Husserl sosteneva che le scienze umane hanno bisogno di un criterio universale che abbia un nesso con la natura. Per lui la costante nella fenomenologia della natura è l’estetica.
Ogni vivente ha in sé un ordine, un‘armonia che si traduce in estetica.
Il benessere trasmette vitalità, luce, bellezza, mentre il disordine interiore o la malattia si proiettano in una disarmonia esteriore.
Ogni vivente quando sta meglio o è più in sé trasmette un’estetica superiore rispetto a quando sta meno bene o è fuori dal suo essere. Si usa dire di “stare in forma” per definire lo stato di salute con la sua manifestazione esteriore.
In molti ambiti il criterio estetico è un fatto implicito. Per l’arte e per l’architettura il senso estetico è un orientamento fondamentale. La ricerca della massima espressione stilistica è diffusa tra gli imprenditori, tra gli sportivi, tra i creativi, e ci indirizza nelle nostre attività di ogni giorno, da quando ci guardiamo allo specchio a quando riceviamo gratificazione per una “bella azione”, un “bel gesto” o per aver fatto “qualcosa di bello”.
Anche in ambito scientifico c’è la definizione di “bella legge”, definendo così una legge scientifica che riesca a condensare in pochi elementi dei fenomeni complessi, senza prevedere casi particolari o eccezioni.
Ma c’è una dimensione sociale in cui il criterio estetico è tenuto completamente al di fuori.
Nel diritto non c’è traccia di bellezza. Spesso leggi contorte, farraginose, quasi illeggibili pretendono di ergersi a pilastro per regolare l’organizzazione umana.
L’effetto di leggi brutte è quello di creare una società disordinata, contraddittoria, innaturale. Leggi brutte determinano una brutta società.
Una vera rivoluzione sarebbe di inserire il criterio estetico come uno dei fattori fondamentali per l’emanazione di una legge, prendendo esempio da ciò che avviene in campo scientifico, nella grande arte e nella natura.
Deliberare belle leggi per avere una società più bella, questo dovrebbe essere il fine della politica.
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