In uno dei film intitolati a Fantozzi, Paolo Villaggio per perdere peso in una clinica doveva assistere altri che mangiavano delle polpette.
Guardare uno che mangia e pensare di aver mangiato è un po’ come invece di giocare a calcio guardare una partita in tv.
O peggio pensare di fare sport giocando a un videogame.
Peggio perché mentre da spettatore c’è una consapevolezza del ruolo passivo, il videogioco sostituisce un’attività che è fondamentale per l’organismo con un’altra che è solamente intrattenimento mentale.
Da esperienza attiva l’esistenza si sta trasformando in esperienza virtuale. Il progresso tecnologico sta portando sempre più le persone a fare esperienza della vita mantenendosi a distanza dalla vita.
Lo stesso smart working o il distanziamento indotti dalla pandemia sono stati resi possibili da questi mezzi. Nessun popolo privo di questi avrebbe accettato di rimanere in casa per mesi senza esplodere.
La cosa incredibile è che sono proprio i giovani a usare di più questi mezzi, allontanandosi dall’esperienza reale proprio nei momenti in cui ne avrebbero più bisogno perché si affacciano alla vita.
Questo impatto della tecnologia si è esteso a livello culturale.
Vivere la vita viene giudicato sempre più come un pericolo da cui è più sicuro restarsene lontani. Illudendosi che sia la stessa cosa.
Non capendo che vivere guardando un altro che mangia, non solo aumenta l’appetito, ma determina sofferenza e frustrazione.
E alla fine, se si vuol vivere, le polpette vanno mangiate.
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