A Milano si sta vivendo una stagione incredibile. Sembra ogni sera un Fuorisalone.
Inaugurano alberghi a cinque stelle con suite imperiali con vista su spianate di cemento e file di bidoni della spazzatura. Vai al ristorante e chef stellati ti illustrano ingredienti selezionati sul versante spagnolo dei Pirenei o nella valle del Kashmir, ma poi gli gnocchi impastano la bocca di farina e la carne sa di dado da cucina.
“Come fate ad andare via c’è il dee-jay set?”, cinquantenni e sessantenni con occhi a palla, spiritati, cercano di replicare situazioni del passato e sognano di palpare il sedere alle ragazzine.
La gente sembra in uno stato strano di frenesia. Gli stadi e i concerti fanno capienza record. Turismo record. Dati rilevano un boom nell’uso di droghe ed alcolici.
Ovunque guardi Milano in queste sere, ti sembra di vedere fiumi di matti che con movimenti inconsulti celebrano un gigantesco party: the final rave a Milano.
Ma dove nasce questo entusiasmo?
Se lo fai notare, la classica risposta è che si vuole tornare a vivere dopo due anni di emergenza. Ma è proprio così?
La sensazione è l’opposto. L’euforia prima della tempesta: non la voglia di tornare a vivere alla fine di un’emergenza, ma uno stato di negazione della realtà esterna e della coscienza interna. Una necessità narcotica da rincorrere annullandosi nel flusso sociale e nella copertina di Linus della memoria.
Anche perché la realtà non mostra alcuna uscita. Anzi. Siamo in un periodo storico che si sta ponendo come il più drammatico nell’esistenza di ognuno di noi. Con pericoli incombenti che a guardarli in faccia rischiano di disintegrarci.
In fondo è sempre stato così. Prima dei periodi di grande crisi si è vissuto momenti di ebbrezza. Nel periodo precedente alla prima guerra mondiale c’è stata la belle époque. I “ruggenti anni Venti” hanno anticipato la Grande Depressione degli anni Trenta e quello che è arrivato dopo.
Confermava qualche giorno fa un dirigente in una grossa banca che questa apparente follia collettiva si sta palesando anche a livello finanziario: molta gente si sta riempiendo di debiti “come non ci fosse un domani”, per pagarsi l’auto o le vacanze.
A livello di psicologia individuale più ci si avvicina a un’opportunità di cambiamento e più si tende a ritornare alle sicurezze del passato.
Il punto fondamentale è che ogni cambiamento viene percepito come qualcosa di drammatico. Ogni volta che si propone una possibilità di cambio di coscienza, per motivi affettivi, esistenziali, storici, tendiamo a entrare in un meccanismo di difesa, per una resistenza che, invece di aprirci al futuro ci spinge a rincorrere un passato idealizzato.
Forse siamo davanti a un cambio di coscienza che per la prima volta ci riguarda tutti. Forse siamo davanti alla fine di una civiltà a cui siamo abituati.
A seconda della sensibilità individuale a raccogliere questa sfida c’è chi vuole aprirsi a questa trasformazione e si prepara a far morire ciò che era per rinascere a nuova vita, con una coscienza rigenerata.
E c’è chi vuole scappare, aggrappandosi ancora di più a un sistema che è sicuro come una scialuppa traforata, con un attaccamento sempre più superficiale e infantile, simbolico di un ancestrale rifiuto dell’età adulta.
Così si immerge nella ricerca dell’ultimo rave metropolitano, tra fiumi di matti. Improvvisamente si ritroverà come allo Space di Ibiza quando alle 5 di mattina accendono la luce. E tutto ciò che rimane è il tuo viso deformato riflesso dallo specchio.
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LA FENICE
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