Milano è la città dei single. Per chi è solito apparecchiare tavola per una persona sola, esistono molte possibilità per prendersi una vacanza più o meno lunga da se stessi.
10 luoghi dove trovare l’amore a Milano
#1. Tinder
Ma vanno bene anche Meetic o Once, ultimo ritrovato per lasciare le vecchie forme del corteggiamento nel cassetto e andare subito al sodo. Un tempo era considerato una vergogna utilizzare questi metodi per rimorchiare. Oggi sta diventando perfino di tendenza. Detto questo perchè fa figo, la verità è che il mezzo principe per rimorchiare è Facebook.
#.2 L’Esselunga di viale Papiniano
Qualcuno sostiene sia una leggenda, anche se l’ultima riunion di quest’ autunno è stato uno dei più riusciti flash mob di tutti i tempi. Ora è stata appena rinnovata: da provare se il suo fascino funziona ancora.
#3. Nei locali, divisi per fasce d’età
Dai 16 ai 30 anni, massimo, si consiglia il Magnolia – Segrate, versione estiva.
Dai 30-50: N’Ombra de Vin, via San Marco. Molto frequentato da divorziate e separate, specie il giovedì sera. 30 rampanti: Tasca, Colonne di San Lorenzo.
#4. Le feste in casa
E’ un evergreen nell’evergreen. Funzionano sempre, specie per gli under 14.
#5. Le Schegge clandestine e altri flash mob
Se amate la mazurka ma non trovate un uomo che solo lontanamente ne abbia sentito parlare. Se cercate una passionale compagna di tango. Se volete scatenarvi con il rock e il boogie ma vi manca un partner coraggioso quanto voi. Partecipare ad un flash mob aumenterà la possibilità di trovare persone con gli stessi vostri interessi.
#6. La palestra
Per quelli che non hanno fantasia.
#7. In uffficio
Idem come sopra, solo che ci sono più possibilità di incontrarsi: uno scontro girando l’angolo in corridoio, uno sguardo furtivo all’ultima riunione, un paio di giri insieme in ascensore ed è fatta. Metodo molto gettonato dai fedifraghi e da chi ama storie ad alto tasso di rischio.
#8. Iscriversi a un corso
Altrettanto scontato, ma fondamentale se volete che la vostra prossima relazione si basi sul piacere degli stessi hobby e la voglia di viverli insieme. Per chi sogna una storia definitiva.
#9. Fare il pendolare con i mezzi pubblici
E’ il metodo più romantico. Da film francese della nouvelle vague. Per cuori da leone.
#10. Cambiare lavoro
Altra strategia molto gettonata. Specie per chi ha perso interesse per colleghi o colleghe. O per il proprio capo.
A Montreal amano molto le sfere. Non parliamo delle boule de neige che se le capovolgi fai nevicare su Milano, sull’Empire State Building, sulla Torre Eiffel o sul Taj Mahal. No, nella città canadese fanno le sfere in grande: presto ne sorgerà una imponente, collocata nell’ampio Parc Jean-Drapea accanto alla già esistente Buckminster Fuller Institute opera realizzata quando Montreal aveva ospitato Expo nel 1967 (foto sotto).
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Se tanta ammirazione desta la grande sfera creata nel 1967 dall’architetto americano Buckminster Fuller e oggi museo dell’ambiente, oggi Biosphére, Musée De L’Environnement, ci si chiede come sarà, dal vivo, quella progettata dallo Studio Dror.
La nuova sfera, che dialogherà con la precedente ma sarà mimetizzata da un grande manto verde, composta da un reticolato di alluminio dal diametro di centocinquanta metri, ricoperto da fiori e rampicanti. Sarà un enorme parco aperto per attività culturali e sportive, con un auditorium dedicato all’ambiente e uno all’ecologia, spazi dedicati al relax e alla socializzazione, una ciclabile tutto intorno.
Un'”kolossal” scelto come simbolo dei festeggiamenti per il “trecentosettantacinquesimo anniversario della fondazione della città di Montreal, ma anche il cinquantesimo anno dall’Expo del 1967 che la città canadese aveva ospitato”, riporta Festivaldelverdeedelpaesaggio che fornisce anche i primi rendering.
Una scelta questa che dice molto del valore che per Montreal ha l’ambiente vissuto come spazio pubblico che deve far star bene la propria cittadinanza. E noi, che a Milano esultiamo per un campo da basket coperto di legno, speriamo in altre tracce di Expo capaci di meravigliare il mondo. Magari, senza aspettare il 2065.
Dopo aver parlato di NoLo, ecco un’altra area di Milano in grande trasformazione. E’ Gorla,ieri quartiere di fabbriche, oggi micro Silicon Valley costellata di manifatture 2.0.
Due pagine Facebook identificano questo quartiere come SOS – South of Sesto, chi ci lavora la chiama affettuosamente ‘Gorlistan‘, eppure un nome ufficiale ancora non c’è, mentre c’è chi ne vuole proporre uno all’amministrazione.
Uno dei pionieri di questa trasformazione è Nicola Brembilla (foto a destra).
Architetto bergamasco fondatore dello Studio Hypnos e da dieci anni a Milano, Nicola è titolare dello spazio di coworking Unità di Produzione che ha fondato in via Cesalpino 7. Si trova nell’ex Fabbrica Saviotti, officina che produceva forni industriali a due passi da Viale Monza e dal Naviglio Martesana e che Brembilla ha preferito al più mondano Corso di Porta Nuova.
E’ lui a parlarci di questo quartiere apparentemente anonimo e senza alcun elemento di identificazione: “Gorla è come Milano: è neutra, camaleontica, va attraversata e vissuta per amarla e questo è la sua risorsa. Tutte le attività innovative che si sono create all’interno, o gli stessi coworking, dall’esterno sembrano dei capannoni e non si vedono”.
Le fabbriche 2.0. di Gorla
Dentro Unità di Produzioneci sono sale ufficio e sale concerti, sale giochi, si scattano shooting fotografici, si tengono seminari, c’è una guest house. Poco più in là ecco What a Space, web company che è una sorta di airbnb per location, e poi Memethic Lab, società di ricerche di mercato e consulenza. C’è un ufficio stampa di musica e cultura metropolitana, la GPC, c’è Lasia, società di ingegneria industriale, ci sono diverse realtà di design, e ancora We Make, fab lab specializzata nella automazione e nel fare rete, “dove ti insegnano a costruire stampanti 3D, hanno macchinari per la tessitura, c’è una sartoria digitale: “A fondarla è Costantino Bongiorno, è uno degli allievi storici di Massimo Banzi, l’inventore di Arduino (soluzione open source nata nel 2005 a Ivrea per permette, a chi ha la passione dell’elettronica e ha a disposizione una strumentazione di base accessibile, anche economicamente, di creare soluzioni più o meno avanzate, N.d.r.)”, prosegue Nicola, che specifica, “parliamo di progetti sofisticati, ma con uno spirito di apertura grazie al noleggio delle proprie macchine: è la capacità di avviare il manifatturiero urbano in modo open, che è punta di diamante della zona“.
A meno di 200 metri dal suo coworking c’è l’unità di produzione c’è Sherwood di Giulia Trombin, l’airbnb per le attrezzature da utilizzare all’aperto. A 5 minuti a piedi ecco Talent Garden, altro grande spazio del lavoro condiviso in spazi comuni, e il Coworking Login, coworking tecnologico. Poi c’è TAC, il teatro dentro la fabbrica dismessa che include corsi, gallerie d’arte.
Vive dello stesso spirito ‘sharing’ anche la birreria John Barleycorn aperta da poco in Piazza Aristotele 14 e che permette di inserire delle essenze a scelta nella propria birra: ogni avventore qui si beve una birra unica al mondo.
La nuova Gorla: ecco perché non sarà come NoLo
Prosegue Brembilla: “Il concetto è dunque quello del ‘tutto all’interno. Noi stiamo cambiando passo per includere chi abita già in Gorla, perché possa continuare ad abitarci. Cosa che non accadrà a Nolo che era nato inteso in due sensi: quello geografico, come “North of Loreto”, quindi tutto quello che sta a nord di Piazzale Loreto, mantenendo quella storica propensione per cui ciò che dista dal centro di Milano vale di meno tanto più aumenta il raggio della distanza dal Duomo; e come “nolo nel senso di noleggio”, ovvero come spazio ad alto contenuto di sharing economy”.
“Di fatto”, prosegue, “il baricentro di NoLo si è spostato ancora più a sud, ovvero nella zona Piazzale Loreto, Piazzetta Morbegno, via Padova, Pasteur, e le vie subito a ridosso di Buenos Aires, delimitate nettamente dal Naviglio Martesana. NoLo ha assunto una connotazione più etnica, una specie di Belleville etnico-milanese rilanciata dalle gallerie e da una certa fetta di borghesi e creativi che stanno colonizzando il quartiere, con il conseguente innalzamento dei prezzi immobiliari el’espulsione degli abitanti a fronte di un boom del caro vita”, continua Brembilla.
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Gorla: la call per il nuovo nome.
“Sull’analisi di quanto visto in NoLo”, SOS o Gorlastan o come si chiamerà “punterà sulla tradizione di lavoro, solidarietà, innovazione che sono sempre esistiti qui: all’interno di Gorla, e nessuno forse lo sa, c’è la casa editrice Bema che assume dentro di sé un coworking, e non molto diversamente si comporta anche l’Internet service provider, Enter“, spiega Nicola.
Valorizzare ciò che già c’è, senza che i suoi abitanti per questo siano costretti ad abbandonarla: ecco come sarà la nuova Gorla.
Da lì nasce la call informale, che forse diventerà un evento, per coinvolgere tutti, dentro e fuori il quartiere, a dare un nome all’area: “Abbiamo diversi nomi sul piatto che stiamo valutando, da NoMa –Norh of Martesana, a South of Sesto, che ribalta il punto di vista geografico dalla già citata prospettiva Duomocentrica ad un riferimento nuovo. D’altronde, SoHo è South of Houston, mica South of Manhattan”.
L’appuntamento è online o presso Unità di Produzione, Nicola mi farà sapere. Intanto, mi dice: “si accettano nuove idee per allargare e raccogliere fino alle ultime pieghe di creatività sparsa la possibilità di avere un nome efficace”. C’è un mese di tempo.
Sono milanese da poco, troppo poco per capire gran parte delle dinamiche della città. Però mi piace indagare e devo dire che i milanesi amano raccontare storie, soprattutto quando i protagonisti di queste storie sono loro e la loro città. I milanesi soffrono di narcisismo metropolitano.
L’altro giorno stavo tornando a Milano in treno, così ho attaccato bottone con il passeggero accanto a me. Un uomo sulla cinquantina milanesissimo. Abbiamo parlato un po’, a un certo punto gli ho chiesto cosa mi sono perso di Milano.
Lui ha risposto che la cosa che gli manca di più è il Burghy di Piazza San Babila.
Certo non parlava dei panini, né del locale. Quello che più gli manca è quella botta di colore che improvvisamente aveva decretato la fine degli anni 70. Il Burghy era disimpegno, disinteresse per la politica, era anche un modo per protrarre l’adolescenza.
Colore è la parola chiave. Milano è una città un po’ grigia che si colora come può, lo fa con i cocktail, con le luci delle discoteche, con la moda e con i mille eventi che organizza. Basta pensare ai mille colori dell’EXPO.
Burghy era una catena italiana, italianissima perché apparteneva ai supermercati GS (che facevano capo alla finanziaria pubblica SME). Strizzava l’occhio all’America ma chi lo frequentava non pensava di imitare nessuno, era qualcosa di originale.
Nel 1995 fu venduto a McDonald’s e l’anno scorso è stato chiuso per sempre.
3,3 chilometri: è la distanza tra Calabria e Sicilia. 16 chilometri: è la larghezza dello stretto di Øresund, tra Svezia e Danimarca. Nel tempo in cui in Italia si buttavano soldi per progetti mai realizzati, in Scandinavia su un tratto di mare di oltre 5 volte maggiore rispetto allo stretto di Messina, hanno costruito un ponte capace di sorreggere un’autostrada a quattro corsie e una linea ferroviaria a due livelli.
E così è stato.
La prima porzione del ponte termina su un’isola artificiale nel bel mezzo dello stretto. A questo punto è stata realizzata un’altra meraviglia: il ponte degrada dolcemente sotto il mare per inabissarsi in un tunnel sotterraneo.
Perché un design così inusuale?
Per evitare di ostruire il passaggio degli aerei che atterranno nel vicino aeroporto di Copenhagen, così come per mantenere il traffico marittimo attraverso lo stretto.
E l’impressione dall’alto lascia senza fiato.
In questi giorni si sta parlando dell’installazione sul Lago d’Iseo di Christo che per qualche giorno consentirà di camminare sul lago. La meraviglia per queste opere è almeno pari all’umiliazione che proviamo per l’assenza di ponte tra Calabria e Sicilia: su un lembo di mare che in qualunque parte del mondo, qualunque nazione avrebbe già realizzato da decenni.
Una delle promesse di Expo Milano sarà mantenuta: “Manca poco alla sistemazione dell’area sportiva che sorge nei pressi del Parco Robinson” scriveva pochi giorni fa Milanosiamonoi.it.
Di qui a qualche settimana, passando per le vie Moncucco, La Spezia e Famagosta, zona sud ovest di Milano in direzione della Milano-Genova, si potrà rivedere il padiglione Expo di Coca Cola.
L’avveniristica infrastruttura color legno andrà a ricoprire due campi da basket, rendendoli nuovamente e meglio fruibili a tutti, d’ora in avanti anche alle persone disabili.
Il nuovo Parco Robinson è un parallelepipedo di 35 metri per 20, alto 12 metri, capace di coprire in tutto 1000 metri quadrati.
La multinazionale del beverage ha infatti mantenuto la promessa un anno fa e, complice anche il suo fisiologico legame con il mondo dello sport, ha permesso che il Comune di Milano usasse la sua installazione per coprire alcuni campi di basket già esistenti e incentivare la loro riqualificazione.
Ad occuparsi della collocazione e della inaugurazione del nuovo campo da basket di Milano è Palazzo Marino d’accordo con Coca Cola: “per trasportare colonne e travi di legno lamellare serviranno cinque camion. A differenza dell’edificio originario il “playground” coperto […] non avrà richiami all’azienda che lo ha donato”. (ph. Askanews.it).
Una bella novità che andrà a incidere, in meglio, anche sulla vita del quartiere, come ha evidenziato di recente l’assessore al Benessere, Qualità della vita, Sport e tempo libero del Comune di Milano Chiara Bisconti che, a proposito del lancio della notizia, ha parlato di roseo lascito di Expo e di un rapporto Coca Cola-Milano come “sano legame tra pubblico e privato“.
I temi legati all’alimentazione e alla sostenibilità ambientale messi sul piatto da Expo saranno nuovamente ripercorsi nel design dell’installazione, che è realizzata al 100% con materiali ecosostenibili: 142,38 tonnellate di legno, e poi vetro, acqua.
Circa un paio di anni fa avevo sentito parlare di una legge che permetteva di certificare una startup come ‘innovativa‘. Il mio pensiero è stato subito: “ok, la mia è un’idea fantastica, quindi non può che essere innovativa”, adesso cosa devo fare per registrarla?
Le cose non erano così semplici e i criteri sono molto diversi da quelli che possiamo immaginarci.
Cercando in rete, oggi, ho trovato molti siti e blog che parlavano di “che cosa è una startup innovativa” e dei requisiti base per definirla tale: peccato che nessuno fosse così preciso e di semplice lettura – come quello del registro delle imprese – al tempo in cui ho cominciato io. Da quando ho provato ad effettuare la registrazione le cose sono un po’ cambiate, per fortuna in meglio, le informazioni sono aumentate e questo rende l’operazione molto più facile. Vediamo insieme la procedura completa.
Step 1. Informarsi
Prima di tutto bisogna essere aggiornati sulla normativa per comprendere quali sono i criteri e le agevolazioni per le startup “innovative” .
Per le Agevolazioni vi rimando al link dello Sviluppo Economico.
I Criteri li trovate qui di seguito:
1. E’ costituita da non più di 60 mesi dalla data di presentazione della domanda e svolge attività di impresa.
In poche parole se la vostra azienda è più vecchia, casomai potete rientrare come PMI innovativa, ma per quello avete bisogno di un altro tutorial.
2. Ha la sede dei propri affari e interessi in Italia.
Quindi, se avete registrato un LTD in Inghilterra perché costava meno, scordatevi di rientrare come Startup innovativa in Italia.
3. A partire dal secondo anno di attività il totale del valore della produzione annua, così come risultante dell’ultimo bilancio approvato entro sei mesi della chiusura dell’esercizio, non è superiore ai 5 milioni di euro.
Scusate ma in caso contrario vorreste definirvi ancora startup?
4. Non distribuisce e non ha distribuito utili.
Idem come sopra.
5. Ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.
Della serie ci potete far rientrare un po’ tutto quello che volete.
6. Non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.
E adesso arriva il bello: se fino a questo punto avete esultato, flaggando ogni punto con ce-l’ho, ce-l’ho, ora vediamo se riuscite a superare il punto 7.
Il punto 7 è quello più complesso e starà a voi autocertificare che almeno uno dei tre requisiti che sto per elencare è in vostro possesso:
7.1 Le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15% del maggiore valore tra costo e valore totale della produzione della startup.
7.2 i due terzi della “forza lavoro” della startup deve avere una laurea magistrale o sta svolgendo un dottorato di ricerca
(semplificato ma in grandi linee è così )
7.3 E’ in possesso di un brevetto.
se rientrate nei 7 punti sopra elencati potete definirvi una startup innovativa.
Adesso dovete solo formalizzare il tutto.
Step 2. La modulistica necessaria
Ho ancora in mente il sapore del successo di aver superato il primo step. A quel punto credevo mi bastasse autenticare un modulo per registrare la mia startup nell’elenco delle startup innovative.
Quindi, vado avanti e scarico il modulo dall’apposito link del Registro Imprese per le startup, questo.
Adesso inizia la parte complicata, seguire tutti gli step dei sistemi informativi del registroimprese. Ripetevo dentro di me, Puoi farcela, puoi farcela, ripetetelo con me, Puoi farcela, puoi farcela.
Andiamo al punto due, e vi allego passo per passo tutti gli step, reperibili anche dalla seguente guida online.
Per predisporre e spedire una pratica è necessario disporre di:
1. un dispositivo (Smart Card o Token USB) per la firma digitale; 2. una casella di posta elettronica certificata. L’accesso ai servizi di registroimprese.it è disponibile; 3. Dopo la connessione a ComunicaStarweb (starweb.infocamere.it), va selezionata in alto, a sinistra, l’opzione “Variazione” del Menu “Comunicazione Unica Impresa”.
Allora compare una pagina: dovrete compilare i campi relativi alla CCIAA destinataria ed al codice fiscale dell’impresa oppure al numero di iscrizione REA presso la CCIAA della provincia ove ha sede dell’impresa.
Selezionando il bottone “Dati Impresa” viene automaticamente individuata l’impresa presente negli archivi del registro delle imprese della provincia selezionata.
4. A questo punto, selezionando “Dati Impresa”, dopo il ribaltamento dei dati dell’impresa, viene proposta una lista di gruppi di possibili comunicazioni di variazione come sotto indicato: le voci che interessano ad una impresa startup sono nel gruppo “Startup innovativa / Incubatore certificato”.
Step 3. Se siete giunti sino a questo punto potete considerarvi quasi arrivati al traguardo.
1. Fare l’iscrizione alla Sezione Speciale: Dal gruppo “Start-up innovativa/Incubatore certificato/Piccola-Media Impresa innovativa” selezionare l’opzione “Iscrizione alla Sezione Speciale Startup innovativa” e il bottone “Continua”.
2. Se l’impresa non ha ancora comunicato l’indirizzo del proprio sito Internet, sarà necessario farlo contestualmente, selezionando anche la voce “Variazione indirizzo della sede nello stesso Comune” del gruppo “Dati sede”.
3. Nella pagina dedicata all’iscrizione alla Sezione è necessario indicare la data di avvio della startup innovativa e, nei rispettivi campi di testo, tutte le nuove informazioni previste dalla legge:
l’attività e le spese in ricerca e sviluppo;
i titoli di studio e le esperienze professionali dei soci e del personale che lavora nella startup innovativa;
l’elenco dei diritti di privativa su proprietà industriale e intellettuale;
l’esistenza di relazioni professionali, di collaborazione o commerciali con incubatori
certificati, investitori istituzionali e professionali, università e centri di ricerca;
Dichiarazione possesso del requisito art.25 comma 2 lett. g) n.1 relativo alle spese in ricerca e sviluppo;
Dichiarazione possesso del requisito art.25 comma 2 lett. g) n.2 relativo alla forza lavoro;
Dichiarazione possesso del requisito art.25 comma 2 lett. g) n.3 relativo ai brevetti;
l’elenco delle società partecipate estere;
l’autocertificazione di veridicità dell’ elenco dei soci, con trasparenza rispetto a fiduciarie, holding;
i settori di attività esclusive in caso di Startup a vocazione sociale.
4. Ora bisogna alle gare l’autocertificazione di cui parlavo nel punto “1” e che vi ripropongo al seguente link: stampatelo, compilatelo, firmatelo e scansionatelo.
5. Quindi si allega l’autocertificazione prodotta in formato pdf/A-1B/2B con firma digitale, con codice documento D30 e descrizione “STARTUP-DICHIARAZIONE REQUISITI (DL 179/12 ART.25 C.3-9-15)”
6. Al termine il sistema richiede la firma digitale della comunicazione unica. La fase d’invio si conclude con l’indicazione dell’esenzione da diritti e bolli e con la conferma della trasmissione telematica.
Tutti gli avvisi di conferma di ricezione e iscrizione giungeranno alla casella PEC del mittente.
FATTO!!
Concludendo: posso dire che non è stato poi così difficile.
A Milano Città Stato l’alimentazione è considerato un tema importante, al pari di istruzione, economia, autonomia [IL PROGETTO].
Ecco la prima mappa di Milano in cui ogni fermata è associata a un ristorante, bistrot, negozio, alimentari, indirizzo consigliato da chi è attento al tema del cibo, inteso come strumento del benessere. L’abbinamento è stato fatto perché il luogo è in prossimità se non proprio presso la fermata della metropolitana corrispondente. Biologico, vegano, vegetariano: ecco la mappa dei luoghi vicini alle fermate della metro.
La fermata Porto di Mare mi ha sempre incuriosito: perché si chiama così, non c’è manco un lago ed è incastonata tra la Rogoredo presa d’assalto dai pendolari e una Corvetto così urbanizzata?Cosa c’entra il mare?
Ogni volta che parlo della fermata di Porto di Mare mi vengono in mente i toto scommesse con gli amici di gioventù, ovvero di quando si prendeva la linea gialla verso Duomo e si provava a indovinare quante persone sarebbe salite o scese. Le cifre si aggiravano su nessuna, una, due, tre al massimo, e in genere ci azzeccavamo.
A distanza di qualche anno, qualche utente in più c’è grazie alla presenza di una palestra alla moda, la recente apertura di un american diner, l’inarrestabile suono del Karma e qualche cascina resistente al tempo che passa, con trattoria al seguito. Tutto intorno sono rimasti i casermoni e un quartiere – tra via Cassinis, via Fabio Massimo, via Gaggia – tagliato a metà dal raccordo tra Piazzale Bonomelli e l’imbocco alle autostrade. Molte novità, ma ancora niente mare e neppure un fossile di qualche precedente era geologica.
Il rilancio di Porto di Mare (che non inizia mai)
Il 6 aprile 2016, la fermata e per esteso il quartiere Porto di Mare sono tornati alla ribalta per la visita del Ministro Pier Carlo Padoan e la proposta di un progetto di riqualificazione urbana che, riporta IlGiorno riguarderà la messa a punto di “un’area pulita […] dall’amianto e da tutto, tranne che gli edifici storici come la Cascina San Nazzaro e Cascina Casottel […], spazio per attività artigianali e produttive, per strutture sportive, ma non per il residenziale, se non in particolari forme come studentati e alloggi per le famiglie degli ospedalizzati”. Costo complessivo: tre milioni di euro “che il Comune ha risparmiato nella transazione con il Ministero dell’Economia e delle Finanze (fonte. ilGiorno.it).
Solo a novembre 2013, MilanoToday titolava: “Milano: La rinascita della zona di Porto di Mare. […] Il nuovo piano regolatore prevede che entro Expo 2015 si procederà con la realizzazione di housing sociali, con la costruzione di un villaggio dello sport, comprensivo d’impianti di atletica, golf e tennis, e una parte sarà destinata a parco (almeno il 50% della superficie territoriale). La travagliata storia di questa immensa area risale però al lontano 1941.”
Facciamo allora un tuffo nel passato per capire la vicenda per intero.
Le origini del mistero di Porto di Mare
1884. Il piano regolare (PRG) Beruto è in atto: si prevede la scomparsa dei canali dal centro città.
“In questi anni l’Ing. Paribelli del Genio Civile propose di creare un nuovo porto che mettesse in comunicazione Milano al mare (naturalmente via Po)”, spiega il portale Vecchiamilano, che spiega come questa area collocata tra Rogoredo e il primo confine di Milano fosse ritenuta una zona appetibile, perché ‘vergine’, spaziosa, rurale e quindi adatta a far convogliare tutte le acque del milanese.
1907. Il Genio civile di Milano presenta il progetto per cui il porto a Rogoredo a sud di Porta Romana sia il naturale punto di convergenza delle acque che defluiscono dalla città. In pratica si trattava di creare nella zona una nuova Darsena.
Perché una nuova Darsena a Milano?
Il progetto – Porto di Mare- – ilGiorno.it
La risposta è ben spiegata da Storiedimilano: “La Darsena era infatti ormai insufficiente per la mole enorme di materiali trasportati via barconi dal Po e dal Lago Maggiore, tramite rispettivamente il Naviglio Pavese e il Grande. Il numero di imbarcazioni (oltre 70 al giorno) superava quello di porti affermati come quelli di Brindisi, Bari e Messina. Si trattava però di imbarcazioni di modesta portata (40/80 tonnellate) molto inferiori ai battelli di 600 tonnellate che percorrevano i canali francesi e che avrebbero potuto navigare da Milano a Venezia lungo il Po. Il Pavese era caratterizzato da 12 chiuse per superare il dislivello che rallentavano enormemente il tragitto. Anche il percorso dal Lago Maggiore era lunghissimo, giorni di navigazione e traino. Il Genio Civile presentò quindi il progetto di una enorme serie di darsene localizzate nel punto ove tutte le acque di Milano, di superficie e di falda, tendono a colare, la zona a sud dell’attuale Piazzale Corvetto.”
Il grande bacino avrebbe compreso 5 enormi moli di attracco, subito dopo ridotti a 4, sarebbe continuato verso nord, allacciandosi alla Martesana, passando ad est dell’Idroscalo, per connettersi con le linee ferroviarie di Rogoredo e di Porta Romana.
La storia non finita del Porto di Mare di Milano
foto Milanofree.it
1917. E se l’attuale via Fabio Massimo e limitrofe ospitassero una nuova Darsena per dismettere definitivamente quella Ticinese? Il Comune dice di sì: il piano Beruto e la copertura dei Navigli si avvia alla sua seconda fase, con buona pace dei mercantili che, arrivando a sud di Milano, non avrebbero dovuto varcare le dodici conche del Naviglio Pavese.
1918. Viene costituita l’azienda portuale.
1919. Inizio dei lavori di scavo del Porto di Milano per creare il grande bacino portuale e di spezzoni di canale diretto verso Cremona per 20 chilometri.
Si scava. L’acqua di falda riempie lo scavo. Corvetto diventa un’area gradita ai pescatori e, d’estate, ai bagnanti.
1922. Blocco dei lavori. Inizio della trafila.
Dal 1925 al 1928: l’area viene anche sfruttata come cava per la ghiaia da utilizzare per la costruzione del nuovo quartiere popolare Regina Elena che stava sorgendo in piazza Gabrio Rosa sotto la direzione dell’architetto Giovanni Broglio (fonte: Wikipedia).
Anni ’30. L’Ing. Baselli del Comune amplia il progetto in vista della realizzazione di un nuovo grande canale, il Naviglio Grande, di collegamento tra il Naviglio Pavese e l’area di Rogoredo, dal Lago Maggiore e fino a Cremona così da raggiungere il Po.
Progetto approvato.
1941. Tutto è pronto per partire, ma l’Italia è entrata in guerra.
1953. La nuova Darsena di Corvetto-Rogoredo è compresa nel nuovo piano regolatore. Il Comune torna nuovamente sul progetto, ma per la terza volta tutto si ferma.
1972. Viene il turno di Regione Lombardia che dichiarando la priorità dell’opera per i commerci. Per questo viene fondato il Consorzio Canale Milano-Cremona. Nuovi terreni vengono acquistati. Si scavano 20 chilometri di Canale tra Cremona e l’Adda.
31 marzo 1979: nella Darsena di Ticinese arriva l’ultimo barcone con il suo carico di sabbia. “Milano da quel giorno rimarrà una città senza porto”, Vecchiamilano .
1991. Arriva la metropolitana. Qui si dispone una fermata, la “Fabio Massimo”, ma si preferisce dedicarla all’opera mai conclusa.
Ecco la risposta. La fermata e l’intero quartiere Porto di Mare sono un omaggio ad un mai finito progetto milanese.
Il resto, è storia più recente.
Il Consorzio Canale Milano-Cremona viene messo in liquidazione del 2000.
Il canale Cremona- Adda giace tra i campi inutilizzato, “addirittura negli ultimi anni si è reso anche responsabile di danni ai campi vicini a causa dell’assenza totale di manutenzione e la Regione dovrà sborsare altri soldi per risistemare l’alveo” scriveva la nostra fonte nel 2013, che conclude, “nel 2009, infine, il colpo di grazia venne dal progetto di costruire nella zona la “Cittadella della Giustizia” andando così a far naufragare definitivamente il progetto del porto e a distruggere un’ulteriore area verde di Milano”.
Nei piani si sarebbe trattato di 1.200.000 metri quadrati di uffici e servizi, poi slittato di un anno, con l’avallo del ministero della giustizia, ripresentato nel 2010 e nuovamente messo da parte.
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Se vi hanno stupito i vagoni dei treni della metropolitana coreani dagli straordinari trompe l’oeil, se vi è piaciuta l’idea di fare Milano-Genova in 15 minuti comodamente trasportati da un ‘siluro’, allora non potrà non sorprendervi il treno invisibile già Pritzker Architecture Prize, il Nobel dell’architettura.
Sono passati sei anni da quando l’architetto giapponese Kazuyo Sejima, cofondatore dello studio Sanaa, presentava al mondo il primo treno in grado di mimetizzarsi con l’ambiente.
Il Seibu Railway, questo il suo nome, è realizzato con un materiale semiriflettente dall’effetto trasparente, quasi invisibile, “un’originale discrezione minimalista che non rovina il paesaggio e merita un applauso”, lo descrive chi, tra i primi in Italia, ha rilanciato questa storia, Futurix.it.
Esterno semi invisibile grazie alla sua superficie tecnologica.
Interno più che rilassante e comfortevole, pensato per garantire il massimo dell’assorbimento nell’ambiente circostante da parte dei passeggeri.
L’idea è partita per il centenario della società ferroviaria, “e creare un concetto di treno con un aspetto senza precedenti dentro e fuori”, spiega la Seibu Railway.
Per provarlo, bisognerà tenersi pronti: partenza dal Giappone e tutti in carrozza entro il 2018.
E se le strisce pedonali creassero una barriera di luce per spingere gli automobilisti a fare più attenzione ai pedoni?
O ancora: e se i pedoni più sbadati o di corsa fossero protetti da una lama di luce quando attraversano la strada?
Questi ‘se’ hanno trovato una risposta nel progetto Smart Citypubblicato a inizio 2014 dalla società iberica Llumtraffice di recente rimbalzato ai clamori della cronaca.
Alcune città della regione spagnola della Catalogna, ovvero Cambrils, il Comune di Barcellona, a Figueres, Llieda, Solsona, stanno applicando delle “zebra smart“, ossia delle strisce pedonali intelligenti. Intelligenti perchè si illuminano.
L’iniziativa consiste nell’utilizzo di una vernice rifrangente abbinata ad un sofisticato sistema di rilevazione del movimento dei pedoni: quando il pedone raggiunge l’attraversamento, dei sensori di pressione ne registrano il peso e inviano l’ impulso di illuminazione a led posizionata ai margini delle strisce, rendendo immediatamente visibile il pedone anche alle in auto in arrivo.
Questo video spiega il funzionamento del dispositivo, che per una volta non è un caso confinato all’estero. [continua dopo il salto]
Una tecnologia poco conosciuta forse per il costo? Non proprio: il costo dell’installazione è di 10.000 euro.
Queste strisce pedonali a Led e intelligenti potrebbero essere efficaci su molti vialoni di Milano o sulle statali poco illuminate.
Non a Milano ma a Masciano, Perugia, poco tempo fa è partita una sperimentazione simile, e lo racconta il servizio di questa emittente locale:
Da Milano a Perugia mancano circa 450 chilometri: con la tecnologia è una distanza che si può colmare in fretta.
C’è una torre di vetro e cemento che svetta in via Galvani angolo via Fara, a pochi passi dalla trafficatissima via Melchiorre Gioia e da Stazione Centrale. Imponente, alta come il bosco verticale, nella zona di Milano che si è rilanciata di più negli ultimi anni.
Eppure basta una veloce occhiata per cogliere la sua caratteristica più evidente: è deserta.
Già. Dentro non c’è nessuno. Ed è così da molti anni.
Dopo la storia della mancata riqualificazione di Corso Sempione e lo scempio fatto del Ponte Vecchio di Milano, vi raccontiamo un’altra storia incredibile: quella di uno spreco con vista sui nuovi palazzi di Porta Nuova. Si tratta della Torre GalFa.
Visione di Milano negli anni Sessanta: torre Galfa e grattacielo Pirelli sullo sfondo – Ph.polinice.org
Torre GalFa: com’era
Milano, 1958. Boom economico, edilizio, architettonico. Dopo le privazioni della Guerra c’è una tensione verso l’alto e, ancora una volta, Milano è capolista del rinnovamento. Milano cambia, si alza. Torre Velasca e il Pirellone vengono eretti a breve distanza l’uno dall’altro.
Alla fine degli anni ’50,all’angolo tra via Galvani e via Fara nasce la Torre GalFa. Prende il nome dalle prime lettere delle due vie su cui è costruita.
Melchiorre Bega, l’architetto che nel suo palmares ha pure il Palazzo dell’ONU a New York, l’ha progettata come un blocco razionale di cemento e vetro alta 31 piani, più 2 interrati.
A seguire i lavori sono gli ingegneri Luigi Antonietti, Pier Antonio Papini, Antonio Rognoni, Arturo Danusso.
A tagliare il nastro, nel 1959, è la società petrolifera Sarom.
Nel 1980 – la proprietà passa alla Banca Popolare di Milano che usa la Torre GalFa come sede operativa e centro servizi.
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L’agonia della Torre Galfa
2001. Nel 2001 il palazzo viene abbandonato. 2006. Banca Popolare di Milano vende alla Immobiliare Lombarda, società del gruppo Fondiaria Sai di Salvatore Ligresti. La cifra è da capogiro, 48 milioni di euro, ma il palazzo viene lasciato vuoto. I suoi 31 piani, di cui 27 abitabili, non sono sfruttati, i 27.000 mq, l’elegante facciata a vetrata continua (curtain wall) da cui la struttura portante della torre risulta arretrata rispetto al suo filo esterno e quindi “invisibile”, l’ascensore per l’accesso “senza barriere” al livello -1 della scala elicoidale, tutto lasciato in mano all’incuria.
5 maggio 2012. Il centro per le arti di Milano, Macao, occupa la torre seguita da uno stuolo di media e autorevoli personalità del mondo dello spettacolo e della cultura, tra i quali spicca Dario Fo. L’occupazione dura fino al 15 maggio, quando l’immobile viene sgomberato.
AZIONE DI MACAO CHE NELLA NOTTE SCRIVE CON RULLO E VERNICE IL NUMERO DI METRI QUADRI SUGLI EDIFICI ABBANDONATI. TORRE GALFA (GIANLUCA ALBERTARI, MILANO – 2013-07-24) p.s. la foto e’ utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e’ stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate – AZIONE DI MACAO CHE NELLA NOTTE SCRIVE CON RULLO E VERNICE IL NUMERO DI METRI QUADRI SUGLI EDIFICI ABBANDONATI. TORRE GALFA (GIANLUCA ALBERTARI, MILANO – 2013-07-24) p.s. la foto e’ utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e’ stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate -> SAVOIA CATTANEO FARAVELLI
Milano, 2012. Fondiaria-Sai è stata acquistata nel 2012 dal Gruppo Unipol. E’ lui ad avviare lo studio del progetto di riqualificazione e valorizzazione insieme al Comune di Milano. Data inizio lavori: 2014.
Gennaio 2015: Torre Galfa è ancora vuota e inutilizzata.
29 aprile 2015: una nota del Comune di Milano scrive:
“UnipolSai inizierà la riqualificazione nel gennaio 2016. Investimento complessivo di circa 100 milioni di euro. Avrà una vocazione ricettiva/alberghiera fino al 12° piano e residenziale fino al 31° con servizi dedicati e ingressi separati”. Il progetto di riqualificazione viene curato dall’architetto Maurice Kanah dello Studio bg&k associati: “sta per rinascere la Torre GalFa, il grattacielo di 103 metri costruito nel 1959 su progetto dell’architetto Melchiorre Bega” acclama Palazzo Marino. Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco e assessore all’Urbanistica e Edilizia privata del Comune di Milano, durante la conferenza stampa congiunta svoltasi in quella data all’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele, commenta: “Questo progetto rappresenta un altro importante obiettivo raggiunto dall’amministrazione comunale nell’ambito della politica di rigenerazione del patrimonio esistente, inutilizzat. […] È emblematico che si tratti proprio della Torre GalFa, per la cui riqualificazione avevamo promesso l’approvazione del progetto in tempi brevi“. Controribatte Gian Luca Santi, Direttore Generale Immobiliare e Società Diversificate di UnipolSai: “Dopo 16 anni di inutilizzo Torre GalFa tornerà ad essere uno dei simboli della città. L’incuria e l’abbandono ne avevano deturpato l’immagine snaturandone il suo alto valore architettonico. Grazie all’intervento di Unipol, si è provveduto alla riqualificazione di questo storico edificio che sarà caratterizzato da destinazioni funzionali miste con criteri all’avanguardia di ottimizzazione degli spazi”. (fonte: sito Comune di Milano).
La Torre GalFa, oggi
torre galfa rendering riqualificazione 2016 milano condee nast ad
La situazione oggi
Macao è attivo. In viale Molise.
L’amministrazione comunale sta per cambiare.
La Torre GalFa è sempre abbandonata.
“Guardate il cartello dei lavori: dice 150 giorni con inizio 1 giugno 2015. E’ scaduto da mesi, ma nessuno in zona ne sa niente e la situazione è quella delle foto” (fonte: Affari Italiani).
Aggiornamento del 03 maggio 2016
Al momento della pubblicazione, i lettori ci avvertono che i lavori di ristrutturazione sono partiti da poco. Cercheremo di seguire da vicino la vicenda per fornirvi i prossimi sviluppi.
In principio erano semplici mattoncini colorati per stimolare la nostra fantasia. Poi venne la Lego mania: chi non si cimentava a erigere palazzi e costruzioni fatti di lego non aveva futuro.
Più di recente, la Lego-follia è sbarcata ad Arese, nel più grande shopping center d’Italia. Ma ora arrivano due notizie che portano i lego dal mondo della fantasia alla realtà del quotidiano, per renderla migliore.
L’artista Jan Vormann vive a Berlino e sul suo sito ufficiale si trova la mappa di tutti i palazzi in oltre 40 città del mondo che ha riparato utilizzando dei mattoncini lego.
Un esempio tra tutti? Venezia. Nella gallery qui sotto si mostra come l’artista è intervenuto contro la corrosione da salsedine di cui sono vittima da secoli i palazzi della Serenissima.
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Fonte Foto: Dailybest
Fonte Foto: Dailybest
Fonte Foto: Dailybest
La seconda notizia è ancora più dirompente e può riguardare direttamente ognuno di noi.
Se servirà una parete in più in un appartamento, se ci si dovrà costruire un riparo di fortuna, potremo farcela senza malta, calce, polvere o rivestimenti: basterà acquistare dei mattoni a incastro, fatti proprio come i classici Lego. Solo che in formato gigante.
In questo caso non siamo di fronte ad un’applicazione tout-court dei mattoncini danesi, ma di uno spin-off architettonico che ne emula le forme e la tecnologia a incastro: “L’ho pensata anche per chi è in difficoltà a montare un mobile dell’Ikea” ha detto l’inventore, l’ingegnere di Aosta, Flavio Lanese.
SpeedyBrick
Un’idea rivoluzionaria, molto comoda e garantita (“alle sollecitazioni di trazione, compressione e pressoflessione“, N.d.r.) e, aspetto ancora più interessante: antisismica.
Gli SpeedyBrick, questo il loro nome, si smontano, rimontano, e “sono già pronti per l’installazione di reti tecnologiche , come impianti elettrici, reti telematiche, impianti idraulici, all’interno dei muri”, spiega il portale Dailybest.
La notizia è stata a sua volta rilanciata dal magazine ItaliaCheFunziona: un nome che speriamo sia presto una realtà per il nostro paese.
Le invenzioni della scienza e del design possono rivoluzionarci la vita oppure sanno renderci più piacevole qualcosa che ci piace fare.
Per esempio: perché non immergersi in un bosco ed ascoltare i rumori della natura amplificati da un altoparlante di legno? In Estonia l’hanno fatto – e noi ne abbiamo parlato qui. Oppure: perché non frequentare una biblioteca, in Giappone, in cui potersi addormentare tra i libri? Ecco le immagini di chi lo può fare.
L’ultimo regalo dei geni del design potrebbe rendere più suggestive le nostre prossime vacanze.
Si tratta di una tenda igloo trasparente, prodotta da Holleyweb, ad oggi in uso solo per fini promozionali ma, presto la “Bubble Tent”, letteralmente tenda a bolla sarà a disposizione unendo i vantaggi della tenda con la libertà del sacco a pelo.
Due sono le condizioni necessarie perché la si possa sfruttare al meglio: la prima, che si sia dotati di un’enorme presa di corrente o di una buona batteria durevole nel tempo, la seconda è che non si soffra di eccessivo pudore: Bubble Tent infatti è completamente trasparente.
Per il resto, trovato il giusto spazio, si può gonfiare questo igloo trasparente dal diametro di 4 metri e completamente in PVC. La tecnica per dargli forma è la stessa dei palloni da calcio o di un materassino da spiaggia, per intenderci: un ventilatore laterale la gonfia, mentre una porta pre-ingresso impedisce la fuoriuscita di aria e blocca il funzionamento non richiesto del ventilatore stesso.
Resistente all’acqua e al fuoco, può contenere due persone a volta.
E per i più temerari potrebbe essere un’idea da sperimentare anche in città: per provare l’ebbrezza di vivere una notte sotto le stelle di Milano.
Fino a poco tempo fa viale Padova era simbolo di degrado.
Ma Milano è fantastica perchè cambia di continuo e luoghi un tempo malfamati possono diventare di tendenza. E’ successo per l’Isola, per Lambrate e ora sta accadendo per la prima periferia nord di Milano che non solo ha cambiato volto: ha cambiato anche il nome. Ora si chiama NoLo, che vuol dire North of Loreto. Very international, very cool.
Per capire la portata rivoluzionaria di questa riqualificazione urbana ripercorriamo in breve la storia di questa parte di Milano.
Clicca per partecipare al grande sogno di Milano
Ai primi del ‘900 via Padova era l’arteria che portava alle osterie e alle case affacciate sul naviglio, in direzione Monza.
Negli anni ’60 è cresciuta come quartiere operaio, popolandosi di immigrati provenienti soprattutto dalle zone meridionali d’Italia.
via padova-via adriano-ponte-naviglio martesana
Negli ultimi due decenni si è persa al punto da diventare una specie di area 51, la grande kasbah di Milano con un melting pot di etnie di paesi in via di sviluppo e covo di rifugiati in fuga dalla disperazione.
Una via lunga e popolosa, teatro di micro-macrocriminalità in cui era considerato pericolo addentrarsi di sera.
Ad abitarla quasi interamente c’era una popolazione così compatta e talmente poco incline alla integrazione da aver prodotto [ERRATA CORRIGE]* una sorta di ghettizzazione autonoma dei cittadini stranieri. Così massiccia da portare al progressivo abbandono della zona da parte degli italiani, lo sprofondamento della via e di quelle limitrofe in un progressivo stato di degrado fino alla drastica riduzione dei valori degli immobili. Insomma: dalla zona a nord di Loreto ci si teneva alla larga.
mappa NoLo
L’area intorno a via Padova ha preso il nome di NoLo, crasi di North of Loreto, a nord di Loreto, e sta diventando un luogo di tendenza.
Se solo ieri il Parco Trotter era un luogo noto per il problema della droga, oggi è il fulcro intorno a cui ruotano hipster, florist designer, bikers e biciclettai, artisti di ogni genere con lunghi cappelli e cappelloni, baffi, come vuole la moda 3.0. Un’intera generazione di artisti e creativi che ha riconquistato l’area.
I muri solitari sotto il sole imbrattati di scritte e graffiti si sono tramutati in vivaci strade con eventi di quartiere, laboratori di creativi, gallerie d’arte e persino uno spazio di coworking (Talent Garden).
NoLo è oggi un posto dove gli immigrati di nuova generazione collaborano con i cinesi locali. Dove gli artisti producono oggetti anche dalle forme erotiche più palesi e solo a pochi passi dai luoghi di preghiera dei musulmani locali. NoLo è dove il miracolo dell’integrazione non è più tanto tale, perché sta diventando un dato di realtà. E’ dove i giovani architetti scommettono e progettano. Si inaugurano locali, mercatini e attività terziarie.
NoLo, un quartiere di passaggio che ben testimonia la nuova rinascenza di cui è protagonista in questi anni Milano. La leva è stata simile a quella che ha determinato il rilancio di Berlino: l’abbinata di ambiente internazionale e prezzi bassi degli affitti ha attirato giovani creativi e costituito un terreno fertile per le start up.
A raccontarlo via social ci sono Susanna Tosatti e Elena Biagi dalla pagina Facebook YoLo in Nolo, ovvero “You only live once in NoLo”, che hanno postato le foto (sopra).
Un angolo di Milano fino a ieri dimenticato e di cui un po’ ci si vergognava, che oggi è paragonata a New York e che tutti cominciano a riscoprire.
Una nuova fotografia di Milano che, numeri e foto alla mano, è stato oggetto di un ben documentato reportage firmato D.Repubblica nell’articolo di Francesca Sironi con immagini di Andrea Frazzetta, come questa:
Nolo_ph. d.repubblica
79.796 È il numero totale dei residenti nella zona via Padova/Loreto.
Se Milano negli anni si è spopolata, qui la densità è aumentata, rispetto ai 69mila residenti del 2003.
33% È la percentuale degli stranieri (27.105 persone) fra gli abitanti, della zona. Mentre gli autoctoni sono diminuiti, gli extracomunitari sono raddoppiati.
+107. I neonati stranieri sono più dei coetanei: 1.166 contro 1.059.
È “sorpasso” anche fra i 25 e i 34 anni: gli extracomunitari sono 6.326, i milanesi 5.570.
Sono invece solo 400 gli stranieri con più di 65 anni. Le provenienze più frequenti sono dall’America Latina (maschi e femmine in ugual misura), dall’Africa del nord (i maschi immigrati da lì sono il triplo delle donne) e l’Asia orientale (dalla Cina arrivano più donne che uomini).
NoLo sta diventando metafora di una Milano che non ha paura di cambiare e di puntare in alto, non solo con i grattacieli, ma anche con la creatività.
*”la cosiddetta ‘gentrificazione'” > ERRATA CORRIGE. Come correttamente fatto notare dai lettori, il termine ‘gentrificazione’ è stato inserito in modo inappropriato. Mi scuso con loro e ringrazio per la segnalazione.
Se credete sia un po’ presto per iniziare a parlare di vacanze, vi sbagliate di grosso. Perché qui a Milano la domanda “dove andrai in vacanza quest’estate?” ha cominciato già ad insinuarsi nelle conversazioni della pausa pranzo, complici la mite temperatura delle ultime settimane e il fatto che i milanesi amano programmare con anticipo le proprie ferie.
Ma quali sono le mete preferite dai milanesi per la prossima estate 2016?
Sia che tu voglia evitarli, sia che tu voglia invece incontrarli, non puoi esimerti dal leggere il trend vacanza 2016.
ESTATE 2016: ITALIA
location salento estate 2016
#1. Puglia
Per i milanesi che scelgono il bel Paese, la Puglia ed in particolare il Salento, rimane ancora in testa alla classifica. Una terra che i milanesi hanno di fatto adottato, confermandola di anno in anno con il gran piacere dei pugliesi, che con loro gentilezza e ospitalità hanno conquistato i meneghini a suon di friselle, pizzica e mare cristallino.
#2. Sardegna
In crescita la Sardegna, soprattutto quella meridionale, a Est e Ovest di Cagliari. Una bella gara tra i due mari fiori all’occhiello d’Italia. Di certo la Sardegna, per la sua vastità, offre non poca scelta e, la possibilità, a volte anche ad Agosto, di trovare spiaggette nascoste semideserte. Vale la pena avventurarsi!
#3. Liguria vista Conero (#4)
In lieve crescita la Liguria con entrambe le Riviere, e le Marche…una new entry. Sebbene la Liguria sia da tempo criticata per la “calda accoglienza” dei suoi abitanti, resta sempre una delle regioni più affascinanti d’Italia. Con i suoi borghi, la sua cucina, le sue terrazze caratteristiche, è meta di turismo locale ed internazionale.
Le Marche entrano finalmente nella classifica: un tuffo in mare come nella storia grazie ai suoi monumenti e ai borghi medievali. Una natura rigogliosa incornicia questa regione, terra di vini e di buon cibo.
#5. Le isole
In calo le Isole della Sicilia, Costiera Amalfitana, Toscana.
Rari milanesi in Romagna, rarissimi in Veneto. Difficile incontrarli anche in montagna. Poche tracce sui laghi.
ESTATE 2016: EUROPA
location salento
#1. Quest’estate tutti in Grecia.
Sugli scudi Antiparos (tasso di milanesità attorno al 90%), Sifnos, oltre alle solite Santorini, Myconos & C. Sarà per il bianco tipico dei paesini, per il mare d’incanto, per i prezzi onesti e l’amorevolezza della gente, che la penisola ellenica non smette di esercitare il suo ascendente sul popolo italico e milanese in particolare.
#2. Baleari in calo
Lieve calo per Formentera – il troppo stroppia-, in ripresa Ibiza, si perchè i gggiovani trovano ancora e sempre in quest’isola la massima espressione del viveur di ultima generazione!
#3. Le Capitali europee
Calo in generale delle capitali europee, di fatto più visitate nei weekend durante l’anno, grazie a offerte e voli low cost.
#4. Mediterraneo occidentale
Calo netto della Spagna continentale ma Costa Azzurra in ripresa: i milanesi sono sempre stati attratti da questa terra dove ancora, in certi luoghi, si riesce a respirare l’atmosfera della belle epoque!
#5. La Croazia
Stabile la Croazia, che alla fine è sempre una garanzia di buon rapporto qualità prezzo.
ESTATE 2016: POSTI ESOTICI
resort caraibi estate 2016
Dopo il boom della Thailandia e i vicini Vietnam-Cambogia-Laos, il vento si sposta ad Ovest: Stati Uniti e Caraibi. Meno zen e più concreti i milanesi del 2016? Chissà, sta di fatto che nel tiro alla fune hanno vinto i grattacieli e le steak house, i parchi del centro e l’appeal della Silicon Valley, il Mojito della Bodeghita e le distese di sabbia bianca.
L’articolo 132 della Costituzione Italiana consente la creazione di una autonomia per Milano.
Milano città stato mira a diventare la prima città d’Italia autonoma, modello di efficienza e cultura di vita, come già sono Berlino,Madrid, Amburgo, i cantoni svizzeri, Singapore e Hong Kong, esempio di come una città stato possa essere da stimolo per la nazione di cui fa parte.
Fine di questa campagna è di organizzare le MILANARIE, dando la possibilità ai milanesi di poter dire SI o dire NO a Milano Città Stato.
Milano ci piace così. Al centro della storia. Ecco in ordine sparso 10 protagonisti del suo glorioso passato.
10 PERSONAGGI CHE HANNO FATTO LA STORIA DI MILANO
#1. Alessandro Manzoni
Alessandro Manzoni
Forse il più grande romanziere italiano, autore de I promessi sposi, letto in tutte le scuole. A Milano è nato (il 7 marzo 1785) e morto (22 maggio 1873) e vi ha trascorso l’intera vita. Ha contribuito a diffondere in tutto il paese l’illuminismo cattolico e la lingua italiana.
#2. Ludovico Maria Sforza (Il Moro)
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Nato a Milano il 3 agosto 1452 è stato duca dal 1494 al 1499. Nei suoi soli 5 anni di regno, Milano divenne una capitale del Rinascimento attirando alcuni tra gli artisti di maggior rilievo dell’epoca, tra cui Leonardo Da Vinci a cui Ludovico commissionò l’Ultima Cena. Con la sua caduta per mano dei francesi, Milano perse l’indipendenza e rimase sotto domino straniero per 360 anni. Ludovico visse gli ultimi anni da prigioniero in terra di Francia, fino alla morte avvenuta nel 1508.
#3. Aurelio Ambrogio (Sant’Ambrogio)
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Il santo patrono di Milano era un tedesco. Nato a Treviri, l’attuale Trier, nel 339 è uno dei quattro dottori della Chiesa, assieme a San Girolamo, San Gregorio e a Sant’Agostino che lui stesso battezzò a Milano. La città gli deve le sue chiese più antiche, tra cui San Nazaro, San Simpliciano e la basilica che porta il suo nome. In suo onore si tiene la prima della Scala, a lui si ispira l’Ambrogino d’oro, il premio del Comune di Milano per i suoi cittadini più emeriti e a lui dobbiamo il Carnevale più lungo del mondo, che termina il Sabato Santo, in piena quaresima.
#4. Tommaso Marinetti
Marinetti
Nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1876, visse in diverse città e solo dopo la laurea si trasferì a Milano. La fondazione del Futurismo ha un che di leggendario: dopo essere finito con la sua Isotta Fraschini dentro un fossato poco fuori Milano, Marinetti elaborò il manifesto del futurismo affermando che dal fossato ne era uscito “un uomo nuovo” che aveva chiuso i ponti con il passato. Il manifesto venne inviato da numerosi giornali italiani e stranieri e diede il via a una corrente culturale che da Milano si diffuse in tutto il mondo. Morto a Bellagio nel 1944, riposa al Monumentale.
#5. Giuseppe Verdi
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Un altro genio nato fuori, ma che a Milano ha raggiunto la sua grande fama. Compositore e tra i massimi operisti di tutti i tempi, le sue opere vengono rappresentate ancora oggi in tutti i teatri del mondo. Era un sostenitore dell’unità d’Italia e a Milano soggiornava al Grand Hotel et de Milan. Oltre le sue opere immortali ci ha lasciato la casa di riposo per artisti che porta il suo nome.
#6. Cesare Beccaria
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Nato (15 marzo 1738) e morto (28 novembre 1794) a Milano. Considerato uno tra i massimi esponenti dell’illuminismo italiano che a Milano ha raggiunto il suo livello più elevato. La sua opera principale, Dei delitti e delle pene, costituisce ancora oggi il trattato ispiratore del codice penale del mondo occidentale, specie per essere stato contro la pena di morte, allora diffusa ovunque, e per aver inserito l’obiettivo della rieducazione nel trattamento dei carcerati. Era convinto che la cultura potesse ridurre la criminalità. Era il papà di Giulia, madre di Alessandro Manzoni.
#7. Gian Galeazzo Visconti
Il suo sogno era di unificare l’Italia con alla guida Milano. Nel 1395 fu elevato al rango di duca imperiale e diede inizio a molti conflitti: il suo progetto era di unificare l’Italia in un grande stato nazionale con alla testa Milano. Sotto di lui lo stato di Milano raggiunse la sua massima estensione, comprendendo gran parte del nord e del centro Italia, estendendosi in quasi tutta la Lombardia, gran parte del Veneto, parti del Piemonte, dell’Emilia, dell’Umbria e della Toscana, dove conquistò Siena e Pisa. Fece costruire la Certosa di Pavia e diede avvio all’edificazione del Duomo di Milano. Morì di peste nel 1402 nel castello di Melegnano dove si era rifugiato per cercare di scampare al contagio.
#8. Francesco Sforza
Fu il primo duca di Milano della dinastia degli Sforza, grazie al matrimonio con Bianca Maria figlia di Filippo Maria Visconti. Fu artefice della pace di Lodi tra gli Stati italiani e della rinascita politica, economica e culturale del Ducato di Milano, guadagnandosi l’ammirazione dei suoi contemporanei, tra cui Nicolò Machiavelli. Diede inizio alla costruzione del Castello Sforzesco.
#9. Leonardo Da Vinci
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L’uomo che è considerato uno dei più grandi geni della storia si è formato a Firenze ma è Milano la città dove diede il meglio di sé. A Milano trascorse i suoi anni più creativi dal 1482 al 1500 nella cerchia di Ludovico Il Moro. Solo quando Ludovico dovette scappare e Milano perse l’indipendenza, Leonardo fu costretto a lasciare la città da lui così tanto amata.
#10. Indro Montanelli
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Concludiamo con un altro grande toscano, un’icona del giornalismo e del pensiero liberale italiano che nel nostro paese ha avuto fugace fortuna. Nato a Fucecchio ha vissuto quasi tutta la sua vita a Milano da lui amata spassionatamente. I suoi luoghi preferiti era quelli attorno ai giardini di Porta Venezia, denominati in suo onore Giardini Montanelli. Morto nel 2001 dopo aver fondato il suo ultimo giornale a oltre 90 anni, ha forgiato le coscienze di molti di noi.
Queste sono le nostre prime scelte in ordine temporale. Vi proponiamo una seconda lista di personaggi significativi.
VUOI CONTRIBUIRE ANCHE TU A TRASFORMARE IN REALTA’ IL SOGNO DI MILANO CITTA’ STATO?
SERVE SCRIVERE PER IL SITO, ORGANIZZARE EVENTI, COINVOLGERE PERSONE, CONDIVIDERE GLI ARTICOLI, PROMUOVERE L’ISTANZA, AIUTARE O CONTRIBUIRE NEL FUNDING, TROVARE NUOVE FORME UTILI ALL’INIZIATIVA. SE VUOI RENDERTI UTILE, SCRIVI A INFO@MILANOCITTASTATO.IT(OGGETTO: CI SONO ANCH’IO)
La prima cosa che il non milanese nota quando sbarca a Milano per la prima volta è l’incredibile concentrazione di cani. Sono ovunque e scodinzolano un sacco. Si vede che sono a loro agio.
Io adoro i cani, quindi la cosa mi piace pure, ma immagino che per una persona con la fobia di questo animale vivere a Milano sia un incubo.
Da forestiero di questa grande città, mi sono chiesto quale sia il motivo di tutto questo amore per i cani.
Dopo un’intensa riflessione e un piccolo sondaggio ho individuato 12 motivi per cui i milanesi comprano un cane.
Eccoli qui.
#1 Portare il cane al parco è un piano infallibile per fare nuove conoscenze.
#2 Fare nuove conoscenze è la condicio sine qua non per rimorchiare. Quindi portare il cane al parco aiuta a rimorchiare.
#3 Passeggiare con lui è una sicurezza perché ti segnala in anticipo pozzanghere, buche sul marciapiede o escrementi di altri cani.
#4 Quando qualcuno gli rivolge la parola – ma come stai bel cagnolino – lui ti guarda con l’aria di chi pensa, “ma come sta messo questo?” e tu capisci perché gli vuoi bene.
#5 Perché legarlo fuori dall’ingresso dei supermercati è una cosa brutta. Meglio dire al tuo ragazzo, “entra tu a fare la spesa mentre io resto fuori con il cane”.
#6 Altrimenti a cosa servirebbero Parco Sempione, Pagano o i giardini di Porta Venezia?
#7 Il tuo cane è l’unico in tutta la città che qualunque cosa tu faccia ti è sempre riconoscente.
#8 Finisce che vi assomigliate. E fa sempre piacere avere un complice.
#9 Per evitare di fare jogging da soli. Il cane funziona come un personal trainer: ti motiva, ti segue nell’attività sportiva e ti ringhia se batti la fiacca.
#10 È un modo alternativo per ostentare il tuo potere d’acquisto. Lo dice anche l’ISTAT.
#11 Si tuffa su tutte le cagnoline che incontra. E di solito le cagnoline hanno una padroncina alla fine del guinzaglio.
#12 A Milano per vedere un amico devi prendere appuntamento un mese prima e rimandare quindici volte prima di riuscirci. Un cane è un migliore amico a portata di guinzaglio.
27 aprile 2016. Non lucchetti ma poesie- il 'Poetry Bridge' sui Navigli di Milano
Uno dei luoghi più romantici di Milano, più tipici, più fotografati. In mancanza di grandi ponti su cui attaccare un lucchetto di mocciana memoria, lo storico ponte del Naviglio in Ripa di Porta Ticinese (angolo via Paoli) si trasforma in Poetry Bridge, il Ponte della Poesia.
5 motivi per non perderlo
#1. E’ l’ultimo giorno: l’installazione è stata inaugurata il 20 aprile
#2. Vedere più di 4.000 componimenti appesi come promesse d’amore, nel prosieguo della Giornata Mondiale della Poesia (21 marzo – ne avevamo parlato qui)
#3. Partecipare ad un evento che, nello stesso momento, si tiene anche a Londra, nel formato del “Poetry Tree”
#5. Un caffè offerto anche dopo la Giornata Mondiale della Poesia in cui “Pay with a Poem“, un caffè veniva offerto per ogni poesia composta e lasciata nei bar e luoghi di incontro di Milano
5 cose che mi aspetto di trovare
#1. La giusta ispirazione per scrivere la mia poesia da lasciare al post-it, al vento, all’opera corale
#2. La stessa atmosfera di festa pacifica e voglia di arte che troverei a Londra
#3. Silenzio e le poesie lette dal rumore del vento
#4. La decisione del Comune di conservare questo ponte, con la dovuta cura e manutenzione