi per le famiglie degli ospedalizzati”. Costo complessivo: tre milioni di euro “che il Comune ha risparmiato nella transazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze (fonte. ilGiorno.it).
Solo a novembre 2013, MilanoToday titolava: “Milano: La rinascita della zona di Porto di Mare. […] Il nuovo piano regolatore prevede che entro Expo 2015 si procederà con la realizzazione di housing sociali, con la costruzione di un villaggio dello sport, comprensivo d’impianti di atletica, golf e tennis, e una parte sarà destinata a parco (almeno il 50% della superficie territoriale). La travagliata storia di questa immensa area risale però al lontano 1941.”
Facciamo allora un tuffo nel passato per capire la vicenda per intero.
Le origini del mistero di Porto di Mare
1884. Il piano regolare (PRG) Beruto è in atto: si prevede la scomparsa dei canali dal centro città. “In questi anni l’Ing. Paribelli del Genio Civile propose di creare un nuovo porto che mettesse in comunicazione Milano al mare (naturalmente via Po)”, spiega il portale Vecchiamilano, che spiega come questa area collocata tra Rogoredo e il primo confine di Milano fosse ritenuta una zona appetibile, perché ‘vergine’, spaziosa, rurale e quindi adatta a far convogliare tutte le acque del milanese.
1907. Il Genio civile di Milano presenta il progetto per cui il porto a Rogoredo a sud di Porta Romana sia il naturale punto di convergenza delle acque che defluiscono dalla città. In pratica si trattava di creare nella zona una nuova Darsena.
Perché una nuova Darsena a Milano?
La risposta è ben spiegata da Storiedimilano: “La Darsena era infatti ormai insufficiente per la mole enorme di materiali trasportati via barconi dal Po e dal Lago Maggiore, tramite rispettivamente il Naviglio Pavese e il Grande. Il numero di imbarcazioni (oltre 70 al giorno) superava quello di porti affermati come quelli di Brindisi, Bari e Messina. Si trattava però di imbarcazioni di modesta portata (40/80 tonnellate) molto inferiori ai battelli di 600 tonnellate che percorrevano i canali francesi e che avrebbero potuto navigare da Milano a Venezia lungo il Po. Il Pavese era caratterizzato da 12 chiuse per superare il dislivello che rallentavano enormemente il tragitto. Anche il percorso dal Lago Maggiore era lunghissimo, giorni di navigazione e traino. Il Genio Civile presentò quindi il progetto di una enorme serie di darsene localizzate nel punto ove tutte le acque di Milano, di superficie e di falda, tendono a colare, la zona a sud dell’attuale Piazzale Corvetto.”
Il grande bacino avrebbe compreso 5 enormi moli di attracco, subito dopo ridotti a 4, sarebbe continuato verso nord, allacciandosi alla Martesana, passando ad est dell’Idroscalo, per connettersi con le linee ferroviarie di Rogoredo e di Porta Romana.
La storia non finita del Porto di Mare di Milano
1917. E se l’attuale via Fabio Massimo e limitrofe ospitassero una nuova Darsena per dismettere definitivamente quella Ticinese? Il Comune dice di sì: il piano Beruto e la copertura dei Navigli si avvia alla sua seconda fase, con buona pace dei mercantili che, arrivando a sud di Milano, non avrebbero dovuto varcare le dodici conche del Naviglio Pavese.
1918. Viene costituita l’azienda portuale.
1919. Inizio dei lavori di scavo del Porto di Milano per creare il grande bacino portuale e di spezzoni di canale diretto verso Cremona per 20 chilometri. Si scava. L’acqua di falda riempie lo scavo. Corvetto diventa un’area gradita ai pescatori e, d’estate, ai bagnanti.
1922. Blocco dei lavori. Inizio della trafila.
Dal 1925 al 1928: l’area viene anche sfruttata come cava per la ghiaia da utilizzare per la costruzione del nuovo quartiere popolare Regina Elena che stava sorgendo in piazza Gabrio Rosa sotto la direzione dell’architetto Giovanni Broglio (fonte: Wikipedia).
Anni ’30. L’Ing. Baselli del Comune amplia il progetto in vista della realizzazione di un nuovo grande canale, il Naviglio Grande, di collegamento tra il Naviglio Pavese e l’area di Rogoredo, dal Lago Maggiore e fino a Cremona così da raggiungere il Po. Progetto approvato.
1941. Tutto è pronto per partire, ma l’Italia è entrata in guerra.
1953. La nuova Darsena di Corvetto-Rogoredo è compresa nel nuovo piano regolatore. Il Comune torna nuovamente sul progetto, ma per la terza volta tutto si ferma.
1972. Viene il turno di Regione Lombardia che dichiarando la priorità dell’opera per i commerci. Per questo viene fondato il Consorzio Canale Milano-Cremona. Nuovi terreni vengono acquistati. Si scavano 20 chilometri di Canale tra Cremona e l’Adda.
31 marzo 1979: nella Darsena di Ticinese arriva l’ultimo barcone con il suo carico di sabbia. “Milano da quel giorno rimarrà una città senza porto”, Vecchiamilano .
1991. Arriva la metropolitana. Qui si dispone una fermata, la “Fabio Massimo”, ma si preferisce dedicarla all’opera mai conclusa.
Ecco la risposta. La fermata e l’intero quartiere Porto di Mare sono un omaggio ad un mai finito progetto milanese.
Il resto, è storia più recente.
Il Consorzio Canale Milano-Cremona viene messo in liquidazione del 2000. Il canale Cremona- Adda giace tra i campi inutilizzato, “addirittura negli ultimi anni si è reso anche responsabile di danni ai campi vicini a causa dell’assenza totale di manutenzione e la Regione dovrà sborsare altri soldi per risistemare l’alveo” scriveva la nostra fonte nel 2013, che conclude, “nel 2009, infine, il colpo di grazia venne dal progetto di costruire nella zona la “Cittadella della Giustizia” andando così a far naufragare definitivamente il progetto del porto e a distruggere un’ulteriore area verde di Milano”. Nei piani si sarebbe trattato di 1.200.000 metri quadrati di uffici e servizi, poi slittato di un anno, con l’avallo del ministero della giustizia, ripresentato nel 2010 e nuovamente messo da parte.
Ora una nuova bonifica tra amianto, allontanamento degli inquilini occupanti o senza contratto, sfruttamento di minori e prostituzione.
Un mare di problemi, insomma. Nessun tuffo nella nuova Darsena di Milano che è tornata ad essere quella di Ticinese.
Foto cover – dettaglio di via Marochetti angolo Brizi fotografata nel 1937 da Antonia Pozzi (fonte: Digilander.libero.it)
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Se vi hanno stupito i vagoni dei treni della metropolitana coreani dagli straordinari trompe l’oeil, se vi è piaciuta l’idea di fare Milano-Genova in 15 minuti comodamente trasportati da un ‘siluro’, allora non potrà non sorprendervi il treno invisibile già Pritzker Architecture Prize, il Nobel dell’architettura.
Sono passati sei anni da quando l’architetto giapponese Kazuyo Sejima, cofondatore dello studio Sanaa, presentava al mondo il primo treno in grado di mimetizzarsi con l’ambiente.
Il Seibu Railway, questo il suo nome, è realizzato con un materiale semiriflettente dall’effetto trasparente, quasi invisibile, “un’originale discrezione minimalista che non rovina il paesaggio e merita un applauso”, lo descrive chi, tra i primi in Italia, ha rilanciato questa storia, Futurix.it.
Esterno semi invisibile grazie alla sua superficie tecnologica. Interno più che rilassante e comfortevole, pensato per garantire il massimo dell’assorbimento nell’ambiente circostante da parte dei passeggeri.
L’idea è partita per il centenario della società ferroviaria, “e creare un concetto di treno con un aspetto senza precedenti dentro e fuori”, spiega la Seibu Railway.
Per provarlo, bisognerà tenersi pronti: partenza dal Giappone e tutti in carrozza entro il 2018.