Nel 1984 di Orwell la tortura peggiore era la stanza 101. Dove ognuno, sulla base della sua tematica inconscia individuale, era vittima delle sue paure irrisolte che, a livello simbolico, rappresentano il luogo della propria forza vissuto come paura contro se stessi.
Chiamandola stanza 101, Orwell ha fatto riferimento al linguaggio di programmazione della macchina, sottolineandone l’evidente antitesi al codice base della natura umana.
Ci sentiamo di rispolverare questa metafora perché è come se oggi la stanza 101 avesse ottenuto una dimensione planetaria.
L’essere costantemente sottoposti a una grande quantità di frequenze e di onde elettromagnetiche, fa in modo che siamo immersi in una colossale stanza 101. Senza dare un giudizio di valore, ci sembra evidente che questa enorme stanza rinforzi le paure più che il coraggio degli esseri umani, generando una forma di collettivo senza capacità di reazione individuale.
Dal punto vista piscologico la stanza 101 simboleggia la parte di vita che ogni essere umano vive senza essere presente a se stesso.
Come se ormai avessimo tutti accettato che una buona parte della nostra vita sia inconscia a noi stessi, abdichiamo a una ricerca esistenziale che ha nella soggettività il luogo della ricerca e non nell’oggettualità mondana, che è permanentemente orientata verso l’esterno.
Ci siamo persi nell’oggetto abbandonando l’atto intero che ci definisce come esistenti.
L’inconscio diventa luogo dei mostri freudiani semplicemente perché non è conosciuto. Se un quantico di vita così fondamentale viene lasciato senza il padrone di casa diventa come un giardino di cui nessuno si prende cura, venendo occupato da roditori ed erbacce che lo infettano.
Estendendolo a livello macro, ci viene il sospetto che questa enorme infrastruttura che ricopre il pianeta si nutra della differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. E che in questo luogo inconscio abbiano sede i veri giochi che governano il pianeta.
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