In Psicologia si studia che il principale problema nella vita di una persona è l’autosabotaggio. Esiste una componente inconscia attivata da complessi irrisolti e da superficialità che porta l’individuo a compiere atti che gli recano danni.
Il meccanismo di difesa dell’autosabotaggio è scaricare la colpa su altri o su eventi esterni.
Ciò che avviene a livello individuale si riproduce a livello di sistema. Se si guardano le decisioni di chi governa e i loro effetti spesso si verifica che i danni provocati sono molto superiori rispetto ai benefici prodotti.
Spesso i problemi vengono affrontati da chi governa con superficialità, senza considerare tutti gli effetti provocati dalle proprie decisioni.
Per esempio, limitare l’accesso a dei luoghi aperti al pubblico per ragioni sanitarie determina soprattutto un danno ai gestori di tali locali che perdono clienti: li si porta ad andare contro la finalità economica della loro attività che consiste nel trovare e servire i clienti.
Lo stesso discorso vale nella limitazione dell’accesso al posto di lavoro che produce conseguenze negative in primis sui datori di lavoro che perdono la forza della loro attività e in seconda misura sui clienti perché riduce se non elimina i servizi e i prodotti che possono ricevere.
È un anno e mezzo che la politica cade nello stesso errore. Di considerare semplicisticamente problemi molto complessi pensando che la soluzione ipotizzata per uno specifico problema non produca effetti anche gravi sulle altre componenti della società.
La società è il risultato di un equilibrio che si è generato attraverso decine se non centinaia di anni, un equilibrio che non può essere ribaltato in pochi istanti con l’illusione di aver trovato una soluzione geniale per affrontare un fenomeno inaspettato.
Nel caso in cui appaia un problema nuovo su cui ogni intervento possa produrre effetti imprevedibili, il vero atto di coraggio e di responsabilità per chi governa è mantenere l’umiltà di non agire.
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