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Le avventure da sogno per i bimbi malati: dagli Usa il giro del mondo virtuale

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E’ tempo di pensare alle vacanze estive. Alzi la mano chi non lo fa. Purtroppo c’è chi la mano non la alza perchè ha altro a cui pensare: sono i malati gravi che sono ricoverati in ospedale. Milano Città Stato ha come priorità quella di favorire la realizzazione di ogni persona ampliando ogni opportunità. Questo vale anche per chi è malato e in particolare per i bambini malati di tumore. Per questo seguiamo con grande attenzione il progetto nato per i bambini del St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, Tennessee, Stati Uniti.

Loro non possono muoversi per mesi o, nella peggiore delle ipotesi, per anni. Sono bambini che non possono viaggiare nè vedere il mondo. E allora Expedia, il noto vettore di viaggi, si è detto “onorato” di collaborare con l’agenzia 180LA per fare in modo che fosse il mondo ad entrare tra le mura dell’ospedale e dentro gli occhi dei piccoli pazienti.

Nasce così il progetto “Dream Adventures” che ha regalato momenti di svago e felicità ai baby malati, portandoli nel cuore di una corsa di cavalli a perdifiato; a spasso nei fondali marini con banchi di pesci pagliaccio; tra gli scavi archeologici impegnati a riportare alla luce le ossa di un dinosauro; o in mezzo ai giochi delle scimmiette della Florida della Monkey Jungle di Miami.

Alcune persone dello staff di Expedia, Sara, David, Chera e Reenie, si sono messe in viaggio attrezzati con una “videocamera a 360 gradi, una tecnologia streaming testata per ridurre al minimo interruzioni ed eventuali difetti di proiezione e uno spazio esperienziale allestito all’interno dell’ospedale: un lavoro che ha richiesto del tempo, ma che è stato ampiamente ripagato dalle espressioni di gioia e stupore dipinte sui volti dei quattro pazienti coinvolti nel progetto” spiega Thenexttech.startupitalia.eu. Così sorprendente che, se c’è stato chi non ce l’ha fatta, qualcun altro ha potuto avere anche dei leggeri miglioramenti sul proprio stato di salute perché stimolato dalle emozioni felici date dal contatto diretto con esperienze così uniche e irripetibili.

Sara, David, Chera e Reenie: i quattro viaggiatori con alle spalle storie di malati oncologici tra i loro affetti o che sono sono riusciti a sconfiggere un tumore (Sara, al cervello). Le loro esperienze di vita e la loro energia ha dato ulteriore slancio a questi videoracconti, affinché i bambini potessero vivere ancora più a 360 gradi la loro “avventura da sognoimmersi in un ambiente, quello dell’ospedale, appositamente ri-creato per loro.

Si tratta di un’installazione che, a mò di un libro, si apre di fronte e tutto intorno, sopra e sotto il paziente, avvolgendolo e proiettando su pareti, pavimento e soffitto immagini in streaming, riprese dalla videocamera a 360 gradi.

Un’installazione divenuta permanente perché, come spiega la presentazione dell’iniziativa, “vedere il mondo è un’esperienza talmente forte che tutti dovrebbero avere la possibilità di provarla”. Anche tra le mura di una struttura ospedaliera nel Tennesse.

Chissà che non possa diventare un’esperienza a cui aderire – come volontari o come parenti di malati oncologici – anche per le strutture italiane.

Fonte: The Next Tech Startup Italia

Il ponte di Porta Romana: un progetto per collegare le aree attorno all’ex scalo ferroviario

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Milano è una città piatta e di dimensioni tutto sommato ridotte. Sembra facile percorrerla ‘coast to coast’: si è stimato che l’interramento dei Navigli abbia portato un risparmio di 2 ore sull’attraversamento della città.
Eppure ci sono due problemi che rendono ostico girare a Milano. Il primo è il traffico, il secondo sono resti di isolati o scali ferroviari caduti in disuso.

Abbiamo già scritto dell’idea di riqualificare e restituire alla città lo scalo Farini, con spiagge e kitesurf con vista sui grattacieli di Piazza Gae Aulenti.

E’ invece di questi giorni il progetto portato alla luce dal blog.urbanfile.org di realizzare un un ponte sull’ex Scalo di Porta Romana (viale Isonzo-Corso Lodi). 

Il progetto prevede una passerella ciclo-pedonale “da realizzare in tempi brevissimi, con un investimento ridotto, senza compromettere le future scelte di riassetto complessivo del comparto” e sostenibile dal punto di vista ambientale. Ecco come sarebbe:

ponte scalo romana

 

Il progetto del ponte sull’ex Scalo Romana

Secondo il portale blog.urbanfile.org la passerella di circa 250 metri partirebbe dall’attuale Largo Isarco, accanto all’ingresso di Fondazione Prada, e, superando l’area dismessa e oggi inaccessibile dello Scalo Romana, arriverebbe al di là della ferrovia, in zona Piazza Trento-Viale Isonzo.

Un ponte altissimo? Non proprio: la rampa verrebbe pensate con una pendenza del 5%, quindi affatto ripida, così da permetterne l’utilizzo diffuso anche dalle persone affette da disabilità.

Un ponte bruttissimo? No, perché sarebbe realizzato con un’ossatura modulare prefabbricata in acciaio, un piano di calpestio in legno, quindi riciclabile una volta dismessa, e che si integrerebbe con i colori circostanti.

Di notte? Verrebbe illuminata per aumentarne la fruizione, la sicurezza e l’evidenza delle sue caratteristiche: se si seguisse il progetto del Centro Studi TAT  di via P. Diacono 9, Milano (composto da Fabrizio Schiaffonati, Elena Mussinelli, Arturo Majocchi, Andrea Tartaglia, Matteo Gambaro con Giovanni Castaldo, Adriana Granato, Martino Mocchi, Raffaella Riva), il Ponte di Porta Romana verrebbe “realizzato con una struttura a secco e con limitati elementi fondazionali”, senza richiedere “opere di bonifica o di trattamento preventivo dei suoli“.

Chi paga? Nella più rosea delle possibilità, il finanziamento della struttura temporanea “potrebbe basarsi sull’intervento diretto degli stakeholder (partenariato pubblico-privato) e su alcune forme innovative quali il crowdfunding civico.

Aspetto questo che porterebbe Milano in linea con gli scenari di altre città europee, dove operatori pubblici, privati e gli stessi cittadini collaborano e insieme decidono e realizzano le trasformazioni della loro città.

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Fonte e foto: http://blog.urbanfile.org/2016/04/20/milano-i-porta-romana-uno-sguardo-sul-ponte/

Il primo Ministero del Futuro è in Svezia e lo guida una donna

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Kristina Persson
ministro futuro donna svedese

Il best seller di qualche anno fa, Uomini che Odiano le Donne, e la trilogia di Millennium portavano agli occhi dell’opinione pubblica l’alto tasso di violenza sulle donne di cui era vittima Stoccolma. Allora i protagonisti erano Mikael Blomkvist, giornalista economico di discreto successo alle prese con la risoluzione di un giallo, e Lisbeth Salander, giovane hacker punk vittima di abusi. Un successo editoriale lungo tre libri e altrettanti film che ha conquistato il mondo. [nella copertina, una scena dalla trilogia con i due protagonisti]

Lisbeth era il simbolo di una donna libera, che si batte per i suoi diritti e per diventare protagonista del suo futuro. Una donna che ha incarnato lo spirito dei tempi. La Svezia è rimasta un’avanguardia, capace di anticipare le tendenze di tutto il mondo, specie se si parla di ambiente, tecnologie e di innovazione.

Un’innovazione che investe anche ciò che di solito è più ostile al cambiamento: la politica. E’ stato creato il ministero del Futuro e alla sua guida è stata scelta una donna. Vediamo di chi e di cosa si tratta.

Il profilo del primo ministro del Futuro

Si chiama Kristina Persson, ha 71 anni [foto a destra]. kristina persson

Con un passato nel sindacato ed una carica pregressa al ministero della Finanza e alla Banca Centrale di Stoccolma, la Persson fa parte del Partito Socialdemocratico dei Lavoratori di Svezia, il più vecchio partito svedese, 1889, esattamente quello che, nel corso del XX secolo, ha contribuito in maniera decisiva all’evoluzione del cosiddetto modello svedese.

Il credo del SAP si basa su una politica capillare di welfare basata su una forte tassazione, come spiega la Signora Ministro: “In Svezia si pagano tante tasse? Io sono orgogliosa di pagarle perché abbiamo una buona governance e spendiamo bene i soldi delle tasse, anzi ne pagherei anche di più visto che portano servizi”.

Femministi convinti, fan dell’uguaglianza in tutte le sue forme, in forte opposizione con qualsiasi tipo di discriminazione e razzismo, i sostenitori del SAP rappresentano quella ‘terza viatra l’attitudine liberista elogiata dal Financial Times e le ambizioni socialiste che tanto piacciono alla sinistra.

E dunque, la messa a punto di un Ministero per il Futuro, il cui nome completo è Ministro per le strategie future e per la cooperazione nordica, si colloca proprio tra queste due strade.

A cosa serve il Ministero per il Futuro?

A promuovere il cambiamento e l’evoluzione delle pubbliche amministrazioni, con una visione lungimirante, detto in estrema sintesi.

La Peerson l’ha spiegato per esteso in una bella intervista, noi per praticità lo riportiamo per punti:

  • parità di genere e uguaglianza
  • innovazione e cambiamento
  • fiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini svedesi
  • un settore pubblico molto forte e privo di corruzione
  • buona governance
  • ridurre la diseguaglianza
  • rafforzare la cooperazione a livello europeo, “che oggi si è indebolita, poiché le risorse
  • dei singoli governi non sono sufficienti”
  • flessibilità
  • creare la felicità

E così, dopo le politiche di welfare e promozione attiva dell’uguaglianza (anche tra uomini e donne), il congedo parentale esteso a 18 mesi, “di cui 12 pagati a stipendio pieno” ricorda il sito de IlSole24Ore, dopo le start up tecnologiche, i mobili e le saghe nordiche, ecco un motivo in più per ammirare la Svezia.

 

Foto cover tratta da “Uomini che Odiano le Donne”

Dall’Estonia, la biblioteca nel bosco creata dagli studenti – FOTOGALLERY

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La notizia della biblioteca naturale, realizzata in un bosco da un gruppo di studenti di architettura sostenuti dall’accademia estone delle Arti e dalla comunità locale, nei pressi della foresta di Võru, è di per sè una meraviglia, soprattutto se collocata in un’epoca, la nostra, stracolma di rumori e inquinamento anche acustico; in un ambiente pieno di materiali di scarto che scarseggiano ad essere riutilizzati; in un sistema che vede, impotente, giovani promettenti cui spesso non vengono date le giuste chiavi per sfruttare i loro talenti. Ancora più meraviglia desta sapere che quella biblioteca ha la forma di tre megafoni di legno enormi, del diametro di 3 metri, e che è diventata una location per eventi. 

Questa meraviglia si trova in Estonia.

I tre mega-megafoni di legno dalle forme coniche, in lingua estone si chiamano “ruup“, sono la risposta di un team di giovanissimi [fotogallery] alla ricerca di un luogo franco in cui rinfrancare corpo, spirito, sensi, e sentirsi fisicamente, oltre che emotivamente, cullati dalla natura.

Una vera e propria biblioteca all’aperto i cui “libri” sono i singoli elementi di flora e fauna che naturalmente si muovono nell’ambiente e regalano un po’ di sé a chi si lasci abbracciare da queste enormi strutture. Megafoni-culle-amplificatori che sono stati costruiti a impatto zero sul bosco in cui si trovano, e che servono ad ascoltare, a suonare strumenti musicali, a meditare,a condividere un’esperienza sostenibile e unica.

Una storia che sembra una favola, e che apre ad una serie di domande.

La prima. Perché in Estonia?: “Il segno distintivo dell’Estonia è sia l’abbondanza di suoni sia il silenzio che si trovano nella foresta”, ha osservato Valdur Mikita, scrittore e semiologo coinvolto nel progetto. “Nel megafono si possono ascoltare i pensieri. E’ un luogo per la navigazione del ‘libro della natura’, per l’ascolto e la lettura della foresta attraverso il suono”, riporta Lifegate.it.
C’è da aggiungere anche che l’Estonia, come buona parte dei paesi del Nord Europa, è particolarmente sensibile alle tematiche ambientali, soprattutto considerato che ben il 45% della superficie di questo Paese è coperta da foreste. Ma bisogna pure ricordare che proprio le foreste costituiscono la risorsa naturale principale di questa parte del mondo affacciata sul mar Baltico.
Non è dunque un caso se proprio da queste parti l’attivismo ambientale è molto forte, e se l’Estonia si classifica tra le prime nazioni “al mondo per innovazione, diffusione e utilizzo delle nuove tecnologie”.

Perché dei megafoni di tre metri di diametro? Per offrire ampi spazi all’interno, per la lettura e per il riposo. Ma anche perché siano rifugio “per visitatori ed escursionisti di passaggio, ma anche una piattaforma per lezioni all’aperto, piccoli eventi culturali e concerti”.

Qual era l’obiettivo degli studenti? Creare un bosco-biblioteca vicino al centro naturale Pähni che amplificasse i suoni tranquilli della natura, come i cinguettii degli uccelli e il fruscio delle foglie.

Quando provare gli EKA sisearhitektuur appena fuori Tallin? Ecco i prossimi due appuntamenti:

Per saperne di più, anche se non si parla l’estone: www.ruup.ee | Facebook: www.facebook.com/EKAsisearhitektuur/?fref=ts | Hannes Praks – EKA sisearhitektuuri osakonna juhataja – hannes.praks@artun.ee – +372 527 3626.

 

Foto: EKA sisearhitektuur Facebook e sito web (by Tõnu Tunnel, Henno Luts, Renee Altrov)

Corso Sempione, gli Champs-Elysées di Milano: in futuro sarà così?

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In questi giorni di su e giù per il Fuorisalone e per Milano, di riflessioni su architettura e design, di ripensamenti a Expo e ai progetti di un anno, è emersa una domanda che già si poneva il blog.urbanfile.org, che scriveva: “Zona Sempione – Che fine ha fatto il progetto di Álvaro Siza?“.

Sempione: cos’era

Facciamo un salto nel tempo e nello spazio.
Torniamo alla Milano di età napoleonica. Al 1801. A Parigi i suoi “Campi Elisi”, gli Champs-Elysées. Quel lungo viale alberato con partenza dall’Arco di Trionfo su cui oggi si proiettano negozi del lusso e indirizzi prestigiosi, meta imperdibile per i turisti di passaggio e per il passeggio dei parigini.
Secondo i piani dell’imperatore corso, anche Milano avrebbe avuto la sua omologa, con l’Arco della Pace in partenza alle spalle di Castello Sforzesco, allora Piazza D’Armi, e la traiettoria definita, pulita, neoclassica verso Parigi.

Milano, Sempione: cos’è

Un po’ le vittorie e le sconfitte della storia; un po’ la capacità tutta italiana di lasciare i lavori in corso e fare dei grandi progetti enormi sprechi; comunque sia il grande asse Milano – Parigi non si è mai concluso. Oggi lo sappiamo: l’Arco della Pace è diventato sinonimo di movida; l’asse Sempione è diventato uno stradone a tre corsie con parcheggio selvaggio e disordinato sulle aiuole che lo separano dai controviali.
Lo solcano auto e tram e pedoni di corsa, che si guardano bene dal fare di questo un luogo del passeggio o dello struscio alla parigina.

Milano, Sempione: come sarebbe potuto essere

7 marzo 2012. Il portale dell’architetto portoghese Alvaro Siza propone un piano di riqualificazione per la Zona Sempione e il suo asse.
Il piano Siza prevede la soppressione della carreggiata centrale, da destinare a grande giardino, “un sistema da comprendere in quello di riqualificazione delle strade cittadine dirette all’area dell’Expo 2015 (la cosiddetta “via di terra”)”.
Allora, la cosiddetta Zona Sempione si sarebbe tramutata in una combinazione di arte, grazia urbana, edifici residenziali, con Via Tommaso Agudio cuore del progetto nella porzione orientale del sistema. Questo video spiega bene come sarebbe dovuto essere:

Milano, Sempione: ci sarà?

Expo è alle spalle; zona Sempione, i suoi parcheggi, il suo decoro urbano sono ancora terra di nessuno.
Nel 2015, Urbanfile riportava la notizia di uno “stanziamento europeo dedicato alle Aree Metropolitane, ecco in arrivo 36 milioni di euro da dedicare a piccoli e grandi progetti di rigenerazione urbana“. E ancora: “all’interno c’era anche l’idea di trasformare Corso Sempione da parcheggio selvaggio a viale dedicato al passeggio in mezzo al verde! Gli spazi per la sosta verranno ricavati sacrificando in parte una corsia di quelle centrali e si riuscirà così a coniugare verde, area per i pedoni e sosta regolamentata. In attesa di regalarvi un nuovo render, ecco uno schema di come sarà il nuovo volto di Corso Sempione”.

E allora la domanda (ri)sorge spontanea

Zona Sempione – Che fine ha fatto il progetto di Álvaro Siza?“. Il bello è che, dalle immagini che abbiamo trovato, abbiamo visto incluso anche il famoso Cavallo di Leonardo, e dunque ci piacerebbe sapere dal futuro sindaco: si vuole farlo così?

Come sarà il nido del futuro? Un progetto italo-olandese conquista Londra

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L’asilo: il luogo in cui crescono i più piccoli, sempre di più l’ambiente in cui si applicano idee sostenibili. 

E’ da un portale di mamme che troviamo la news di un concorso by AWR Competition, per la realizzazione di un nuova visione degli asili inglesi.

Il progetto, denominato “London Nursery Schools”, prevedeva una risposta a domande come: “Come dovrebbe essere il nido del futuro?“, “Come dovrebbero trascorrere le loro giornate in queste strutture, i nostri bambini”?

A vincere su tutte sono state le idee di un pool di architetti italiani e olandesi. Insieme, nel nome dello studio Aut-Aut (aut–aut.it) per una scuola materna, hanno avanzato l’idea della creazione di un orto all’interno dell’asilo, per insegnare fin da subito l’agricoltura urbana.

Argomento, quello dell’agricoltura e dell’anima verde, ampiamente sviluppato anche questo portale, per le aiuole condivise nelle grandi città, oltre che in altri progetti per gli asili dell’infanzia.

Gabriele Capobianco, Edoardo Capuzzo Dolcetta, Davide Troiani e Jonathan Lazar, questi i nomi degli architetti, hanno giocato con il titolo di una celebre canzone dei Beatles, Strawberry Fields, ed hanno ideato il loro “Nursery Fields Forever” con il proposito di “avvicinare i bambini all’agricoltura, alla produzione territoriale e al rispetto per l’ambiente, un obiettivo che dovrebbe essere primario di tutti i genitori e di tutti gli educatori”, riporta www.mammapretaporter.it.

Perché? Perché i bambini, soprattutto quelli che vivono nelle grandi città, hanno perso ogni contatto con la terra; non conoscono i processi produttivi basilari; molti addirittura credono che la verdura e la frutta crescano imbustate al supermercato.

Insomma, la loro percezione della realtà è distorta. A fare gioco è, per fortuna, la loro naturale propensione alla curiosità.

Per fare questo, l‘asilo dei sogni (l’ennesimo?) saprà unire la curiosità dei bambini e l’interazione con animali e piante.

Sono previsti spazi agricoli collocati nelle aule come nelle sale mensa, in luoghi appositi in cui mettere in pratica quanto imparato, ma sempre attraverso azioni divertenti.

“L’idea di questo asilo si adatta sia a bambini in età prescolare che a bimbi più piccoli, neonati, che in un nido del genere possono interagire fin da subito con la natura, rispondendo a stimoli super positivi che incoraggiano la relazione e la curiosità”, commentano le mamme blogger, “La bioetica e il rispetto verso la natura e i suoi prodotti sono sempre in primo piano, e i protagonisti, i bambini, ne traggono benefici incredibili, sia a livello didattico, emotivo e sociale, sia a livello tecnico, riscoprendo attività e approcci che lentamente paiono scomparire. Insomma, vincono tutti!”.

http://www.aut–aut.it/ 

Il mistero del ‘Ponte Vecchio’ di Milano – FOTOGALLERY

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via melchiorre gioia com era come e

Porta Nuova è il nuovo polo d’attrazione di Milano: con la passerella inaugurata nel 2015 che regala un suggestivo colpo d’occhio su Bosco Verticale, Piazza Gae Aulenti, quello che resta del quartiere di Brera e il rinato quartiere Isola. Nelle belle giornate a nord si possono ammirare anche le Alpi con le creste innevate. Tutto splendido, se non fosse per un parallelepipedo di acciaio, ferro, vetro, grigio, lasciato a se stesso, sopra la fiumana di mezzi che lo solca da sotto in Via Melchiorre Gioia. E pensare che immaginando il naviglio che un tempo passava lungo la via, quella costruzione potrebbe rappresentare il nostro Ponte Vecchio. Con le debite differenze, si intende. Ma cos’è questo edificio che fa da ponte su Via Melchiorre Gioia e come mai è abbandonato?

Quel Palazzo a forma di Ponte che aspetta il ritorno dell’acqua

Ogni giorno migliaia di automobili passano sotto questo colosso caduto in disuso e che si staglia come un ponte sopra Melchiorre Gioia, il lungo viale dedicato al sacerdote, patriota e martire, studioso, esperto di scienze economiche, autore, tra gli altri scritti, del “Nuovo Galateo”, 1838.

Potremmo ribattezzarlo “il Ponte Vecchio di Milano”, un po’ per prenderlo in giro, un po’ per tornare con l’immaginazione agli inizi del ‘900, quando la via era solcata dai battelli e dall’acqua. [continua dopo le foto]

Ponte vecchio firenze milano
Ponte vecchio firenze milano

Su questo punto di via Melchiorre Gioia, fino agli ’60 scorreva il Naviglio della Martesana, così come il canale artificiale era stato voluto in età sforzesca a partire dal 1460 (circa).

Il fratello più moderno, e più brutto, del Ponte Vecchio, è stato costruito come Centro Direzionale di Milano con gli uffici comunali, ovvero era una emanazione di Palazzo Marino, seguendo il piano regolatore del 1953. Peccato che non sia mai stato completato. 

Qualche irriducibile e fautore della riapertura dei Navigli l’ha immaginato come un palazzo-ponte sotto cui far tornare a scorrere l’acqua. Prima di sognare però è lecito chiedersi come mai questo edificio così in vista sia in totale stato di abbandono.

A cosa doveva servire il “Ponte Vecchio” di Milano?

L’obiettivo del palazzo era farne un polo terziario posto a nord del centro cittadino, fra le due importanti stazioni ferroviarie Centrale e Garibaldi, più agevole da raggiungere considerata la congestione del centro cittadino con il traffico delle auto.

La posizione era stata pensata come ‘super strategica’: da una parte, Stazione Centrale; dall’altra, la vecchia stazione di Porta Nuova, oggi hotel di lusso e di eventi by Maison Moschino, più di recente sostituita nella sua funzione da Stazione di Porta Garibaldi.

“Il baricentro dell’hinterland milanese, persino dell’intera Regione” dicevano che sarebbe diventato. Un po’ perché sarebbe stato collocato all’incrocio tra due assi attrezzati – due autostrade urbane mai realizzate, la metropolitana verde (oggi M2), la nuova stazione ferroviaria collegata alle linee regionali delle Ferrovie dello Stato (attuale Porta Garibaldi FS), le Linee celeri della Brianza che non vennero mai realizzate. Un po’ perché, per renderlo un sito iper-accessibile, per lui sarebbero arretrate stazioni e sarebbero stati sventrati quartieri e palazzi (come Corso Como, via Borsieri).

Le campagne per realizzarlo? Furono divise in due momenti: la prima, nel 1955; la seconda, nel 1962. A interrompere i lavori fu la mancanza di normative “che limitassero l’ulteriore espansione del terziario nel centro storico, che proseguì inesorabilmente per tutti i decenni successivi”, si trova scritto nel web, “e l’ostilità al progetto degli abitanti dei vari quartieri” oltre che l’inevitabile insostenibile costo degli espropri.

Tutto intorno, un’anarchia architettonica. Se da una parte sorgevano i Grattacieli come il Pirelli, le aree rimaste vuote e inedificate per decenni venivano parzialmente occupate dal Luna Park delle Varesine.

Il progetto venne definitivamente abbandonato nel 1978, con la variante al “piano regolatore [che] sancì il definitivo abbandono del progetto, definendo genericamente le aree ‘di interesse pubblico’, sostanzialmente impedendo qualsiasi edificazione o sviluppo della zona”.

E così rimase abbandonato e ignorato fino al 2004, quando il progetto di riqualificazione “Progetto Porta Nuova“, fece dell’area delle ex-Varesine e dell’attiguo quartiere isola un po’ come accadde alla Fenice: risorse dalle sue ceneri.

E il “Ponte Vecchio” di Milano? Neppure la riqualificazione dell’area lo ha sottratto dal suo degrado. E per ora del “gemello” bello di Firenze gli resta solo la forma e il sogno di venire riscoperto un giorno nei secoli a venire. 

 

 

Foto dal web

Il pane di Ischia: un’idea antispreco e di pura bontà – FOTOGALLERY

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pane ischia generosita poveri milano citta stato
pane ischia generosita poveri milano citta stato

Ischia: sole, mare, pane fragrante da mangiare con un po’ di olio, basilico e la salsedine che si infrange sugli scogli.

Emanuela Pacera è la giovane titolare di uno dei forni dell’isola, meta di turisti e visitatori tutto l’anno. Emanuela ha avuto una idea fragrante e buona.

Ogni sera, terminata l’attività, prima di chiudere il suo esercizio su corso di Casamicciola, riempie buste e sportine di ogni ben di Dio rimasto invenduto: panelli, rosette, baguette , pizzette. 

Sulla sua pagina Facebook ha specificato il perché di quel gesto:

emanuela pacera ischia - foto ufficiale Facebook
emanuela pacera ischia – foto ufficiale Facebook

Tramite la sezione partenopea di Repubblica.it spiega: “Questo è un modo semplice per aiutare chi è in difficoltà. Nulla di particolarmente originale, ma dialogando con un’amica, che a Ischia gestisce la catena alimentare per i poveri, ho preso coscienza di una realtà in parte sommersa: anche su un’isola apparentemente ricca non mancano persone che hanno difficoltà ad acquistare un po’ di pane a un euro o di sfamarsi con una pizzetta. Soprattutto quando ci si avvicina alla fine del mese e il portafogli è inesorabilmente vuoto“. E ancora: “Anche gestendo da cinque anni un piccolo panificio facciamo i conti con l’opportunità di non cestinare le eccedenze. E il pane è vita, amore, condivisione. Ma il mio non è certo un gesto eclatante. Piuttosto, un invito a fare altrettanto rivolto a ristoranti, panifici, pasticcerie: mettere a disposizione le rimanenze, magari con l’ausilio delle amministrazioni, creando dei punti di raccolta a favore di chi ne ha bisogno“.

Fonte: https://www.facebook.com/paneefantasiepacera 

A Francoforte il Museo della Musica Elettronica. A Milano quello della musica classica? – FOTOGALLERY

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Parlando di Germania si pensa immediatamente a tre cose:

  1. Wurstel,
  2. Birra,
  3. Le serate nei club di musica elettronica.

Sul terzo punto non esistono dubbi: non puoi andare in una grande città tedesca senza trascorrere una serata in uno di quei club dove la musica è sperimentazione e le persone che incontri sono uniche sulla faccia della terra.

Già, la musica elettronica. Con buona pace di Wagner e dei nazionalisti, è questa la nuova nota che suona nel cuore dei tedeschi postmoderni, così importante e “un passo in avanti rispetto agli altri, […]”, recita il blog Berlinocacioepepe, “[..] che per festeggiare i 25 anni della caduta del Muro chiama a suonare il suo DJ più famoso, Paul Kalkbrenner, di fronte alla cornice istituzionale della Porta di Brandeburgo dimostra di aver capito l’importanza di questo (relativamente) recente stile musicale […]”.

Così importante e identificativo da meritarsi un museo.

Ma, a sorpresa, non sarà a Berlino bensì Francoforte, “la più occidentale delle città tedesche”, ad ospitare il  MOMEM, acronimo di Museum of Modern Electronic Music.

Nella speranza che Milano rilanci con un museo della musica classica, per tornare ad essere una capitale della musica, scopriamo in 7 punti come sarà il museo della musica elettronica.

Il MOMEM in 7 punti:

  • Dove sarà? Probabile indirizzo: An der Hauptwache 15, 60313 Frankfurt am Main.
  • Che cosa conterrà? Questo spazio ripercorrerò la storia, le tappe e i nome principali di chi ha fatto e reso celebre nel mondo l’elettronica.
  • Quanto sarà grande? ca. 800 mq.
  • Quando aprirà? Nel 2017.
  • Quanto costerà? Alla città: zero .”La città non darà finanziamenti per l’apertura del museo ma concederà gratuitamente lo spazio attualmente dedicato al Kindermuseum (museo dei bambini), il quale si sposterà in altra sede (Die Welt)“, spiega la nostra fonte. Ovviamente, non mancheranno i concerti.
  • Che tipo di museo sarà? Ovviamente poli-esperienziale: suoni, mode, strumenti, app, cultura, indirizzi dei club, spazi, interazioni, tutto sarà al servizio di “questo che sarà il luogo del qui e ora” dice il sito del museo.
  • Chi sarà a dirigerlo? Andreas Tomalla (a.k.a Talla 2XLC), un produttore ed ex direttore del Technoclub, che ha aperto nel 1984 per dare una voce agli artisti della musica elettronica [Fonte: darlin.it]

Per saperne di più: MOMEM – Museo della musica elettronica: sito in costruzione www.momem.org

Foto via web

Il tavolo che produce energia, piatti autopulenti e bottiglie commestibili: 3 idee per il Fuorisalone del futuro

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tomorrow machine
tomorrow machine

La 55ma edizione del Fuorisalone di Milano si è appena conclusa con un grande successo di pubblico e di idee. Molti si domandano quali migliorìe alla vita quotidiana e quali nozioni di design ci avrà consegnato in eredità la sei giorni di presentazioni ed eventi conclusasi ieri con oltre 350.000 tra gli operatori professionali arrivati da tutto il mondo di cui il 70% stranieri e circa 50.000 (numeri da Affari Italiani Milano).

Per mettere ancora di più Milano al centro del mondo abbiamo trovato 3 idee ecosostenibili e rivoluzionarie che speriamo di trovare nella prossima edizione del Fuorisalone, tratte dal portale blog.homepal.it.

La prima: Current Table, il tavolo che produce energia

current table design fuorisalone milano
current table design fuorisalone milano

‘Per fare un tavolo, ci vuole il legno’ cantavamo da bambini; dall’anno prossimo potremmo trovarci a fischiettare il contrario.

Current Table non è che uno dei suoi progetti sostenibili, rivoluzionari, minimali, progettati dalla designer olandese neo trentenne Marjan van Aubel.
Creato nel 2014, funziona grazie alla sua superficie popolata di celle fotovoltaiche che si attivano con l’energia del sole. Le celle usate, infatti, sfruttano la loro pigmentazione per produrre energia (celle solari dye).

Per informazioni: www.marjanvanaubel.com/work/current-table/

La seconda: addio lavapiatti, i piatti saranno autopulenti

tomorrow machine piatti autopulenti
tomorrow machine piatti autopulenti

Sembra una scena da “Ritorno al Futuro”, eppur funziona, ed ancora una volta è stata la natura a fornire lo spunto.
Avete presente il Fiore di Loto? Questa delicata pianta, naturalmente, presenta un rivestimento di pura sciolina.
Lo studio svedese Tomorrow Machine e il KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma ne hanno studiato le proprietà, hanno tratto un rivestimento simile a quello delle foglie di loto, ovvero una cera sciolta che, ad alta temperatura, diventa idrofobica, impedendo a olio e sporco di rimanere sul piatto.
In questo modo, se rivestiti di tale membrana, le stoviglie, una volta inclinate, faranno autonomamente scivolare via i residui di cibo e altro. Con buona pace della bolletta di acqua e corrente.

Per approfondimenti: https://www.facebook.com/tomorrowmachine

La terza: “Ooho” la bottiglia si mangia

Si chiama proprio Ooho…

ooh design progetto acqua
ooh design progetto acqua

…questo progetto che nel 2014 ha vinto il Lexus Design Award 2014.
Hanno base a Londra i design Rodrigo Garcia Gonzalez, Pierre Paslier e Guillaume Couche, che nel loro Skipping Rocks Lab hanno creato questa: la prima bottiglia di plastica completamente edibile.
Come fa ad esserlo? Perché è realizzata da una membrana gelatinosa di alghe, che può essere mangiata in tutta sicurezza oppure diventare un comune rifiuto organico.
La fonte di ispirazione qui sono le uova, in particolare la sottile membrana che tiene separati il tuorlo dall’albume.
E l’acqua??? E’ racchiusa in una pallina che è una doppia membrana, sferica grazie alla tecnica della “sferificazione” che, in cucina, rende sferici i liquidi.
Forma, consistenza, funzione: tutto chiaro. Resta da sapere come sarà il sapore e l’esperienza di una bevuta “per palline di acqua”.

Per saperne di più: http://www.pierrepaslier.com/103466/3130887/projects/ooho

 

Repubblica.it dice che le persone a spasso nei quartieri, la scorsa settimana, sono state 400mila e che gli eventi ‘censiti’ sono stati 1.100 eventi. “Impossibile riuscire a vedere tutto in una settimana” commenta. Da qui, l’idea di Palazzo Marino di replicare in autunno.

Chissà che allora tra una porchetta, una salamella, un selfie in un prato in pieno centro e una passeggiata sulle Torre Velasca, che tutti hanno sempre disprezzato ma non nella Design Week, chissà che allora non spunti la voglia di proporre qualcosa di utile e di duraturo, diffusa come la smania di sentirsi tutti designer per una settimana. Allora il Fuorisalone potrebbe tornare a fare breccia nel cuore e nella voglia di partecipazione di chi al buon design ci crede davvero. Purché abbia senso. 

Fonte: http://blog.homepal.it/2015/09/30/un-tavolo-che-produce-energia-elettrica-bottiglie-che-si-mangiano-piatti-autopulenti/?utm_source=facebook&utm_medium=cpc&utm_campaign=post%3Dblogecodesign

Vacanze in tenda, ma con il wi-fi: ecco come funziona quella a pannelli solari – FOTO

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Lo dico, lo ammetto, e lo sottoscrivo: superata l’adolescenza non riesco proprio a comprendere per quale ragione dei miei coetanei dovrebbero trascorrere le proprie vacanze in tenda, all’umido, in un campeggio, anziché comodamente nel grande letto king size di un alberghetto comodo comodo assaporando tutti i confort del caso dopo un anno di duro lavoro.
Fascino dell’avventura? Sì, una volta. Esperienza di sostenibilità? Ci può stare. Trovarsi dentro un esperimento scientifico – che non è quello della sopravvivenza? Eccoci arrivati al dunque.

Una delle poche ragioni per cui qualcuno potrebbe convincermi a dormire fuori (quasi) all’addiaccio è provare questa tenda da campo che sa produrre energia e limitare le escursioni termiche.

A rilanciare la notizia è Curioctopus che spiega: “funziona con i pannelli solari che ricoprono tutta la struttura, accumulano energia solare e la trasformano in energia elettrica”.

Quindi, non pensiamo alla classica canadese o igloo della Quechua.

La forma, ellissoide, non è solo per una questione estetica o di design: “la linea della tenda è stata pensata per essere , spiega la nostra fonte, che prosegue: “L’assorbimento è poi ottimizzato grazie alla cappotta mobile della tenda, che si muove per seguire il percorso del sole nel cielo durante la giornata, dal mattino al tramonto“.

Al suo interno, infatti, sono stati installati un impianto di illuminazione e le prese elettriche: sia mai che nel mezzo del nulla non si riescano a ricaricare cellulari, tablet o alimentare un dispositivo per il wifi!

Per ora, Kaleidoscope l’ha progettata ma non l’ha ancora prodotta né lanciata sul mercato.

Idee o supporters per farlo, in vista del prossimo weekend di sole o già le proprie ferie, estive e non, visto che all’interno la corrente prodotta può anche riscaldare l’ambiente?

Chissà. Il progetto merita comunque dell’ attenzione, oltre una chance da parte dei turisti più comodi, come me.

Per saperne di più: http://kascope.com/our-work/orange-solar-tent-product-design-concept/

Foto e fonte: http://www.curioctopus.it/read/7876/il-campeggio-ti-spaventa-ecco-la-tenda-che-produce-luce-calore-elettricita-ed-internet.

17 aprile 2016. Una domenica nell’orto: si piantano 70 querce su viale dei Missaglia

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orti milano 17 aprile piantare querce milano
orti milano 17 aprile piantare querce milano

Dove: anello di corsa, Via dei Missaglia 44 angolo Via Fabrizio de Andrè
a Milano (zona ex bocciofila, dietro gli orti)

Quando:
domenica 17 aprile, dalle ore 10

Quanto costa?
gratis

Orto Circuito Milano fa pare di Libere Rape Metropolitane, rete nata a Milano nel 2010 “durante un fortunato lunedì sera d’autunno”, con lo scopo di riunire persone intorno al community garden. Nei loro progetti ci sono gli orti scolastici, li spazi liberati dal cemento, le azioni di guerrilla gardening.
“A Milano stanno nascendo molte esperienze accomunate dal fatto di guardare al verde come una preziosa risorsa comune”, dicono.

OrtiMissaglia è un’associazione di milanesi che coltivano gli orti di Viale Missaglia. “Sono persone che, giunte a Milano molti anni fa, hanno sentito il desiderio di non perdere il contatto diretto con la terra. Favoriti da una legislazione che non poneva vincoli, cominciarono a coltivare alcune zone limitrofe alla città. Erano gli anni in cui non vigevano problemi di approvvigionamento d’acqua; in prossimità di Ortimissaglia passava un canale d’acqua oggi interrato. I loro racconti parlano di momenti felici di dopolavoro che li vedevano rilassarsi nell’hobby “ortistico”” spiega il sito che li rappresenta www.ortimissaglia.com. Oggi la situazione è si è un po’ degradata: “La difficoltà di approvvigionamento d’acqua unita a vandalismi gratuiti di gente esterna, ha reso la vita più complessa a chi ha solo il desiderio di vivere un po’ più serenamente”.

Si sono organizzati per trascorrere insieme una domenica “verde” guidati da La Compagnia dell’Anello con altri gruppi come Genitori Antismog, Selva Urbana, Benvenuta Primavera, la Rete degli orti e giardini condivisi Libere Rape Metropolitane e i cittadini.

Per informazioni: 3337624879 | www.ortimissaglia.com

5 motivi per cui mi piacerebbe andare

#1. partecipare ad una domenica nell’orto (come quando ero bambina)

#2. conoscere gli orti di Milano

#3. conoscere le community gardening di Milano

#4. ripassare le regole dell’orto e confrontare con quelle che mi ha insegnato il mio nonno

#5. sporcarmi le mani e il viso in una domenica di sole a Milano

5 cose che mi piacerebbe trovare

#1. un badile un paio di guanti anche per me (non li ho!)

#2. una calda giornata di sole

#3. tanti giovani e tante associazioni

#4. un ambiente festoso e tranquillo

#5. un bulbo tutto mio, da piantare, andare a curare, per vedere crescere la mia anima verde a Milano e un giorno dire: “Io c’ero”.

locandina

Il progetto svedese per far produrre energia dai palazzi

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Forse nelle città del futuro i palazzi daranno un contributo al benessere della comunità. In Italia col bosco immobile, progetto di Airlite e Retake Milano, ci saranno palazzi che assorbono lo smog. In Svezia uno studio propone palazzi che producono energia.

Questo accade grazie all’impiego di pannelli fotovoltaici trasparenti al posto di balconi, tende e finestre tradizionali, per produrre energia elettrica dalla luce del sole.

Di cosa si tratta, lo spiega Gloria Maria Rossi su Fotovoltaicosulweb.it : il fotovoltaico trasparente e’ “una delle nuove frontiere che permette di integrare i pannelli solari fotovoltaici nei vetri“.

La dottoressa illustra i diversi tipi di fotovoltaico che potrebbero essere inseriti nei vetri, riprendendo il progetto svedese dello studio Bertrand.

Dopo l’idea sarda dei pavimenti che producono energia, ecco che dalla Svezia si pensa alla produzione di pannelli fotovoltaici che possono fungere da parti della casa, piacevoli alla vista (al grafene) ma contemporaneamente in grado di trasformare l’energia da solare a elettrica.
In tal caso, non solo ogni casa sarebbe autosussistente, ma l’equazione sarebbe: maggiore superficie di pannelli presenta, maggiore è la energia prodotta.

Secondo l’idea dello studio Bernstrand, la facciata di ogni palazzo diventerebbe “attiva” quando persiane, tende, finestre si aprono e si chiudono, ed ogni finestra sarebbe “dotata di un sistema oscurante, che permette la regolazione della luce del sole”, di modo da non vivere sempre con il sole dentro casa.

Per questo, lo studio Bernstrand ha pensato di proporre dei moduli ad hoc proprio per ampliare le possibilità di collocazione dei pannelli:

  • frontali per balconi: “I balconi sono creati in modo da impedire di creare delle ombre che possano ridurre la penetrazione del sole sulle tapparelle.”
    più grandi per tapparelle sull’intera finestra;
  • frontali per le tende: “Le tende possono essere regolate senza alcun tipo di problema e si trovano sopra i pannelli. Se queste però rimangono abbassate, anche quando il balcone non è in funzionamento, possono continuare a produrre energia”.
    Quindi, essendo sempre in movimento, la porzione di facciata di ogni nucleo abitativo sarebbe in grado di catturare energia per sé oltre che per i vicini di casa.

Una stima delle quantità? 72.543 kwh all’anno su 2.600 mq, secondo il sito citato.

“L’unico problema che si potrebbe riscontrare è comunque l’impossibilità di inclinare finestre e balconi in base alla posizione del sole, cosa che invece può essere fatta con i pannelli solari, che vengono proprio posizionati in base ai raggi solari”.

Con Pannelli solari e fotovoltaici trasparenti le nostre città potrebbero diventare autosufficienti. Se poi venissero dipinti con la vernice che assorbe lo smog, probabilmente saremmo a un passo dall’edilizia perfetta.

L’Hangar Bicocca diventa centro d’arte dei migliori street artist del mondo

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Pirelli HangarBicocca centro street art milano citta stato
Pirelli HangarBicocca centro street art milano citta stato

Il 20 aprile inaugura Efêmero, il murales site-specific degli artisti di fama mondiale OSGEMEOS, “i gemelli”, lo pseudonimo, Gustavo e Otávio Pandolfo (1974, São Paulo, Brasile).

In quella data sveleranno il loro primo murales in Italia a Milano che inaugurerà “Outside the Cube”, il progetto triennale che Pirelli HangarBicocca dedica alla Street Art lasciando che a parlare siano le sue pareti esterne.

Si comincia con Efêmero, un lavoro sul tema del vagone del treno creato appositamente per questo luogo ed esteso per mille metri quadrati, sulle pareti esterne dell’HangarBicocca, in modo da essere visibile anche dalla stazione.

L’ex polo industriale dell’HangarBicocca, “dove nel secolo scorso si fabbricavano locomotive di treni, diventerà il luogo ideale per l’intervento creativo di OSGEMEOS e dei diversi artisti invitati negli anni successivi da Pirelli HangarBicocca“; spiegano gli addetti ai lavori. E ancora:”I fratelli OSGEMEOS lavoreranno ‘Outside the Cube’ proprio sul tema del treno e dei suoi vagoni, richiamando i colori e gli scorci naturali e cittadini del Brasile” in un lavoro complessivo che si integra con il territorio circostante e proietta il contesto locale in un viaggio immaginario.

I gemelli OSGEMEOS sono stati una scelta mirata di Pirelli HangarBicocca: hanno oltre venticinque anni di carriera trascorsi a diffondere la cultura dei graffiti e del writing in spazi pubblici musei internazionali come Times Square Arts, New York, USA; Bunker, Museu Casa do Pontal, Rio de Janeiro, Brasile; The Giant of Minsk, Vulica Brasil Festival, Minsk, Biellorussia (2015) e moltissimi altri ancora.

Il 20 aprile 2016 saranno sotto i riflettori di Hangar Bicocca insieme a DJ Sarasa, produttrice, creatrice di moda e design anche lei per la prima volta in Italia, DJ Rash, DJ Xabu ovvero il “gemello” OSGEMEOS Otávio Pandolfo; ma questo non sarà che l’inizio di un progetto di portata rivoluzionaria, con il quale l’istituzione culturale diretta da Vicente Todolí e impegnata nella promozione dell’arte contemporanea, intende “rafforzare il proprio radicamento sul territorio amplia i propri confini, mettendo a disposizione, per i prossimi tre anni, l’ampia area esterna dell’edificio per nuovi interventi di arte pubblica“.

Opera di racconto della propria storia e di quella del quartiere; lavoro di riqualificazione urbana su un territorio – il quartiere che va dalla Stazione di Greco Pirelli al ponte di Sesto San Giovanni; così come l’asse di Viale Fulvio Testi/Viale Sarca – già fulcro di decine di interventi artistici spontanei, pur orchestrati dal Comune di Milano, bastano appena tre anni: dal 2016 al 2018 Milano sarà centro delle arti, del pubblico, della produzione, dello sviluppo, della valorizzazione e della documentazione del linguaggio artistico connesso al contesto metropolitano.

Il tutto aperto anche ai più piccoli: Pirelli Hangar Bicocca ha infatti organizzato workshop, incontri e campi estivi dedicati alla fascia di età 12/17 anni per permettere ai ragazzi di entrare in contatto con artisti italiani e internazionali, esplorando i diversi linguaggi e le tecniche di questo particolare tipo di espressione artistica.

Dalla pancia di una balena sorge l’asilo che a Milano ci sogniamo

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Bello è bello, ma l’architetto Mario Cucinella ci tiene a far sapere che il nuovo asilo pubblico che verrà inaugurato il 19 settembre 2016 a Guastalla, Reggio Emilia, sarà soprattutto etico e responsabile.

Il progetto è stato scelto per sostituire i due nidi comunali, Pollicino e Rondine, ambedue danneggiati dal terremoto in Emilia del maggio 2012. Per questo Cucinella li ha pensati come luoghi armonici, sicuri, non in contrasto con l’ambiente ma eco-compatibili, antisismici e, soprattutto, educativi al 100%.

Ecco dunque svelarsi un progetto interamente fatto di legno, con forme ondulatorie ed ondulate che evocano l’antro di una caverna, in grado di stimolare la fantasia, ma anche di far sentire i piccoli ospiti al sicuro.

Siamo forse di fronte all’asilo dei sogni? Forse. “Quello che dico sempre è che l’edificio è già in sé una forma di educazione” scrive ischool.startupitalia a proposito delle prime dichiarazioni dell’autore di questa iniziativa di design e scuola pubblica.

“A scuola si trascorre tantissimo tempo, e l’asilo è il luogo dove si sperimenta per primo la vita sociale. Spesso si trascura quanto un determinato ambiente influisca sull’apprendimento e sulla formazione di un individuo. Per questa ragione, Mario Cucinella è stato attento ai dettagli, conscio di avere, come lui stesso ha ammesso, ‘una certa responsabilità nella costruzione di una coscienza nuova’, attenta alla natura e a determinati principi di sostenibilità.[…] Fare delle scuole belle è un obbligo civile, perché c’è molto più del semplice valore estetico: si tratta di trasmettere dei valori”.

Ecco come l’ha pensato Cucinella:

  1. Dentro la pancia della balena.
    Il soffitto è composto da grandi onde di legno; l’ambiente è uno spazio grande e arioso, capace di contenere fino a 120 bambini tra 0 e 3 anni. E’ stato pensato come un grande abbraccio che attinge alla favola di Pinocchio, e già da questo si pone come un luogo sicuro e al contempo capace di stimolare la fantasia. I giochi di luce e ombra che si creano rendono questa “pancia” un luogo interessante per un bambino: sono elementi sensoriali che ognuno interpreta a suo modo.
  2. Uno spazio esperienziale.
    Oltre alle forme inusuali, la presenza diffusa del legno e del giardino esterno produce un inedito effetto sugli odori, le luci, i colori.
    “Fuori dall’asilo c’è un giardino dei sensi, un boschetto che i bambini possono esplorare, dei cespugli, delle piante aromatiche. Già dall’entrata c’è un percorso sensoriale che invita il bambino in un ambiente bello ma soprattutto stimolante”.
  3. La cura dell’ambiente dalla A alla Z: dalla scelta delle piante a quella circa il riscaldamento.
    La struttura è di classe energetica A, è dotata di pannelli termini fotovoltaici, produce autonomamente l’acqua calda. Il lavoro sulle materie prime – legno e vetro – è stato pensato per ridurre al minimo il consumo della elettricità e sfruttare al massimo la luce naturale. Anche l’acqua è gestita con parsimonia: Cucinella ha messo a punto un sistema di raccolta di quella acqua piovana per annaffiare il giardino.
    Non ci sono caloriferi né condizionatori: il riscaldamento degli ambienti passa dal pavimento con un sistema di canalizzazione dell’acqua calda. “Il giorno dell’inaugurazione spiegheremo ai bambini come funziona l’asilo che frequentano: le nostre scelte ecologiche, il percorso dell’acqua che arriva dal cielo e viene rimessa in circolo. Bisogna seminare in loro la cultura dell’ecologia affinché crescano consapevoli dell’ambiente dove vivono”
  4. Il budget contenuto: “l’edificio è piccolo, completamente sostenibile, costato poco 1.650 euro per metro quadro”.
  5. Non pensare dentro gli schemi. Dal viaggio dentro la sua memoria e la sua infanzia, l’architetto Cucinella ha trovato lo spunto per la progettazione di un edificio “che sia importante per i bambini, che resti nella loro memoria come il mio asilo è rimasto nella mia. Insomma, non ho pensato a una scatola, ma a qualcosa di diverso. Ho pensato a un edificio che raccontasse una storia mentre accoglie i bambini. L’entrata dà il senso della pancia, di un grande ventre, c’è il richiamo alla balena di Pinocchio, e naturalmente al ventre materno”.

Auspichiamo anche per Milano che ci siano sempre più asili con caratteristiche tali da stimolare la creatività dei nostri concittadini più piccini.

Cosa ho imparato girando in scooter a Milano

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girare in scooter
Girare in scooter

La prima volta è stata all’inizio dell’Università. Mi sono impossessato del di mia sorella, quello che si metteva in moto pedalando, e ho scoperto la bellezza del girare su due ruote, con un motore.
Ai tempi sui cinquantini si poteva ancora girare senza casco ed era un vero sballo sentirsi l’aria tra i capelli.
Da allora non ho più smesso, anche se c’è un casco in più e dei capelli di meno.

Ecco cosa ho imparato girando in scooter a Milano

 

#1 Giocare d’anticipo

La prima cosa che impari quando si viaggia sulle due ruote è che bisogna stare attenti agli errori degli altri come fossero nostri. In auto se l’altro sbaglia ci ripaga i danni all’auto. Ma quando si è in scooter lo sbaglio di un altro potrebbe segnare la nostra fine.
Quindi girare in scooter è un po’ come sentirsi alla guida di ogni auto, moto, bicicletta o pedone che capita sulla nostra strada, e occorre giocare di anticipo su ogni possibile errore o comportamento imprevedibile, tipo sterzata improvvisa e senza senso.

 

#2 Le portiere

Ho imparato che quando un’auto è ferma può essere un pericolo: personalmente temo di più le auto ferme di quelle in movimento. Perché sono meno prevedibili. In particolare la cosa più pericolosa che può accadere è se una portiera si apre nel momento in cui stai passando vicino a un’automobile parcheggiata. Da quando mi sono quasi rotto un dito per colpa di una portiera aperta all’improvviso, ogni volta che passo vicino a una colonna di auto parcheggiate cerco sempre di tenermi a distanza di portiera.

 

#3 Il pavè

Ho un amico che darebbe la vita per difendere il pavè. E’ carino ma quando sei in scooter sembra di trovarsi su un martello pneumatico. Per le vibrazioni del pavé mi è capitato di perdere un bauletto. E sul pavé è stata anche la mia prima caduta, anche perché le sconnessioni rendono più complicate le manovre, specie quelle dopo una sterzata improvvisa di un’automobile che stavo per superare.

 

#4 La pioggia

Ho imparato che con la pioggia tutto cambia. Le strisce bianche dell’asfalto diventano scivolose, le frenate si allungano, l’asfalto diventa fitto di insidie, con le pozzanghere che nascondono buche o accavallamenti. Poi c’è il casco. Se è di quelli aperti le gocce d’acqua ti bucano gli occhi come nevischio quando scii. Se è di quelli chiusi si appanna in un attimo e non vedi nulla.

 

#5 Gli specchietti delle donne

Dopo 20 anni di esperienza posso affermare che la gran parte delle donne alla guida di un’auto tende a guardare negli specchietti solo per controllarsi il viso. Mentre quelli laterali è come se non esistessero. Lo si vede accelerano, girano o frenano, sempre come se da dietro non potesse arrivare nessuno.

 

#6 I binari

Ho imparato che più delle portiere, del pavé e degli specchietti delle donne, due sono i maggiori pericoli del girare su due ruote a Milano. Il primo sono i binari. Specie quando piove, i binari rappresentano delle autentiche trappole, se li prendi nello stesso senso di marcia e ti infili nel solco, finisci per terra. Bisogna invece passarci sopra sempre in diagonale.

 

#7 Le buche

Il secondo grande pericolo sono le buche. Specie di notte ci sono strade poco illuminate che quando le percorri preghi di non finire in un cedimento dell’asfalto. A volte è praticamente impossibile vederle in anticipo.

 

#8 Andare in due

Ho imparato che quando porti un passeggero diventa tutto più difficile. E’ come se d’un tratto ti trovassi ingrassato del doppio del tuo peso. Perdi molta agilità, si estendono gli spazi di frenata e soprattutto rischi di sbilanciarti quando ti vacilla dietro, specie se vai piano o cerchi di infilarti nel traffico.

 

#9 I due tipi di tassisti cittadini

Girando in scooter e facendo attenzione alle traiettorie delle auto, ho imparato che a Milano esistono due tipologie di tassisti. Quelli che a bordo hanno il cliente e quelli che non ce l’hanno.
Questi ultimi si muovono agili per arrivare a prendere il cliente entro l’orario promesso.
Mentre i tassisti con il cliente a bordo sono lentissimi, si fermano con il semaforo ancora sul giallo. Fanno passare i pedoni. Se c’è traffico riescono a trovare la coda più lenta. Frenano ogni volta, spesso senza motivo. Si rischia di tamponarli o di venire tamponati per evitare di tamponarli.

 

#10 Le auto del car sharing

Insieme ai tassisti altre variabili impazzite del traffico milanesi sono le auto del car sharing. Spesso sono guidate da persone che faticano ad avere dimestichezza e così si muovono a scatti o compiono traiettorie irreali. I più abili li vedi sfrecciare come su una formula 1 per risparmiare secondi sulla tariffa finale.

 

#11 Il razzismo dei centauri

Chi va in moto disprezza chi va in scooter. Lo si vede da come ti sgommano davanti sulle corsie riservate della circonvallazione.

 

#12 Il parcheggio

Quando ci si muove sulle due ruote si sa esattamente quando ci vuole per arrivare a destinazione. Soprattutto non c’è il motivo di maggior incertezza per chi si muove in macchina: il problema del parcheggio.

 

#13 La wild card

Quando prendo l’auto quasi sempre mi becco una multa. Divieti di sosta, telecamere, cartelli mimetizzati, mi sembra quasi impossibile riuscire a guidare per Milano senza infrangere qualche norma del codice della strada. E i vigili con gli automobilisti sono spietati. Ma con lo scooter ho la sensazione della totale immunità. Carabinieri e finanza non ci fermano mai. Perfino i mendicanti al semaforo ci trattano da invisibili.

 

#14 Il traffico

Superare le auto imbottigliate ripaga dal freddo, dalla pioggia, dalle sgasate. E’ gioia vera.

 

#15 Milano è stupenda

E’ inquinata, sì, un po’ grigia, vero, con alcuni palazzoni osceni, già. Però nasconde sempre delle meraviglie. Come il cielo quando è blu, quando cambia il profumo dell’aria in primavera o senti il frizzantino a settembre. Quando cambiano i colori, dal grigio dell’inverno al verde della primavera. E ogni strada ha sempre un tesoro da svelare. Milano è stupenda, soprattutto su due ruote.

Produrre energia camminando? Basta fare quattro passi in Sardegna

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Pavimento-Energetico-3
Pavimento-Energetico-3

Produrre energia pulita ad ogni passo semplicemente calpestando una mattonella. Arriva da una start up della Sardegna, Veranu, dai suoi due ingegneri Alessio Calcagni e Simone Mastrogiacomo, SEF (Smart Energy Floor),la prima mattonella dotata di una superficie flessibile ed un “cuore” pizolettrico, ovvero che si attiva con la pressione esercitata dai piedi su un pavimento.

Come funziona SEF?

E’ un po’ come l’energia solare, solo che al posto dei raggi del sole ci sono i piedi in movimento ed il “materiale usato per l’accumulazione della tensione è invece di natura plastica, integrabile con legno o piastrelle” spiega Thenexttech.startupitalia.eu.
Ogni SEF è poi connesso ad un circuito sottostante che provvede la gestione dell’energia prodotta e accumulata.

Smart Energy Floor prevede due tipi di utilizzo: un blocco singolo (stand alone) o connesso in rete (grid connected). I sistemi isolati, non collegati alla rete elettrica, sono dotati di sistemi di accumulo dell’energia prodotta. Il sistema connesso in rete, invece, non è provvisto di sistemi di accumulo: l’energia prodotta viene riversata direttamente nella rete elettrica nei momenti di grande passaggio“.

Ogni mattonella che è posizionabile su qualunque superficie, è composta da un modulo quadrato di 50×50 cm, di spessore 3 cm e con un abbassamento verticale massimo di 2 mm. “Ogni blocco si prevede un’efficienza del 50% nella conversione da energia cinetica ad energia elettrica”.
E’ un sistema che otterrà maggiori performance quando più persone calpesteranno ogni singola mattonella.

Si può anche immaginare la portata rivoluzionaria di questo strumento.

Si potrebbero immaginare le vie, le piazze, le scuole, le stazioni, gli ospedali, gli uffici pubblici, gli stadi ed ogni altra area, pubblica o privata, lastricate di SEF, dove ogni mattonella servirebbe a produrre energia pulita per la collettività.

Gli inventori sono stati invitati tra i 30 finalisti del premio Edison Start 2014 ed all’interno dei più importanti eventi europei dedicati al matching tra investitori e startup sull’innovazione come ecosostenibilità, sulle energie alternative, sullo smart building, come il “Green Innovation and Investment Forum” di Stoccarda. “Per portare a termine il progetto Smart Energy Floor abbiamo bisogno di strumentazione specialistica, come cappe chimiche, spinner, agitatori magnetici termostatati, e generatori di alta tensione”, spiegano Alessio e Simone. “Un aiuto concreto potrebbe arrivare sia dalle istituzioni che da aziende private attraverso la condivisione di risorse e strumentazioni che ci permettano di sfruttare il network di conoscenze per realizzare il nostro progetto“.

Parafrasando Neil Armstrong, camminare su SEF potrebbe essere un piccolo passo per un singolo uomo ma un grande passo per l’umanità. Per capirlo occorre che degli investitori facciano il passo giusto. Verso la Sardegna.

In sintesi, ecco il progetto ben spiegato in un video

La panchina ricavata da un albero caduto: dal Brasile un nuovo filone per l’eco-design

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Prendi uno scarto che la natura non vuole più. Fai che ‘cada’ al centro di una città molto popolosa creando una serie di problemi di ordine cittadino: dall’intralcio all’ordine pubblico alla sicurezza, al costo di smantellamento al punto che c’è chi ha calcolato che eliminare quello scarto, sia più oneroso del lasciarlo stare lì. La soluzione? Girarci attorno? Meglio: trasformarlo.

E’ capitato in pieno centro a San Paolo del Brasile quando Hugo França, noto eco-designer con la tendenza a creare pezzi unici di design a basso impatto ambientale, ha trasformato un grande tronco d’albero caduto durante un forte temporale. Quel tronco morto, oggi, è una grande opera di eco-design al servizio di tutti e che ha sortito un impatto pari a 0

Fa parte del suo progetto incentrato sul: “Viaggiare, esplorare, alla ricerca di un tronco, di una radice senza vita, da trasformare in un oggetto utile”, dice l’artista. Ma c’è di più.

Il progetto che ne è nato, bello e funzionale, un arricchimento per l’arredo urbano, ha avuto la sponsorizzazione dell’amministrazione cittadina, che ne ha riconosciuto il valore collettivo ed etico.

Il Comune paulista ci ha creduto così tanto da usare ‘la panchina di San Paolo’ “come simbolo della campagna di sensibilizzazione per esortare i cittadini a un migliore riutilizzo dei materiali, legno compreso, cercando di implementare iniziative di riciclo – a livello privato e comunitario – che possano ridurre gli sprechi nella capitale brasiliana“, scrive festivaldelverdeedelpaesaggio.it.

L’idea di riciclare scarti o rifiuti naturali come elementi di design e arredo urbano potrebbe fornire nuovi spunti anche per Milano, che da capitale del design potrebbe cavalcare questa nuova tendenza, magari al prossimo Fuorisalone o direttamente all’interno del Parco Orbitale?

*Fonte: http://www.festivaldelverdeedelpaesaggio.it/arredo-urbano-alberi-panchine

Come capire la personalità da una mail

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personalita milanese mail

Nell’era di Facebook e di WhatsApp c’è ancora chi comunica via mail. Ecco come capire la personalità di chi ci scrive da pochi, semplici indizi.

#1. Quello che scrive tutto nell’oggetto

O è artista o va di fretta.

#2. Quello che manda tutte le mail intitolate sempre allo stesso modo

Il pigro.

#3. Quello che non scrive niente nell’oggetto

L’uomo che non scrive mai. Pensa che l’oggetto sia una cosa fisica. E’ sicuro di sé.

#4. Quello che condivide qualsiasi cosa

L’egocentrico. Pensa che tutti abbiano i suoi stessi interessi.

#5. Quello che scrive mail infinite

Il romanziere mancato. Per chiedere un preventivo ti manda la sua bibliografia.

#6. Quello che risponde a monosillabi o con punti di domanda o esclamativi

L’uomo primitivo. Si nutre di bacche e radici, gira nudo in casa.

#7. Quello che mette un sacco di gente in Cc

L’insicuro. Per ogni cosa ha bisogno dell’approvazione di un milione di persone

#8. Quello che ti mette in Ccn

L’infiltrato. Ti vuole far sapere le cose senza che nessuno sappia che ci sei. Oppure si vergogna di te.

#9. Quello che ti riempie di allegati

Il disinformatico. Quello per cui un mega byte o un giga byte sono la stessa cosa.

#10. Quello che firma con le giff

L’eterno compagno di classe. Farebbe qualunque cosa per strappare un sorriso.

#11. Quello che usa le emoticon

Il confuso. Non capisce la differenza tra email e wazzapp

Dimmi che università di Milano fai e ti dirò chi sei

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L’università è un modo di pensare, un modo di essere. Un vestito che indossiamo senza quasi accorgercene ma sappiamo che ci rimarrà addosso per tutta la vita.

5 tipologie di universitario milanese, ovvero, dimmi che università frequenti e ti dirò chi sei. 

#1. Poli (Ingegneria)

E’ sempre lì a puntualizzare, un maniaco dei dettagli, conferma il detto: “mai litigare con un ingegnere; dopo un po’ capisci che litiga per divertimento”.
Il bello di un ingegnere del Polimi è il suo essere un buon compagno/a di bevute, anche se vi bombarderà di teoremi o di cose che si vive meglio senza saperle. Di primo acchito sembra uno che si complica la vita, ma in realtà la vita che l’ingegnere complica è più spesso quella degli altri.
Lo si individua sulla Linea Verde della metropolitana, alle prese con discorsi con i suoi simili, incomprensibili al resto del mondo. Si può confonderlo con programmatori o startupper multimilionari.

#2. Statale

E’ l’amico/a ideale se sei inguaiato in situazioni strane. Quelle che potrebbero sconvolgere la fredda razionalità di un ‘inge’ del Poli sono invece godimento pure per uno/a della Statale che nella stranezza ci sguazza come una papera in un lago.
Si muove in bicicletta, alle feste è il primo ad ubriacarsi e l’ultimo ad uscire.

#3. Poli (Architettura)

Non si capisce mai cosa stia facendo, non dorme da secoli, vive h24 con gli occhiali da sole, ha barba incolta e indossa vestiti dai colori sgargianti o, in alternativa, nerissimi.
Lo studente di architettura del Poli è come un gatto: va avvicinato lentamente ed è da maneggiare con cura. In una conversazione a due, infatti, potrebbe scattare da un momento all’altro e uscire con commenti graffianti che creano danni strutturali permanenti.
Viceversa, quando si trova in uno stato di quiete, si trasforma nell’Artista del quotidiano, il fidato consigliere capace di svelarti le chicche più nascoste della tua città o la tua missione di vita.
Il mio consiglio è: ‘Amate un Poli (creativo)’, ma lasciatelo libero.

#4. Cattolica

Tutti noi abbiamo un amico che la frequenta e con lui abbiamo intavolato discorsi umanistici o socio economici. Quelli della Cattolica sono sentimentali e nell’intimità si rivelano amanti sorprendenti, anche se non sembrerebbe mai incontrandoli per strada o in birreria.
Sono piuttosto riservati, amano fantasticare da soli ma se devono frequentare qualcuno tendono ad andare d’accordo con quelli del Poli. Meno con quelli della Statale, un disastro con quelli della Bocconi.

#5. Bocconi

Sono ‘quelli che contano’, e non solo perché studiano Economia. Sono simili agli studenti della Cattolica, ma guai a voi a dirglielo che si incazzano come vipere. Molto curati nel look anche fuori dal loro ambiente, sono abituati a corridoi per i bagni che sembrano le hall del British Museum e a servizi da hotel cinque stelle. Sono piuttosto viziati e si comportano nella vita come se dopo la laurea li aspettasse il posto da amministratore delegato di una multinazionale. Per contro se escono la sera spesso sono loro a offrire e le loro sono forse le feste più belle, anche se tendono a considerare quelli delle altre università degli scappati di casa che rubano i portafogli.
Il loro asso nella manica? Quando avrete a che fare con un businesssaranno entusiasti di dare una mano e di trovare l’idea per farvi guadagnare un sacco di grano.

Per vivere al meglio le esperienze interuniversitarie, questi sono i nostri consigli spassionati:

  1. per una discussione o una conversazione che porta via tutta la serata scegli gente del Poli (Ingegneria);
  2. per partecipare a business game o intraprendere una start up, vai con i Bocconiani;
  3. sorseggia buona birra e discuti dell’ultima puntata di Breaking Bad con uno/a della Statale;
  4. fatti invitare a un pranzo domenicale o a una passeggiata distensiva da uno/a della Cattolica;
  5. gira per eventi, soprattutto del Fuorisalone durante la Settimana del Salone del Mobile, con quelli di architettura del Poli.

Postilla: ci scusiamo con gli studenti delle altre università se non li abbiamo nominati. Lo faremo un’altra volta.

Foto dal web


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