Abito da 60 anni nel quartiere Certosa a ridosso dell’omonima Chiesa monumentale, scrivo questa mia per lamentare la totale latitanza delle istituzioni x quanto riguarda il monumento stesso, in quanto dopo che x il Giubileo del 2000 erano state rifatte completamente le pavimentazioni e la piazzetta adiacente, allo stato attuale le stesse si stanno degradando vistosamente a causa del transito selvaggio irrispettoso x il luogo.
Inoltre anche le piante che fanno da contorno alla via oramai entrano con i rami dentro le case dei cittadini poiché oramai da anni immemori non vengono potate….
Non basta fare le piste ciclabili solo x pubblicità politica…caro Sindaco.
ENZO
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La Certosa di Garegnano è un autentico tesoro. I milanesi di un tempo le hanno dedicato un lungo viale e un intero quartiere. Oggi quando chiedo informazioni molti non sanno neppure dove sia. Non lo merita.
IL POSTINO
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«Non posso neanche essere invidioso se non ci provo». Secondo estratto dalla terza puntata de Il Lato Chiaro, il nuovo videopodcast di Milano Città Stato. La puntata intera con il lato chiaro di Alessandro Fracassi (founder di MutuiOnLine/ Moltiply Spa) in onda da lunedì 3 marzo sul canale di youtube di Milano Città Stato.
Conduce: Andrea Zoppolato. Regia: Francesco Leitner. Prodotto da: Fabio Novarino. Location: Fucine Vulcano APS – Via Fabio Massimo 15/12 (IG: @fucinevulcano).
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Milano è una città ricca di panifici artigianali che offrono prodotti di alta qualità, combinando tradizione e innovazione. Ecco una selezione di sette panifici tra i più amati dai milanesi.
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I 7 panifici più buoni di Milano
#7 Forno Collettivo
modalitademode IG – Forno Collettivo
Nato dall’iniziativa dei fondatori del Botanical Club, Forno Collettivo è più di un semplice panificio. Oltre a offrire pane a lievitazione naturale, come il celebre “sourdough bread”, il locale propone pranzi leggeri, aperitivi con sapori mediterranei e una selezione di vini naturali. L’ambiente accogliente e la possibilità di partecipare a eventi dedicati alla panificazione rendono questo luogo un punto di ritrovo per gli amanti del buon cibo e del buon pane.
Indirizzo: Via Lecco, 15
#6 Le Polveri
lepolveri IG
Un micropanificio nel cuore di Milano, “Le Polveri” è il regno di Aurora, una giovane chimica con la passione per il lievito madre. In questo spazio raccolto, si sfornano quotidianamente pagnotte fragranti, biscotti salati e dolci artigianali. La particolarità di questo panificio risiede nell’attenzione alle materie prime, con l’uso di farine selezionate e processi di lavorazione che rispettano i tempi naturali di lievitazione. Un luogo dove la scienza incontra l’arte bianca.
Indirizzo: Via Ausonio, 7
#5 Panificio Buoni Dentro
Panificio Buoni Dentro
Questo panificio sociale unisce l’arte della panificazione all’inclusione lavorativa. Buoni Dentro offre una varietà di prodotti da forno, tra cui pane integrale, focacce e dolci, tutti realizzati con ingredienti biologici e lievito madre. Il progetto mira a reintegrare giovani in situazioni di difficoltà, offrendo loro formazione professionale nel settore della panificazione. Un luogo dove il buon pane si unisce a una buona causa. Recensioni Google: 4.5/5
Il forno prende il nome dal quartiere, è noto per la produzione di pane a lievitazione naturale e l’uso di farine macinate a pietra. Le specialità includono il pane di segale, la ciabatta e una varietà di focacce farcite. Il Forno di Lambrate è anche apprezzato per la sua selezione di dolci artigianali, come crostate e biscotti, ideali per una pausa golosa. Un punto di riferimento per chi cerca prodotti da forno di alta qualità. Recensioni Google: 4.6/5
Indirizzo: Via Teodosio, 2
#3 Panificio Sanna dal 1976
Panificio Sanna
Fondato nel 1976 da Ovidio e Antonia Sanna, il Forno Sanna è una delle istituzioni milanesi in fatto di panificazione. Oggi gestito dai figli Ivan e William, il panificio offre una vasta gamma di prodotti da forno, tra cui il celebre “squaletto”, una specie di francesino croccante. La qualità delle materie prime e la tradizione familiare lo rendono un punto di riferimento per gli amanti del pane artigianale. Recensioni Google: 4.6/5
Indirizzo: Via Marghera, 37
#2 La Pucceria di Mary e Vito a Baggio
la_pucceria_dimaryevito IG
Situata nel cuore di Baggio, “La Pucceria di Mary e Vito” porta a Milano i sapori autentici del Salento. Specializzata nella preparazione della “puccia”, un pane tradizionale pugliese cotto nel forno a legna e farcito al momento con ingredienti freschi e genuini. Le farciture spaziano dai classici salumi e formaggi a opzioni vegetariane con verdure grigliate e sott’oli. Un angolo di Puglia a Milano, dove la tradizione incontra la qualità. Recensioni Google: 4.7/5
Indirizzo: Via Giuseppe Gianella, 1
#1 Panificio Davide Longoni
Credits: @panificiodavidelongoni IG
Pioniere della panificazione artigianale a Milano, Davide Longoni ha rivoluzionato il concetto di pane in città. Utilizzando grani antichi e lievito madre, produce pagnotte a lunga fermentazione, caratterizzate da una crosta croccante e una mollica profumata. Oltre al pane, offre una selezione di dolci tradizionali, come il panettone disponibile tutto l’anno. La filosofia di Longoni si basa sulla valorizzazione dei grani regionali e su metodi di lavorazione lenti, che esaltano il sapore autentico del pane. Al primo locale in zona Porta Romana, sono seguite diverse aperture nel corso degli ultimi anni. Recensioni Google: 4.7/5 (via Cagnola)
Indirizzi: via Cagnola 6, via Tiraboschi 19, Mercato del Suffragio in Piazza Santa Maria del Suffragio 2, via Fratelli Bronzetti 9, Mercato Centrale Milano, via San Michele del Carso 10, Piazza Piemonte 10.
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Una delle tante invenzioni del genio di Da Vinci si può utilizzare ancora oggi a poca distanza da Milano.
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Sull’Adda si può navigare sul traghetto di Leonardo Da Vinci
Non tutti sanno che Leonardo Da Vinci è stato autore dell’invenzione di un particolare traghetto. Tra il 1506 e il 1507, Leonardo Da Vinci ideò il traghetto fluviale mosso dalla corrente. Il progetto venne completato mentre Leonardo era ospite di Girolamo Melzi, padre di Francesco, che sarebbe poi diventato pupillo dello stesso Da Vinci.
# Il traghetto mosso dal fiume
credits ph eccolecco
Il traghetto ha un funzionamento particolare. Tra le due sponde del fiume si tende un cavo d’acciaio, a cui viene affrancato il traghetto. Il mezzo trae quindi il movimento dalla corrente del fiume, rendendo inutile l’uso di un motore. L’esemplare permette di portare fino a 100 persone e 5 automobili su una superficie di 60 mq e viene fatto funzionare da una sola persona. Il manovratore agisce su un timone per orientare il traghetto mentre opera sul cavo d’acciaio, dando la spinta iniziale.
# I due traghetti di Leonardo ancora funzionanti: sull’Adda e sul Tevere
credits ph GibArt
L’opera di Leonardo si ritrova oggi in due esemplari: il primo unisce i moli di Imbersago (Lecco) e Villa d’Adda (Bergamo), all’interno dell’Ecomuseo Adda di Leonardo da Vinci. L’altro, invece, collega i moli sulle due sponde opposte del fiume Tevere, all’interno della Riserva Naturale di Nazzano (Roma).
Il costo dell’attraversamento è di soli 90 centesimi di euro, fattore che, unito alla quiete del paesaggio del Parco Adda Nord, rende il luogo una meta turistica della Brianza.
La sponda imberseghese permette anche una passeggiata lungo l’argine, sia nella direzione nord verso Brivio e Lecco, sia in direzione sud verso Paderno d’Adda e Milano, lungo il percorso dell’Ecomuseo Adda di Leonardo da Vinci. Anche la fauna del luogo riserva molte sorprese: vi sono diverse colonie di animali, come per esempio cigni, germani reali e folaghe.
Tra i personaggi celebri che hanno fatto uso di questo mezzo, ci fu anche Papa Giovanni XXIII che, durante i suoi molteplici pellegrinaggi per raggiungere il Santuario della Madonna del Bosco, era solito transitare sul mezzo. L’amministrazione locale di Imbersago ha fatto collocare una lapide in marmo per ricordarne i passaggi.
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I giornali escono in edizione straordinaria, Indro Montanelli, sul Corriere, scrive: “è una stupefacente organizzazione in un paese disorganizzato“.
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27 febbraio 1958. La «grande stangata» di Milano
# Il furto di 600 milioni di lire senza sparare un colpo
Osoppo
Entrando nel mese di febbraio, i milanesi che hanno i capelli bianchi e che hanno conosciuto la Milano precedente a quella da bere, hanno un riflesso condizionato, una sorta di sussulto emotivo, un misto di paura e fascino. Perché il colpo di via Osoppo è la rapina delle rapine, senza sparare un colpo. Paura, perché il ricordo di una rapina mette sempre un po’ di inquietudine, e fascino, perché riuscire a rubare tanti soldi con astuzia, organizzazione, senza usare le armi, un certo fascino lo crea, alla faccia del politicamente corretto.
Via Osoppo
Era il 27 febbraio 1958, il furgone della Banca Popolare di Milano, poco dopo le 9 del mattino, arriva in via Osoppo, proveniente da Piazzale Brescia. Alla guida del mezzo c’è un dipendente della banca, mentre sul sedile posteriore si trova una guardia armata. Poco prima dell’incrocio con via Caccialepori il mezzo viene bloccato dall’organizzazione di rapinatori, che con un dinamismo preciso rubano circa 600 milioni di lire, 114 in contanti.
# L’azione della banda dei 7 rapinatori
La banda di rapinatori è composta da, Ferdinando Russo, detto Nando il Terrone, Arnaldo Gesmundo, detto Jess il bandito, Arnaldo Bolognini, ex partigiano, Eros Castiglioni, che faceva il pugile, Enrico Cesaroni, Luciano De Maria e Ugo Ciappina.
Uno dei rapinatori è a bordo di un camion, sperona il furgone portavalori che si blocca. Nel frattempo un altro bandito spacca il finestrino dal lato della guardia e gli sfila via l’arma, a quel punto altri dei sette banditi caricano i sacchi e le valige con i contanti e i documenti sul camion OM Leoncino. Una Giulietta è pronta a sgommare per portare via coloro che non erano sul furgone riempito di quel “tesoro”.
“Qualcuno cercò di intervenire – raccontò alcuni anni fa Arnaldo Gesmundo, originario di via Padova, mancato recentemente – da un balcone ci lanciarono dei vasi di fiori e noi, per dimostrare quanto eravamo tranquilli e sereni, nell’allontanarci abbiamo simulato gli spari del mitra con la bocca…tarattatà tarattatà“.
I giornali escono in edizione straordinaria, Indro Montanelli, sul Corriere, scrive: “è una stupefacente organizzazione in un paese disorganizzato“.
# La mobilitazione di Polizia scientifica e Interpoll e i primi arresti
Credits varesenews – Mostra Malamilano
Polizia scientifica e Interpoll si mobilitano: vengono setacciati Lorenteggio e il Giambellino, perché si pensa che i ladri si siano rifugiati in quelle zone, visto che alcune valigie del portavalori erano state trovate, svuotate, in quell’area. 4 mila uomini, tra poliziotti e carabinieri, cercano i banditi, senza esito. Ma il 31 marzo, poco dopo un mese dall’agguato, cinque dei malviventi vengono arrestati. Pare che a “tradirli” siano i “toni”, ovvero le tute da operaio che utilizzò la banda per il colpo e ritrovati nell’Olona, con tanto di targhetta di chi li aveva venduti: era un negozio di Modena e il titolare evidentemente mise gli inquirenti sulla giusta strada.
Un già anziano Luciano De Maria raccontò che: “eravamo due bande e ci siamo messi insieme per il colpo di via Osoppo, scegliamo il 27 perchè è giorno di stipendi. Eravamo in sette, il mio compito era quello di guidare il camioncino che fece l’incidente con il portavalori“.
“Volevo fare qualcosa di eclatante, ma senza spargimento di sangue – confidò ancora De Maria – quando mi hanno messo in carcere mi scrissero centinaia di donne e, per pudore e rispetto verso di loro, non dico cosa scrivevano e cosa mettevano nelle lettere…“.
# Il colpo di via Osoppo è stato fonte d’ispirazione per film e libri
Credits wikipedia.org – Audace colpo dei soliti ignoti
Una parte del denaro viene recuperata, altro invece era stato già speso, e un po’ fu “imboscato”. De Maria e Gesmundo, raccontarono quella rapina con enfasi aulica, sottolineando l’attenzione ad evitare spargimenti di sangue: “allora la vita umana veniva rispettata, anche se eri nel pieno di un’operazione da centinaia di milioni di lire. Oggi per 50 euro sono pronti ad uccidere“.
Il colpo di via Osoppo è stato fonte d’ispirazione per film e libri, nell’immaginario collettivo rappresenta uno degli esempi più chiari del gettare il cuore oltre l’ostacolo, e ben oltre la legge, per raggiungere un obiettivo di grande guadagno economico e di sfida con se stessi e con il destino.
Lo abbiamo chiesto ai milanesi: Qual è la strada di Milano con i palazzi più belli? E’ arrivato un uragano di risposte. Ma in classifica alla fine svettano queste sette.
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Le 7 strade di Milano con i palazzi più belli (secondo i milanesi)
#7 Via De Togni
Ph. @yuushikun IG
Ph. @alessandro.barra.988 IG
Ph. @va_la_lodo IG
Ph. @milanoeprovincia IG
Ph. @milanoeprovincia IG
Ph. tectoo.com/
#6 Via Lincoln
credits: @laufoinsta
IG
Via Lincoln Credits: @markino_f85 IG
Credits: www.viaggiatorineltempo.com
#5 Via Mozart
Credits: amici-in-allegria.blogspot.com
Villa Necchi Campiglio – Via Mozart, 14
via mozart
Via Mozart – villa necchi
#4 Viale Majno
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#3 Via Vincenzo Monti
Ph. @tiziana.zanellato IG
Ph. @carlopintacuda IG
Ph. @alessandro.barra.988 IG
#2 Via XX Settembre/Tamburini
Maps – Via Venti Settembre
Ph. @lucascaccio IG
Ph. @
albuzbigi IG
#1 Corso Venezia
Foto redazione – Edifici Corso Venezia
Corso Venezia
Planetario Civico Hoepli – Corso Venezia, 57 (Giardini Montanelli)
Credits: milanoevents.it – Incrocio Pista ciclabile Bastioni di Porta Venezia
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L’amministrazione capitolina spinge sull’acceleratore con la Linea D. Il progetto è stato rilanciato tra vecchie proposte e va a sovrapporsi ad altri lavori non ancora terminati. Vediamo assieme i due aspetti più critici della nuova metro all’orizzonte di Roma e come si potrebbe rimediare.
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Le due ombre sulla Linea D, la nuova metro all’orizzonte di Roma: come rimediare?
#1 Ma quale Linea D? Mancano ancora i lavori di C e B
Mappa lavori in corso – Roma Metropolitane
La notizia ha fatto capolino su tutti gli organi di informazione: si sbloccano i lavori per la Linea D. Si partirà da zero, anche se da tempo immemore non si sono ancora conclusi i lavori su altre linee, principalmente sulla C. La linea C, infatti, dovrebbe avere un prolungamento che, per ora, comprende alcuni cantieri aperti fino alla zona di Piazza Venezia. Senza contare il prolungamento della Linea B che, oltre la fermata di Rebibbia, dovrebbe raggiungere Torraccia/Casal Monastero passando per San Basilio. Il lancio del progetto della linea D, insomma, può sembrare un segno del consueto vizio: quello di aprire migliaia di nuove pratiche, appesantendo la burocrazia, senza mai portare a termine i cantieri già iniziati. Un’altra ombra riguarda invece il tracciato.
#2 Il tracciato: copre in modo capillare una lunga fascia… ma ignora zone completamente sguarnite
Mappa solo metro – Roma Metropolitane
A Roma in molti già si chiedono: è utile il percorso battuto dalla nuova linea? La prima annotazione che salta all’occhio confrontando i percorsi della Linea B e della futura linea D, è che seguono un percorso quasi parallelo. Ciò renderebbe sicuramente questa ampia area capillarmente coperta e questo è certamente un bene. Ma se consideriamo che Roma ha ancora troppe zone scoperte dal servizio dei mezzi pubblici, siamo sicuri che coprire al massimo solo una specifica area debba essere la priorità? Portata a completamento la linea D infatti, molti punti di Roma Nord ma soprattutto di Roma Sud-Ovest, rimangono pressoché scoperti dal servizio della metro. Non sarebbe dunque più opportuno concentrarsi sulle zone che ancora si affidano ai soli autobus o ai treni regionali per doversi spostare?
# La vera urgenza: estendere le altre linee e ridefinire il tracciato della D con molta più attenzione
Piuttosto che sovrapporre linee le une sulle altre, si dovrebbe prolungare le linee esistenti per raggiungere zone totalmente scoperte e pensarne una nuova che copra il quadrante più problematico. Nello specifico, queste le due azioni congiunte che vanno intraprese al più presto:
Per risolvere il buco di Roma Nord basterebbe aprire finalmente i cantieri per il prolungamento della Metro A, che, dopo Battistini, possa raggiungere anche Primavalle e Monte Mario, che ancora si affidano al regionale.
Mentre una nuova linea va progettata per servire la grande zona coperta dal Municipio XII, che, oltretutto, è un’area particolarmente popolosa e ricca di elementi caratteristici della nostra città.
Bisogna dunque ripensare la programmazione delle nuove metro e trovare un metodo di realizzazione più veloce. Tra questi potrebbero esserci forse collaborazioni con imprese estere, sfruttando magari l’esperienza in campo delle compagnie giapponesi o l’intraprendenza di uomini come Elon Musk. Roma ha bisogno di osare di più: i troppi progetti proposti e mal realizzati sinora, richiedono un radicale cambio d’impostazione. Che, purtroppo, non sembra di vedere all’orizzonte della nuova linea D.
Ormai per comprare una casa a Milano il mutuo non basta più. Ma ci sono altre spese per cui si può rivelare una necessità.
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Le 7 cose della vita quotidiana di Milano che costano una fucilata
# Eataly
Prosciutto di Bassiano, Pecorino di Tartufo, la crema spalmabile o il cioccolato da 110 euro al chilo? Tutto buonissimo, per carità. Ma vicino alle casse dovrebbero aprire un banco dei pegni.
# I taxi di notte
FILM TITLE: Taxi Driver.
Vedere la velocità del tassametro mi mette più ansia che percorrere via Gola alle due di notte.
# I parcheggi coperti
credits: milanoweekend.it
Per risparmiare parcheggio l’auto nella suite del Four Season.
# Ristoranti in Galleria
Credits Andrea Cherchi – Galleria dall’alto
Appena ti siedi ti portano il conto.
# Andare in auto in centro
Credits cheautocompro.it IG – Area C
Dover usare l’auto per andare al lavoro 5 giorni alla settimana ogni mese. Meglio il sussidio di disoccupazione.
# L’aperitivo in un locale alla moda
zizania.milano IG – Aperitivo
Un tempo con un drink ci si pagava una cena. Ora con una cena ci si paga un gin tonic.
# Multe del Comune
credits: insella.it
Durante il lockdown ho lasciato lo scooter parcheggiato sul marciapiede. Per la raffica di multe mi è convenuto rottamarlo (giuro).
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Uno degli aspetti più apprezzabili di Milano è la vita regolare, ben scandita da scadenze tutte inserite in una giostra che gira vorticosamente ma ben funzionante. I milanesi sono composti, seri, gran lavoratori e col cuore grande, immensamente innamorati della propria città. Ma c’è un ma. Quando il milanese si reca al sud, tutto cambia. È maggiormente predisposto ad abbracciare stili di vita diversi con una tale compenetrazione, che sembra quasi si trasformi da dottor Jekyll a mister Hyde. O viceversa?
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La strana trasformazione del milanese quando va al Sud
# A tavola: da schizzinoso vegano a incredibile Hulk
pixabay-stupidning – Focaccia
Quando ci si siede a tavola a Milano si controlla l’apporto calorico di ogni piatto, si prende l’insalatina, si rifuggono i carboidrati come la peste. Ma quando il milanese si trova al sud esce l’incredibile Hulk che si nasconde in lui. Improvvisamente sparisce il senso di sazietà: dieta io non ti conosco. Provolette, pecorini, pizze imbottite, specialità locali, dolci. Si magna tutto come se il giorno dopo arrivasse il condono contro il grasso in eccesso. Vuoi mica fare un torto alla padrona di casa?
# La seconda vita nella seconda casa
pixabay-user32212- Taormina
Milano mia come ti amo, non ti cambierei con nessun altro posto al mondo. Molti milanesi hanno però una seconda casa al sud o vi si recano per ritrovare la famiglia di origine.
E tutto cambia: si parla a voce alta, si mangia come se non ci fosse un domani, si fa tardi, ci si alza da tavola all’ora dell’ape, si perde qualunque cognizione spazio-temporale. A volte si parla persino il dialetto del luogo.
# La spesa
Credits vado_a_zonzo IG – Mercato Ballarò Palermo
E qui è un vero salto nel vuoto. Senza Esselunga come si fa? Lungi dallo strapparsi i capelli per la disperazione, si opta per i mercatini rionali, quelli dove la merce non viene proposta ma urlata. Pesce frescoooo, meloniiiii, pane appena sfornatooo. Per acquistare occorre urlare altrettanto forte, se no non ti sente nessuno e si rischia di tornare a casa a mani vuote.
# La famiglia
Credits barlam.it – Il Padrino
Le frasi che chi va al sud si sente dire più spesso sono sempre le stesse: come sei sciupato, quando riparti e vuoi un caffè. Non si scappa. Poi si va a tavola, bando alla schiscetta hummus e zucchine e via di pasta al forno, salsicce, carni ripiene, verdure ripiene, dolci ripieni. Il milanese mica si tira indietro e non batte ciglio. Neppure se nessuno chiede del lavoro, della scuola, dei figli. Con una sola eccezione: se si è single, si scatena l’inferno, la tragedia che Sofocle in confronto nasconditi, le domande sul perché e sul come mai colpiscono come proiettili, sembra che essere single sia peggio di una malattia grave. E qui finalmente il milanese rientra nei propri panni ed elegantemente comunica che, per un urgente imprevisto di lavoro, ahimè, deve ripartire. Subito.
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La Centrale del Latte di Milano. Un nome che evoca immagini di bottiglie di vetro, profumo di latte fresco e il suono inconfondibile dei camioncini che, all’alba, consegnavano il prezioso alimento nelle case dei milanesi. Un’istituzione che per decenni ha rappresentato un punto di riferimento per la città, un simbolo di efficienza, innovazione e legame con il territorio. Oggi, di quella Centrale del Latte, rimangono i ricordi, le fotografie ingiallite e, soprattutto, lo spazio fisico, radicalmente trasformato, ma ancora capace di raccontare storie di un passato industriale glorioso.
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La gloriosa Centrale del Latte di Milano: com’era ieri e che cosa produce oggi
# Dalle origini all’apice: un secolo di latte e storia
Milano nel tempo – Centrale del latte
La storia della Centrale del Latte di Milano affonda le radici all’inizio del XX secolo, in un’epoca in cui l’approvvigionamento alimentare delle grandi città rappresentava una sfida complessa. L’idea di creare una struttura centralizzata per la raccolta, la lavorazione e la distribuzione del latte nasce dalla necessità di garantire un prodotto di qualità, sicuro e accessibile a tutti. Dopo diversi progetti e sperimentazioni, nel 1932 viene inaugurata la prima Centrale del Latte di Milano, situata tra via Castelfidardo, Sarfatti e viale Toscana. Si tratta di un impianto all’avanguardia per l’epoca, dotato di macchinari moderni e di un sistema di controllo qualità rigoroso. La Centrale diventa rapidamente un modello per le altre città italiane, un esempio di come l’innovazione tecnologica possa migliorare la vita dei cittadini.
Negli anni successivi, la Centrale del Latte di Milano conosce un periodo di grande sviluppo, grazie all’aumento della domanda di latte e alla crescita della città. Vengono ampliate le strutture esistenti, introdotte nuove tecnologie e sviluppata una rete di distribuzione capillare. Il latte della Centrale diventa un elemento fondamentale della dieta dei milanesi, un simbolo di salute e benessere. Il periodo d’oro della Centrale del Latte di Milano coincide con il boom economico degli anni ’50 e ’60: la città cresce a ritmo vertiginoso, la popolazione aumenta e il consumo di latte raggiunge livelli record. La Centrale si adegua alle nuove esigenze, ampliando la propria gamma di prodotti e introducendo nuove confezioni, come il latte in cartone.
# Il declino e la trasformazione
granarolo.it – Centrale del Latte di Milano
A partire dagli anni ’80, la Centrale del Latte di Milano mostra segni di declino. La concorrenza delle grandi aziende lattiero-casearie, la globalizzazione dei mercati e i cambiamenti nelle abitudini alimentari dei consumatori mettono a dura prova la sua sopravvivenza. Vengono chiusi alcuni impianti, ridotti i posti di lavoro e cedute quote di mercato. Acquistata dalla Granarolo, lo stabilimento viene trasferito a Pasturago di Vernate e chiuderà definitivamente nell’agosto 2006. Un pezzo di storia della città scompare, lasciando un vuoto nel cuore dei milanesi.
# La rinascita: da fabbrica a polo culturale
Credits: @paolo.mongu IG
Ma la storia della Centrale del Latte di Milano non finisce con la sua chiusura. Lo spazio fisico che ospitava gli impianti viene riqualificato e trasformato in nuovo campus universitario Bocconi progettato dallo studio SANAA di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa. Un nuovo polo culturale, dedicato all’arte, alla creatività e all’innovazione. Il campus diventa sede di uffici, musei, gallerie d’arte, laboratori creativi, spazi per eventi e attività culturali. Un luogo dove il passato industriale si fonde con il presente, la modernità, l’eccellenza e il futuro della città.
Foto redazione – Mappa Campus Bocconi
Oggi, camminando tra gli spazi dell’ex Centrale del Latte di Milano, è possibile percepire la forza della memoria e l’energia del cambiamento. Le storie degli operai, dei dirigenti e dei fornitori che hanno lavorato nella Centrale si intrecciano con le storie degli artisti, dei creativi e degli imprenditori che oggi animano questi spazi. La trasformazione della Centrale del Latte di Milano è un esempio di come si possa dare nuova vita a un luogo abbandonato, trasformandolo in un motore di sviluppo culturale ed economico. Un progetto che dimostra come il passato possa essere una risorsa preziosa per costruire il futuro.
# Un luogo che parla
Foto redazione – Giardino campus Bocconi
L’ex Centrale del Latte di Milano è un luogo che parla, che racconta storie di lavoro, di progresso, di innovazione e di trasformazione. Un luogo che invita a riflettere sul rapporto tra industria, società e cultura. Passeggiare sui marciapiedi dell’ex Centrale del Latte di Milano significa fare un viaggio nel tempo, scoprire un pezzo di storia della città e immergersi in un’atmosfera unica, dove il passato industriale si fonde con la creatività contemporanea. Un’esperienza che arricchisce e che ci fa sentire parte di una comunità che guarda al futuro senza dimenticare le proprie radici. Un promemoria costante che anche i luoghi che sembrano aver esaurito la loro funzione possono avere una seconda vita, diventando ancora più importanti e significativi per la comunità. Ed è, soprattutto, un monito a non dimenticare mai il passato, perché è proprio da lì che possiamo trarre ispirazione per costruire il futuro.
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1) Un’altra eccezione alle statue, è il mezzo busto di Simon Bolivar in piazza Bolivar. Devo dire che ho trovato la cosa alquanto indisponente.
2) l’autobus non è femmina, è la numerazione che è femminile. L’autobus rimane maschile, mentre la filovia è, sì, femminile.
Saluti
Lucia
P. S. Ho il forte sospetto che non tutti voi siate di Milano, ma ci sia qualcuno del sud Italia. O sbaglio?
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Siamo tutti molisani sotto mentite spoglie.
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Tranne gli appassionati dei codici fiscali o dei robottini di Guerre Stellari, solo un pazzo può preferire l’enigmatica sigla QT8 all’unico monte di Milano. Questi i 7 buoni motivi per cambiare il nome alla fermata della rossa.
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I 4 buoni motivi per dare alla fermata QT8 un nuovo nome: «Monte Stella»
#1 Chi va sulla vetta di Qt8 a guardare il tramonto?
tramonto monte stella
Quanti scendono alla fermata perché vogliono visitare il quartiere e quanti invece vogliono farsi un giro sulla Montagnetta e, magari, godersi lo splendido tramonto sulla vetta? Non scherziamo: non c’è partita.
#2 Smetterla di giocare agli indovinelli con i turisti
Beatrice Barazzetti – QT8 M1 interno
La verità è che scrivere QT8 è solo una mossa sadica per agitare i neuroni dei turisti che si devono sforzare per interpretare il suo significato enigmatico.
#3 La città che si è costruita un monte (ma lo tiene nascosto)
Campionati italiani di sci al Monte Stella
Ovunque sarebbe celebrato come esempio di uomo prometeico, del genio che osa sfidare il divino: una città di pianura che costruisce una montagna artificiale. Dubai ne avrebbe fatto un’attrazione internazionale. Noi non gli dedichiamo neppure il nome della fermata alle sue pendici.
#4 Sarebbe un inno all’amore
Credits: milanoalquadrato.com – Monte Stella in realizzazione
Che smacco per quelli che dicono che Milano è fredda e senza pietà. La fermata Monte Stella sarebbe un inno all’amore: pochi sanno che la montagnetta fu intitolata alla donna amatadal suo progettista.
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La sicurezza del personale ferroviario è una priorità sempre più centrale per il settore dei trasporti italiano. Sono in arrivo le bodycam per i capitreno di Trenitalia: l’obiettivo è quello di contrastare le aggressioni. Potrebbe diventare uno strumento utile anche in altri ambiti?
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Le nuove bodycam per proteggersi contro le aggressioni sui treni: si diffonderanno anche a Milano?
# La prima bodycam: «Un tempo c’era rispetto per il ferroviere»
Credits: ilsussidiario.net Trenord
Arrivano nuove soluzioni tecnologiche per metterci più al sicuro. Almeno sui treni. Contro le aggressioni Trenitalia, con l’apposita costola di FS Security, alla già diffusa videosorveglianza a bordo dei vagoni, schiera anche personale viaggiante che indossa delle bodycam. Non solo: con l’Intelligenza artificiale si avrà un alert quando si verificano situazioni di criticità. Suo nonno faceva il ferroviere, suo padre faceva il ferroviere e lui, proseguendo sul binario dove scorre la storia di tutta la famiglia, fa il capotreno. Ciro Cozzolino, 45 anni, ha cominciato l’onorato servizio tra carrozze e biglietti da staccare quando ne aveva 21. «Mi piace questo lavoro, è quasi una passione» racconta al Resto del Carlino. Ma i tempi da quando ad alzare la paletta era suo nonno, sono cambiati: «Allora c’era rispetto per il ferroviere» conclude. Oggi c’è molto meno rispetto perché i tempi sono cambiati e sarà proprio Ciro Cozzolino, una famiglia in viaggio da generazioni, a indossare la prima bodycam. In certe ore sui treni salgono quasi solo persone malintenzionate, balordi e ormai per succede tutti i giorni di imbattersi in situazioni pericolose. Proprio per questo le videocamere speciali si attivano per documentare aggressioni e follie in carrozza, un deterrente (speriamo) per i malintenzionati, che non sono pochi.
# Le mini telecamere sul taschino dei capitreno
Credits: vsoetrain, IG
Ma in cosa consiste il progetto di Trenitalia? L’adozione di bodycam è stata testata inizialmente in Emilia-Romagna a partire da marzo 2024 con 30 volontari. Decine di telecamere sono state distribuite al personale di FS Security, società del Gruppo FS Italiane che si impegna a garantire livelli più elevati di protezione sia per i passeggeri sia per i dipendenti, operando in stretto coordinamento con le forze dell’ordine. FS Security ha il compito di proteggere i lavoratori del gruppo FS, infatti saranno proprio loro a salire sui treni con le bodycam e a scortare i capitreno dei treni regionali, nelle tratte e negli orari più a rischio. Le bodycam, con un’autonomia di 12h e con una memoria da 64 gigabyte, posizionate all’altezza del taschino della giacca, hanno la funzione di deterrente contro le aggressioni e permettono la raccolta di prove video per supportare le denunce in caso di episodi di violenza. Questi dispositivi restano accesi per tutta la durata del turno, ma registrano solo se attivati in situazioni di pericolo o minaccia: starà al lavoratore decidere se e quando attivarla. I video sono criptati e possono essere visionati esclusivamente dalle forze dell’ordine. Si tratta di uno strumento adottato in accordo con i sindacati, che risponderà a precise prescrizioni a tutela della privacy dei viaggiatori.
# E se si diffondessero anche a Milano?
I dati più recenti mostrano un calo delle denunce per aggressione al personale ferroviario. Nel 2023 sono state registrate 427 denunce, scese a 381 nel 2024. Il trend positivo sembra proseguire anche nel 2025, con un calo del 47% solo nel mese di gennaio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La sperimentazione sul personale di FS Security è durata 4 mesi, dopodiché sono stati valutati i risultati per eventuali estensioni future. Così, dopo la sperimentazione partita un anno fa in Emilia-Romagna, arriva il via libera perché la bodycam nei prossimi mesi finisca sulle giacche dei colleghi di Liguria, Toscana, Piemonte, Puglia e Lombardia. Per migliorare ulteriormente la sicurezza a bordo del treno e nelle stazioni, FS Security ha adottato anche nuove tecnologie di videosorveglianza e implementato sistemi di intelligenza artificiale in grado di rilevare situazioni critiche e attivare automaticamente gli allarmi. Se tali innovazioni dovessero produrre risultati positivi per il personale e per i viaggiatori, si può precedere che possano essere estese anche in altri ambiti, soprattutto dove il tema della sicurezza è più critico. Un’idea da valutare anche per Milano?
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26 febbraio 1776. Un incendio, sembra per motivi passionali, distrugge il vecchio teatro di corte milanese. Al suo posto viene costruito il Teatro alla Scala, in conformità a un decreto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, emanato su richiesta di famiglie patrizie milanesi. Il “Nuovo Regio Ducal Teatro alla Scala”, da 3.000 posti, viene inaugurato il 3 agosto 1778 con la prima rappresentazione assoluta de L’Europa riconosciuta di Salieri. Ha inizio una storia gloriosa: questi sono i segreti del teatro lirico più famoso del mondo.
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26 febbraio 1776. Un incendio distrugge il primo teatro di Milano. Dalle sue ceneri risorge La Scala: questi i suoi segreti
#1 L’enorme lampadario, così grande che può entrarci un uomo in piedi
Credits: wikipedia.org – Lampadario Teatro alla Scala
Nel cuore del soffitto, nel lontano 1823, fu appeso un maestoso lampadario, un colosso di ottantaquattro lumi a petrolio. Più che un simbolo di splendore, divenne subito oggetto di controversia: la sua luce, troppo intensa, rischiarava ogni angolo della sala con una chiarezza sgradita a molti. Gli sguardi indiscreti potevano così penetrare nei palchi, violando quel velo d’ombra che custodiva segreti e sussurri.
Quello che oggi cattura lo sguardo dei visitatori, però, non è l’originale. La sua gloria fu spazzata via da un bombardamento durante la seconda guerra mondiale. Al suo posto, una replica imponente: quattrocento lampadine ne ricreano il fulgore, mentre la plastica, scelta per alleggerirne la struttura, lo rende più moderno e funzionale. Talmente vasto da poter ospitare un uomo in piedi nella sua coppa centrale, richiede venti giorni di meticolosa pulizia ogni anno.
E poi c’è la leggenda: si racconta che il celebre tenore Francesco Tamagno (1850-1902), prediletto dal maestro Verdi, fosse capace di scuotere il lampadario con la potenza di un solo, monumentale do di petto.
Un tempo, i palchi del teatro non erano accessibili a tutti: erano veri e propri scrigni privati, gelosamente custoditi dalle famiglie più illustri di Milano. I primi tre ordini, in particolare, appartenevano all’aristocrazia, che da quelle logge dorate dominava la scena, non solo quella sul palcoscenico, ma anche quella sociale.
Nel corso dell’Ottocento, la borghesia iniziò a farsi spazio tra quelle mura, conquistando il quarto e il quinto ordine. Con passo deciso, i nuovi protagonisti della vita cittadina presero posto in quei palchi più alti, segnando l’inizio di una trasformazione sociale che avrebbe lasciato il segno anche nel mondo del teatro.
Sotto di loro, la platea e il loggione accoglievano un pubblico diverso, più popolare e vivace. Artigiani, militari, giovani in cerca di emozioni: erano loro a riempire gli spazi più umili.
Ogni famiglia poteva arredare a suo piacimento il proprio palco e scegliere gli ornamenti. Solo la tendina esterna doveva essere identica alle altre. Tali tendine non sono sempre state rosse:un tempo erano azzurre. Il tipo di arredamento del palco era indice rivelatore dello status della famiglia proprietaria. All’interno dei palchi era permesso ricevere ospiti, bere, mangiare e anche altri piaceri più o meno leciti.
#4 Il palco numero 13 era pieno di specchi, per spiare gli altri senza esser visto
Il palco numero 13
Il palco numero 13 è passato alla storia. Non si sa esattamente a quale famiglia appartenesse anche perché spesso i palchetti erano oggetto di compravendita tra famiglie altolocate milanesi. La sua caratteristica, che lo ha fatto passare alla storia, era data dal fatto di essere interamente arredato di specchi. La voce popolare tramanda che il motivo di tale arredamento risiedesse nell’intenzione del proprietario di spiare comodamente tutti gli altri palchi senza essere visto.
#5 In Teatro si giocava a carte, si ballava e si poteva assistere a gare di equitazione
Fin dal 1788 era proibito giocare d’azzardo in città. Gli unici luoghi che facevano eccezione erano i teatri. Anche la Scala quindi aveva una zona destinata a tal gioco, il cosiddetto “Ridotto”, che funzionava a mo’ di bisca da mezzogiorno alle 4 del mattino. Si narra che persino Alessandro Manzoni avrebbe partecipato assiduamente a queste bische giocando un gioco a carte molto comune tra i giovani borghesi e aristocratici.
Il teatro non era quindi destinato solo alla rappresentazione di spettacoli. Le 700 sedie presenti in platea, che erano destinate alle classi inferiori, erano mobili per poter essere spostate e per creare quindi una zona libera in cui poter ballare e persino assistere a gare di equitazione. In uno dei ridotti situato al secondo piano si trovava addirittura una vera cucina dove i nobili potevano ordinare alla servitù veri piatti alla carta come in un ristorante. Esistono delle carte dell’epoca che testimoniano che dal piano inferiore a tale cucina spesso arrivassero lamenti e proteste a causa dei resti di cibo che cadevano.
#6 I professionisti dell’applauso per supportare i cantanti d’opera
All’inizio del 1800 fecero la loro comparsa a Parigi delle vere e proprie agenzie specializzate nel reclutamento di professionisti dell’applauso o della richiesta del bis. Anche la Scala di Milano dal 1919 si dotò di questi professionisti per poter supportare i cantanti d’opera. Tali professionisti disponevano di un vero tariffario per le loro prestazioni. Il listino prevedeva un compenso di 25 lire per gli uomini e 15 per le donne.
Gli applausi notoriamente alla Scala non sono tutti uguali. La provenienza dell’apprezzamento infatti è determinante per comprendere il gradimento dell’opera da parte dei detentori del gusto. Notoriamente infatti il pubblico più esigente della Scala è quello dei loggionisti le cui lodi o contestazioni decretano il successo o meno di una rappresentazione.
#7 Sul palco c’è il “Punto Callas”, dove la divina si posizionava per fare arrivare la sua voce in tutti i punti del teatro
Una delle artiste più famose di sempre è stata Maria Callas che è passata alla storia, fra le sue svariate performance, per aver vestito i panni di Violetta, protagonista della Traviata di Verdi. Nel 1955, sotto la guida di Luchino Visconti, rappresentò tale personaggio e scrisse una delle pagine più esemplari della storia della Scala. Pare che la divina avesse trovato un punto nel palcoscenico, in seguito chiamato “punto Callas”, in cui essa si posizionava per poter far arrivare la sua voce in tutti i punti del teatro.
#8 Nel ‘700 i biglietti si comprano con il “gigliato”, una moneta in uso all’epoca a Milano
In seguito all’inaugurazione del teatro nel 1778 furono stabiliti i prezzi degli abbonamenti. Per la nobiltà il prezzo era fissato a 6 gigliati, per la cittadinanza 3 gigliati, per le “Cappe nere” ovvero segretari, cancellieri e maggiordomi, 20 lire. Il gigliato era una moneta, detta anche carlino, in uso a Milano all’epoca che era così chiamata per la stampigliatura di gigli nel retro moneta.
In realtà bisogna dire che per poter assistere agli spettacoli era necessario l’acquisto di due biglietti: uno per accedere al teatro e uno per entrare nella platea. Quest’ultima era divisa in una parte arredata con sedie fisse, dette anche “chiuse” poiché dotate di chiavi che consentivano di chiudere la seduta a piacere. Esse avevano un costo di 3 gigliati in prima e seconda fila, di 2 in terza e quarta, 1 nelle ultime due file. L’altra parte era costituita dalle cosiddette “sedie volanti”, che erano gratuite. L’uso di emettere due biglietti distinti fu abbandonato già nel 1797.
#9 I fantasmi che infestano e spaventano i loggionisti
La leggenda vuole che anche la Scala, come ogni teatro che si rispetti, sia infestato da fantasmi. C’è chi dice che lo spirito di Maria Malibran, famosa soprano del XIX secolo, infesti le sale. Altri invece sostengono che il fantasma per eccellenza della Scala sia lo spirito di Maria Callas. Le vittime predestinate di quest’ultima sono gli spettatori che vengono spaventati dal soprano che vuole vendicarsi per essere stata fischiata da un gruppo di loggionisti in occasione di una sua stecca.
#10 Il laboratorio per realizzare le scene negli ex-stabilimenti delle acciaierie Ansaldo
Credits: akropolismilano.it – Laboratorio delle scenografie teatro alla Scala
A partire dal 2001 il Teatro alla Scala ha spostato i suoi laboratori presso l’area delle ex acciaierie Ansaldo a Milano. Qui i laboratori occupano una superficie di circa 20000 metri quadrati dove vengono eseguite lavorazioni artigianali, allestimenti scenici, costumi. In più qui vengono svolte le prove del coro e della regia. Le dimensioni delle sale prove sono esattamente corrispondenti a quelle del palcoscenico originale.
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In un periodo in cui sembra che a scappare siano i romani, abbiamo provato a immaginare un flusso contrario: che cosa potrebbe spingerti a trasferirti a Roma? Lo abbiamo chiesto ai milanesi. Queste le risposte più frequenti.
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Le 7 ragioni che potrebbero farci andare a vivere a Roma (secondo i milanesi)
#1 Il cielo
Credits: optimagazine.com Roma pomerio oggi
«Almeno a Roma si vede»
#2 La cucina
«La cicoria ripassata, la gricia, i maritozzi con la panna». «I ristorantini di Trastevere». «La Carbonara».
#3 Il senso dell’umorismo
Credits tasya.filippova IG- Gladiatori romani
«La velocità di rispondere a ogni battuta è unica al mondo»
#4 La Dolce Vita
Ph. j_nnesk_sser
«Anche se non c’è più quella che l’ha resa famosa, i romani se la godono ancora molto più dei milanesi»
#5 Una vita in vacanza
Credits: @ig_rome Les Etoiles Roma
«Uno dei luoghi più belli al mondo se non ha il problema di lavorare. Ci andrei di corsa se fossi ricco di famiglia. O un dipendente statale»
#6 Perché è bellissima
Credits Kookay-pixabay – Roma
«La bellezza assoluta di ogni angolo: è o non è la città più bella del mondo?»
#7 A tre ore da Milano
Credits silvyghi IG – Frecciarossa Roma Termini
«…e comunque c’è sempre la cosa più bella: il treno per Milano»
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