Un anno prima che morisse incontrai Marta Marzotto e per caso si discusse di longevità. Eravamo in uno show room in via Manzoni a Milano, dove si ritrovavano ricche signore anziane. Una sua amica, obiettando a un’affermazione che non ricordo, disse: “adesso rispetto a cent’anni fa la vita media delle persone si è allungata”. Marta Marzotto l’ha guardata e, dopo un attimo di perplessità, causticamente le ha risposto: “ a me sembra che invece di allungare la vita abbiamo allungato la malattia, perché questi anni che viviamo in più sono anni non di vita ma di malattia cronica”.
Questa battuta pone un tema che oggi è di attualità estrema. Come dice il filosofo Agamben ci siamo ridotti a difendere la “nuda vita”: le abbiamo tolto aspetti qualitativi, mentre teniamo conto solo di rilevazioni statistiche quantitative, senza considerare come vivono queste persone nei loro ultimi 7-8 anni che vivono in più. Non si vedono quali sono altri aspetti della vita, come le relazioni con gli altri, esperienze esistenziali o di evoluzione spirituale.
Il punto è: cosa è la vita? È semplice semovenza biologica?
Gioire dell’estensione della quantità della vita senza interrogarsi sulla qualità di questa vita che si allunga rischia di lasciare l’esistenza senza più un’ombra di essere.
Non solo. Il pericolo di considerare la vita in termini puramente biologici e quantitativi è di alimentare una pressione sociale a trasformare ogni persona in un malato cronico che non deve guarire né morire. E di certo non vivere.
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