Padre padrone è un celebre film dei fratelli Taviani del 1977 ispirato a un fatto realmente accaduto. Il protagonista Gavino viene strappato dalla scuola dal padre e messo a imparare il mestiere del pastore. Rimasto analfabeta, riesce ad affrancarsi dal rapporto di schiavitù con l’entrata nell’esercito. A quel punto prosegue nel distacco dal genitore fino ad arrivare a conseguire la laurea e a condurre un’esistenza piena e libera.
Il film si inserisce all’interno di un contesto psicosociale italiano ancora dominato dall’idea patriarcale della famiglia che negli anni Settanta inizia a sgretolarsi attraverso i movimenti politici e culturali post ’68. Quella stessa idea patriarcale e paternalista della famiglia che è stata combattuta con successo nel nostro recente passato, è stata ora incarnata dallo Stato.
Ma, a differenza di quegli anni, non esiste alcun movimento culturale che si opponga.
Gli italiani non riescono a emanciparsi da questa forma di dipendenza dal ruolo dominante. La figura del padre padrone significa giustificare la sua azione qualunque essa sia, anzi, tanto più brutale e violento si dimostra tanto più viene rispettato.
La metafora del padre padrone indica che la crescita di una persona non è compatibile con la figura del padre padrone. Non si può venire alla luce se si rimane sempre all’ombra. E questo avviene anche per la nostra società.
Uno Stato che non dà spazio ai propri cittadini ma li indirizza di imperio anche negli aspetti della loro vita quotidiana impedisce lo sviluppo delle persone e della comunità nel suo complesso.
La via maestra per avere una comunità fatta di persone che cooperano e che crescono insieme è quella di responsabilizzare gli individui. L’unica forma reale di responsabilizzazione è di dare fiducia alle persone lasciandole libere.
Lo Stato non può considerare i cittadini dei suoi oggetti personali ma deve svezzarli riducendo la sua presenza per farli crescere in autonomia.
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