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1 marzo: in Veneto l’anno comincia oggi

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Maschere veneziane (ph. Aline Dassel - pixabay)

Primo marzo. C’era una volta il Capodanno veneto. Che ancora oggi molti ricordano con nostalgia. 

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1 marzo: in Veneto l’anno comincia oggi

# Quando febbraio era l’ultimo mese dell’anno

Venezia, credits: BMeyendriesch via Pixabay

Un’origine molto antica. Si tratta del “Bati marso” quando si festeggiava il primo marzo il Capodanno veneto andando in giro per le strade con pentole, coperchi e strumenti musicali fatti in casa battendoli e facendo un gran baccano. Anche se ormai è caduto in disuso ci sono molti in Veneto che il primo marzo si scambiano gli auguri secondo il calendario “More Veneto”. Cioè il calendario secondo il costume veneto, che era in uso nella Serenissima fino alla caduta della Repubblica nel 1797. Febbraio era l’ultimo mese dell’anno, il mese della purificazione dell’individuo dalla malattia, “febbre” appunto.

La tradizione è rimasta anche ai giorni d’oggi in alcune parti del territorio, come nella valle vicentina del fiume Agno dovesi fa “Fora Febraro” facendo scoppiare, in tubi di metallo, l’acetilene prodotto dall’unione di carburo di calcio con l’acqua. Una usanza che può essere anche pericolosa, come descrivono diverse ordinanze fatte per vietarla. Ma perché i veneziani di un tempo avevano scelto questa data insolita per festeggiare il nuovo anno?

# Una tradizione preistorica: si festeggia la fine della brutta stagione

Credits dome_barilla IG – Parco della Preistoria

Le origini risalgono a molto tempo prima della Serenissima. Addirittura si torna all’età preistorica quando si festeggiava l’anno al termine della stagione fredda. Anche tra gli antichi romani rimase a lungo l’usanza di far partire l’anno nuovo dal primo giorno di marzo quando c’era l’usanza di scacciare dalla città un uomo vestito di pelli che veniva chiamato “Mamurio Viturio”. Cioè il dio Marte dell’anno precedente. Fu poi Cesare a mettere ordine a calendari che avevano dieci mesi (settembre, ottobre, novembre e dicembre stanno per 7-8-9-10) più altri due, con mesi dai giorni variabili, in attesa della primavera. 

Il capodanno veneto non è l’unica eccezione: c’è quello cinese, diffuso in parte dell’Asia, che corrisponde al novilunio che cade fra il 21 gennaio e il 19 febbraio, mentre i tibetani cambiano data dell’anno fra gennaio e marzo. In Indocina il capodanno è a metà aprile, ma in data mobile, come è mobile quello musulmano. Simile la tradizione anche per il capodanno ebraico che si celebra tra settembre e ottobre, ma secondo date diverse. 

Continua la lettura con: Quando esisteva il 30 febbraio

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I 5+1 borghi preferiti dagli italiani in Lombardia

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gbardellotto IG - Bormio

La classifica delle 30 località italiane con meno di 5000 abitanti più ricercate online dagli italiani. Tra queste ce ne sono 6 lombarde: vediamo quali sono.

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I 5+1 borghi preferiti dagli italiani in Lombardia

# Maratea la più amata d’Italia, ma il record è lombardo

Maratea – Credits Anastasia Pirri via Unsplash

Non ci sono solo le grandi città. L’Italia è ricca di borghi e piccole località da visitare. Holidu, portale di prenotazione di case e appartamenti vacanza tra i più noti d’Europa, ha realizzato anche per il 2024 la classifica delle 30 località italiane con meno di 5000 abitanti più ricercate online dagli italiani. La top five è aperta da Amalfi con 91.060 ricerche, al quarto posto c’è Portofino con 91.390 che ha ceduto il posto a Positano con 91.510 ricerche, mentre in seconda posizione troviamo stabile San Vito Lo Capo con quasi 92mila ricerche. La più amata in assoluto è Maratea con più di 111mila ricerche medie mensile, ma sono ben sei le mete lombarde in classifica: un record assoluto.

Scopriamo quali sono.

# San Pellegrino Terme, la Belle Époque delle Alpi

fabio56lab IG – Altra vista Grand Hotel San Pellegrino

Un tempo meta della nobiltà europea, oggi San Pellegrino Terme incanta ancora con il suo fascino liberty. Nella classifica delle piccole località preferite dagli italiani si piazza al 25esimo posto con 49,740 ricerche. Il maestoso Grand Hotel in fase di riqualificazione e le nuove terme, le attuali QC nell’ex Hotel Terme Milano, riportano alla mente i fasti del passato. Passeggiando lungo il Brembo, si respira un’eleganza d’altri tempi. 

Leggi anche: La rinascita del Grand Hotel fantasma a un’ora da Milano

# Ponte di Legno, il paradiso degli sciatori

Credits: orobie.it – Ponte di Legno

A cavallo tra Lombardia e Trentino, Ponte di Legno è la meta perfetta per chi ama la montagna tutto l’anno. Un gradino sopra in graduatori rispetto a San Pellegrino, in 24esima posizione con 49.900 ricerche, in inverno si scia sulle piste del Tonale, in estate si esplorano sentieri che portano a scenari mozzafiato. Un mix di sport e relax per chi cerca l’autenticità alpina. Dopo una giornata all’aria aperta, una sosta nei rifugi tipici è d’obbligo.

# Varenna, il borgo romantico del Lago di Como

Varenna – Lago di Como – Ph. GPoulsen

Un piccolo gioiello che sembra uscito da una cartolina: Varenna è fatta di vicoli acciottolati, case color pastello e viste spettacolari sul Lago di Como. Si prende la 18esima posizione assoluta con 50.090 ricerche. La passeggiata degli Innamorati conduce fino a Villa Monastero, un angolo di paradiso con giardini botanici e scorci da sogno. Un luogo perfetto per un weekend romantico tra storia, natura e buon cibo. Da non perdere il castello di Vezio, che sovrasta il borgo, con i suoi fantasmi leggendari.

Leggi anche: I SENTIERI più SCENOGRAFICI da percorrere a PIEDI in Lombardia

# Limone sul Garda, il borgo degli agrumi

patrycjamadeja5 IG – Limone sul Garda

Questo borgo incastonato tra lago e montagna vive di un microclima unico, che ha permesso la coltivazione dei limoni fin dal Medioevo. Al sedicesimo posto tra le piccole località preferite dagli italiani con 50.160 ricerche. Oggi le antiche limonaie di Limone sul Garda si possono visitare, la Limonaia del Castel è una delle più antiche d’Europa, e il centro storico regala un’atmosfera pittoresca, tra vicoletti fioriti e terrazze panoramiche. 

Leggi anche: LIMONE SUL GARDA è il produttore di limoni più a NORD del MONDO

# Bellagio, la perla del Lago di Como

Ph. @linds.waddell IG

Se c’è un luogo che incarna l’eleganza italiana, quello è Bellagio, al tredicesimo posto in classifica con 50.640 ricerche. Adagiato sulla punta del triangolo lariano, questo borgo offre ville sontuose, come Villa Melzi, e panorami indimenticabili, con una vista unica sui tre rami del lago. Qui, tra boutique raffinate e ristoranti romantici, il tempo sembra sospeso. Non a caso è una delle mete più amate dai turisti di tutto il mondo. 

# Bormio, il rifugio tra le vette

saby.93 IG – Bormio

La meta più amata della Lombardia: decima assoluta con 61.570 ricerche. Non solo sci e sport all’aria aperta: Bormio è un luogo dove la storia si intreccia con il benessere. Le sue terme naturali, già note ai Romani, sono un’esperienza da non perdere. Il centro storico conserva un fascino autentico, con torri medievali e palazzi nobiliari. Perfetto per chi cerca relax dopo un’escursione tra le vette dello Stelvio.

Leggi anche: BORMIO: a tre ore da Milano “le Maldive delle Alpi”

Continua la lettura con: «Vado a vivere in Lombardia»: le 7 località più ambite dai milanesi per rifarsi una vita

FABIO MARCOMIN

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I 7 segni inconfondibili dello stress milanese

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Ph. @samweavingbra IG

In fatto di stress a Milano l’importante è esagerare. 

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I 7 segni inconfondibili dello stress milanese

#1 L’attacco di panico

Panico in banca

L’attacco di panico è il pass di ingresso per fare parte della comunità dei milanesi. Può assalirti nei bassifondi della metropolitana, quando sei bloccato nel traffico di corso Buenos Aires oppure al momento di pagare il conto in un parcheggio del centro. Poco conta quando ti succede: senza attacco di panico non puoi considerarti milanese. 

#2 Lo scatto di velocità senza senso

Il mantra di ogni milanese. Accelerare. Sempre, ovunque, soprattutto quando non ha senso. Tipo all’ingresso della metro mettersi a correre per prendere il treno in arrivo tra un minuto anche quando sai che il successivo passa dopo tre minuti. Un classico è anche lo scatto senza senso sulla metropolitana o quando passeggi sul marciapiede. Se accade contemporaneamente a più persone si può trasformare in una running crew.

#3 Al telefono

Credits michael_schueller-pixabay

Mai rispondere a nessuno senza dimostrarsi impazienti. Chi chiama deve sentirsi in colpa perché ti fa perdere secondi che valgono come il tassametro una notte che piove. Per la proprietà transitiva lo stress provato di chi chiama deve essere un multiplo della fretta manifestata da chi risponde.  

#4 Andare in un posto per andarsene al più presto

Chi è di Milano quando arriva, saluta non come segno di benvenuto, ma per anticipare l’arrivederci. Se partecipa a un evento o a una festa si guarda già attorno per calcolare i minuti che mancano alla sua dipartita. Intesa come fuga. Accetta gli inviti ma si ferma solo pochi minuti per fartela pesare, per farti capire l’eccezionalità della sua presenza, e poi fugge via prestissimo anche se in realtà trascorrerà il resto della serata scrollando sui social. Lo stesso accade quando viaggia: appena l’aereo atterra è già in piedi nel corridoio, deve ritirare il bagaglio a tempo di record, salire sul primo taxi e scappare, scappare, scappare. 

#5 L’ascensore

Credits: silviacasarindotcom.wordpress.com
Premere tasto ascensore

L’immagine simbolo. L’ascensore non arriva? Se sei di Milano inizi a premere il pulsante a ripetizione come se la forza che usi per spingere produca un’accelerazione al movimento dell’ascensore. Sai che se non fai così, l’ascensore si fermerà solo ai piani di chi preme di più. E una volta dentro, ti chiedi come mai vada così lento e guardando il pulsante ti assale lo stress dell’indecisione: vorresti schiacciarlo con frequenza ossessiva, ma temi che questo blocchi la sua corsa, lasciandoti intrappolato dentro

#6 L’ansia del controllo

Controllore 

L’ansia del controllo innesca le preoccupazioni che alimentano lo stress. Lo ha detto Jung dopo aver soggiornato a Milano. Perché chi vive in questa città non accetta l’imprevisto. Avete mai visto come sclera la gente se vede sul pannello che la prossima metro arriva dopo più di 10 minuti?

#7 L’attesa

Credits ilgiorno.it – Coda fuori dalla fermata Pasteur

Qualunque momento quotidiano che si vive a Milano è accomunato dalla stessa parola: attesa. A Milano si è sempre in attesa. Alla cassa di un supermercato, al tavolo di un ristorante, fermi al semaforo, si sta sempre aspettando con ansia e nervosismo qualcosa o qualcuno. Non è un caso che Il Deserto dei Tartari, il romanzo simbolo dell’attesa senza fine, Dino Buzzati lo abbia scritto a Milano. 

Continua la lettura con: Le 7 cose della vita quotidiana di Milano che costano una fucilata

ARTEMIO

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Le 10 trattorie più buone di Milano (annata 2025)

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Ph. @giacomocarloavanzini Ig

Trattorie storiche e moderne dove rivivere l’autentica Milano e gustare i piatti più tipici della tradizione lombarda. Ecco una selezione delle migliori secondo le segnalazioni dei milanesi: ci sono alcune novità rispetto all’edizione 2024.

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Le 10 trattorie più buone di Milano (annata 2025)

#10 Antica Trattoria della Pesa

albertobaroni IG – Trattoria alla Pesa

Fondata nel 1880, l’Antica Trattoria della Pesa ha servito generazioni di milanesi con la sua cucina robusta e autentica. Il nome deriva dal fatto che qui si pesavano le merci in ingresso a Milano quando la città aveva ancora i dazi. L’atmosfera è elegante ma accogliente, con dettagli storici ben conservati. In menu, i grandi classici: risotto alla milanese, nervetti, ossobuco, brasato con polenta e cotoletta fritta nel burro chiarificato. Una tappa obbligata per chi vuole assaporare la Milano di una volta. Recensioni Google: 4.2/5

Indirizzo: Viale Pasubio, 10

#9 Osteria del Treno

svevamnf IG – Osteria del Treno

A pochi passi dalla Stazione Centrale, l’Osteria del Treno è un altro dei nuovi indirizzi per l’edizione 2025 delle trattorie più buone di Milano. Un tempo frequentata da ferrovieri e pendolari, oggi è un punto di riferimento per chi ama la cucina lombarda autentica, tra storia e tradizione. Il menu propone piatti come l’ossobuco con risotto, il bollito misto e gli gnocchetti di pane con bitto e verza. L’atmosfera è calda e familiare, con un tocco di fascino d’altri tempi. Recensioni Google: 4.2/5

Indirizzo: Via San Gregorio, 46

Leggi anche: I 5 ristoranti milanesi simbolo della cucina tradizionale (secondo il Gambero Rosso)

#8 Trattoria Milanese

trattoriamilanese1933 IG

La prima new entry rispetto alla classifica del 2024 è la Trattoria Milanese dal 1933, a poche centinaia di metri da piazza del Duomo, un’istituzione della cucina meneghina. Atmosfera d’altri tempi, tavoli ravvicinati e piatti della tradizione serviti senza fronzoli. Tra le specialità, il risotto alla milanese con ossobuco, la cotoletta alta e burrosa e il panettone con zabaione caldo. Porzioni generose, ingredienti autentici e un servizio caloroso fanno di questo locale una tappa obbligata per gli amanti della cucina lombarda. Sempre affollato, meglio prenotare. Recensioni Google: 4.2/5

Indirizzo: via Santa Marta 11

#7 Antica Osteria Il Ronchettino

chiccadoc IG – Antica Osteria il Ronchettino

Un angolo di campagna a Milano, Il Ronchettino è una delle trattorie più suggestive della città oltre che l’ultima novità della selezione 2025. Situato in un’antica cascina, offre un’atmosfera rustica e romantica, perfetta per una cena fuori dal tempo. Il menu è un inno alla tradizione lombarda: risotti, brasati, ossobuco e polenta fumante. Da non perdere la cassoeula, servita nei mesi invernali. Ideale per chi cerca sapori autentici in un ambiente accogliente. Recensioni Google: 4.4/5

Indirizzo: Via Lelio Basso, 9

#6 Trattoria Masuelli San Marco

Trattoria Masuelli

Dal 1921, Trattoria Masuelli San Marco è sinonimo di cucina milanese fatta con passione e ingredienti di qualità. L’ambiente conserva il fascino delle trattorie d’epoca, con sedie Thonet, lampade Art Déco e tavoli in legno. Il menu celebra la tradizione con piatti come risotto giallo con ossobuco, mondeghili, costoletta alla milanese e, in stagione, la cassoeula. Da oltre un secolo, un punto di riferimento per chi ama la vera cucina meneghina. Recensioni Google: 4.3/5

Indirizzo: Viale Umbria, 80

#5 La Pobbia 1850

lapobbia1850 IG

Nella selezione 2025 entra anche una delle trattorie storiche di Milano: La Pobbia 1850. Un angolo di tradizione e cucina autentica. Fondata nel lontano 1850, il locale conserva il fascino d’altri tempi, con ambienti d’epoca e un’atmosfera rustica e accogliente. Il menu propone piatti tipici come il risotto alla milanese, l’ossobuco, la cassoeula e la costoletta alta. Perfetta per chi cerca l’esperienza della cucina milanese più genuina e un po’ lontano dal caos del centro. Recensioni Google: 4.5/5

Indirizzo: Via Gallarate, 92

Leggi anche: 5 «osterie contemporanee» a Milano

#4 Trattoria all’Antica

marikapinto IG – Trattoria all’antica

Un’altra novità rispetto alla precedente classifica è la Trattoria All’Antica, in zona Tortona. Atmosfera calda e senza fronzoli, servizio cordiale e piatti della tradizione eseguiti a regola d’arte. Da provare la costoletta alla milanese, alta e dorata nel burro, e la tarte tatin fatta in casa. Ottimi anche i primi e i dolci della casa. Locale sempre affollato, meglio prenotare. Prezzi giusti per la qualità offerta. Recensioni Google: 4.4/5

Indirizzo: Via Montevideo, 4

#3 Osteria alla Grande

Credits luca.comel IG – Osteria alla Grande

A Baggio, l’Osteria alla Grande è la classica osteria milanese dove la cucina casalinga incontra prezzi onesti e un’atmosfera familiare. Il menu spazia tra risotti, tagliatelle con funghi porcini, ravioli ripieni di brasato e gnocchi artigianali. Non mancano le pappardelle al sugo di lepre, l’autentica trippa alla milanese e la tradizionale cassoeüla con verze e polenta. Un angolo di Milano che sa di casa. Recensioni Google: 4.4/5

Indirizzo: via delle Forze Armate, 405

#2 Al Garghet

Credits: @algarghet – Al Garghet

Nel verde del Parco Agricolo Sud, dove è facile avvistare aironi e fagiani, si trova una delle trattorie più caratteristiche di Milano: Al Garghet. Immersa in un giardino botanico, con un pergolato circondato da giacinti, tulipani e azalee, anche il menu è rigorosamente in milanese. I piatti spaziano dai primi, come il risotto giallo e la pasta e fagioli, ai secondi come cotoletta, cassoeüla, ossobuco e rognone al marsala. Un angolo di Milano che unisce tradizione e natura. Recensioni Google: 4.5/5

Indirizzo: via Selvanesco, 36

#1 Antica Trattoria Arlati

instavittorio IG – Trattoria Arlati

Nel cuore della Bicocca, l’Antica Trattoria Arlati, aperta nel 1936, è un’istituzione che celebra la cucina lombarda con un tocco di eleganza rustica. Piatti tradizionali come risotto alla milanese, ossobuco e cassoeüla sono preparati con ingredienti di prima qualità e ricette autentiche. L’atmosfera calda e accogliente, con arredi d’epoca, rende ogni pasto un’esperienza unica, perfetta per chi cerca un angolo di Milano senza tempo. Recensioni Google: 4.6/5

Indirizzo: Via Alberto Nota 47

 

Continua la lettura con: La trattoria di Milano che offre oltre 600 risotti

FABIO MARCOMIN 

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La comicità del derby: quello che faceva ridere a Milano negli anni ’70/’80

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Jannacci al Derby

Il Derby Club di Milano, conosciuto molto più semplicemente come Derby, è stato il più importante locale italiano di cabaret dal secondo dopoguerra in avanti. Nei suoi anni d’oro fra l’inizio del boom economico e gli ultimi anni Settanta, sfornò dalle sue fucine la stragrande maggioranza dei comici cabarettisti, musicisti, autori e cantautori del panorama artistico del nord Italia e non solo. Avviato nel 1962, venne chiuso definitivamente nel 1985, ma l’impatto sociale, culturale e anche linguistico sulla milanesità degli anni a seguire fu semplicemente rivoluzionario. Grazie al Derby, ridere a Milano e in Italia non sarebbe mai più stato come prima. Ma quali sono stati gli artisti (e le battute) più celebri uscite dal Derby   

La comicità del derby: quello che faceva ridere a Milano negli anni ’70/’80

http://www.cameralook.it/web/da-batterista-a-comico-di-talento-i-settantanni-di-massimo-boldi/

# “Ciao Cipollini!” – Massimo Boldi

http://www.cameralook.it/web/da-batterista-a-comico-di-talento-i-settantanni-di-massimo-boldi/

Muove i primi passi nel mondo dello spettacolo fin dagli albori del Derby, dapprima con la band musicale dei Mimitoki poi, sia da solista che in coppia con Teo Teocoli. Anticipando la tendenza di molti dei suoi colleghi di quegli anni (molti, ma non tutti) Boldi intuì il futuro successo delle reti commerciali e nel 1974 debuttò sul piccolo schermo con “Canzonissima ’74” raggiungendo la popolarità grazie a una serie di personaggi surreali, riproposti poi in tutta una serie di film spassosissimi.

Dagli anni’80 diventerà progressivamente il Re dei Cinepanettoni assieme al collega di una vita, Christian de Sica. Il lungometraggio “Festivàl” di Pupi Avati rappresenta il suo unico ruolo non comico della carriera, che ricevette plauso e consensi della critica alla Mostra del Cinema di Venezia. Come il tormentone tipo del suo repertorio, ricordiamo l’iconico “Ciao Cipollini!” (che non è il ciclista), insieme ad altre sue storiche battute o tormentoni:

  • La primavera è in ritardo. Si pensa che sia rimasta incinta
  • La città di Mosca… è volata via
  • Luino? Piove sempre, è un po’ il pisciatoio d’Italia, fosse per questo che sono nate le barzellette
  • Son contrario alla pentola a pressione perché non si vede la cottura. Come dite cottura a Milano? Cottura. E a Firenze? Cottura
  • Doloooore… Ma sei sceeeemoooo?
  • Rispondi faccia da pirla
  • Non lo sapessi, ma lo so

# Come porti i capelli bella bionda – Cochi e Renato

https://www.google.com/amp/s/www.youmovies.it/2020/07/14/cochi-renato-canzoni/amp/

Cochi e Renato è un duo comico formatosi sempre negli anni ’60 da Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni. Vicini di casa d’estate a Gemonio sul Lago Maggiore, dove le loro famiglie sfollate durante la guerra trovarono pace e dimora, cominciarono a costruirsi un piccolo repertorio giusto per distrarsi dalla scuola. Entrambi iscritti all’Istituto Cattaneo di Milano, seppur in indirizzi diversi, ebbero i loro primi inizi cabarettistici quando cominciarono a frequentare l’Osteria dell’Oca di Milano, una cosiddetta ‘trattoria degli artisti’, dove un loro amico, Piero Manzoni, esponeva i propri quadri mentre Cochi e Renato intrattenevano i presenti con qualche canzone popolare.

Debuttarono al Derby nel 1965, creando un genere di comicità originale, poetico e surreale al tempo stesso. Dal successo al Derby il duo giunse alla RAI, partecipando a trasmissioni con grande seguito di pubblico come il già citato Canzonissima. Alcune loro canzoni, come ‘La gallina’, ‘Canzone intelligente’ e ‘E la vita, la vita’, e soprattutto la loro personalissima interpretazione di ‘Come porti i capelli bella bionda’ sono entrate di diritto nella cultura popolare italiana. Non ce ne voglia il buon Cochi, ma se per questo punto dobbiamo estrarre una battuta dalla comicità dei due sicuramente ci affidiamo al Renatone nazionale con il suo “Tac!!”. Altre battute e tormentoni celebri: 

  • Potere è volere: questo è il podista
  • Quando i cavalli fanno passi uguali si mandano al circo
  • Lo sciocco in blu

# Teo Teocoli

https://www.spettegolando.it

Teo Teocoli, nato ne l1945 a Taranto da genitori calabresi e milanese “acquisito” ha girato, in veste di attore, una trentina di film e offerto un’infinità di gag comiche, sia sotto forma di personaggi di fantasia che di imitazioni. Teocoli aveva una spiccata inclinazione verso le imitazioni fin da ragazzino. Alcune di queste sono divenute iconiche, come quelle di Adriano Galliani e Cesare Maldini a Mai Dire Gol, programma in cui si esibì anche nei panni di personaggi da lui creati (come il partenopeo Felice Caccamo) e quella di Adriano Celentano. Con il Molleggiato Teo strinse una lunga e proficua storia di collaborazione artistica ed amicizia. Nel 1959, abitando nella stessa zona di Milano, riuscì a farsi invitare da Celentano nel suo clan e negli anni il sodalizio continuò. Più che per una battuta è diventato celebre per i suoi personaggi, come Gianduia Vettorello, Peo Pericoli o Felice Caccamo. Battute celebri:

  • Io non lavoro: faccio quello che facevo a scuola quando facevo ridere tutta la class
  • L’altro giorno al mare ho fatto un tuffo e sott’acqua ho trovato un marocchino che voleva lavarmi il vetro della maschera
     
  • Gira la palla, gira la palla

 

# Eh alooraaa – Enrico Beruschi

https://www.dtti.it/

Milanese doc, lavora da quarant’anni nel mondo dello spettacolo come attore, comico, cabarettista e regista teatrale. Vicedirettore della Galbusera (azienda alimentare), lasciò il lavoro nel 1972 per dedicarsi alla professione di cabarettista. Il successo in TV dopo l’esordio al Derby arrivò con la celebre trasmissione Drive In (su Italia 1), dove propose gag simpatiche, in coppia con Margherita Fumero. Negli anni si cimenta anche nella canzone arrivando quinto al Festival di Sanremo con il brano “Sarà un fiore”. Dal 1979 inizia a lavorare in teatro, prima come attore e poi, man mano, come regista, fino a provare, senza pretese, l’opera lirica. Tre battute con il suo celebre tormentone:

  • Difficilmente una persona nata sotto il segno della Vergine lo è
  • Porca loca, sempre a me mi ‘toca’!
  • Eh…allooooooraaaaa!

 

# Gaber e Jannacci

https://www.facebook.com/groups/819319861514676/

Per la serie, dal Derby non passarono solo comici ma anche importanti cantautori. Nati entrambi a Milano e amici fin da giovani, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber nel 1959 hanno dato vita ad uno dei sodalizi artistici noto come ‘I Due Corsari‘. Pur avendo due stili musicali ben distinti, produssero insieme canzoni che tutt’ora restano pietre miliari del rock n’roll e della musica leggera italiana. Nel ’60 il duo si scioglie e Jannacci inizia la carriera da solista, ma è nel 1983 che la coppia ritorna sotto il nome di Ja-Ga Brothers (nient’altro che un omaggio ai famosi Blues Brothers del film-cult di John Landis del 1980).

 

# Ue’ terrunciello – Diego Abatantuono

https://www.raiplay.it/video/2018/01/Movie-Mag—Diego-Abatantuono-bbd24477-314e-482e-a79f-84b0d1b6f9ae.html

Era il padrone di casa. Il Derby Club fu avviato infatti da un progetto dei coniugi Bongiovanni, suoi zii materni. Originario del Giambellino come Ugo Conti ed Enrico Mentana, all’inizio della sua carriera era un caratterista, cui affidavano spesso e volentieri, il ruolo dell’immigrato meridionale che viveva e lavorava al Nord, il cosiddetto “terrunciello” il cui ruolo è stato spesso in coabitazione con Giorgio Porcaro (e ancora oggi non è chiaro chi davvero dei due abbia inventato il personaggio). Accantonato col tempo quel ruolo singolare, Diego Abatantuono rimase un grande caratterista della comicità milanese autore di personaggi protagonisti di numerose e svariate commedie, che però seppe anche uscire da quei binari e si cimentò in ruoli più ‘impegnati’ come “Un ragazzo di Calabria” di Comencini e “Regalo di Natale” di Pupi Avati. Il sodalizio artistico più importante è sicuramente quello stretto con il regista Gabriele Salvatores, grazie al quale Abatantuono vinse, assieme assieme a tutto il cast e la troupe del lungometraggio, il Premio Oscar all’Academy Award di Hollywood del 1992 per il miglior film straniero di quell’anno: Mediterraneo. Tormentoni celebri: 

  • La parola d’ordine è… viuleeeenzaaaa!
  • Grembiule nero e fiocco azzurro: per un bambino milanista il primo giorno di scuola è un trauma
  • La barba sono le mutande della faccia
  • Mmm che profumin’! Che avet’ cuccinat’ occi, i pulpett’ ti merda?
  • Diventai milanista perché da piccolo trovai un giorno per terra il portafoglio di mio nonno. Lo aprii e vidi le foto ingiallite di padre Pio e Gianni Rivera, che io non conoscevo, non sapevo chi fossero. Lo chiesi a mio nonno e lui mi spiegò: uno fa i miracoli, l’altro è un popolare frate pugliese

# See you later! – Guido Nicheli (Dogui)

https://curiosando708090.altervista.org/

Bergamasco d’origine, dopo il diploma lavora come odontotecnico nelle studio medico dentistico del cugino, impiego che manterrà fino alla fine degli anni Ottanta nonostante la popolarità conquistata.

Negli anni Sessanta arrotonda lo stipendio lavorando come rappresentante di liquori ed entra così in contatto con la vita notturna milanese, in particolare quella che gravita attorno allo storico locale Derby. Qui conosce Stefano Vanzina, Teo Teocoli e Renato Pozzetto, amici di una vita. Per gli amici è Dogui, soprannome che è l’anagramma del suo nome e che avrebbe consolidato la tendenza del riocontra, ovvero uno slang milanese anni ’80 ancora oggi in voga in alcune zone di Milano. Il Dogui sarebbe così diventato il “cumenda” per definizione della cinematografia trash italiana della fine del XX secolo.

Ma Nicheli vantava anche amicizie più celebri, come quella con il pittore catalano Salvador Dalì, di cui fu spesso ospite a Cadaques. Scomparso nel 2007, fece in modo che sulla sua lapide ci fosse scritta come epitaffio una delle sue espressioni tipiche divenute marchio di fabbrica: See You Later!.

Altre battute celebri: 

  • Ma la libidine è qui, amore: sole, whisky e sei in pole position!
  •  Il mio non è un punto di vista… è un teorema! Chiaro?
  • Uno nella vita sopporta di tutto: una moglie di nome Nives, il Milan in B, la figlia che sposa un deficiente! Ma i pupazzetti sulla torta no!!!!
  • Via della Spiga Hotel Cristallo di Cortina 2 ore e 54 minuti! Alboreto is nothing!
  • NCS non ci siamo!
  • Mi stai pattinando sul filo del vaffa!
  • See you later! (fatto scrivere anche sulla sua lapide)

 

Continua a leggere con: I 60 ANNI del PIRELLONE: storia di un grattacielo

CARLO CHIODO

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Il «Piccolo Canada», la riserva sconfinata a pochi chilometri da Milano

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IG @davicalvi

L’Italia può vantare molte fortune. Una di queste sono i paesaggi, che ogni giorno colorano il Belpaese di bellezza. In provincia di Sondrio in Lombardia, esiste un paradiso verde da percorrere con amici e famiglia.

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Il «Piccolo Canada», la riserva sconfinata a pochi chilometri da Milano

# La Valle di Predarossa, una piana di 2000 metri

credits ig troberto80

Questo è il luogo dove il granito del Plutone del Masino si incontra con le serpentiniti della Valmalenco, che fanno assumere alle pareti rocciose un colore rossastro che prende il nome di Predarossa. Questa Piana non è altro che un mondo orizzontale sovrastato da ghiacciai e alte cime di rocce grigie e rosse. Raggiungiamo i 2000 metri in un ambiente dominato dal Monte Disgrazia, che si aggiudica il premio come vetta più alta della valle con i suoi 2678 metri.

# Un’avventura adatta a tutti

credits 77marvel

Ma da dove inizia il percorso? Per visitare le due piane di Predarossa bisogna percorrere il sentiero d’accesso per il rifugio Ponti, costeggiando la prima sul lato sinistro e salendo fino all’inizio del secondo pianoro. Infine, per completare il percorso, si abbandona il sentiero per il rifugio attraversando sulla destra il torrente su un ponticello in legno.

# Monte Disgrazia: quando il nome inganna

Più complicato invece affrontare il percorso in salita per raggiungere la Piana Superiore, affiancando il torrente e percorrendo i boschi di larici. Solamente per i più esperti è destinato il percorso aperto solo nelle stagioni più calde per raggiungere il Rifugio Ponti, a quota, 2559 metri, sul Monte Disgrazia. Il nome del monte inganna. Infatti, “disgrazia” deriva dal dialetto “desgiascia” che significa “sghiacciare“, che nulla c’entra quindi con le disgrazie.

# Qual è la stagione migliore per visitare la piana?

credits ig imarsorama

La Piana regala emozioni in tutte le stagioni. In autunno, i larici di Predarossa si tingono di giallo e tutto il paesaggio si trasforma in una tavolozza di colori caldi. Questo è poi il posto perfetto per apprezzare il foliage in Lombardia. In inverno, invece, lo scenario paesaggistico è totalmente bianco, con la neve che attutisce ogni rumore e il mondo che sembra scorrere più lentamente. La natura rinasce quindi in primavera, che dipinge i colori dell’estate quando le acque fresche del fiume cominciano a rivelarsi un rimedio per le calure estive.

# Le escursioni con i bambini e i punti di ristoro

Ci sono poi un paio di accorgimenti per chi volesse percorrere il sentiero con dei bambini. Tutti i sentieri, infatti, non sono percorribili con i passeggini, perchè ci sono passerelle e ponticelli sconnessi da superare, oltre che zone paludose. Quindi, se i bambini non camminano è consigliabile dotarsi di marsupio o di zaino porta bebè. Attenzione poi ai punti di ristoro, inesistenti se non per il Rifugio Ponti. Per questo motivo è bene portare acqua e cibarie varie con sè.

Continua la lettura con: 6 posti dove rinfrescarsi in Lombardia

ANDREA PARRINO

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Quando si andava al PalaTenda a vedere Vasco e gli U2

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Credits: wikipedia.org Concerto di Vasco Rossi al Palatenda

Chi si ricorda del Teatro Tenda ( Palatenda) fatica a inserirla nella memoria di Milano. Era un luogo d’altri tempi, al limite dell’anarchia, un tendone da circo o da sagra di paese che per un evento eccezionale si ritrovò ad essere per un periodo il centro della scena sportiva e musicale della città. 

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Quando si andava al PalaTenda a vedere Vasco e gli U2

Per la sua storia bisogna andare indietro ancora prima della sua nascita. Era il 1971 quando l’area verde di 38 ettari adiacente al Monte Stella, fu costituita a parco urbano e piantumata. In poco tempo divenne una terra di nessuno dove si organizzarono ogni tipo di manifestazioni, autorizzate o meno: manifestazioni sportive, fiere commerciali, feste di partito, spettacoli all’aperto. Spesso si montavano gazebo o tendoni transitori finchè uno di questi si trasformò in una struttura permanente.

Era un vero e proprio tendone da circo e venne inaugurato nel febbraio 1983 con i nome di Teatro Tenda Lampugnano. Anche se assomigliava a un’opera approssimativa, in realtà poteva contenere fino a 5.300 spettatori e venne impiegata inizialmente come palcoscenico di concerti, spesso di musicisti di fama nazionale e internazionale. Tra i concerti entrati nel mito ci sono quelli di Vasco Rossi nella turné di Bollicine, quando dovette interrompere più volte il concerto a causa del lancio sul palco di bottiglie e di lattine di Coca Cola. 

Ph. @varan_the_unbelievable IG

Da riferimento principe della scena underground però un evento drammatico lo fece diventare in palscoscenico mainstream della città per almeno un triennio. 

Il 17 gennaio del 1985 un’intensa nevicata fece crollare il tetto del Palasport di San Siro che fino ad allora rappresentava l’impianto al chiuso più importante della città, capace di una capienza di circa 18.000 spettatori. 

Pochi giorni dopo, il 4 febbraio, avrebbe dovuto ospitare il primo concerto in Italia di una band già leggendaria: gli U2. L’unica altra opzione praticabile fu proprio il PalaTenda che così ospitò uno dei concerti più memorabili della storia del rock in Italia. 

Per circa un anno il Palatenda sopperì alla mancanza di impianti e ospitò per alcuni mesi del 1985 anche le partite di basket dell’Olimpia Milano, oltre che concerti di artisti come Eric Clapton, De André, gli Spandau Ballet, i Simple Minds, Pino Daniele, Sting e Elton John. 

Il PalaTenda venne sostiuita dal Palasharp che nel 1986 sorse nella stessa area. 

Continua la lettura con I concerti a Milano che hanno fatto la storia della musica

MILANO CITTA’ STATO

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«Arrivano i Buseccon!»: perchè i milanesi venivano chiamati così?

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Un tempo i lombardi si distinguevano con strani e spesso poco apprezzati nomignoli. I milanesi erano detti i “buseccon”.

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«Arrivano i Buseccon!»: perchè i milanesi venivano chiamati così?

Se ancora oggi i settentrionali vengono chiamati dai meridionali “polentoni“, sottintendendo il loro assiduo consumo di polenta, un tempo anche i lombardi avevano riservato un nomignolo “culinario” ai milanesi: i buseccon. Da dove deriva questo nome ed era davvero così diffuso l’utilizzo dei soprannomi in Lombardia?

# Nella “Grande Lombardia” i milanesi erano detti buseccon

credit: FB @MilanoScomparsa

Un tempo si parlava di “Grande Lombardia”, includendo nel territorio lombardo anche parte dell’Emilia, il Piemonte orientale, il Veronese e il Canton Ticino. In questa distesa area geografica gli abitanti delle varie zone venivano distinti dagli altri grazie all’utilizzo di soprannomi, spesso legati alle abitudini culinarie. I milanesi in particolare erano chiamati Buseccon, questo a causa del loro smodato amore per la Busecca. Questo piatto, in italiano più comunemente detto “trippa“, era uno dei piatti preferiti dai milanesi fino a qualche decennio fa. Addirittura in giro per le vie non era raro trovare negozi con l’insegna “Tripperia”.

# E i provinciali come erano chiamati dai milanesi del tempo?

Questo era il nome con cui gli altri abitanti della “Grande Lombardia” chiamavano i milanesi. Per difendersi in questa battaglia di soprannomi, i milanesi avevano a loro volta attribuito nei nomignoli per gli abitanti della provincia.

A Meda vivevano gli “stregoni”, o meglio gli strìun.Passirana invece si trovavano i mangiatori di gatti, i magnagatt. Gli abitanti di Trezzo sull’Adda erano conosciuti per essere magnaghezz, ovvero i mangia ramarri. Se quasi tutti avevano un soprannome legato al cibo che erano soliti consumare, o almeno così si pensava, i vimercatesi avevano un soprannome che ne sottolineava un’usanza poco piacevole: i grattagaìn, cioè i ladri di polli.

# Buseccon, ma non per tutti. Per i bergamaschi eravamo “baggiani”

credit: santostefanosegrate.it

Nonostante tutti i lombardi chiamassero i milanesi buseccon, i bergamaschi ci avevano riservato un altro soprannome: per loro noi eravamo i bagiàa, con un’italianizzazione, i baggiani. Questo nomignolo non ha alcuna derivazione culinaria, piuttosto potremmo dire geografica. Infatti la città durante il Medioevo era suddivisa in quattro Pievi e, tra queste, quella più vicina al bergamasco si chiamava proprio Bazzana. Di questa tendenza a chiamare i milanesi baggiani ne abbiamo anche una testimonianza letteraria, in un dialogo de “I promessi sposi” tra Renzo e il cugino bergamasco Bortolo:

Ma prima di tutto, bisogna che t’avverta d’una cosa. Sai come ci chiamano in questo paese, noi altri dello stato di Milano?
– Come ci chiamano?
Ci chiaman baggiani.
– Non è un bel nome.
– Tant’è: chi è nato nel milanese, e vuol vivere nel bergamasco, bisogna prenderselo in santa pace. Per questa gente, dar del baggiano a un milanese, è come dar dell’illustrissimo a un cavaliere.
– Lo diranno, m’immagino, a chi se lo vorrà lasciar dire.
– Figliuolo mio, se tu non sei disposto a succiarti del baggiano a tutto pasto, non far conto di poter viver qui. Bisognerebbe esser sempre col coltello in mano: e quando, supponiamo, tu n’avessi ammazzati due, tre, quattro, verrebbe poi quello che ammazzerebbe te: e allora, che bel gusto di comparire al tribunal di Dio, con tre o quattro omicidi sull’anima!
– E un milanese che abbia un po’ di….– e qui picchiò la fronte col dito, come aveva fatto nell’osteria della luna piena. – Voglio dire, uno che sappia bene il suo mestiere?
– Tutt’uno: qui è un baggiano anche lui. Sai come dice il mio padrone, quando parla di me co’ suoi amici? «Quel baggiano è stato la man di Dio, per il mio negozio; se non avessi quel baggiano, sarei ben impicciato». L’è usanza cosí.
– L’è un’usanza sciocca. E vedendo quello che sappiam fare (ché finalmente chi ha portata qui quest’arte, e chi la fa andare, siamo noi), possibile che non si sian corretti?
– Finora no: col tempo può essere; i ragazzi che vengon su; ma gli uomini fatti, non c’è rimedio: hanno preso quel vizio; non lo smetton piú.
 
A quanto pare Bortolo aveva ragione, con il tempo il poco piacevole nomignolo di “baggiani” è caduto in disuso, così come quello di “buseccon”, ma è sempre interessante ripercorrerne le storie.

Continua la lettura con: BAUSCIA = MILANESE? Non scherziamo: ecco cosa si significa realmente

ROSITA GIULIANO
 

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«Cerco posto auto in Sant’Agostino: non riesco più a parcheggiare nemmeno come residente…»

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Piazza Sant'Agostino - Ph. (sfondo) @zubackis IG

Buongiorno a tutti,

starei cercando un posto auto zona Sant’Agostino. Troppi cantieri aperti, ormai non riesco più a parcheggiare nemmeno da residente. 
 
Grazie e buona giornata
 
GIACOMO
________________________________
 
La capisco bene. Per consegnare in zona ormai prendo la metro. 
 
 
 
IL POSTINO
 
Vuoi segnalare qualcosa, fare una domanda, sfogare la tua creatività o la tua disperazione? Manda una mail a info@milanocittastato.it (Oggetto: I fatti nostri). 

Continua la lettura con: «Salviamo la Certosa di Milano»

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«Da noi non si grida»

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«L’azienda che uno costruisce riflette inevitabilmente i valori che l’imprenditore porta ogni giorno al lavoro». Terzo estratto dalla terza puntata de Il Lato Chiaro, il nuovo videopodcast di Milano Città Stato. La puntata intera con il lato chiaro di Alessandro Fracassi (founder di MutuiOnLine/ Moltiply Spa) in onda da lunedì 3 marzo sul canale di youtube di Milano Città Stato. 

Conduce: Andrea Zoppolato. Regia: Francesco Leitner. Prodotto da: Fabio Novarino. Location: Fucine Vulcano APS – Via Fabio Massimo 15/12 (IG: @fucinevulcano).

Qui la prima puntata: Il Lato Chiaro di Candida Morvillo

Qui la seconda puntata: Il Lato Chiaro di Stefano Zecchi

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La foto del giorno: dove siamo?

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Ph. @milanesando IG

La foto del giorno: oggi siamo in via Bassano del Grappa (NoLo)

Ph. @milanesando IG

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Continua la lettura con: La foto del Giorno (26 febbraio)

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Quando hai una Tesla ma vuoi risparmiare sulla ricarica

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Quando piove la batteria si scarica prima, belìn. 

Qui il video: Quando hai una Tesla ma vuoi risparmiare sulla ricarica

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Continua con: Il tipico scarico di responsabilità tra Comune, Regione e Governo quando qualcosa non va a Milano

SMAILAND, “il sorriso di Milano”: ogni giorno su milanocittastato.it

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Torna la «corsa all’oro»? Dove cercarlo nei fiumi italiani come ai tempi del Klondike

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In un momento dove l’incertezza è sovrana, sono in molti a cercare garanzia e sicurezza nel re dei beni di rifugio: l’oro. Il suo prezzo di mercato fa segnare sempre nuovi record e non è difficile pensare a un ritorno alla corsa in sua ricerca proprio come ai tempi di Klondike, ma questa volta direttamente nei fiumi italiani. E anche solo per curiosità, ecco una guida su come trovare oro in Italia.

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Torna la «corsa all’oro»? Dove cercarlo nei fiumi italiani come ai tempi del Klondike

# L’oro, per molti un bene in cui rifugiarsi

credits: voglio vivere così

In tempi di volatilità di mercato, incertezza e di rischi geopolitici, investire nel bene di rifugio per eccellenza è considerata una strategia vincente. È così che l’oro, visto come una garanzia nel tempo dalla quantità limitata, viene scambiato ai livelli più alti da oltre un anno. L’oro spot, il prezzo a cui viene venduto in un momento specifico, si avvicina velocemente ai 3.000 dollari l’oncia con un enorme aumento rispetto a tre anni fa quando si scambiava attorno ai 1.250 dollari. 

Visto l’andamento attuale, gli esperti escludono che l’oro possa iniziare un percorso al ribasso di lunga durata, per questo resta il re dei beni di rifugio, e non è da escludere l’inizio una vera e propria corsa in sua ricerca, che ricorda molto quella del passato iniziata nel 1896. Oggi però non si dovrà andare per forza in Canada, si cerca direttamente in Italia.

# La più grande miniera del mondo

credits: esperimentanda

Anche in Italia, infatti, è possibile trovare oro in natura. Nel terreno, nei fiumi, sulle spiagge e anche nei torrenti si può andare in sua ricerca ovunque e, visto il suo rincaro, è un’opportunità che in tanti stanno cavalcando. Quindi precisamente dove cercare l’oro?

Sono due le categorie di oro che si possono ritrovare nel mondo: primario e secondario e si trovano rispettivamente nelle miniere e nei corsi d’acqua. L’oro primario si trova nelle formazioni rocciose, molte volte insieme ad altri minerali preziosi, e, quando ne viene rinvenuta una grande quantità, queste possono diventare una miniera d’oro. Alcune delle più grandi si trovano in Sud Africa, Stati Uniti, Indonesia, Australia e Canada, ma è possibile trovare oro anche in Svizzera e Russia.  Attualmente, la più grande miniera d’oro del mondo si trova nel bacino del Witwatersrand in Sud Africa. Si stima che il 40% di tutto l’oro estratto nel mondo sia uscito da questa miniera.

# L’oro “secondario”: le pepite nei fiumi, anche in Italia

Ma l’oro d’interesse per la ricerca italiana è invece quello secondario. Infatti, questa tipologia è presente in piccoli corsi d’acqua e nelle sabbie di alcuni fiumi proveniente dall’erosione e dalla dilavazione che le acque hanno prodotto sulle rocce che hanno attraversato. In pratica, l’acqua trasporta l’oro, che si deposita lungo il fondo del corso d’acqua ricoprendosi di terra, fango e sabbia. L’oro può quindi essere filtrato e raccolto in pepite, come durante la corsa all’oro in California.

Ma è realmente possibile raccoglierlo? La risposta è si, ancora oggi in Italia la ricerca dell’oro è regolamentata dalla legge n. 1443 del 1927, che sottolinea come tutti i beni del sottosuolo siano di proprietà governativa. La sua ricerca potrebbe sembrare quindi illegale, invece, nella legge non sono contemplate le sabbie aurifere e la caccia all’oro. Ne deriva che cercare l’oro nei fiumi e nei torrenti è legale, ovviamente tenendo presenti le norme regionali emanate dalle diverse zone d’Italia.

# L’attrezzatura per diventare un ricercatore professionista

credits: gite fuori porta in Piemonte

Confermata la sua legalità, non resta che capire come attrezzarsi per questa ricerca. Prima di tutto è di grande aiuto avere delle conoscenze di base sulle scienze e le tecniche di estrazione per capire meglio dove si può trovare l’oro. Dopodiché è fondamentale capire come affrontare i diversi tipi di terreno, duri, compatti, argillosi, sassosi, cosi da essere equipaggiati per ogni evenienza.

Oggi in commercio, anche su Amazon, si può trovare tutto il necessario per assemblare un kit per quello che potrebbe diventare un nuovo sport. L’attrezzatura base richiede prima di tutto una comune pala multiuso, come quella di muratori e giardinieri, questa servirà per raccogliere più materiale possibile. Dopo aver scavato con la pala, sarà necessaria una padella, un piatto o una batea per posizionare il materiale, lavorarlo e infine scuoterlo con un setaccio, un altro componente essenziale per il kit, così da far rimanere solo il materiale che pesa di più come l’oro.

Un altro strumento molto amato per semplificare la ricerca è il metal detector. Infatti, sfruttando alcuni principi dell’elettromagnetismo è in grado di individuare, localizzando con precisione, masse metalliche sepolte sottoterra. Anche la canaletta è un apparecchio utile, una sorta di scaletta costituita da un teppettino, un panno sintetico, una griglia metallica e da scalini di metallo. Grazie a questo attrezzo, il materiale viene immesso direttamente con la pala senza passare al setaccio.

# La Lombardia tra le mete più gettonate per la ricerca

credits: quatarob pavia

Ora che il come è stato chiarito, non ci resta che capire il dove. Anche se l’oro si diffonde soprattutto attraverso le rocce e il terreno intorno a noi, si trova in quantità così basse che spesso non vale la pena cercare di estrarlo. Tuttavia, anche in Italia ci sono alcuni posti in cui c’è abbastanza oro per riuscire a trovarlo.

Nel nostro Paese l’oro si può trovare soprattutto nelle zone settentrionali, la terra in assoluto più fertile è il Piemonte, ma anche la pianura Padana non è da meno, vista la sua ricchezza di fiumi e torrenti che dalle Alpi si gettano nel Po. Lombardia, Veneto e Liguria sono tra le mete favorite per i ricercatori, in particolare i posti più battuti dai cercatori esperti sono: il Ticino, l’Elvo, l’Orco e il Sesia. Anche la Valle d’Aosta e la Sardegna non sono da sottovalutare, nel torrente Liganus in epoche precedenti fu segnalata la presenza di oro. Ovviamente nei torrenti si trovano soprattutto pagliuzze, che arrivano fino a una misura di qualche millimetro. Per trovare invece le pepite d’oro bisogna andare più in profondità, dove ci sono i filoni auriferi.

Oltre all’Italia, anche la vicina Svizzera è una considerata una tra le mete favorite, è qui dove nel 2000 un cercatore d’oro ha trovato a Disentis una pepita di 1.4 kg. Oggi, invece, il luogo più frequentato dai cercatori d’oro è Napf, nei pressi di Berna. Insomma, l’oro ha sempre affascinato l’uomo che lo brama da tempi immemori. Sicuramente la sua ricerca non un impresa semplice, ma come abbiamo visto, nemmeno impossibile, e i questi tempi perché non tentare la fortuna cercando qualche pagliuzza, certo, senza peccare di cupidigia tenendo a mente com’è andata a finire per Re Mida.

Continua la lettura con: «Vado a vivere in Lombardia»: le 7 località più ambite dai milanesi per rifarsi una vita

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«A Milano la musica è finita?»: gli artisti vengono trattati da PR

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Ph. @emmanaeve IG

Vi ricordate della Milano in cui si sceglievano i locali di sera per andare a vedere suonare dal vivo? Sono gli artisti a mancare oggi oppure sono i gestori di oggi che hanno l’orizzonte limitato alla fine della prossima serata?

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«A Milano la musica è finita?»: gli artisti vengono trattati da PR

# Milano caposcuola nel musica nel bene…

Credits: rockit.it – Le scimmie

Ricordate i floridi anni 80/90 il florilegio di locali disseminati in tutta la città con musica dal vivo? Il Magia, Le Scimmie, il Capolinea, Le Trottoir… (da poco chiuso). Luoghi stregati che la malia delle note trasformavano in spazi gravitazionali per musicisti talentuosi che profumavano di vita anche quando le “fragranze” erano rappresentate dal fumo delle sigarette e dai sudori degli artisti che si esibivano sui palchetti.

# …e nel male

Credits: mentelocale.it – Salumeria della Musica

Ho ascoltato con attenzione negli ultimi anni alcuni musicisti protagonisti di quegli anni, punte di diamante di quel periodo che non solo attraverso la musica “hanno succhiato il midollo della vita”, ma che con la musica ci hanno campato e campato bene anche economicamente.

Affermano con lo stesso brivido depressivo ben interpretato da Fedez all’ultimo Festival sanremese, che a “Milano la musica è finita” da tempo.
Quale musica? Non certo quella venduta e prenotata dalla piattaforma Vivaticket, spazio virtuale in cui la città esprime tutta la sua parte alfa, bensì la musica che nasce dall’incontro spontaneo e moltiplicatore tra immaginazione, passione e forza espressiva in cui un gestore di un locale offre non solo il servizio di una ricercata consumazione ma anche un’esperienza ad alta intensità energetica ed emotiva come gli studi delle neuroscienze sulla musica ormai dimostrano da tempo.

# I musicisti “costretti” a diventare procacciatori di clienti per fare una serata

credits: mondomusica.org

Oggi, un gestore di un locale prima di offrire una serata di musica dal vivo chiede ai musicisti “quanta gente porti?”, dando loro il peso e il ruolo del procacciatore di clienti. Una visione prettamente e grettamente dominata dal calcolo ragionieristico del “dare” e “avere”, che li depaupera della loro unica e vera missione e motivazione: quella di offrire momenti di astrazione e partecipazione condivisa attraverso la musica.
Persone che spesso hanno sacrificato moltissimi anni di potenziale cazzeggio (che ha una sua importante funzione nella crescita di un individuo) allo studio di uno strumento, oggi vengono ingaggiati per un centinaio di euro a condizione di portare un nutrito seguito, meglio se ben pagante.

# I gestori dei locali di Milano devono ritrovare lo spirito imprenditoriale

I gestori rispondono con il consueto lamento giustificativo “che le spese sono troppe” che “le persone non sanno più ascoltare” (in parte vero) che si preferiscono i dj e i Karaoke (entrambi terribili se mal gestiti!).
Tutte pseudoverità che mal celano l’unico e poco incontrovertibile principio: non ci si può improvvisare gestori di un locale solo perché hai trovato uno spazio in Zona Navigli o in Zona Isola: dirigere un locale significa investire su un’idea e puntare sulla qualità dello spazio temporale che offri al tuo cliente o cliente potenziale.
Non si tratta di partire senza il faro di un business plan, ma di accompagnarlo ad un servizio verso il pubblico guidati magari anche da un pizzico di sogno: quello del dare incondizionato… dopotutto la musica, come l’amore, quando la sai offrire, ti restituisce tutto in grande abbondanza.

Continua la lettura con: La scena musicale rock milanese degli anni ’90

CRISTINA FILIPPO

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28 febbraio: le tre volte che nel mondo ci fu il 30 febbraio

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Il febbraio 1712 in un almanacco svedese

28 febbraio: si chiude il mese più corto dell’anno. Non tutti sanno che esiste nella storia anche il 30 febbraio. 

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28 febbraio: le tre volte che nel mondo ci fu il 30 febbraio

Il 30 febbraio è un giorno inesistente nel calendario gregoriano. Febbraio si chiude il 28, salvo anni bisestili. Ma mai si va oltre il 29. In passato e in alcuni paesi, invece, Febbraio ha avuto anche un trentesimo giorno. Per l’esattezza è capitato tre volte nella storia.

# Il 30 febbraio svedese

Il febbraio 1712 in un almanacco svedese

1699. L’impero svedese decide di passare dal calendario giuliano a quello gregoriano, in uso ormai in tutta Europa. Tra i due calendari c’era però una differenza di 10 giorni. Per recuperarli, gli svedesi decisero di eliminare tutti gli anni bisestili dal 1700 al 1740, recuperando così un giorno ogni quattro anni, finché il primo marzo 1740 il calendario svedese avrebbe coinciso con quello nel resto d’Europa. 

il 29 febbraio del 1700 venne eliminato ma nei due successivi anni bisestili, il 1704 e il 1708, ci si dimenticò di cancellare il giorno in più perché il re Carlo XII era impegnato nella guerra contro la Russia. Quando ci si accorse dell’errore si decise di tornare al calendario giuliano e, per recuperare il giorno saltato nel 1700, si stabilì che nel 1712 venisse aggiunto a febbraio un giorno in più al calendario bisestile. Così nel 1712 in Svezia si ebbe il 30 febbraio che corrisponde all’11 marzo 1712 del calendario gregoriano. 

La Svezia passò al calendario gregoriano solo nel 1753, saltando i giorni dal 18 al 28 febbraio. 

# I due 30 febbraio sovietici

Dal primo ottobre 1929 l’Unione Sovietica iniziò a utilizzare il Calendario rivoluzionario sovietico, molto simile al Calendario rivoluzionario francese. Ogni mese aveva 30 giorni e i rimanenti 5 giorni (6 negli anni bisestili) erano festività senza mese. Quindi nel 1930 e nel 1931 ci fu un 30 febbraio. Dal 1932 i mesi ripresero la loro originale lunghezza. 

Continua la lettura con: 27 febbraio: la grande rapina 

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Il «brutto anatroccolo» dell’hinterland: questo è il paese più brutto secondo i milanesi

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il_tempio_ IG - Pieve Emanuele

In un post sulla pagina instagram themilancityjournal IG è stata rivolta la domanda ai milanesi su quale sia il comune più brutto dell’hinterland di Milano. Abbiamo conteggiato i commenti e i relativi apprezzamenti: la sfida ha visto gareggiare i soliti noti, ma a vincere è stato un outsider. Scopriamo quale sia e gli altri comuni della top five.

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Il «brutto anatroccolo» dell’hinterland: questo è il paese più brutto secondo i milanesi

#5 Rozzano, il «Bronx di Milano»

Veduta Aler Rozzano

Soprannominato Rozzangeles, è considerato la “Scampia” della Lombardia o il “Bronx di Milano” ed è il regno delle case Aler e delle faide condominiali. Qui tutto è enorme: i palazzi, i problemi e la voglia di riscatto. Tra degrado e storie di criminalità, c’è anche un’anima che cerca di emergere: nuovi spazi sociali, iniziative per i giovani e una comunità che non si arrende. L’unico vero punto di riferimento per tutti? Il centro commerciale Fiordaliso, perché a Rozzano, il vero centro città è lì.

Leggi anche: Rozzangeles: le 10 meraviglie del Bronx di Milano

#4 Sesto San Giovanni, l’ex «Stalingrado d’Italia»

Credits: wikipedia.org

Molti voti li prende anche Sesto San Giovanni. Era la città delle fabbriche. La “Stalingrado d’Italia”, dopo la fine dell’industria pesante, cerca di reinventarsi tra riqualificazioni infinite e progetti che nascono e muoiono prima di iniziare. La skyline? Ex capannoni e condomini popolari con qualche tentativo di modernità. Il simbolo del cambiamento? Il progetto di MilanoSesto con la Città della Salute e della Ricerca, che promette di far diventare Sesto una mini-Milano, ma la fine è ancora lontana. L’impressione per molti è che sia come un brutto quartiere periferico di Milano, senza le bellezze del centro storico. Uno dei commenti: «Sesto San Giovanni non ha senso, è come essere a Milano non cambia niente. Zero parcheggio e traffico a manetta.»

Leggi anche: Mollo tutto e scappo a Sesto

#3 Cinisello Balsamo e la piazza «che sembra Hammamet»

giornalelacitta IG – Cinisello Balsamo

Sul terzo gradino del podio c’è Cinisello Balsamo, confinante con Sesto San Giovanni. La zona nord dell’hinterland, la più urbanizzata, è infatti quella dove il confine con Milano sembra non esistere e i primi comuni sembrano solo le propaggini periferiche. Un mare di semafori, rotonde e centri commerciali, dove il traffico è una costante. Architettonicamente? Un mix di palazzi anni ’60 e ’70 alternati a qualche villetta superstite. L’attrazione principale? Il centro commerciale Il Gigante, perché alla fine, a Cinisello, molti ci trascorrono il week end. Tra i commenti della pagina themilancityjournal IG: «Cinisello peggiorata a livelli esorbitanti. Non c’è più un negozio decente, un cinema, un ristorante decente, pieno di pizzerie egiziane e kebabbari…..la piazza centrale sembra il mercato di Hammamet.»

Leggi anche: Cosa c’è di bello a Cinisello?

#2 Baranzate e le sue 100 nazionalità

Maps – Baranzate

C’è chi lo considera un interessante esperimento sociale e chi un disastro urbanistico. Quartieri popolari che sembrano usciti da un film anni ‘80, ma con un mix culturale incredibile: qui convivono più di 83 nazionalità, ben il 35% dei residenti è straniero. È uno dei comuni con il reddito più basso della provincia, grande poco meno di 3 kmq, confina l’area di MIND, ed è occupato in gran parte da capannoni industriali e aree commerciali. Questo commento su themilancityjournal IG è stato uno tra i più votati: «Baranzate è imbattibile! Brutta, squallida e sporca. Una vergogna rispetto alle altre realtà dell’hinterland.»

#1 Pieve Emanuele: «né campagna né città»

il_tempio_ IG – Pieve Emanuele

Il peggiore di tutti secondo i milanesi e residenti nella Città Metropolitana è però Pieve Emanuele. Uno di quei comuni che fa parte della lunga fila di paesini dell’hinterland milanese che, pur essendo a pochi chilometri da Milano, sembrano essere fuori dal radar di molti. Un angolo di campagna ricco di natura che ha cercato di diventare città, ma con risultati non proprio strabilianti. Nel 1962 l’INCIS decise che il paese dovesse ospitare un villaggio residenziale per 8.000 impiegati statali, con palazzoni tra i 6 e i 9 piani sparsi in mezzo alla campagna e senza mezzi pubblici adeguati. Un progetto che ha fatto più danni che altro. Negli anni ’80 sono arrivati anche i disastrosi tentativi di costruire le “Torri” tra via delle Rose e via dei Tulipani, che sono rimaste abbandonate per oltre 20 anni, peggiorando ancor di più l’immagine della zona.

Mancano i grandi centri commerciali, come nei comuni limitrofi, e per arrivare in centro a Milano con i mezzi pubblici ci vogliono almeno 40 minuti, con la linea S13 che però passa ogni 30 minuti, sempre che passi. L’alternativa è il bus più il tram: in tal caso bisogna mettere in conto un’ora di viaggio. «Pieve Emanuele non ha rivali, vince troppo facile, in confronto Rozzano e Cinisello sembrano Portofino» è il commento più votato su themilancityjournal IG.

Fonte: themilancityjournal IG

# Come il brutto anatroccolo può trasformarsi in cigno

Ph. mariopa79

La sensazione scorrendo i paesi meno apprezzati dell’hinterland è che il punto debole di molti luoghi dei dintorni sia quello di accontentarsi a vivere di luce riflessa: gli basta godere dei vantaggi di essere vicini a Milano. Invece le loro amministrazioni dovrebbero cercare di fare anche il contrario: di produrre luce anche per Milano, valorizzando alcuni loro aspetti identitari, come, ad esempio, potrebbe essere l’internazionalità per Baranzate. E veniamo al brutto anatroccolo: il suo punto debole principale è di non essere né carne (città) né pesce (campagna). In un territorio che cerca la genuinità della natura, forse dovrebbe cercare di accelerare sul fronte “campagna”. Mostrando come un paese può essere integrato in modo armonico con la campagna: potrebbe ospitare dei mercati e una fiera che mettano in mostra il meglio dei prodotti del territorio. L’obiettivo di questi paesi non apprezzati deve essere uno solo: valorizzare la propria identità per attirare anche i milanesi. 

Continua la lettura con: «Vado a vivere in Lombardia»: le 7 località più ambite dai milanesi per rifarsi una vita

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Mezzi pubblici a Milano: le 3 cose che piacciono ai milanesi e le 3 che detestano

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basco-t.com - Sentiment trasporti Milano

Ai milanesi dei mezzi pubblici della loro città piacciono soprattutto tre cose. Altrettante sono quelle che detestano. E quali sono le differenze con le altre città d’Italia? Questi i risultati di un nuovo studio. 

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Mezzi pubblici a Milano: le 3 cose che piacciono ai milanesi e le 3 che detestano

# Come è stato realizzato lo studio

Credits Andrea Cherchi – Cavi, tram e castello

Basco&T Consulting è una società che si occupa di attività di studio e ricerca sulle tematiche di mobilità, avvalendosi dell’intelligenza artificiale. Nell’elaborazione dello studio “Muoversi in città” ha raccolto e analizzato segnalazioni, recensioni e commenti provenienti da diverse fonti online, tra cui social media, forum e piattaforme di recensioni. Attraverso l’utilizzo di un modello di intelligenza artificiale sono stati classificati i contenuti in modo automatico in base a criteri positivi, negativi e neutri.  In questo modo è stato possibile di individuare le principali tendenze e problematiche segnalate dagli utenti, suddividendo i dati in categorie chiave. Vediamo i risultati.

# Il trasporto pubblico di Milano risulta un modello di efficienza con alcune zone d’ombra

basco-t.com – Sentiment trasporti Milano

Dallo studio emerge un giudizio sostanzialmente positivo riguardo al trasporto pubblico milanese. Il sentiment risulta infatti positivo per il 65-70% e negativo per il 30-35%.

Cosa piace ai milanesi:

  • Metropolitana rapida ed efficiente: la puntualità, l’elevata frequenza delle corse e la rapidità degli spostamenti la rendono uno dei punti di forza della città.
  • Mobilità sostenibile integrata: i servizi di bike sharing, monopattini elettrici e car-sharing sono spesso lodati per la loro integrazione con il trasporto pubblico, offrendo alternative pratiche all’utilizzo di mezzi privati.
  • Investimenti e sviluppo continuo: molti utenti apprezzano il continuo sviluppo del sistema di trasporto milanese. L’apertura di nuove linee, il miglioramento delle infrastrutture e l’attenzione all’innovazione vengono percepiti come segnali positivi di una città in costante evoluzione.

Cosa non piace:

  • Ritardi occasionali: sebbene le segnalazioni a riguardo siano piuttosto rare, i ritardi nelle ore di punta possono creare disagi, soprattutto per i pendolari.
  • Problemi di pulizia e manutenzione: alcuni autobus e stazioni risultano non sempre curati, con segnalazioni di sporcizia e frequenti guasti tecnici.
  • Copertura periferica limitata: le zone più lontane dal centro di Milano sono servite da linee che hanno una frequenza limitata, obbligando i residenti a lunghe attese.

Vediamo un confronto con le altre città.

# Bologna si salva 

basco-t.com – Sentiment trasporti Bologna e Genova

Il trasporto pubblico di Bologna viene giudicato moderno, ma con ritardi da migliorare, e un sentiment positivo per il 40-45%, negativo per il 55-60%. Tra gli aspetti positivi ci sono la buona pulizia dei mezzi, i servizi innovativi e la mobilità alternativa, tra quelli negativi frequenti ritardi sulle linee, problemi di sicurezza a bordo e mancanza di informazioni aggiornate.

Attorno al 40% di sentiment positivo troviamo anche Genova, con un trasporto pubblico che non convince, ma con buone alternative ecologiche. Apprezzato in particolare anche per l’efficienza delle linee principali e per la buona copertura nel centro città, viene segnalata scarsa frequenza e sovraffollamento, manutenzione insufficiente e
una copertura periferica limitata.

# Roma Male, Napoli e Palermo un disastro

basco-t.com – Sentiment trasporti Roma, Napoli e Palermo

Dallo studio arriva la conferma del pessimo stato del trasporto pubblico di Roma: il sentiment positivo si attesta appena tra il 25 e il 30%. A pesare ritardi e sovraffollamento, scarsa manutenzione e pulizia e bassa frequenza e copertura periferica limitata. 

Fanno però ancora peggio Napoli e Palermo, entrambe con un sentiment negativo tra il 15 e il 20%. Per la prima incidono: ritardi frequenti e scarsa puntualità, frequenti interruzioni e disservizi e scarsa pianificazione delle coincidenze. Per la seconda contribuiscono a questa valutazione poco lusinghiera questi fattori: traffico e congestione stradale, scarsa comodità a bordo, assenza di informazioni in tempo reale.

Continua la lettura con: Un solo titolo di viaggio per tutti i mezzi di trasporto pubblici a Milano e in Lombardia: la proposta

FABIO MARCOMIN

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I vantaggi per Roma a non essere più capitale. E quale mettere al suo posto

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Non è una novità. L’idea di spostare la Capitale d’Italia da Roma. C’è chi la vorrebbe a Milano, che è già capitale economica. Questo, a detta di alcuni, migliorerebbe le prestazioni dell’apparato politico e amministrativo del nostro Paese. Ma cosa succederebbe se Roma non fosse più Capitale d’Italia? Cosa accadrebbe a Roma? E quale sarebbe la migliore candidata per questo ruolo?

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I vantaggi per Roma a non essere più capitale. E quale mettere al suo posto

# I molti vantaggi per Roma libera dalla burocrazia della Capitale

Di Eric Gaba, Agamemnus, Flappiefh – Based on a Topographic map from Eric Gaba, & a map of ancient Roman roads from Agamemnus, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20049589 – Strade consolari

Se non fosse più la capitale, ci sarebbero diversi vantaggi per Roma:

  • Primo tra tutti, Roma sarebbe sollevata dal pesante e tipico viavai di politici, ministri e funzionari che, in un modo o nell’altro, la soffocano e, in parte, la rendono invivibile.
  • C’è poi da considerare che per il solo fatto che Roma è Capitale, essa attira su di sé moltissime aspettative che non sempre riesce a soddisfare, cosa che, la maggior parte delle volte, crea sfiducia e depressione nei cittadini.
  • Infine, essendo il centro politico e amministrativo del Paese, attira anche migliaia di interessi convergenti tra cui, ovviamente, anche quelli criminali. Interessi che in gran parte rinforzano quella sovrastruttura che toglie spazio e aria ad altre forme di intraprendenza.

Dunque è evidente che se non fosse più Capitale, Roma si toglierebbe moltissimi pesi dalle spalle. Ma è effettivamente realizzabile questa operazione? Se sì, come?

# Dove mettere la nuova Capitale? La migliore soluzione è crearne una nuova

Cattedrale di Brasilia, Credits: Jeferson R. Brito – Pexels

Spostare la Capitale di un Paese da una città a un’altra è una cosa che è già stata fatta in altre parti del mondo. L’esempio più intuitivo è forse quello di Brasilia, quando in Brasile fu costruita una città ex novo solo per piazzarci la Capitale. Cittadine che di fatto sono nate o vivono esclusivamente per svolgere i compiti da capitale sono numerose: Canberra in Australia, Ottawa in Canada, per non parlare dei numerosi stati degli USA che hanno come centro località marginali. E se si pensasse a qualcosa del genere anche in Italia? Creare una città che ospiti i palazzi del potere, e quindi Parlamento, Senato e Ministeri, magari un quartiere residenziale, qualche hotel per le visite di Stato, un palazzo sede del Presidente della Repubblica… perché no? Finalmente un luogo concepito esclusivamente per essere funzionale alla politica. Sicuramente andrebbe costruita in una zona centrale della penisola, così da non spostare l’equilibrio politico e sociale del nostro Paese. Probabilmente le zone migliori sarebbero:

  • o nell’entroterra tra Lazio e Abruzzo, tipici luoghi di pace in cui far rinfrescare la mente (cosa che decisamente servirebbe a molti dei nostri politici);
  • oppure sulle coste laziali, in prossimità del mare, anche se qua sarebbe difficile trovare un luogo spazioso e funzionale, considerando il grande assembramento di cittadine costiere.

Insomma, creare una città totalmente nuova sarebbe sicuramente un’idea migliore piuttosto che spostare nuovamente la Capitale, magari a Milano, Torino o Firenze, città che con i palazzi di potere rischierebbero una congestione simile se non peggiore a quella romana. Ma se riuscissimo a realizzare questo progetto, che ne sarebbe effettivamente di Roma? Come la prenderebbero i romani?

# Roma non più Capitale: città declassata o città libera di sviluppare al meglio le sue potenzialità?

Credits: Davi Pimentel – Pexels

Se un piano visionario come questo dovesse trovare una sua realizzazione, gli stravolgimenti sarebbero di enorme portata. I romani probabilmente si dividerebbero tra coloro a cui non interesserebbe un cambio simile, quelli che si sentirebbero sollevati e gli orgogliosi che, invece, non vorrebbero perdere tale status. Sicuramente Roma perderebbe gran parte del peso politico che adesso ricopre ma, come abbiamo visto in precedenza, potrebbe non essere un male. La città si ritroverebbe più agile, con la possibilità di elevare la qualità della vita dei cittadini. Non solo: una volta libera delle “catene” della politica e della relativa sovrastruttura, Roma sarebbe libera di rinascere puntando sui suoi indiscutibili punti di forza da valorizzare, in primis turismo, cultura, creatività e, con essi, la nostra più genuina identità. D’altra parte, Roma non potrebbe mai perdere il primato storico e culturale che le appartiene. Tuttavia sarebbe interessante vedere come reagirebbero realmente i romani e gli italiani tutti di fronte a una proposta simile. Che questo stravolgimento possa portare tra i cittadini una ventata di aria fresca e innescare un atteggiamento più aperto al cambiamento?

Continua la lettura con: Le due ombre sulla Linea D, la nuova metro all’orizzonte di Roma: come rimediare?

RAFFAELE PERGOLIZZI

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Milano, la nuova metropoli da 3,3 milioni di abitanti: arriva la prima proposta dalla politica

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assolombarda.it - Città Metropolitana di Milano

Milano inizia a star stretta anche alla politica. Qualcosa si muove per rendere Milano quello che dovrebbe essere: una cosa sola con l’area metropolitana, con poteri e risorse accentuati. Un passo importante verso la città stato. Questa la proposta lanciata al governo e quello che è stato fatto negli ultimi anni.

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Milano, la nuova metropoli da 3,3 milioni di abitanti: arriva la prima proposta dalla politica

# Anche il Partito Democratico si muove per una grande metropoli con un unico governo

centrostudipim – Città Metropolitana di Milano

Dopo anni di silenzio si ritorna a parlare di una maggiore autonomia e di un unico ente per tutta la Città Metropolitana di Milano. A farlo è Alessandro Capelli, segretario Pd Milano metropolitana, come riporta Milano Today«Il Pd Milano metropolitano, a tutti i suoi livelli di governo, sta facendo uno sforzo politico continuo perché la nostra città sia sempre più interpretata e governata come un’unica grande città di 3 milioni e 200 mila persone. Non 134 comuni soli, (133 ndr) ma un’unica area metropolitana integrata e connessa come la vita di chi già la abita, perché la separazione dei territori tra aree interne e aree urbane genera iniquità e disillusioni».

Capelli spiega come ci sia una forte diseguaglianza per quanto riguarda i servizi tra Milano e gli altri 132 comuni: «Noi, politicamente, stiamo provando a fare una parte: l’abbiamo visto sul Pgt, sulle vicende dei parchi metropolitani e ci stiamo lavorando anche sui temi della mobilità e dello sviluppo. Ma è ovvio che è necessaria ora un’immediata riforma istituzionale». Nello specifico si chiede «l’elezione diretta di un sindaco metropolitano, che non può più essere eletto solo dai residenti nel capoluogo» con una richiesta diretta al governo: «se volete rafforzare le autonomia locali, è il momento di innovare istituzionalmente le città metropolitane».

Si tratterebbe quindi di completare la riforma delle città metropolitane che aveva, tra le ipotesi più discusse, appunto quella dell’introduzione dell’elezione diretta del sindaco metropolitano e lo scioglimento dei municipi del comune capoluogo, trasformando Milano in un insieme di comuni autonomi all’interno della città metropolitana. 

Ma cosa è stato fatto di concreto fino ad oggi?

# L’ordine del giorno della Lega votato nel 2017 in Consiglio Comunale

Sono passati ormai 8 anni da quando, il 13 marzo 2017, il consiglio comunale ha approvato il primo atto che avrebbe dovuto portare la città a una maggiore autonomia. La proposta del consigliere Alessandro Morelli, in quota Lega, era sta approvata con 36 voti a favore e un solo astenuto. Questo il testo: “il consiglio comunale invita il sindaco e la giunta ad individuare ed attuare in ogni sede iniziative politiche e amministrative tendenti ad ottenere maggiore autonomia finanziaria e normativa a tutela degli interessi dei milanesi“.

Leggi anche: Primo passo del Consiglio Comunale verso Milano Città Stato

# Il dietrofront di Sala, mentre per Roma tutti sono al lavoro per darle maggiori poteri

Lettera Beppe Sala a Milano Citta Stato

Il Sindaco Sala rimane ancora fermo, nonostante le promesse fatte durante la prima campagna elettorale e alcune dichiarazioni negli ultimi anni, mentre per Roma si stanno muovendo mari e monti. Il 20 aprile 2022 la Commissione Affari costituzionali della Camera ha votato all’unanimità l’adozione del testo base della riforma costituzionale, predisposto dai relatori Annagrazia Calabria (Fi) e Stefano Ceccanti (Pd) sulla base di quattro proposte di legge, per trasformare Roma in Città Stato o meglio in Città Regione come ammesso dalla Costituzione Italiana. Il 18 gennaio 2024 l’Assemblea Capitolina si è riunita in seduta straordinaria per chiedere all’unanimità che vengano conferiti a Roma funzioni e fondi adeguati al suo status di capitale. Il governo vorrebbe portare a compimento la riforma entro il termine della legislature. 

La proposta del Partito Democratico è da considerare quindi una buona notizia, come un primo passo per trasformare Milano in una città stato. Ma nella pratica, che cosa significherebbe?

Leggi anche: ROMA ACCELERA per la “CITTÀ STATO”. MILANO ancora al PALO

# Milano Città Stato: dalla nascita del progetto alla raccolta firme per il referendum per dare a Milano i poteri da regione

@globalsystem – Città Metropolitana Milano

Milano Città Stato nasce come progetto nel 2015, nel 2016 debutta il magazine online. Nel corso di questi quasi 10 anni esponenti di diversi parte politiche e dell’imprenditoria si sono espressi in modo favorevole a fare ottenere alla città di Milano un maggior grado di autonomia. Tra questi anche i candidati sindaci alle elezioni comunali del 2016, compreso l’attuale Sindaco Beppe Sala che come detto non ha poi fatto alcun passo concreto. 

Un primo sondaggio sul sito di Milano Città Stato a maggio del 2019 aveva visto la maggioranza dei milanesi votanti scegliere per dare più poteri a Milano:

  • il 93% è a favore di un referendum sull’autonomia della città 
  • il 94% è per dare più autonomia a Milano (in maggioranza, 61%, sono per una “città regione” sul modello di Berlino, Madrid o Amburgo, segue l’ipotesi di “legge speciale”, votata dal 33%).

Il passo successivo avrebbe dovuto prevedere una prima raccolta di 1.000 firme per indire il referendum consultivo per far scegliere ai milanesi se dare autonomia a Milano, secondo quanto previsto dalla Costituzione Italiana e trasformarla in una Città-Regione, ma l’avvento della pandemia da Sars-Cov-2 ha bloccato l’iniziativa. 

Un altro sondaggio effettuato da Ipsos a maggio del 2021, su richiesta di Librandi promotore di una lista a sostegno della rielezione di Beppe Sala, ha confermato la volontà dei milanesi nel voler dare più autonomia alla città. Alla domanda: “Sarebbe opportuno che alla città di Milano venissero attribuiti poteri o competenze speciali come se Milano fosse una regione o una provincia autonoma?2 milanesi su 3 hanno votato per dare a Milano il tipo di autonomia più spinto previsto dalla nostra Costituzione. Ma come può Milano ottenere più poteri e risorse?

# Lo prevede la Costituzione Italiana

Lo prevede l’art. 132 (parte II titolo V) della Costituzione italiana: Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni
esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando
ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle
popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza
delle popolazioni stesse 
[cfr. XI]“. A quanto pare proprio gli stessi politici non sembrano a conoscenza della possibilità, come emerso in un botta e risposta tra Sala e Fontana durante il convegno promosso da Assolombarda ‘Your Next Milano’ sul futuro di Milano nell’ottobre 2023.

Questo meccanismo attiverebbe una nuova regione, la regione “Milano”, attraverso una
richiesta dal basso fatta dai rappresentanti politici dei cittadini che dovrebbe essere
poi suggellata dalla volontà popolare. Vanno sentite le regioni, con parere obbligatorio ma
non vincolante, e deve prendere la forma di legge costituzionale. Quindi occorre che vi sia
intesa politica tra il governo locale della città e il parlamento nazionale.

Continua la lettura con: A Milano l’autonomia delle province dell’Alto Adige? Le 10 cose che si potrebbero fare

FABIO MARCOMIN

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Quando a Milano c’era la «febbre del sabato pomeriggio»

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Ph. @ritornoaglianni80 IG

La Milano della “febbre del sabato pomeriggio” rivissuta attraverso i ricordi di chi l’ha vissuta.

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Quando a Milano c’era la «febbre del sabato pomeriggio»

# Riavvolgiamo il nastro, torniamo indietro nel tempo a quando la febbre era del sabato pomeriggio

Ph. @bircide_il_paninaro IG

Per la lettura di questo articolo si consiglia di scegliere un sottofondo musicale da qualche playlist anni ’80. Come Run to Me di Tracy Spencer, Enola Gay degli OMD o State ot the Nation degli Industry.

Nel corso degli ultimi decenni i ragazzi, anche i minori di 18 anni molto spesso, si sono abituati ad andare in discoteca di notte, trovandosi improvvisamente in un mondo (che dovrebbe essere) riservato agli adulti. Ma Milano non è sempre stata solo “by night”, infatti sin dagli anni ’70 le discoteche restavano aperte il sabato e la domenica pomeriggio, riempiendosi di festaioli adolescenti. Nonostante questa apertura “speciale” fosse già diffusa, il vero boom delle discoteche pomeridiane è avvenuto negli anni ’80. Erano i tempi dei paninari vs metallari e dei lenti alla chiusura per approcciare con le ragazze.

Riavvolgiamo il nastro, torniamo indietro nel tempo a quando la febbre era del sabato pomeriggio anziché del sabato sera, e riviviamo (per i più giovani scopriamo) i protagonisti di questi pomeriggi danzanti milanesi prendendo spunto dalla vivida descrizione fatta dalla pagina Milano Scomparsa e dai commenti più interessanti degli utenti.

# La discoteca che rifletteva la personalità: e tu quale locale sei?

credit: FB @Milanoscomparsa – Central park

Al centro di tutto c’era la musica: ognuno sceglieva i propri locali preferiti in base alla musica che veniva passata. Sotto al post ha commentato Giovanna ricordando il Mandala, “la prima disco che faceva reggae a Milano. Prima di diventare l’Hollywood che tutti conosciamo ovviamente. Per i più fighetti invece c’era il Vogue in Corso Buenos Aires, e un frequentatore malinconico ha riaperto la scatola dei ricordi citando la “mitica chiave d’oro numerata che era necessaria per poter entrare.

Tra gli altri nomi celebri della “febbre del sabato pomeriggio” c’è il Central Park: si trovava in fondo a Via Padova e l’atmosfera era piuttosto surreale, ma il divertimento assicurato. Il DJ era chiuso dentro ad un finto elicottero in mezzo alla pista da ballo e sui muri era stata ricostruita la sagoma di Manhattan, rigorosamente con i neon.  Concentrandoci sulla figura che la faceva da padrone, il DJ, non si può non parlare della paninaro-mania: la maggior parte dei gestori, indubbiamente per marketing, obbligarono i dj del momento ad assecondare i gusti del pubblico che era principalmente composto da paninari. E quindi via di Duran Duran, Gazebo, Den Harrow, A-ha, Moon Ray, Thompson Twins, Novecento, Via Verdi, P-Lion, Culture Club…

# La storica sfida (o rissa): PANINARI vs METALLARI

credit: pinterest

Detta così, il paninaro sembra quasi l’unico protagonista dei pomeriggi in discoteca. Ma non è assolutamente così. I paninari rappresentavano la maggioranza nel cuore degli anni ottanta ma avevano dei rivali e ancora oggi le risse dei paninari contro i metallari fuori dalle discoteche sono famose come quelle fuori da San Siro per il derby. I primi erano disinteressati alla politica e vestivano griffati, ammaliati dalla musica pop e dal mito americano. I secondi si distinguevano invece per le borchie, immancabili, il giubbotto di pelle nera e i capelli lunghi, che ovviamente si aggiungevano ad una sfrenata passione per il rock, il punk e il metal.

Alcuni locali erano conosciuti per essere un ritrovo degli amanti del rock e del punk, come ad esempio l’Odissea 2001, in Via delle Forze Armate, che ospitò non a caso anche il concerto dei Ramones. La vera apoteosi, ricorda Gabriella, si verificava quando “si sentivano gli elicotteri dei Pink Floyd con The Wall“, la pista si riempiva improvvisamente di gente da ogni dove. Il proprietario, dopo il successo del primo locale, ne aprì un secondo, anche quello indimenticabile e dedicato alla musica rock: il Rolling Stones.

# Il vero protagonista, l’alcool, e la figura quasi mitologica del PR

credit: FB @MilanoScomparsa

Un altro elemento immancabile in questi pomeriggi danzanti era l’alcool. Così come i dj venivano obbligati a mettere sempre la stessa musica, anche i baristi facevano gli stessi drink a ripetizione: la moda del momento prevedeva Cointreau con ghiaccio. I più temerari, visto che già di per sé il distillato è piuttosto dolciastro, lo mescolavano con altre bibite e ad esempio Fabiana ha commentato citando un’accoppiata perfetta: “con la Coca Cola”. I drink e gli ingressi gratuiti destinati ai PR erano il più potente magnete per attrarre universitari e liceali; erano loro a svolgere quella sottospecie di professione che ancora oggi continua ad essere in voga tra i giovani. Il PR era una figura mitologica e quasi divinizzata: conosceva i proprietari del locale e procurava i biglietti d’ingresso. Conoscerne uno era quasi come conoscere un Super Eroe.

La chiusura era il momento dei lenti: “The Power of Love” dei Frankie Goes to Hollywood, “Careless Whisper” di George Michael, “Time after time” di Cindy Lauper, “True” degli Spandau Ballet e “Save a Prayer”. Questo era l’espediente perfetto per avvicinarsi a una ragazza con la scusa del ballo e tentare di rubarle un bacio, e quante coppie possono dire di essersi formate proprio così.

Se come consigliato nella primissima riga avete messo play ad una playlist anni ’80 e avete vissuto la vostra adolescenza proprio in quel periodo, probabilmente ora siete molto malinconici. Ma la cosa più divertente è che chi, come me, questi divertenti episodi li ha vissuti solo tramite racconti e narrazioni altrui, ma vorrebbe davvero tornare indietro nel tempo per vedere con i propri occhi la “febbre del sabato pomeriggio”.

Fonte: Milano Scomparsa

Leggi anche: Una TIPICA SERATA MILANESE negli anni ’90

ROSITA GIULIANO

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