E così quest’anno ci è toccato Sferracchio. Piace non piace, è il prezzo che paghiamo all’ecosostenibilità, o almeno così ci raccontano. Resta il fatto che centinaia di pini e abeti continuano a venire sacrificati ogni natale nelle case dei milanesi per onorare la sacrosanta tradizione.
A qualcuno sembrerà strano, ma alcuni di questi miracolosamente sopravvivono allo stress natalizio, nonostante le temperature da sauna e l’umiliazione di venire trasformati in uno spettacolo da baraccone. In realtà piante non troppo grandi, se tenute in maniera corretta, possono resistere a un mese di supplizi. Ne escono un po’ spelacchiate e affaticate certo, ma potrei raccontare diverse lacrimevoli storie di alberelli scampati allo strazio che si sono magicamente rifatti una vita in qualche giardino condominiale o della villetta del vicino.
Giacché i giardinetti privati però hanno un limite, e le conifere natalizie non sono propriamente degli arbusti, ad un certo punto tutti si rassegnano a mandarli al macero. Una morte onorevole dal momento che almeno adesso finiscono nel compostaggio, ma perché non anelare ad un destino migliore?
Giacché siamo in campagna 2030, 3 milioni di alberi in ogni quartiere, progetti di raggi e corridoi verdi eccetera eccetera, proviamo per l’anno prossimo a mettere su una filiera virtuosa che col tempo possa trasformare Milano in un ridente bosco di conifere ad alto fusto?
Per farlo faccio queste tre proposte da realizzare in successione:
#1 Creare una rete di vivai certificati che forniscano piante con la corretta dote di un apparato radicale, con allegate regole di base per conservarle nel migliore dei modi
#2 Punti di raccolta post natalizi nei principali parchi cittadini, dove associazioni del verde potrebbero farsi carico di separare le piante meglio conservate da quelle ormai irrecuperabili
#3 Ripiantumazione nelle aree individuate dal comune o private che ne abbiano fatto richiesta: cortili delle scuole, società sportive, terrapieni lungo i binari, aree abbandonate di difficile riqualificazione, e così via. Non serve sia un verde attrezzato, basta semplicemente che possa esistere ed esercitare la sua azione benefica sulle aree di destinazione.
Magari ogni piantina potrebbe essere fornita con una targa sulla quale apporre il nome del bimbo o della famiglia che l’ha donata, in modo che sia finalmente chiaro per tutti che il verde è un patrimonio che appartiene ai cittadini. E magari anche il Natale diventerà una festa plastic free.
ROBERTA CACCIALUPI