Un tempo le persone per fare bella figura cercavano di dire cose originali. Oggi invece cercano la banalità.
Si considera uno sbaglio dire o fare cose diverse da quelle che sono ripetute da tutti. Il metro è il conformismo. Invece di cercare di emergere si cerca di nascondere ciò che ci rende diversi dagli altri che in realtà sarebbero i nostri punti di forza e ciò che può essere il nostro apporto agli altri. Se uno dice le stesse cose che dicono tutti è inutile.
Nel novecento la produzione in serie riguardava la diffusione di oggetti uguali, oggi si è trasposta nella produzione di menti “de-menti”, senza alcuna autonomia di pensiero ma tutte derivate da un unico modello medio.
Come se la nostra natura fosse quella di un camaleonte che diventa trasparente e invisibile in ogni ambiente in cui si trova.
Ma come mai siamo nella prima epoca storica in cui chi vuole farsi notare si traveste con una livrea mimetica dietro pensieri e parole che dicono tutti?
Questa ricerca della banalità sembra particolarmente evidente tra i più giovani.
Un comportamento tipico dei giovani è sempre stato di ricercare la loro identità in un’appartenenza. In passato l’appartenenza era innanzitutto generazionale e il giudizio con cui ci si confrontava era quello dei propri coetanei. In questo modo cercare di differenziarsi dal resto del mondo era un modo per ricercare una forma di appartenenza al gruppo.
Con il mondo dei social l’appartenenza oggi non è più generazionale ma ogni persona che vuole trasmettere qualche pensiero o idea usa un mezzo che istantaneamente subisce il giudizio di persone di ogni età, di ogni cultura, in breve della massa. E questa massa per definizione è priva di identità individuali, quindi per sentirsi inclusi l’unica forma che si crede legittima è l’adesione totale al luogo comune.
Chi ci riesce raggiunge quello che sembra il massimo obiettivo individuale della nostra epoca: essere esattamente come tutti gli altri.
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