“La cosa più grave non è stata detta: per evitare il crollo sarebbe bastato un parafulmine”.
Ci sono ancora troppi interrogativi aperti sulla tragedia di Genova per rimanere insensibili a questa frase che mi ha rivolto un esperto di ingegneria civile, che preferisce restare anonimo, allegando anche indicazioni dettagliate. Dopo la sua testimonianza abbiamo provveduto a raccogliere informazioni per verificare tutto quello che ci ha segnalato. Abbiamo contattato un architetto, un ingegnere civile, un ingegnere strutturista, abbiamo raccolto dati e contattato Autostrade per l’Italia. Ecco quello che è emerso.
1. Il ponte è crollato dopo essere stato colpito da un fulmine
L’ipotesi del fulmine come causa scatenante del crollo del ponte è stata la prima ad essere proposta. Diversi cittadini hanno testimoniato che sarebbe stato un fulmine a colpire un tirante, provocando un cedimento strutturale, e il Codacons ha inviato un dossier alla procura con le prove raccolte che attesterebbero l’ipotesi del fulmine. Una prova inconfutabile della coincidenza tra fulmine e crollo sembrerebbe quella fornita dal sito LightningMaps.org che monitora le segnalazioni di fulmini da una serie di stazioni sul territorio.
Il sito attesta che un fulmine ha colpito alle 11:35:59 lo strallo che ha poi ceduto facendo collassare il ponte (precipitato a terra alle 11:36:40, secondo la rilevazione della stazione sismica INGV di Ronca a 7 km da Genova). Per accedere alla schermata in questione: https://goo.gl/Bsj1yS (fuso orario di due ore di differenza).
Il ponte è costituito da acciaio ingabbiato dal cemento. I fulmini colpiscono punti che consentano lo scarico dell’energia a terra. I parafulmini sono fatti di acciaio per la capacità di attrarre i fulmini e di portarla a terra tramite dei cavi di rame o di un conduttore.
Nel caso del ponte Morandi potrebbe esserci stata una crepa o un punto dello strallo in cui, forse per la cattiva manutenzione, l’acciaio poteva essere raggiunto dal fulmine. A quel punto quella porzione di ponte avrebbe fatto da “parafulmine”, consentendo alla carica elettrica di arrivare a terra. Innescando, così, la successione di eventi che ha portato al crollo e che risulta ormai acclarata.
Per capire l’effetto sul ponte, occorre considerare che un fulmine scarica un’energia che produce una temperatura dai 18.000 ai 30.000 gradi: l’acciaio si fonde a una temperatura molto inferiore, pari a 1.536 gradi. A quella temperatura la parte di acciaio colpita si deve essere sciolta, con la conseguenza che il tirante si è spezzato da una estremità, sfilacciandosi con un colpo simile a una frusta, come riportato dai testimoni.
In quella parte il ponte era sostenuto da due stralli paralleli, proprio per sostenerne il peso. Una volta che è partito il primo strallo, nei secondi successivi, anche per il contraccolpo, l’altro tirante avrebbe ceduto facendo così crollare dopo alcuni secondi il pilone centrale.
Il dato certo è dunque che un fulmine è caduto e subito dopo è caduto il ponte.
L’ipotesi della causa del fulmine viene avvalorata anche da Gabriele Camomilla, ex manager di Autostrade per l’Italia (clicca qui per l’intervista). Al manager viene fatta la domanda: “Ma non c’erano parafulmini sul ponte Morandi?”
“Sì è ovvio”. È la sua risposta.
In effetti un ponte alto novanta metri, costituito al suo interno di acciaio, come potrebbe essere privo di parafulmini? Dovrebbe essere ovvio. Eppure così non sembra.
2. La domanda chiave: dove sono i parafulmini sul ponte Morandi?
Ogni costruzione elevata, molto esposta, è dotata di regola di parafulmini, così come i ponti alti, costruiti in acciaio.
Secondo l’ex manager Camomilla, anche il ponte Morandi doveva avere dei parafulmini. Proprio per la sua funzione il parafulmine non può essere qualcosa di invisibile o di tenuto nascosto. Al contrario, deve essere evidente, posizionato nel punto più alto, con una struttura tipica e riconoscibile facilmente, anche a distanza.
Osservando le immagini del ponte Morandi, prima e dopo il crollo, non c’è traccia di parafulmini.
Una videoricostruzione in lingua spagnola (qui il video completo) mostra questa immagine risalente ai lavori del costruzione del ponte, negli anni sessanta.
Durante l’esecuzione dei lavori sarebbero stati montati dei parafulmini sopra il ponte. Questo perché, con tutto quell’acciaio scoperto, a quell’altezza, presumibilmente è stata ritenuta necessaria la presenza di parafulmini per proteggere il lavoro degli operai.
Se erano stati davvero installati per proteggere i lavori di costruzione, perché i parafulmini sono stati tolti? E quando sono stati tolti?
Se anche non fossero stati installati in precedenza, considerando l’anzianità dell’opera e i numerosi segni di degrado, possibile che nessuno, durante l’attività di manutenzione, si sia accorto della mancanza di parafulmini sulla struttura o non abbia suggerito di impiantarli?
La questione centrale è: come è possibile che una struttura costituita al suo interno di acciaio, così alta, non fosse dotata di parafulmini?
In assenza di alcuna prova documentale di esistenza dei parafulmini, abbiamo contattato Autostrade per l’Italia, chiedendo loro se è vero che il Ponte Morandi fosse privo di parafulmini, ma non ci hanno mai risposto.
Rinnovo dunque l’invito a fare chiarezza su questo aspetto. Non solo per sapere se e perché sul ponte Morandi non c’erano i parafulmini ma per capire si ci siano altri viadotti o ponti, costituiti da materiali metallici, che possano correre lo stesso rischio.
Nel caso di correzioni, integrazioni o delucidazioni alle questioni sollevate, mi impegnerò a renderle pubbliche.
ANDREA ZOPPOLATO
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salve,
mi sembra ovvio che il ponte di genova sia dotato di adeguato parafulmine, come del resto affermato dall’ingegner Camomilla; probabilmente è meno evidente di quello di altre strutture. Al contempo, sento anch’io come plausibile l’ipotesi che con il tempo il ponte abbia aumentato la sua capacità di attirare fulmini, causa esposizione di parti metalliche, magari anche unitamente ad un eventuale contemporaneo deterioramento del parafulmine preposto, che in ogni caso sarebbe comunque diventato cosi’ non appropriato rispetto al suo compito da progetto.
nel simile ponte in venezuela, dove gli stralli non sono però ricoperti di cemento, sembra che ognuno dei cavalletti sia affiancato da una poco piu’ alta struttura metallica posta di lato; non saprei dire se questa abbia ruolo di parafulmine maggiorato (vista la maggior esposizione causata dai tiranti a vista di questo ponte), o a cosa serva (magari il parafulmine è comunque è un altro elemento poco evidente visivamente, come a genova, ma in ogni caso maggiorato rispetto ad esso).
A parte ciò, se non mi sbaglio, secondo ARPAL (?) non sarebbe caduto alcun fulmine sul ponte; nei dati del presunto fulmine che avrebbe colpito il ponte riportati su LightningMaps.org ( “Orario: 14.08.2018 09:35:59.792963840 UTC / Deviazione: 0,9km / Num Staz utilizzate: 78 ) , il parametro “Deviazione”, mi domando cosa significhi; forse la sua interpretazione è alla base del responso discordante che mi pare sia stato espresso da ARPAL. Altra questione: ma i dati ARPAL e quelli del sito, hanno le stesse fonti/centraline? Come sono raccolti i dati del sito LightningMaps.org ?
Stante l’attuale discordanza, resta quindi poco chiaro se effettivamente un fulmine abbia colpito il viadotto nel momento del crollo oppure no; chissà se un’approfondita analisi dei dati, le testimonianze e ulteriori filmati porteranno alla luce la verità.
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