La maggior parte di governi e accademie in tutti i paesi del mondo sviluppato anche se sono messi di fronte all’evidenza di una crescita che langue, continuano a insistere che l’innovazione scientifica ci potrà salvare.
Il settore definito come R&D, Research e Development, è sempre più considerato la panacea di tutti i mali.
Ma questo assunto così ampiamente diffuso ha una realtà sostanziale?
È vero che l’innovazione continua a produrre questi aumenti di produttività esponenziali?
Da una vasta ricerca condotta presso l’ufficio brevetti americano emerge l’esatto contrario: anche la produttività dell’innovazione scientifica è soggetta alla legge dei diminishing returns. In estrema sintesi cento anni fa un brevetto rendeva 100, oggi 100 brevetti rendono uno.
E questo lo si può capire in modo intuitivo.
Einstein, un uomo solo dentro il suo laboratorio, con un utilizzo limitato di risorse ha avuto un’intuizione che ha conseguito una applicazione ampissima. Lo stesso accadeva con Newton, Galileo, Edison, Pasteur, Copernico, Marconi e i tanti altri che sono stati i veri padri della modernità e che hanno rivoluzionato interi settori.
Oggi la ricerca di norma è costituita da centinaia di ricercatori che con l’utilizzo di tecnologie sofisticatissime dedicano anni per trovare il Bosone o una molecola Y che hanno un impatto molto settoriale e che spesso non ha neppure un’applicazione pratica.
In passato l’innovazione scientifica era caratterizzata da bassi costi e altissimi rendimenti. Oggi è l’opposto, caratterizzata da altissimi costi e bassissimi rendimenti. Che poi è la stessa dinamica che riscontriamo nel mondo fisico con risorse che costano di più e rendono sempre di meno.
Questo dimostra che si sta insistendo in maniera ossessiva e velleitaria in una direzione che non offre più soluzioni ai problemi che ci troviamo ad affrontare.
Il paradosso strettamente energetico è che per salvare risorse scarse si potrebbe giungere alla eliminazione di qualunque ricerca. Almeno in questa direzione.
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LA FENICE
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