Nel momento in cui si dice che affrontare un problema è come una guerra, si entra in un paradigma completamente diverso. In cui di colpo tutto quello che in tempo di pace è considerato da criminali diventa invece lecito.
In guerra esiste un sistema di leggi diverso da quello dello stato di pace. Un sistema che naturalmente non tutela i diritti primari dei cittadini. Addirittura, in alcuni codici di guerra è consentita la pena di morte che non è consentita in tempo di pace.
In guerra si dà per scontato che possano esistere vittime innocenti anche tra i civili, che si possa non dire la verità senza rischio di incorrere in sanzioni e che si possa usare ogni forma di violenza contro quelli che sono considerati nemici.
In guerra chi uccide è scudato dalla responsabilità penale per il crimine commesso, anche per quello che in tempo di pace sarebbe considerato omicidio colposo o per futili motivi.
In guerra la stampa è una delle armi in possesso del governo e quindi si trasforma in strumento di propaganda non di informazione, usata in maniera spregiudicata per veicolare notizie vere o false che siano funzionali allo schieramento.
In guerra lo Stato può disporre della vita dei cittadini e, nel caso, di sacrificarli per raggiungere il suo scopo.
Essendo le due condizioni non compatibili una con l’altra, quando si usa la metafora di essere in guerra automaticamente si fa scattare comportamenti in contrasto con le regole democratiche.
Per un Paese civile il solo pensare di essere in guerra determina per i cittadini gli stessi pericoli dell’essere in una guerra vera.
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